SCUOLE DISEGUALI, CALABRIA PRIMEGGIA
CON DIFFICOLTÀ NEI PERCORSI EDUCATIVI

di ANTONIETTA MARIA STRATI – In Calabria solo un bambino su quattro della scuola primaria ha accesso al tempo pieno, mentre solo il 20,8% degli alunni della primaria e secondaria di primo grado fruisce di una mensa e solo il 25,9% delle scuole ha una palestra, la percentuale più bassa in Italia. È il quadro sconcertante emerso dal Rapporto “Scuole Diseguali. Gli interventi del Pnrr su mese, tempo piene e palestre” di Save the Children, realizzato in occasione della ripresa dell’anno scolastico.

In Calabria, infatti, il tasso di dispersione scolastico è sopra la media nazionale: è dell’11,8% rispetto al 10,5%. Un dato che dimostra, ancora una volta, il divario e le diseguaglianze nell’offerta dei servizi educativi, che compromettono i percorsi di crescita di bambini, bambine e adolescenti, soprattutto nelle regioni del Sud e delle Isole, dove si continuano a registrare, nonostante i miglioramenti, livelli di dispersione scolastica tra i più alti in Europa.

«La scuola rappresenta uno spazio essenziale in cui dare a bambini, bambine e adolescenti uguali opportunità di crescita, contrastando la povertà educativa che oggi rappresenta più che mai un’emergenza», ha sottolineato Giorgia D’Errico, direttrice Affari Pubblici e Relazioni Istituzionali di Save the Children Italia.

«Eppure esistono ancora profondi divari territoriali nell’accesso ai servizi e alle infrastrutture educative – ha concluso – che gli investimenti e gli interventi del Pnrr fino ad ora attivati non sono riusciti a colmare totalmente. Ed è per questo che stiamo attivamente collaborando con la Regione Calabria per la definizione di un quadro organico di azioni volte alla prevenzione e al contrasto della povertà educativa, nell’augurio che questo diventi un pilastro fondamentale della programmazione e degli investimenti regionale».

La Regione, infatti, dispone di quasi 57,5 milioni di euro del Pnrr per 136 interventi interventi per mense, tempo pieno e palestre – di cui 89 per la costruzione, ristrutturazione o riqualificazione di spazi mensa e 47 per il potenziamento delle strutture sportive – per un valore complessivo di circa 57,5 milioni di euro. La provincia che ha avviato il maggior numero di interventi è di gran lunga Cosenza, con 51 progetti del valore di quasi 20,8 milioni di euro. Seguono Crotone (28 interventi per quasi 13,2 milioni) e Reggio Calabria, con 24 progetti per un valore di 8,4 milioni. Catanzaro ha ricevuto 11,4 milioni per 19 progetti, mentre Vibo Valentia attiva 14 progetti con 3,59 milioni di euro. Crotone e Vibo Valentia sono le province che hanno attivato il maggior numero di interventi per le mense rispetto al numero di studenti (rispettivamente 11 e 8,6 interventi ogni 10mila studenti), mentre Crotone e Cosenza quelle che registrano il maggior numero di interventi per il potenziamento delle infrastrutture sportive rispetto al numero di scuole (rispettivamente 7,8 e 5,1 interventi ogni 100 scuole).

Ma, nonostante questa importante somma, dal rapporto è emerso che anche tra le stesse province più svantaggiate – perfino nella stessa Regione – la distribuzione degli interventi per l’accesso al servizio mensa è disomogenea. Ad esempio, la provincia di Reggio Calabria, che ha il numero minore di studenti che accedono alla mensa nella Regione (soltanto l’11,9%) ha ricevuto 5,27 milioni per 16 progetti, ovvero 4,2 ogni 10mila studenti, mentre Cosenza, che ha una percentuale più alta (19,4%) ha ricevuto 12,28 milioni per 37 progetti, ovvero 8,2 ogni 10mila studenti. Le province di Catanzaro (29,3%) e Crotone (22,1%) hanno ricevuto finanziamenti simili, poco più di 6,4 milioni, per attivare rispettivamente 13 e 14 progetti, che però significano per Crotone un’attivazione di 11 progetti ogni 10mila studenti, la metà (5,5) per Catanzaro. Vibo Valentia (30,9% la percentuale di accesso alla mensa più alta a livello regionale) ha ottenuto il finanziamento più basso, 1,98 milioni con i quali attiva 9 progetti, ovvero 8,6 ogni 10mila studenti.

La mensa scolastica è fondamentale per garantire a studentesse e studenti, soprattutto quelli in condizioni di maggior bisogno, il consumo di almeno un pasto sano ed equilibrato al giorno. È, inoltre, un servizio indispensabile nell’ottica di incentivare l’estensione del tempo pieno e quindi di potenziare l’offerta formativa, con benefici sia per i ragazzi, , sia per le famiglie con effetti positivi in particolare per l’occupazione femminile. Eppure solo due alunni della scuola primaria su cinque beneficiano del tempo pieno – con le percentuali più basse in Molise (9,4%), Sicilia (11,1%) e Puglia (18,4%), le più alte nel Lazio (58,4%), in Toscana (55,5%) e in Lombardia (55,1%) – e solo poco più di un quarto delle scuole (il 28,1% delle classi della primaria e secondaria di I grado) offrono il tempo prolungato.

Anche la possibilità di praticare attività sportiva a scuola in una palestra rappresenta una grande opportunità per la crescita di bambine, bambini e adolescenti. Ma, ad oggi, meno della metà (il 46,4%) delle scuole statali primarie e secondarie (I o II grado) hanno una palestra. La Calabria è la Regione con la percentuale più bassa di scuole con una palestra: solo il 25,9% delle scuole (poco più di una su 4) contro il dato nazionale del 46,4%.

La regione ha ricevuto quasi 25 milioni di euro per 47 progetti di potenziamento delle strutture sportive a scuola. La provincia di Vibo Valentia, che il numero più basso di scuole con palestre nella regione (22,4%) ha attivato 5 progetti con un finanziamento di 1,6 milioni, pari a 3,1 interventi ogni 100 scuole, mentre Cosenza – che ha una percentuale leggermente superiore di scuole dotate di strutture sportive, il 23,4% – attiva ben 14 progetti per un valore di 8,5 milioni, pari a 5,1 interventi ogni 100 scuole. 14 progetti anche per la provincia di Crotone (26,8% di scuole con palestra), per un valore di 6,7 milioni e una densità progettuale di 7,8 interventi ogni 100 scuole. Soltanto 6 i progetti attivati a Catanzaro con 4,9 milioni (1,2 interventi ogni 100 scuole), mentre per Reggio Calabria i progetti attivi sono 8 per un valore di 3,16 milioni (2,2 interventi ogni 100 scuole) e una presenza di strutture sportive attualmente in un terzo degli istituti (33,3%).

In generale – si legge nel rapporto – i 433 interventi sulle strutture sportive scolastiche avviati con il Pnrr – sebbene rappresentino un passo importante per promuovere l’educazione motoria a scuola – sono insufficienti a garantire la copertura di palestre su tutto il territorio nazionale e a ridurre i divari tra le province, soprattutto nei territori dove la scuola spesso rappresenta l’unica opportunità per bambini e adolescenti di praticare attività sportiva. In Italia, un minorenne su tre (31,5%) che proviene da famiglie con scarse o insufficienti risorse economiche non pratica attività sportive e tra gli adolescenti di 15-16 anni il 16,2% rinuncia a fare sport perché troppo costoso.

Ciò che emerge, prendendo in considerazione anche i dati delle altre regioni, è una distribuzione disomogenea degli interventi tra le province più svantaggiate e la necessità di integrare le risorse del Pnrr con altri investimenti per garantire livelli essenziali delle prestazioni per l’accesso alle mense scolastiche, e così al tempo pieno, nelle scuole primarie e secondarie di I grado, nonché la presenza di palestre scolastiche su tutto il territorio nazionale, a partire dalle aree del Paese dove la scuola rappresenta spesso l’unica opportunità per bambini, bambine e adolescenti di praticare attività sportiva.

Con il Pnrr, le regioni del Mezzogiorno hanno avviato 767 progetti interventi del valore di 381 milioni e 932 mila euro, il Centro 213 del valore di 139 milioni e 340 mila euro e il Nord 428 del valore di 345 milioni e 650 mila euro. Con un investimento complessivo di oltre 17 miliardi di euro destinati al Ministero dell’Istruzione e del Merito, il Pnrr rappresenta un’occasione unica per garantire uguali opportunità a tutti i bambini, le bambine e gli adolescenti, soprattutto in territori dove la povertà minorile è più accentuata e le famiglie affrontano maggiori difficoltà economiche.

A partire dalla mensa e dal tempo pieno o prolungato, servizi essenziali di contrasto alla povertà educativa e alla dispersione scolastica: ad oggi, poco più di un bambino su due della scuola statale primaria ha accesso alla mensa (55,2%) e solo il 10,5% nella secondaria di I grado, con profonde differenze territoriali. Se nelle regioni del Centro e del Nord si concentrano le province con oltre il 50% di accesso al servizio da parte degli alunni della scuola primaria e secondaria di I grado– con punte del 70% e oltre a Biella e Monza e della Brianza, fino al 91,3% della Provincia Autonoma di Trento – gran parte delle province del Sud sono sotto la media nazionale (che è del 36,9%, considerando sia scuole primarie che secondarie di I grado).

Per Raffaela Milano, direttrice Ricerca di Save the Children Italia, «il problema che abbiamo davanti come Paese non è solo riuscire a garantire la tabella di marcia della spesa, ma fare in modo che le risorse del Pnrr raggiungano effettivamente i territori dove i bambini e le bambine scontano le maggiori difficoltà nel percorso educativo. Il PNRR rappresenta un’occasione unica per superare le disuguaglianze di offerta educativa tra nord e sud, tra centri urbani e aree interne. Ma dall’analisi della distribuzione delle risorse e degli interventi ad oggi avviati, l’obiettivo di riequilibrio sembra raggiunto solo parzialmente».

«È un campanello di allarme – ha proseguito – che deve spingere a realizzare al più presto un’analisi di impatto sulla povertà educativa di tutti gli investimenti della missione 4 del Pnrr, dedicati all’istruzione, in corso ed in programma. Nei territori più svantaggiati, è necessario integrare le risorse del Pnrr con altri fondi disponibili, per garantire un’offerta di servizi educativi a tutti i minori. Allo stesso tempo, giunti a questa fase del percorso, le istituzioni tutte, per i diversi livelli di responsabilità, devono attrezzarsi per garantire la copertura dei costi di funzionamento dei nuovi servizi in via di attivazione grazie al Pnrr – le mense così come gli asili nido – senza che l’aggravio di spesa corrente vada a ricadere solo sui comuni più virtuosi o sulle famiglie, e senza correre il rischio che i nuovi spazi, una volta pronti, restino chiusi per mancanza di risorse umane ed economiche, come purtroppo già tante volte è accaduto in passato». (ams)

Irto (PD): Il ministro Fitto lascia spesa del Pnrr a un quarto del totale

Il senatore del Pd, Nicola Irto, ha evidenziato come «nonostante abbia portato la spesa del Pnrr soltanto a 51,4 miliardi di euro rispetto agli oltre 194 previsti per l’Italia, il ministro Raffale Fitto sarebbe in partenza per fare il commissario europeo a Bruxelles» e «la spesa in questione è ferma a quasi un quarto del totale, con tutto ciò che ne consegue, soprattutto in territori come la Calabria, fortemente bisognosi delle risorse del Pnrr».

«Ancora, per come lo stesso Piano è stato rimodulato, il 65 per cento degli investimenti dovrà essere finalizzato nei primi otto mesi del 2026, entro cui l’Italia dovrà aver raggiunto il 28 per cento degli obiettivi per incassare il 19 per cento dei fondi». «Davanti a questo quadro impietoso, sorprende – ha sottolineato il senatore del Pd – il silenzio assoluto e assordante della Regione Calabria, che, con l’impiego delle risorse del Pnrr, dovrebbe guadagnare terreno in diversi ambiti fondamentali: dalla sanità all’efficienza energetica, dalla digitalizzazione all’inclusione, dalla mobilità sostenibile al turismo».

«Forse non sarà possibile –  ha concluso Irto – rimediare per tempo agli errori e alle lungaggini del centrodestra nell’attuazione del Pnrr. Temiamo, inoltre, che i ritardi cumulati dal governo colpiscano ancora una volta le regioni meridionali, secondo lo schema, divisivo del Paese, che l’esecutivo Meloni sta applicando con l’autonomia differenziata e con il recente taglio di 750 milioni del Fondo complementare del Pnrr».  (rp)

Irto (PD): Tagliati 750 mln dal fondo complementare del Pnrr

Il senatore del Partito Democratico, Nicola Irto, ha denunciato il taglio di 750 milioni dal Fondo complementare del Pnrr, «destinati, in particolare, all’Alta velocità ferroviaria Salerno-Reggio Calabria, ad ammodernare strade e porti e a potenziare la sanità pubblica».

«L’Esecutivo a trazione leghista conferma – ha spiegato il parlamentare dem – la propria avversione politica nei confronti del Mezzogiorno. Al fine di aumentare la dotazione del credito d’imposta nell’ambito della Zes unica, il governo in carica, nemico giurato della coesione territoriale e dell’equità sociale, ripropone il gioco di prestigio che aveva sperimentato, tra l’altro, per finanziare l’inutile ponte sullo Stretto: non mette un centesimo sulle priorità del Paese ma leva i soldi ai servizi e alle infrastrutture indispensabili del Sud e li indirizza altrove, stavolta condannando la Calabria al peggiore isolamento e colpendone al cuore il Servizio sanitario regionale».

«Il governo non può sottrarre – ha sottolineato Irto – risorse preziose per il futuro dei cittadini».

«Ormai è evidente che, per il proprio tornaconto elettorale – ha proseguito – il centrodestra punta all’impoverimento e allo spopolamento delle regioni del Sud. Si tratta di un disegno politicamente cieco e bieco che, centrato sull’autonomia differenziata, sta già producendo una dilatazione dei divari territoriali. Perciò, la nostra lotta politica prosegue con sempre maggiore unità e determinazione».

«Con il completamento della raccolta delle firme per il referendum contro il regionalismo differenziato, daremo al centrodestra – ha concluso il senatore del Pd – un fortissimo segnale di dissenso. Nel frattempo, con le nostre proposte e con l’ascolto delle comunità locali, continuiamo a costruire l’alternativa di governo, giorno dopo giorno».

L’OPINIONE / Mariaelena Senese: Per colmare divario infrastrutturale occorre un piano di risorse straordinario

di MARIAELENA SENESE – Per colmare il pesante divario infrastrutturale che allontana la Calabria dal resto del Paese occorre un piano di risorse straordinarie. Quelle stanziate sino ad oggi, direttamente dallo Stato e poi messe a disposizione anche dall’Unione Europea attraverso il Pnrr, appaiono insufficienti – nonostante la mole – per ammodernare e rendere efficienti gli assetti viari e ferroviari di questa regione.

Sui fondi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, che spinge forte sul pedale dell’acceleratore rispetto alla Misura 3 rispetto alle altre misure, pesa poi la tagliola del tempo a disposizione per la realizzazione dei progetti. Se, infatti, non si dovesse optare per la richiesta di uno slittamento riteniamo quantomeno difficile, se non impossibile, che i progetti coperti con i fondi del Pnrr possano vedere la luce entro il 2026.

Stiamo parlano di oltre 3 miliardi di euro, quasi il 37% dell’investimento totale previsto dal Pnrr per la Calabria (come si evince dai dati resi pubblici dalla Regione Calabria), che dovrebbero servire per dare corso a venti progetti: 18 per il miglioramento della rete ferroviaria e 2 indirizzati sull’intermodalità e la logistica integrata.

Ma anche questa importante dotazione finanziaria appare poca cosa se paragonata con il costo stimato dall’Anas per il completamento della Strada statale 106 che si attesta sopra i 13 miliardi di euro, quasi quanto si stima possa servire per la realizzazione del Ponte sullo Stretto.
Davanti a questa enorme mole di denaro che ancora oggi, nonostante diversi anni di commissariamento, non è bastata a cambiare il volto della Strada statale 106, i tempi ristretti per la messa a terra dei finanziamenti del Pnrr e la loro sbilanciata programmazione, che si dimentica di sostenere economicamente e finanziariamente la cura del settore sanitario, ci fanno intravvedere un futuro cupo per un regione che non riesce a fermare la grave emorragia di giovani che la sta interessando da diverso tempo e, ancora, non è in grado di dare concretezza a politiche infrastrutturali e di sviluppo capaci di segnare una svolta decisiva rispetto al percorso di decrescita in cui è impelagata.

Cosa dire, poi, della tratta ferrata che da anni attende l’elettrificazione del tratto jonico e, da qualche tempo, aspetta che l’Alta velocità possa arrivare sino a Reggio Calabria. Se, infatti, Rete ferroviaria italiana prevede di investire in interventi ferroviari sul territorio della Calabria oltre 36 miliardi di euro, di cui oltre 16 miliardi già finanziati, la messa a terra di questa ingente mole di finanziamenti rimane sulla carta di certo per l’anno corrente ma solo per quanto riguarda i primi interventi per la realizzazione dell’Alta velocità ferroviaria.
Per il momento l’intervento che pare poter avere una accelerazione in vista di una sua definizione, ma comunque con una previsione al 2030 per la sua cantierizzazione, è quello relativo al raddoppio della galleria Santomarco. Per il resto, invece, il prolungamento dell’Alta velocità fino alla città dei Bronzi rimane assai aleatorio.

Davanti a questo stato di cose, quindi, rimarchiamo la necessità di un cambio di passo nelle politiche del Governo rispetto a una terra che non solo non riesce a colmare il suo atavico divario con il resto del Paese ma che, purtroppo, sta perdendo anche contatto rispetto alle altre regioni del Mezzogiorno. (ms)

[Maria Elena Senese è segretaria generale Uil Calabria]

PER LE INFRASTRUTTURE MANCANO AZIONI
PER PROGETTI DI MEDIO E LUNGO PERIODO

Infrastrutturedi ERCOLE INCALZA – Fra due anni ci sarà la scadenza delle scelte inserite nel Pnrr e, ormai, almeno per il comparto infrastrutture, in questa fase si sta solo cercando di dare concreta attuazione a programmi ed azioni già contemplate. Lo stato di avanzamento, come annunciato formalmente appena una settimana fa, è pari al 28%. Quindi è inutile continuare ad inseguire un possibile completamento dell’intero Piano e invece penso sia arrivato il momento per dare vita ad una nuova impostazione programmatica. Una impostazione che però tenga conto di una serie di elementi nuovi che ci impongono una attenta impostazione metodologica. Infatti non possiamo sottovalutare i seguenti nuovi atti:

La Ragioneria Generale dello Stato ha diramato una circolare alle Amministrazioni centrali dello Stato (tra cui Ferrovie dello Stato, Anas, ecc.) e agli Uffici centrali del bilancio di tutti i Ministeri in cui si precisa: «È necessario un approccio improntato alla sostenibilità economica in un’ottica di medio – lungo periodo, prestando attenzione anche agli anni successivi al triennio di previsione».

Il rispetto dei parametri comunitari alla luce sia del nuovo Piano di Stabilità che della esigenza di riportare il rapporto tra debito e Pil verso un sostanziale ridimensionamento; in tal modo si riportano in ambito fisiologico i margini per l’extradeficit e ciò impone un controllo più capillare e sistematico della spesa sul medio e lungo termine.

La richiesta formale del Ministero dell’Economia e delle Finanze a tutte le Amministrazioni centrali di «determinare gli stanziamenti da inscrivere in bilancio sia in termini di competenza che di cassa tenendo conto in maniera puntuale dell’esercizio finanziario in cui la obbligazione verrà a scadenza sulla base della pianificazione della spesa».

Entro il corrente anno disporremo di una riforma del Parlamento europeo, una riforma già definita e che sarà varata solo a valle dell’insediamento dei nuovi parlamentari. Una riforma che dà un ruolo determinante al Parlamento e ne consente anche la produzione di nuove norme e di nuove direttive.

I primi tre punti sono, a mio avviso carichi davvero di un forte spirito riformista, da parecchio tempo, insieme al professor Paolo Costa, attraverso anche un’apposita ricerca effettuata dal Centro di ricerca Astrid diretto da Franco Bassanini, abbiamo denunciato l’assenza di azioni programmatiche di medio e lungo periodo. In fondo lo stesso Pnrr si caratterizzava come un atto programmatico di breve periodo e per le proposte infrastrutturali contenute al suo interno non poteva assolutamente considerarsi uno strumento di ampio respiro. Quindi non possiamo assolutamente sottovalutare un vero cambiamento che riusciamo a leggere dopo dieci anni di stasi programmatica. Nella circolare del Ministerio dell’Economia e delle Finanze penso che il passaggio più significativo sia proprio il richiamo a «tenere conto in maniera puntuale dell’esercizio finanziario in cui la obbligazione verrà a scadenza sulla base della pianificazione della spesa».

Sembra strano ma questa circolare reinventa integralmente l’impianto della stessa Legge di Stabilità e questo cambiamento lo leggeremo sicuramente, in modo più articolato e motivato, nella prossima Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (Nadef).

Ed allora di fronte a questo cambiamento più volte invocato e motivato soprattutto negli ultimi mesi come detto prima, ritengo utile cominciare ad elencare le aree programmatiche che, proprio nel rispetto della circolare del Ministero, dovranno essere adeguatamente caratterizzate da una identificazione finanziaria non generica ma insilata nelle possibili annualità entro cui effettuare, davvero, la spesa. In fondo la stessa Ragioneria Generale dello Stato non chiede, a mio avviso, Piani e Programmi generici ed estranei da un riferimento misurabile di reale accesso alle risorse.

Per ora indico delle aree che, in modo trasversale, dovranno poi trovare concreta attuazione in specifici filoni strategici; in particolare ritengo prioritarie le seguenti aree: La rilettura integrale della offerta logistica, in particolare di tutti gli Hub (porti, interporti, aeroporti e aree del mercato). Allo stato il Paese vive di una articolazione di tali Hubcompletamente sbilanciata: il Mezzogiorno ed in parte anche il Centro del Paese sono privi di adeguati impianti. Inoltre la digitalizzazione dei singoli HUB e la interazione degli stessi con i vari operatori logistici sta diventando concreta solo in questi ultimi mesi dopo praticamente quasi quattro anni di stasi, ricordo in proposito che il Regolamento Ue 2020/1056 sulle informazioni elettroniche sul traporto merci (electronic Freight Transport Information– eFTI) è disponibile da 4 (quattro) anni e che la direttiva Nis2 (Network and Information Security) impone l’implementazione di controlli di sicurezza olistici e rigorosi per ridurre i rischi e prevenire danni di cybersicurezza a sistema e dati, entro la fine del 2024.

Quindi dopo praticamente quattro anni di approfondita meditazione oggi non abbiamo più alibi per partire e offrire un impianto gestionale di medio e lungo periodo, ripeto di medio e lungo periodo, che consentirà, grazie anche alla Ram – Logistica Infrastrutture e Trasporti S.p.A., alla domanda di trasporto, alla miriade di piccole e medie imprese, di trovare una rete di informazioni ed una assistenza capillare. Sembra strano ma questo intervento sicuramente ridimensionerà quel danno che nel 2022 ha subito il mondo della produzione del nostro Paese, un danno superiore a93 miliardi di euro (dati Istituto di Ricerca Divulga della Coldiretti)

Riforma della offerta portuale ed interportuale; da tempo segnalo l’urgenza di una riforma organica dell’intero comparto, cioè sia della portualità che della interportualità e della interazione funzionale tra le due tipologie. In realtà occorre intanto definire cosa siano davvero gli assetti interportuali, il riferimento normativo è nella Legge 240 del 1990, cioè trattasi di un provvedimento di 34 anni fa che non poteva tener conto di tutto quello che, in tutti questi anni è successo in un mondo in cui la digitalizzazione è diventata la base vitale. Analogo discorso va fatto per la portualità in cui la riforma di base è nella Legge 84 del 1994 (cioè un provvedimento di trenta anni fa). Ho più volte lamentato, dopo venti mesi di vita dell’attuale Governo, l’assenza di proposte di riforme e, addirittura, ho anche ribadito che se non si è ancora pronti a produrre una riforma organica delle due realtà logistiche (porti ed interporti) si produca quanto meno una norma singola da inserire in qualche provvedimento già in corso di esame del Parlamento in cui si definisca e si autorizzi la “autonomia finanziaria” dei soggetti preposti nella gestione di tali Hub.

Mi fermo qui e nelle mie prossime note elencherò quali debbano essere gli oggetti, le caratteristiche e le possibili procedure attuative delle altre aree portanti di un nuovo quadro strategico di medio e lungo periodo. (ei)

L’INGIUSTIFICATA NECESSITÀ DEL MINISTRO
FITTO DI RIESAMINARE IL PNRR PER IL SUD

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – «La Commissione Europea ha versato all’Italia la quinta rata del Pnrr, pari a 11 miliardi di euro. Il pagamento segue la valutazione positiva, adottata formalmente lo scorso 2 luglio, connessa al conseguimento di 53 traguardi e obiettivi della quinta rata del Pnrr italiano».

Questa la notizia delle Agenzie che riguarda un fatto estremamente importante, che viene confermato da numeri inoppugnabili: vi è un versamento nelle Casse dello Stato italiano di una cifra considerevole. Parliamo di 11 miliardi che certamente aiutano il bilancio. 

Giancarlo Giorgetti sarà molto soddisfatto e grato nei confronti di Raffaele Fitto, che porta a casa già oltre 100 miliardi. Con l’incasso della quinta rata, infatti l’Italia ha ricevuto ad oggi il 58,4% delle risorse complessive del Pnrr, pari a 113,5 miliardi di euro su un totale di 194,4 miliardi. 

Già il 2 luglio Bruxelles aveva approvato una valutazione preliminare positiva delle 53 tappe e obiettivi richiesti, per sbloccare la rata da 11 miliardi, tra cui l’attuazione di 14 riforme e 22 investimenti, in settori quali il diritto della concorrenza, gli appalti pubblici, la gestione dei rifiuti e dell’acqua, la giustizia, il quadro di revisione della spesa e l’istruzione.

L’Italia ha già richiesto a Bruxelles il pagamento della sesta rata da 8,5 miliardi di euro, ed è al lavoro per la verifica e rendicontazione dei 69 traguardi e obiettivi previsti per la settima rata del Pnrr, equivalenti a 18,2 miliardi di euro.  

I rumors della minoranza che parlano di gioco delle tre carte perché il Pnrr sarebbe solo al «37% del totale del cronoprogramma» non fanno breccia. Né può essere preso sul serio un Angelo Bonelli, leader di Europa Verde, che pensa che il Governo non sia impegnato «a risolvere i problemi reali del Paese». 

Troppa generica l’accusa e l’attivismo della Premier va proprio nel senso opposto, qualcuno addirittura chiederebbe che avesse meno iniziative. E allora tutto bene? Intanto non vi è dubbio che è meglio incassare le risorse che sono state destinate all’Italia provenienti dal debito comune che invece non essere in condizione di esigerle. 

Ma qualche considerazione più ampia deve essere fatta. Le notizie circa il fatto che a livello territoriale le risorse non stanno arrivando nel Mezzogiorno, nella quantità destinatagli dal Paese, che è inferiore a quella che sarebbe toccata se l’algoritmo europeo fosse stato applicato senza alcuna correzione, sono molto frequenti e da fonti diverse. 

 Lo stesso Raffaele Fitto ha parlato della necessità di rivedere il piano per quanto attiene il Sud, con una rimodulazione che rivela alcune difficoltà, peraltro attese, considerato lo stato degli uffici tecnici delle istituzioni locali dopo anni di “dimagrimento”.  

«Dovremo garantire che il 40% delle risorse del Pnrr vengano spese al Sud e su questo bisognerà interrogarsi. Ci sarà l’esigenza di valutare qualche altra ulteriore revisione? Forse sì». Cosi il Ministro,  in una recente audizione presso le Commissioni Riunite Bilancio e Affari Europei di Camera e Senato, nella quale non ha escluso un’ulteriore modifica al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. 

Forse siamo andati nel senso delle proposte indecenti di Giuseppe Sala e Luca Zaia, che si offrivano di spendere loro le risorse, visto che avevano progetti esecutivi e capacità di spesa? 

E che dimenticavano entrambi che il primo obiettivo del Pnrr era di diminuire i divari non di aumentarli, e che solo perché esiste il Sud sono arrivate risorse consistenti, senza dimenticare che in parte sono a debito e quindi dovranno essere restituiti da tutti gli italiani, ovviamente in modo progressivo rispetto al reddito prodotto, concetto che alcuni “nordici” non riescono ad accettare e forse capire. E che prevede che a parità di reddito si paghi lo stesso importo di tasse e che, indipendentemente da ciò che si versa, si abbia diritto agli stessi servizi essenziali, quelli che sono stati definiti come Lep (Livelli Essenziali di Prestazioni) e che invece dovrebbero essere Lup (Livelli Uniformi di Prestazioni ). 

Ma se “bisognerà” interrogarsi sulla garanzia che il 40% delle risorse del Pnrr vengano spese al Sud allora vuol dire che nel raggiungimento degli obiettivi non è prevista alcuna clausola territoriale.  Se così fosse l’Unione confermerebbe una disattenzione alla quale ormai siamo abituati, e confermerebbe un assenza di governance sull’utilizzo corretto dei fondi strutturali provenienti dall’Europa. 

È accaduto che per anni i fondi strutturali siano stati sostitutivi dei fondi ordinari, che dovevano arrivare nel Mezzogiorno, tanto che il pro-capite che avrebbe dovuto essere superiore nel Sud, per l’utilizzo dei fondi aggiuntivi dell’Europa, sia risultato poi invece, malgrado questi, inferiore, senza che ciò fosse in qualche modo rilevato e sanzionato da parte della Commissione, sempre molto attenta invece  a controllare l’andamento di altri indicatori. 

E non per per una piccola cifra ma per oltre 60 miliardi annui, come è stato ampiamente documentato dal Il Quotidiano del Sud, sulla base dei dati del Dipartimento per le Politiche di Coesione voluto da Carlo Azeglio Ciampi

Bene se il raggiungimento degli obiettivi, che hanno fatto pagare la quinta rata, seguisse la stessa logica, sottovalutando il tema della territorialità, motivo per cui i vari Sala e Zaia non si lamentano più, sarebbe molto grave. 

Perché come al solito avremmo eluso il vero obiettivo che l’Unione si era data, quando per stabilire gli importi da destinare a ciascuno aveva utilizzato tre parametri: il tasso di disoccupazione, il reddito pro capite e la popolazione. 

È chiaro che la Commissione può essere disattenta rispetto ai divari territoriali, considerato che il solo vero Paese duale in Europa,  nel quale coesistono due realtà opposte,  é l’Italia, e che gli altri, che hanno problemi simili, hanno avuto sempre una considerazione estrema, come la Spagna e la Germania, delle loro realtà periferiche. 

Ciò non toglie però che l’Unione pagando le varie rate senza controllare la destinazione territoriale, come sembrerebbe stia facendo,  in realtà diventerebbe  complice del possibile fallimento  dello strumento, che invece di diminuire i divari li aumenterebbe. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud  – L’Altravoce dell’Italia]

L’OPINIONE / Mariaelena Senese: Garantire impegno effettivo a usare fondi del Pnrr per il bene del Sud

di MARIAELENA SENESE – La Uil Calabria desidera esprimere la propria profonda preoccupazione e delusione in merito alle recenti dichiarazioni del Ministro per gli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto, che ha ammesso i significativi ritardi nella spesa dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza destinati al Mezzogiorno.

Purtroppo, siamo stati facili profeti in questa materia. Non possiamo non sottolineare, infatti, che la Uil Calabria, insieme alla Uil Fpl Calabria, aveva già lanciato un allarme su questa problematica cruciale attraverso la presentazione di un report dettagliato sulla spesa del Pnrr in Calabria. Tale documento evidenziava, con dati concreti e analisi approfondite, le preoccupanti inefficienze e i ritardi nell’implementazione dei progetti finanziati dal Pnrr nella nostra regione.

È inaccettabile che, nonostante le numerose segnalazioni e l’urgente bisogno di interventi strutturali per rilanciare l’economia e migliorare le condizioni sociali del Mezzogiorno, il governo si trovi ancora ad affrontare tali ritardi. Questo rappresenta non solo un grave danno per la Calabria e per tutto il Sud Italia, ma anche un’occasione persa per sfruttare al meglio le risorse messe a disposizione dall’Unione Europea per superare le conseguenze economiche e sociali della pandemia.

La Uil Calabria ribadisce la necessità di una gestione più efficiente e trasparente dei fondi del Pnrr, che devono essere utilizzati in modo tempestivo e mirato per realizzare interventi infrastrutturali, potenziare i servizi pubblici e promuovere lo sviluppo economico e occupazionale del nostro territorio.

Chiediamo al Ministro Fitto e all’intero governo, e lo stesso facciamo nei confronti della giunta regionale della Calabria per quanto di sua competenza, un impegno concreto e immediato per recuperare il tempo perso e garantire che i fondi del Pnrr siano effettivamente utilizzati per il bene del Mezzogiorno. La Calabria non può più aspettare: è ora che le promesse si traducano in azioni concrete e tangibili.

[Mariaelena Senese è segretaria generale Uil Calabria]

LA CALABRIA È IN RITARDO CON IL PNRR
DEI 10.919 PROGETTI, VALIDATI SOLO 4.454

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Quella del Pnrr è una sfida che la Calabria non può perdere. Ma come può farlo, se ci sono 10.919 progetti e, di questi, solo 4.454 risultano validati? Per la nostra regione, infatti, sono disponibili 9 miliardi e 900 milioni, distribuiti in questo modo: 1,8 mld per la Provincia di Cosenza, 701,2 mln nella Provincia di Crotone, 1,6 mld nella Provincia di Catanzaro, 823,7 milioni nella Provincia di Vibo e 1,7 mld per la Provincia di Reggio Calabria. Da sottolineare che, di questi 9 miliardi, 7 mld e 500 mln sono risorse del Pnrr, mentre 2 mld e 400 mln sono collocabili nella voce “altre risorse”.

Scendendo nel particolare dei progetti, quello che emerge è l’eccessiva parcellizzazione delle risorse indirizzate alla Calabria se confrontate con le altre regioni italiane, rispetto alle quali risulta di molto superiore. Sono, infatti, 10.175 i progetti che prevedono un importo uguale o inferiore a 1 milione di euro; 3300 quelli con importo uguale o inferiore a 20 mila euro; 4050 quelli che prevedono un importo uguale o inferiore a 30 mila euro (considerati anche quelli con importo riferito ai 20 mila euro); 5700 con importo uguale o inferiore a 50 mila euro (considerati anche quelli con importo riferito ai 30 mila euro) e 2050 quelli con importo uguale o inferiore a 10 mila euro. Controllando la piattaforma OpenPnrr, si evince che sono 4.454 i progetti non validati. Scendendo al dato provinciale possiamo evidenziare questi dati: Cosenza: 3977 progetti; Crotone: 950; progetti Catanzaro: 2054 progetti; Vibo Valentia: 1205 progetti e Reggio Calabria: 2729 progetti.

Sono questi i dati preoccupanti emersi nel report sullo Stato di attuazione del Pnrr in Calabria curato dalla Uil Calabria dalla Uil Fpl Calabria «che attesta – ha spiegato la segretaria generale della Uil Calabria, Mariaelena Senese – i notevoli ritardi nell’attuazione del Pnrr, delle incertezze nella pianificazione e mettiamo insieme appunto, questo binomio, quindi i ritardi che registriamo, che continuiamo a registrare, perché oggi siamo al 40,85 nell’attuazione del Pnrr rispetto ad un preventivo pari al 64%, è una Calabria che continua ad arretrare, dove la povertà continua a farla da padrone proprio in virtù dello spopolamento, di un’emigrazione continua e che non è più un’emigrazione solo di quantità, ma un’emigrazione di qualità».

«Mazzini diceva che l’Italia sarà quel che sarà il Mezzogiorno – ha aggiunto – noi diciamo che all’interno del Mezzogiorno esiste un Mezzogiorno qual è la Calabria, che è un mondo estremo dove si continua ad arrancare dove i diritti che dovrebbero essere costituzionalmente garantiti ai cittadini calabresi ma non lo sono».

Serve, dunque, verificare lo stato di attuazione del Pnrr in Calabria, cercando di mettere a fuoco tappe, strategie, messa a terra delle risorse finanziarie autorizzate. Quello che emerge è un quadro preoccupante per certi versi, che evidenzia criticità in termini di risposta da parte dei soggetti attuatori – non solo dell’amministrazione pubblica calabrese, con autorizzazioni lente e pagamenti in ritardo».

«La Calabria – dice il sindacato – ha spostato molti obiettivi nei prossimi anni: il rischio è che, dovendo realizzare troppi interventi entro il 2026, le attività si ingolfino e non riesca più a rispettare le scadenze stabilite da Bruxelles».

Il Pnrr, infatti, «rappresenta un’opportunità storica per la Calabria e per tutto il Mezzogiorno – si legge – finalizzata a superare le annose criticità strutturali e a promuovere uno sviluppo sostenibile e inclusivo. Il Pnrr, con un investimento complessivo di 221,1 miliardi di euro a livello nazionale, è stato elaborato in risposta alla crisi generata dalla pandemia di Covid-19, con l’obiettivo di rilanciare l’economia italiana e promuovere una trasformazione verde e digitale del Paese».

Infatti, se «passiamo a fare un controllo del dato generale sul sito della Regione Calabria – si legge – che si basa come fonte sul Regis e risulta aggiornato a febbraio del 2024, quello che balza subito agli occhi è la differenza dei numeri sugli investimenti e dei progetti. Per il sito della Regione Calabria, infatti, sarebbero stati previsti investimenti per 11 miliardi e 309 milioni di euro e 12.142 progetti, di cui 777 risulterebbero chiusi».

Nello specifico, per la digitalizzazione sono stati stanziati 1 mld e 100 milioni di euro, per la scuola circa 954 milioni, imprese e lavoro circa 295 mln, cultura e turismo circa 117 milioni, per l’inclusione sociale circa 482 mln, per le infrastrutture 5 mld e 200 milioni, per la transizione ecologica 1 mld e 100 milioni, per la salute circa 598 mln. Per quest’ultima, in particolare, la Uil ha lanciato una provocazione: «se solo si pensasse di destinare una parte dei fondi indirizzati a Rfi e Tim, che ricevono altri fondi dall’Fsc e, quindi, evidenziano una sorta di ipercapitalizzazione, all’interno del Pnrr alla sanità si potrebbero risolvere diversi dei problemi presenti nel settore».

Il finanziamento in infrastrutture (53% circa del totale) è indirizzato a grandi player del settore delle costruzioni e si riferisce, quasi interamente, ai lavori di potenziamento e realizzazione dell’Alta velocità nel tratto campano-calabrese. Un terzo dei finanziamenti complessivi del Pnrr è destinato alla copertura di circa 10 progetti nel settore infrastrutturale che vengono destinati in gestione a holding internazionali. Questi finanziamenti servono a colmare il divario infrastrutturale (reti materiali ed immateriali) che segna il futuro della Calabria ma, per noi, rappresentano l’ennesima sconfitta di uno Stato che, in questi anni, non è riuscito a colmare le distanze che allontanano, sempre di più, il Sud dal resto del Paese che queste infrastrutture (viarie, ferroviarie e tecnologiche) le possiede già. Desolante il fatto che, proprio sulla missione 3, che riguarda le infrastrutture, si 14 progetti, nessuno è stato concluso. Stesso discorso per istruzione e ricerca: su 2.687 finanziati, nessuno di questi è stato chiuso.

Per quanto la digitalizzazione, ai dati di febbraio 2024, attualmente sono 3 i progetti chiusi su 3.114; per la transizione ecologica su 4934 progetti finanziati solo 756 vengono segnalati come chiusi; per la salute, su 498 progetti solo 14 sono stati chiusi.

I fondi Pnrr per la Calabria comprendono, anche, interventi mirati all’efficienza delle reti idriche di distribuzione per 21 comuni, con una popolazione complessiva di circa 164.000 abitanti. Questi interventi sono cruciali per migliorare la gestione delle risorse idriche in un territorio caratterizzato da frequenti criticità nel settore. Inoltre, il Pnrr prevede finanziamenti per la sanità calabrese, volti a modernizzare le strutture ospedaliere e a potenziare le strutture di prossimità, con l’obiettivo di garantire una migliore qualità dei servizi sanitari. La rigenerazione urbana è un altro ambito di intervento rilevante, con progetti che puntano a rivitalizzare i piccoli borghi storici e a promuovere iniziative culturali e sociali. Tuttavia, la Calabria deve affrontare sfide significative nell’implementazione dei progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

La Corte dei Conti ha segnalato lentezze nella spesa pubblica e difficoltà nel rispettare i tempi previsti per l’attuazione delle misure. La recente rimodulazione delle risorse ha comportato uno spostamento di fondi da progetti infrastrutturali verso sussidi alle imprese, evidenziando la necessità di un rafforzamento delle capacità amministrative a livello locale.

Una lentezza dovuta anche alla carenza di personale specializzato presente negli enti locali per seguire l’iter progettuale, di realizzazione delle opere e di rendicontazione degli investimenti finisce per rallentare ancora di più questo processo.

«Il rischio concreto è quello di dover restituire il prestito all’Europa, indebitando la regione per diversi anni, senza riuscire a realizzare i progetti previsti e, quindi, trasformare la Calabria», ha denunciato la Uil, ribadendo la necessità di provvedimenti concreti per accelerare la messa a terra dei progetti, attraverso un piano di efficientamento della Pubblica Amministrazione, con assunzioni di qualità e piani di riqualificazione per il personale già in servizio. servono assunzioni a tempo indeterminato nella Pubblica Amministrazione centrale e locale; occorre rivedere le deroghe sulle assunzioni.

«Vi è la necessità – continua il sindacato – di un cambio di paradigma per il coinvolgimento delle parti sociali solco del dialogo sociale rafforzato per l’attuazione, monitoraggio e valutazione del Pnrr; investire circa il 3% delle risorse previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza riferito alla Calabria. Stiamo parlando di 300 milioni circa e di 30 milioni su base annua, per dare corso ad un nuovo piano occupazionale potrebbe, in parte, attenuare questi ritardi».

«Si tratterebbe – si legge – di coprire, per 10 anni, il costo di circa 850/900 impiegati fra istruttori (geometri e ragionieri) e funzionari di elevata qualificazione (ingegneri, architetti, avvocati, economisti). Naturalmente questo prevede, a monte, la previsione di una norma legislativa di carattere nazionale che consenta la deroga al tetto di spesa per le assunzioni».

Lo stato di avanzamento dei singoli interventi del Pnrr e la spesa effettivamente sostenuta per migliaia di progetti approvati è ancora scarsamente accessibile – ha denunciato il sindacato –. Nonostante le rassicurazioni pubblicate dal governo ad oggi queste informazioni non sono ancora pubbliche e accessibili a tutti. I dati del Pnrr restano carenti se non del tutto assenti. È necessario da parte del governo uno slancio decisivo di trasparenza su un programma di investimenti così importante per il Paese».

 

Calabria prima regione a investire risorse del Pnrr per ammodernare i frantoi

La Calabria è la prima regione d’Italia ad aver utilizzato le risorse del Pnrr per ammodernare i frantoi. È stata pubblicata, infatti, la graduatoria definitiva del bando (pubblicato a fine 2023) finalizzato a sostenere la filiera olivicola, che per vocazione identitaria e valenza economica ed ambientale è da sempre essenziale per la crescita della regione: l’olivicoltura calabrese, caratterizzata dalla presenza di più di 100 differenti varietà coltivate su oltre il 24% della superficie agricola complessivamente utilizzata, costituisce un tesoro di biodiversità, arricchito da Dop e una Igp, con 70.000 ettari di coltivazioni bio ed una produzione che fa della Calabria la seconda regione più produttiva del Paese, grazie ai circa 700 frantoi operanti sul territorio.

«Nella nostra terra – ha sottolineato l’assessore regionale all’agricoltura, Gianluca Gallo – l’olivicoltura rappresenta un pezzo di storia, ma anche un motore di sviluppo economico, ambientale e culturale da sostenere ed anzi potenziare, per favorire qualità e competitività attraverso misure che consentano la salvaguardia e l’espansione del settore».

Da qui la scelta di utilizzare anche le risorse messe a disposizione dal Pnrr, pari a 16.567.725,31 euro, per accrescere la sostenibilità del processo produttivo con l’introduzione di macchinari e tecnologie capaci di migliorare le performance ambientali dell’attività di estrazione dell’olio extravergine di oliva, oltre che di ridurre la generazione di rifiuti e favorirne il riutilizzo a fini energetici. Da segnalare anche l’obbligo di seguire percorsi di formazione in tema di produzione e degustazione degli oli Evo.

A seguito della definizione delle graduatorie, rende noto il Dipartimento Agricoltura, ha già avuto inizio – pure in questo caso, in netto anticipo rispetto alle altre regioni – la procedura di notifica ai beneficiari, relativamente ai progetti ammessi e finanziati. Per garantire il finanziamento anche delle istanze giudicate meritevoli ma prive – al momento – di copertura, la Regione si è attivata per intercettare risorse aggiuntive.

«Abbiamo già formalmente richiesto altri 5 milioni – ha concluso Gallo – ottenendone subito 1. Per gli altri 4, che consentirebbero la concretizzazione di tutti i progetti positivamente valutati, vi sono concrete possibilità di riuscire a riceverli, per come emerso dalle interlocuzioni ufficiali. Siamo fiduciosi e continueremo a lavorare per la tutela e la crescita dell’olivicoltura calabrese». (rcz)

CALABRIA PRIMA PER CHI SI CURA FUORI
ORA STOP ALLE “MIGRAZIONI SANITARIE”

di GIOVANNI MACCARRONEPrenotare una prestazione sanitaria all’interno del nostro Paese è abbastanza semplice. Una volta ricevuta la prescrizione medica dal proprio medico di base, è possibile contattare telefonicamente il Centro Unico di Prenotazione (Cup) e verificare così la lista d’attesa. 

Per le visite specialistiche e gli esami diagnostici con la lettera D (differibile), gli esami o le visite specialistiche dovrebbero essere fatte tra i 30 e i 60 giorni, mentre per quelle con la lettera U (urgente) gli esami o visite specialistiche dovrebbero essere fatte entro le 72 ore.

Sta di fatto che frequentemente per queste ed altre categorie la lista d’attesa supera di gran lunga questi tempi.

Per cui, il cittadino, per ricevere il servizio con tempi più rapidi, ricorre spesso ai servizi intramoenia (o in regime “intramurario”): l’attività libero-professionale che avviene all’interno delle strutture sanitarie, senza dover pagare il medico come “privato”, corrispondendo solo il ticket.

Altre volte, invece, preferisce utilizzare le strutture private convenzionate che possano offrire lo stesso servizio nei tempi previsti o comunque di qualità superiore a quello fornito da istituzioni pubbliche (Asl, Ao ecc.).

Altre volte ancora si preferisce, invece, andare lontani da casa per curarsi, quasi sempre dal Sud in direzione Nord, nella speranza di ricevere le cure migliori per la propria malattia.

Si stima che i «viaggi della salute» interessino, in un anno, circa un milione di italiani. Nel 2022, solo i ricoveri effettuati fuori Regione sono stati quasi 630 mila (contro i 498 mila nel 2020, anno della pandemia) come rilevano i dati dell’Ufficio statistica e flussi informativi sanitari di Agenas, l’Agenzia nazionale dei servizi sanitari regionali.

Quindi, approssimando i conti, senza voler far delle vere stime, potremmo tranquillamente dire che le spese sanitarie per le famiglie sono annualmente molto elevate.

È vero che, per rispetto del dettato dell’articolo 32 della Costituzione, agli indigenti devono essere comunque in ogni caso garantite le prestazioni sanitarie gratuite, ma è anche vero però che, per quanto detto sopra, costantemente i cittadini sono tenuti ad affrontare ingenti spese per la salute.  

Le famiglie già finanziano il sistema sanitario italiano tramite il fisco e, in particolare, per il 36% dall’Iva e dalle accise sulle benzine, il 28% dall’Irap e dall’addizionale Irpef, il 14% dai pagamenti diretti (prezzi), il 3% dai ticket e un altro 5% da premi di assicurazioni e mutue integrative; il restante 11% da altri tipi di tributi.

Tra l’altro, a seguito della crisi finanziaria in atto e` molto probabile che le famiglie saranno chiamate in futuro a un maggiore sforzo fiscale per finanziare il Ssn, sia sotto forma di aumento dell’addizionale Irpef (prevista fino al 3% dal D. Lgs. 68/11 sul federalismo fiscale), sia di maggiori compartecipazioni alla spesa sanitaria (+2 miliardi di euro, secondo la L. 111/11).

Va poi considerato che, data la consistenza dell’evasione e dell’elusione fiscale che ancora permangono nel nostro sistema tributario, i costi della sanità sono sopportati essenzialmente dal mondo del lavoro, che – come si è appena potuto notare – è quello che fornisce essenzialmente gli utenti della sanità pubblica

Insomma, è come il “cane che si morde la coda”, che è un modo elegante per dire che è un circolo vizioso, una situazione senza via d’uscita.

A questo proposito, bisogna considerare che quasi venti milioni non fanno la denuncia dei redditi. Il 48 % non versa neppure un euro. Quasi il 90% dell’Irpef è pagato da lavoratori dipendenti e pensionati. Dal 2024 la no tax area salirà a 13 mila euro. Sarà un aiuto per i veri poveri ma un paradiso fiscale per i finti poveri. Viene tartassato chi guadagna 50 mila euro lordi (poco più di duemila euro netti), con una tassa del 43% più le varie addizionali comunali e regionali, mentre i ricchi portano all’estero la sede delle aziende e la loro residenza fiscale. Solo 35 mila persone dichiarano più di 300.000 euro all’anno. 

Quindi – stando a quanto sopra – attualmente il Servizio Sanitario Nazionale si regge grazie al finanziamento dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, i quali, tra l’altro, ricevono spesso un salario annuo lordo medio inferiore a 11.000 euro (secondo uno studio condotto dall’Ufficio Economia dell’Area Politiche per lo Sviluppo della Cgil Nazionale, più di 5,7 milioni di lavoratori si trovano in questa situazione).

Con questo salario devono pagare soprattutto tasse, luce e gas, spese di locazione, spese condominiali, spese per mantenere una macchina, spese per la benzina (il prezzo della benzina in Italia come in tutto il mondo ha subito fortissimi rialzi nel 2022 a causa della guerra in Ucraina, arrivando anche a sfondare il tetto dei 2 euro al litro), ecc.

Se a queste spese aggiungiamo anche le spese per curarsi, si capisce il vero motivo per cui frequentemente qualcuno rinuncia alle cure (l’aumento delle spese per la salute riguarda tutte le macro-aree del Paese: al Centro e al Sud si registrano aumenti di oltre 100 euro a famiglia).

Purtroppo, questo fenomeno è molto più frequente nelle Regioni del Mezzogiorno, proprio quelle dove l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza è inadeguata: di conseguenza, l’insufficiente offerta pubblica di servizi sanitari associata alla minore capacità di spesa delle famiglie del Sud condiziona negativamente lo stato di salute e l’aspettativa di vita alla nascita, un indicatore che vede tutte le Regioni del Mezzogiorno al di sotto della media nazionale.

Un indicatore che – come viene solitamente commentato sulla stampa – è il risultato del “monitoraggio Lea”; si tratta di una serie di indicatori (perlopiù di struttura e di processo) volti a cogliere il rispetto dei Livelli Essenziali di Assistenza nelle Regioni italiane (il monitoraggio viene effettuato dal c.d. Comitato Lea, Comitato permanente per l’erogazione dei Lea, istituito presso il Ministero della Salute).

L’indicatore non consente di tornare a vent’anni fa ma, dal 2012 al 2019 (l’anno pre-pandemia), il “punteggio Lea” è sensibilmente migliorato in tutte le Regioni a Statuto Ordinario, ad esclusione della Calabria (che ha avuto un calo da 133 a 125), ed in tutte le Regioni a Statuto Speciale, ad esclusione della Sardegna (per la quale i dati si raccolgono dal 2017 e che ha visto un calo da 140 a 111 in tre anni). 

Sulla base di questo indicatore non sarebbe quindi azzardato concludere che la qualità delle cure sia peggiorato, soprattutto nelle regioni sottoposte a piano di rientro e commissariamento (le procedure di commissariamento riguardano ben quattro regioni, tra cui la Calabria dal luglio 2010).

Ecco perché il 55% delle persone che negli ultimi anni hanno ricevuto una visita specialistica e il 40% di quelle che hanno avuto accesso a un trattamento riabilitativo abbiano coperto completamente a proprie spese il costo della prestazione. 

Questa è una situazione inaccettabile che può essere superata solo ed esclusivamente con una nuova governance delle aziende sanitarie, con maggiori assunzioni di responsabilità economica da parte di amministratori regionali e direttori aziendali e maggiore flessibilità nella sfera operativa. 

Inoltre, maggiori controlli sui manager delle Asl e delle Ao potrebbe in particolare agevolare l’attuazione delle misure di contenimento della spesa assunte ai vertici del governo centrale e regionale.

Senza dimenticare, infine, che il Pnrr ha destinato alla Missione Salute 15,63 miliardi, pari all’8,16% dell’importo totale, per sostenere importanti riforme e investimenti a beneficio del Servizio sanitario nazionale, da realizzare entro il 2026.

Poi “Tutto il resto è noia”, come dice Califano. 

Speriamo bene. (gm)