IL LEADER DELLA LEGA A REGGIO PARLA DELL'ATTRAVERSAMENTO STABILE DELLO STRETTO;
Matteo Salvini a Reggio

«IL PONTE UNA NECESSITÀ PER L’EUROPA»
LA “PROMESSA ELETTORALE” DI SALVINI

di SANTO STRATI – «È una necessità per l’Europa»: Matteo Salvini a Reggio Calabria rilancia sull’attraversamento stabile dello Stretto, cogliendo al balzo l’assist offerto da Berlusconi, che – dietro accorta e sapiente operazione di marketing elettorale – ha rispolverato per primo la questione del Ponte. Quale miglior argomento per raccogliere consenso in Calabria e in Sicilia?

Salvini, che si presenta al Senato nel collegio di Reggio, è stato ieri nella Città dello Stretto, prima di andare a Messina, per un incontro con i sostenitori calabresi (il giorno prima è stato a Corigliano-Rossano. e in altre località calabresi). Abbiamo scritto molte volte che leghista e meridionale è un vero e proprio ossimoro: Salvini ci sta provando da tempo a modificare questo molto diffuso modo di vedere, ma deve giocarsi la carta del Sud per limitare lo strapotere giorgiano che ha rosicchiato molto ai berlusconiani e sta erodendo, pian piano, anche la base leghista. La strategia è accurata e la regia di ogni incontro trasforma quello che un tempo si sarebbe detto un comizio in una festosa rentrée di amiconi che si vedono di tanto in tanto (a ogni scadenza elettorale, per intenderci), ottenendo comunque un evidente successo di consensi. Salvini ricorda le simpatiche canaglie dei film noir francesi: un po’ sbruffoni ma affascinanti.

Salvini è decisamente un trascinapopolo che stimola una strana empatia da vecchio amico che si vede di tanto in tanto, quello con cui si va volentieri a farsi pizza e gelato. Non è uno sciupafemmine né seduce a prima vista le elettrici (come facevano Berlusconi ai bei tempi o “Giuseppi” Conte della prima tornata), ma rappresenta il buon apprezzabile fidanzato per la figlia ancora nubile (come si usava dalle nostre parti fino a molti anni fa).

In poche parole sa come conquistare la fiducia di chi lo sta ad ascoltare, e in politica, se ne tenga conto, questo è essenziale. Sorride, senza mai infiammarsi, con i “colleghi” giornalisti e stringe mille mani di pensionati che odiano la Fornero: un mix di populismo intelligente con la consapevolezza che un voto in più conta moltissimo, in questo momento. Insomma cerca di farsi piacere con il personaggio che più gli si addice, quello del compagnone, che – se si escludono le insopportabili e inaccettabili litanie sugli sbarchi e i migranti – punta, però, a giocarsi un ruolo da leader.

Certo, non basta qualche centinaio di simpatizzanti un po’ dovunque, in Calabria, per elettrizzare la campagna elettorale, ma qualcosa si deve pur fare. E a Reggio Salvini deve ancora farsi perdonare lo scivolone delle amministrative di due anni fa, quando. impose, contro ogni logica e lasciando inascoltati gli allarmi che arrivavano dalla coalizione di destra, il suo uomo “vincente”, Nino Minicuci. Persona per bene, ma lontano anni luce dai problemi di Reggio e dei reggini. La sua scelta ha fatto vincere le elezioni a Falcomatà il quale a mani basse ha fatto prevalere la logica del “meno peggio”: «se non votate me, avrete il colonizzatore Salvini».

La lezione, a quanto pare, Salvini l’ha imparata e, questa volta, sta ad ascoltare il territorio e quanto gli suggerisce la base di riferimento. Colpire al cuore, sui sentimenti di rivalsa e di riscatto, facendo dimenticare gli insulti antimeridionalisti e le vaccate leghiste dei vari Bossi e Borghezio di turno. Si cambia motivo e ogni pretesto è buono per togliere voti non tanto all’avversario (la sinistra riesce a farsi male da sola, anche alle nostre latitudini) quanto agli “alleati”. Difatti, la scommessa elettorale calabrese si gioca sì, tutta nel centrodestra, ma guarda ai numeri. Chi dei tre alleati sarà il primo partito?

A occhio, visto il passato, la base forzista rimane un caposaldo che non dovrebbe deludere l’ex cavaliere e i suoi uomini in Calabria, quindi la sfida vera e propria è tra Salvini e Meloni. Quest’ultima non ha una base consolidata in Calabria perché le manca una rappresentatività di risorse umane che non si possono inventare dalla sera alla mattina. A nostro avviso, ha sbagliato la “sorella” Giorgia a spingere per la fine anticipata della  legislatura: con sei mesi aggiuntivi di campagna mediatica avrebbe potuto raccogliere consensi maggiori. Ma non è detto che, alla fine, tra transfughi e nuovi ideologizzati della fiamma (guai a toccare le tradizioni…) non possa capovolgere i pronostici che la danno seconda nella nostra regione.

E Salvini, proprio per questo, sta percorrendo in lungo e in largo le strade calabresi per distribuire sorrisi e raccogliere simpatie. Ed è difficile non riconoscergli questa carica umana che vuole esorcizzare le diffidenze del passato e conquistare nuovi consensi. Parla di famiglie, imprese, bollette: argomenti di stretta attualità che solo uno sciocco non metterebbe al centro della propria proposta politica, con impegni e promesse che se da un lato sarà difficile mantenere fino in fondo (il modello cui s’ispira Salvini per il taglio delle bollette è Macron), dall’altro dovranno pur trovare una soluzione per evitare il default del Paese.

Ma non di sole bollette soffrono i meridionali (in questo caso il divario con il Nord è inesistente), ma patiscono l’assenza di infrastrutture, di strade, ferrovie e, naturalmente, del disagio dell’attraversamento dello Stretto. Gioca facile Salvini (ma a ben vedere) invocando la necessità del Ponte per eliminare l’inquinamento dei traghetti nello Stretto e la strozzatura di due ore che impediscono di arrivare subito in Sicilia o dalla Sicilia: «Faremo risparmiare due ore di tempo a cittadini e imprenditori. Non collegheremmo solo la Sicilia alla Calabria, collegheremo l’Italia all’Europa.

C’è un progetto per una campata –se adesso stiamo altri dieci anni a parlare delle campate nel 2050 stiamo ancora a fare ipotesi –: ci sono gli ordini degli ingegneri, ci sono i politecnici, ci sono i comitati interministeriali che hanno dato l’ok a quel progetto. E con l’Europa che una volta tanto ci copre più della metà dei costi, dire di no al Ponte è una follia. Significa essere ignoranti, sennò si va in canoa: ditelo all’imprenditore calabrese e siciliano che trasporta merci in canoa perdendo due ore di tempo ogni volta».

Bello sentire dire questa cose. Bella questa promessa che puzza di campagna elettorale (sono 50 anni che a ogni appuntamento alle urne, il Ponte ritrova vigore e suscita nuovi impegni). Berlusconi, furbone, prima di tutti gli altri ha rispolverato la realtà di un progetto approvato sotto il suo governo, e gli altri della coalizione adesso ci mettono del proprio per giocare anche quest’altra carta acchiappaconsensi. Questa volta, però, comunque vadano le cose il 25 settembre, e qualunque sia il governo che reggerà l’Italia, il Ponte non può ritornare nuovamente una delle tante promesse elettorali da rinviare a miglior data.

C’è in ballo la centralità del Mediterraneo, con lo sviluppo obbligato per il Paese (sottolineiamo per il Paese, non solo per la Calabria) di Gioia Tauro e dei suoi 650 ettari di retroporto inutilizzati. C’è il corridoio Helsinki-La Valletta che va completato e c’è l’Alta velocità per Calabria e Sicilia che – senza il Ponte – non avrebbe senso.

E allora sarà il caso di dare un po’ di credito a tutti coloro che tireranno in ballo l’urgenza e l’improcrastinabilità del Ponte, in queste settimane che si separano dall’appuntamento elettorale del 25 settembre, ma bisognerà poi vigilare sulla promessa (da qualunque parte sia arrivata). Il Ponte serve al Paese, non unisce solo due sponde, racchiude un’idea di sviluppo che il Mezzogiorno si è stancato di sentirlo solo annunciare. Le chiacchiere stanno a zero, il progetto è eseguibile, si possono risparmiare i 50 milioni di nuovi inutili studi voluti dal ministro Giovannini (soldi buttati nelle acque dello Stretto…) e si potrebbe mettere subito mano alla costruzione di un sogno che il mondo – credeteci – ci invidierà. (s)