L’eurodeputato Nesci (Fdi): Erogata la sesta rata del Pnrr

L’Eurodeputato d Fratelli d’Italia, Denis Nesci, ha reso noto che «la Commissione Europea ha  erogato all’Italia  un totale di 8,7 miliardi di euro».

«Questa erogazione – ha spiegato –rappresenta la sesta rata del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e testimonia l’impegno costante e la determinazione del Governo Italiano nel perseguire gli obiettivi di sviluppo e crescita».

«Sotto la guida della Premier Giorgia Meloni, l’Italia – ha proseguito – si sta affermando sempre più come un leader in Europa. Grazie a politiche lungimiranti e a un approccio strategico. Stiamo non solo rispettando le scadenze del PNRR, ma stiamo anche dimostrando che il nostro Paese è in grado di affrontare le sfide del presente e del futuro con grande efficacia».

«Questi fondi – ha concluso – saranno fondamentali per sostenere la nostra economia, promuovere l’innovazione e creare posti di lavoro, contribuendo così a un’Italia più forte e competitiva. È un momento storico per la nostra nazione, che sta tornando al centro dell’attenzione europea, grazie all’operato del Governo Meloni».

INFRASTRUTTURE, CALABRIA LA REGIONE
CON PIÙ OPERE STRATEGICHE DA FARE

di ERCOLE INCALZA – Ho fatto un’attenta e capillare analisi su tutti gli interventi di natura infrastrutturale che vanno realizzati nelle varie Regioni del Paese nell’arco del prossimo quinquennio o, al massimo, decennio ed ho trovato che la Regione in cui è previsto il massimo numero di interventi, con la contestuale rilevante esigenza di risorse, è la Regione Calabria.

Vanno, infatti, realizzati i seguenti interventi: Il completamento e la messa in esercizio delle dighe presenti nella Regione (in Calabria ci sono 24 grandi dighe ma alcune non sono completate altre non sono adeguatamente utilizzate); La realizzazione dell’asse ferroviario ad alta velocità – alta capacità Battipaglia – Reggio Calabria; La riqualificazione funzionale dell’asse ferroviario jonico per renderlo omogeneo alla rete nazionale (le caratteristiche attuali sono davvero pessime); La realizzazione del Ponte sullo Stretto; La realizzazione del completamento integrale della strada statale 106 Jonica; La realizzazione di un impianto retroportuale del porto di Gioia Tauro; La realizzazione di un sistema integrato di impianti interportuali con nodi chiave a Corigliano e Castrovillari; La riqualificazione funzionale degli aeroporti e dei relativi accessi di Crotone, Lamezia e Reggio Calabria; La rivisitazione, di intesa con la Regione Basilicata, delle via di accesso e degli impianti interni al Parco nazionale del Pollino.

Di questo rilevante elenco di esigenze allo stato sono disponibili solo le risorse destinate alla realizzazione del Ponte sullo Stretto, una quota di 2,2 miliardi per un tratto, non in Calabria, della Battipaglia – Reggio (la tratta Battipaglia – Romagnano) e 3 miliardi per un ulteriore tratto della Strada Statale 106 Jonica. Invece, effettuando un’analisi dettagliata delle reali esigenze legate ai nove atti strategici prima riportati scopriamo che il valore globale si attesta su un importo di circa 62 miliardi di euro; occorrono, ripeto, 62 miliardi di euro altrimenti continuiamo ad inseguire disegni teorici che, al massimo, arricchiranno i programmi dell’attuale e delle prossime Legislature. Continueranno questi elenchi a far parte di quegli interventi che assicurano, da sempre, sistematicamente il rispetto teorico (ripeto teorico) della soglia del 30% della quota nazionale da assegnare ad interventi nel Mezzogiorno, (una quota che soprattutto nell’ultimo decennio non ha mai superato il 7% – 8%).

La prossima Legge di Stabilità, a differenza delle precedenti, avrà un arco programmatico non limitato a tre anni ma a cinque anni e, quindi, a mio avviso deve essere leggibile sin dal prossimo anno cosa concretamente sia possibile inserire nel quadro programmatico degli interventi da realizzare in Calabria.

Senza dubbio nel 2025 la Legge non potrà prevedere risorse sostanziali perché, purtroppo, in partenza già appesantita da due voci esose come il mantenimento del cuneo fiscale (15 miliardi di euro) e il contenimento del debito pubblico (12 miliardi di euro); cioè in partenza è una Legge di Stabilità praticamente difficilmente utilizzabile per altre finalità; tuttavia dovremmo poter leggere in tale strumento già tre cose: Quali possano essere le reali assegnazioni alla Regione Calabria per il prossimo quinquennio; Quali quote sia possibile ancora garantire, sempre alla Regione, attraverso l’utilizzo di Fondi comunitari; Quali risorse sia possibile attrarre ricorrendo a forme innovative di Partenariato Pubblico Privato

Il Presidente Occhiuto sin dal suo insediamento ha rivendicato, in modo trasparente, la esigenza di concretezza delle azioni dell’organo centrale nei confronti della Calabria, lo ha fatto confrontandosi sistematicamente con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e con Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, lo ha fatto con l’Anas e con le Ferrovie dello Stato e non posso non riconoscere ad Occhiuto la richiesta formale al Governo di destinare davvero risorse per il Ponte, di destinare davvero risorse per dare continuità alla Strada Statale 106 Jonica, ecc.

Oggi però siamo di fronte ad uno che definisco “anno cerniera” tra un biennio dell’attuale Governo legato al PNRR e che ha lasciato poco alla Regione Calabria ed un prossimo triennio, quello di fine Legislatura, in cui definire, in modo chiaro, un misurabile assetto programmatico.

La Regione Calabria dei nove punti da me riportati in precedenza dispone (almeno lo spero), in modo dettagliato, delle azioni, delle esigenze finanziare e dei empi necessari per dare ad ognuno di loro i crismi della concretezza; in realtà la Regione è in grado di produrre dettagliati Piani Economici Finanziari di ogni intervento utili per poter dare vita a forme di Partenariato Pubblico Privato.

Speriamo che questo “anno cerniera” diventi, lo ripeto fino alla noia, concreto. La Regione Calabria lo merita. (ei)

SVIMEZ: MEZZOGIORNO NON È UN DESERTO
INDUSTRIALE MA CRESCE MENO DEL NORD

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Nel 2025 il Mezzogiorno tornerà a crescere meno del Centro-Nord. È quanto emerso dal Rapporto Svimez, in cui denuncia «i rischi di un ritorno alla “normalità” di una crescita più stentata al Sud rispetto al resto del Paese», con il Meridione che rimane sullo +0,7% contro il Centro-Nord che registrerà una crescita di +1,0%. Una tendenza che si confermerebbe anche nel 2026: (+0,8% contro 1,1%).

Dati in controtendenza a quelli positivi riscontrati dall’Associazione: Il Sud, infatti, per il secondo anno consecutivo, cresce più della media del Centro-Nord: +0,9% contro +0,7%. Si riduce tuttavia sensibilmente lo scarto di crescita favorevole al Sud rispetto al 2023, quando il Pil del Sud era cresciuto quasi un punto percentuale sopra la media del Centro-Nord. La crescita più sostenuta del Mezzogiorno è dovuta a una più robusta dinamica degli investimenti in costruzioni (+4,9% contro il 2,7% del resto del Paese) trainati dalla spesa in opere pubbliche del Pnrr. I consumi delle famiglie tornano, invece, in negativo nel 2024 (-0,1% contro +0,3% nel Centro-Nord), frenati dalla crescita dimezzata del reddito disponibile delle famiglie rispetto all’anno scorso (+2,3% nel 2024 contro il +4,5% del 2023) e da una dinamica dei prezzi in rallentamento, ma lievemente più sostenuta rispetto al resto del Paese.

A politiche invariate, il 2025 rappresenta un anno di passaggio verso differenziali territoriali di crescita guidati da fattori strutturali sfavorevoli al Sud, a causa del rientro dalle politiche di stimolo agli investimenti privati e di sostegno ai redditi delle famiglie, solo parzialmente compensati dall’impatto positivo degli investimenti del Pnrr.

Nel triennio 2024-2026, al Sud gli investimenti del Pnrr valgono 1,8 punti percentuali di Pil meridionale (1,6 punti nelle regioni del Centro-Nord). In media, circa tre quarti della crescita del Pil del Mezzogiorno nel triennio è legata alla capacità di attuazione degli investimenti del Piano, a fronte di circa il 50% nel resto del Paese.

A fronte della ripresa occupazionale, il colpo inferto dall’inflazione al potere d’acquisto dei redditi da lavoro resta la criticità più rilevante, soprattutto nel Mezzogiorno. Tra il quarto trimestre 2019 e la prima metà del 2024, i salari reali si sono ridotti del -5,7% al Sud e del -4,5% nel Centro-Nord (-1,4% nell’eurozona). Un vero e proprio crollo al Sud causato da una più sostenuta dinamica dei prezzi e dai ritardi nei rinnovi contrattuali, in un mercato del lavoro che ha raggiunto livelli patologici di flessibilità.

A metà 2024, l’occupazione in Italia ha superato i livelli del 2019 di circa 750mila unità (+3,2%), un’espansione che è andata dunque ben al di là del semplice recupero degli effetti della crisi. Nello stesso periodo, il numero di occupati è cresciuto di 330mila unità (+5,4%) nel Mezzogiorno.

La ripresa dell’ultimo triennio ha riportato nel Mezzogiorno l’occupazione sui livelli, mai recuperati f ino a tutto il 2019, di metà 2008. Al Sud, sono tre milioni i lavoratori sottoutilizzati o inutilizzati. Il labour slack Svimez, l’indice del “non lavoro”, è calato, tra il 2019 e il 2023 dal 39,3 al 33% nel Mezzogiorno.

Allo stesso tempo, il “non lavoro” al Sud resta su valori più che doppi che nel resto del Paese. Le tre regioni meridionali con i tassi di “non lavoro” più elevati sono Sicilia (38%), Campania e Calabria (entrambe 36,8%). Dei tre milioni di lavoratori meridionali sottoutilizzati o inutilizzati, quasi un milione rientra tra i disoccupati secondo la definizione ufficiale, 1,6 milioni sono forze di lavoro potenziali e 400mila sono occupati in part-time involontario. Nel Centro-Nord, l’area del non lavoro si attesta intorno a 2,8 milioni.

Nel Mezzogiorno la precarietà è diventata un fenomeno tutt’altro che marginale in comparazione ad altre economie europee. Nelle regioni meridionali più di un lavoratore su cinque è assunto con contratti a termine: 21,5%, contro una media europea del 13,5%. La minore diffusione di posizioni permanenti è spiegata soprattutto dalla presenza di una struttura produttiva che più si presta a ricorrere al lavoro flessibile, per la più marcata specializzazione nel terziario tradizionale e la più contenuta dimensione media delle imprese.

Quasi i tre quarti degli occupati meridionali a tempo parziale sono in part-time involontario (72,9%), a fronte del 46,2% nel Centro-Nord e meno del 20% nell’Ue. Nel Mezzogiorno si concentra il 60% dei 2,3 milioni di lavoratori poveri italiani (circa 1,4 milioni). L’andamento positivo dell’occupazione non ha impedito l’aumento delle famiglie con persona di riferimento occupata in povertà assoluta nel Mezzogiorno: 9,5% nel 2023 dall’8,5% del 2021. L’aumento è stato addirittura di 3 punti percentuali per le famiglie con persona di riferimento occupata con qualifica di operaio o assimilato: dal 13,8 del 2021 al 16,8%.

Al 2050, il Paese perderà 4,5 milioni di abitanti e l’82% della perdita interesserà le regioni meridionali: -3,6 milioni. Non solo spopolamento, ma un progressivo degiovanimento che colpirà soprattutto il Mezzogiorno, che perderà 813mila under 15, quasi un terzo di quelli attuali (-32,1%), mentre gli anziani con più di 65 anni aumenteranno di 1,3 milioni (+29%). Un trend demografico avverso che avrà un forte impatto sul numero degli iscritti nelle scuole italiane. Al 2035, la riduzione di studenti è stimata al -21,3% nel Mezzogiorno, addirittura al -26% nelle regioni del Centro (-18% nelle regioni settentrionali).

Per la scuola primaria, il rischio chiusura è concreto in 3mila comuni con meno di 125 bambini, numero sufficiente per una sola “piccola scuola”: il 38% del totale dei comuni (quota che sale al 46% nel Mezzogiorno), localizzati soprattutto nelle aree interne. Il contrasto al gelo demografico necessita di politiche di lungo periodo orientate al rafforzamento del welfare familiare, degli strumenti di conciliazione dei tempi di vita-lavoro, dell’offerta dei servizi per l’infanzia, dei sostegni effettivi ai redditi e alla genitorialità, superando la frammentarietà degli interventi. L’emergenza è l’emigrazione, non l’immigrazione.

«Dal 2012 al 2022 – ha rilevato la Svimez – 138mila giovani laureati (25-34 anni) hanno lasciato l’Italia. Tra gli altri fattori, incidono sulla scelta le basse retribuzioni: dal 2013 le retribuzioni reali lorde per dipendente sono calate di 4 punti percentuali (-8 nel Mezzogiorno), contro una crescita di 6 punti in Germania».

«Negli ultimi 10 anni – si legge nel Rapporto – i giovani laureati che hanno lasciato il Mezzogiorno per il Centro-Nord sono quasi 200mila. Le migrazioni intellettuali da Sud a Nord sono alimentate anche dalla mobilità studentesca: due studenti meridionali su dieci (20mila all’anno) si iscrivono a una triennale al Centro-Nord, quasi quattro su dieci (18mila all’anno) a una magistrale in un ateneo settentrionale. Per alcune regioni meridionali il tasso di uscita degli studenti magistrali è nettamente superiore: in Basilicata l’83% lascia la regione, il 74% in Molise, più del 50% in Abruzzo, Calabria e Puglia. Tra il 2010 e il 2023, il sensibile aumento del numero di laureati meridionali si è realizzato esclusivamente grazie ai titoli conseguiti presso atenei del Centro-Nord (+40mila), mentre è addirittura diminuito il numero di laureati presso gli atenei meridionali».

Il quadro internazionale è segnato da nuove crescenti incertezze: i conflitti in corso, i nuovi rischi di shock inflazionistici, le tensioni commerciali globali, i rischi di una nuova ondata protezionistica. Ma la riconfigurazione delle global supply chain fornisce nuove opportunità di sviluppo al Mezzogiorno, che possono essere intercettate valorizzando il contributo del Sud alle transizioni, a partire dalle sue specializzazioni mature. Il Mezzogiorno non è un deserto industriale. Per contributo a valore aggiunto e occupazione, in termini di internazionalizzazione, competenze e tecnologia, il peso del Sud è rilevante in diverse filiere nazionali: Agroindustria, Navale e Cantieristica, Aerospazio, Edilizia e Automotive.

«È il momento di mettere in campo una politica industriale più ambiziosa, declinata attraverso strumenti utili ad attivare processi di trasformazione strutturale e creare occasioni di lavoro qualificato. Non si tratta solo di assicurare risorse adeguate al Mezzogiorno, ma di adottare un’impostazione orientata all’identificazione e al supporto delle priorità produttive e delle specializzazioni strategiche», viene detto nel Rapporto, sottolineando come «il  superamento dell’impostazione orizzontale delle politiche industriali degli ultimi decenni impone una riflessione sotto il profilo degli strumenti, andando al di là degli incentivi senza vincoli di destinazione settoriale».

La distribuzione territoriale degli incentivi dei Piani Transizione 4.0 e 5.0 dipende dalle capacità ex ante delle imprese (struttura, organizzazione, dimensione) di intercettarli, consolidando il tessuto industriale esistente nelle aree forti, ma pregiudicando l’attivazione di un vero processo di cambiamento strutturale nelle regioni deboli.

Per la Svimez, poi, «la filiera dell’Automotive è il settore sul quale si giocherà la sfida europea nel cambiamento strutturale del sistema produttivo e il futuro industriale del Mezzogiorno».

L’industria automobilistica italiana è collocata, infatti, prevalentemente nel Mezzogiorno. Nei primi 9 mesi del 2024, gli stabilimenti del Mezzogiorno hanno fornito quasi il 90% degli autoveicoli prodotti in Italia, ma hanno perso più di 100mila unità sul 2023 (-25%). Lo stabilimento di Melfi ha visto da solo una perdita di quasi 90mila unità (-62%), ma anche gli altri stabilimenti – in crescita nella prima parte dell’anno – sono entrati in territorio negativo, con cali che hanno interessato sia gli autoveicoli (Pomigliano, -6%) che i veicoli commerciali (Atessa, -10%). Ad aggravare il quadro, è stato sospeso l’investimento da oltre 2 miliardi per la realizzazione della gigafactory di batterie a Termoli, che indica una generalizzata vulnerabilità europea nella transizione all’elettrico. La filiera estesa nel Mezzogiorno dell’Automotive vale quasi 13 miliardi in termini di valore aggiunto, di cui più di quattro quinti in Campania (29%), Puglia (20%), Sicilia (22%) e Abruzzo (13%). Gli occupati riconducibili alla filiera Automotive sono circa 300mila, più della metà in Campania (30%) e Puglia (21%), seguite da Sicilia (21%) e Abruzzo (11%).

Il rilancio dell’industria automobilistica in Europa e la difesa dell’occupazione e dell’indotto richiede un cambio di paradigma che passa da un piano industriale europeo, finalizzato al rafforzamento della filiera elettrica e alla riduzione del gap tecnologico accumulato rispetto ai competitor, mettendo al centro gli stabilimenti del Mezzogiorno.

Per quanto riguarda la Zes, la Svimez ha rilevato come «il Piano strategico non risulta ancora formalmente approvato».

Serve, infatti, «un’accelerazione delle procedure attuative e di risorse – si legge nel Rapporto – certe nel tempo per le agevolazioni alle imprese (il credito d’imposta Zes è finanziato per il solo 2025), ma soprattutto di una continuità di impegno politico. L’incertezza sulle prospettive delle deleghe governative per il Mezzogiorno e il rischio di uno spacchettamento delle deleghe su Affari europei, Sud e Pnrr rischiano di pregiudicare il completamento delle riforme avviate».

Per dare continuità a investimenti e servizi è importante che i fondi europei e nazionali per la coesione 2021-2027 operino in complementarità con le azioni del Pnrr. Questo significa introdurre nel dibattito di politica economica la possibilità di utilizzare i fondi per la coesione anche per finanziare servizi di rilevante utilità sociale. Il Rapporto Svimez evidenzia i limiti, oramai strutturali, dell’attuale modello, la cui programmazione si fonda su obiettivi tematici generici e non adattabili alle diverse priorità e fabbisogni dei territori, secondo un criterio imperniato sulla rendicontazione della spesa e non legato al raggiungimento di precisi obiettivi di crescita o di riduzione dei divari.

Al contrario, l’applicazione di un metodo Pnrr adattato alle politiche di coesione, che subordini l’erogazione delle risorse al raggiungimento di precisi obiettivi, piuttosto che alla semplice rendicontazione delle spese, potrebbe rappresentare una proposta di riforma concretamente percorribile e in grado di condurre a un sostanziale miglioramento dell’efficacia di queste politiche. L’Accordo di partenariato dovrebbe contenere precisi target quantitativi, fissati a livello quantomeno regionale, accompagnati da milestone che presentino una connotazione anche territoriale, soprattutto in tema di riforme della regolazione dei servizi pubblici locali, di prestazione dei servizi essenziali (in primis istruzione e salute), e di rispetto delle direttive europee.

«Le analisi Svimez – si legge – confermano il ruolo determinante di stimolo del Pnrr alla crescita dell’area, ma evidenziano anche la necessità di accompagnare il ciclo di investimenti in infrastrutture economiche e sociali con un rilancio delle politiche industriali volte al rafforzamento del tessuto produttivo locale. La maggior parte dei progetti risultano in corso (105 su 140 miliardi di euro), e le diverse aree del Paese sembrano sostanzialmente allineate nel percorso attuativo. Bene i comuni, che gestiscono progetti Pnrr per circa 30 miliardi».

«Un terzo delle risorse – continua il Rapporto – risulta ancora da avviare, ma la maggior parte dei progetti ha avvio previsto nell’autunno/inverno 2024, vale a dire che la partita si sta giocando proprio in questi mesi. Al Sud spetta uno sforzo attuativo sicuramente maggiore; i comuni rispondono bene specialmente sulla realizzazione di investimenti connessi alle infrastrutture sociali con un importo avviato pro capite maggiore rispetto al dato del Centro-Nord. A rilento invece le infrastrutture più complesse, come quelle di trasporto, che vedono una percentuale di cantieri aperti inferiore al 20% e leggermente più elevata, per i progetti superiori ai 5 milioni di euro, al Sud (27% contro una media nazionale del 26%)».

L’Associazione, infine, ha evidenziato come «l’eliminazione della Decontribuzione Sud dal 31 dicembre 2024 comporta impatti significativi su crescita e occupazione. Nel 2023, ha riguardato mediamente più di 2 milioni di lavoratori per una spesa di oltre 3,6 miliardi e lo stanziamento cancellato per effetto dell’abolizione dell’agevolazione è pari a 5,9 miliardi per il solo 2025. Secondo stime Svimez, l’abrogazione comporterà una riduzione di due decimi di punto della crescita del Pil del Mezzogiorno e di tre decimi dell’occupazione, con circa 25 mila posti di lavoro a rischio».

Nonostante la Legge di Bilancio preveda, a compensazione, il finanziamento di un nuovo Fondo per interventi al Sud, con una dotazione di 2,4 miliardi nel 2025 e ulteriori 4,4 nel successivo biennio, per la Svimez si tratta di fondi «che, il finanziamento di un nuovo Fondo per interventi al Sud, con una dotazione di 2,4 miliardi nel 2025 e ulteriori 4,4 nel successivo biennio».

In Italia, il 54% degli alunni della scuola primaria frequenta un edificio scolastico che dispone di una mensa. Questo dato si ferma al 30% per il Mezzogiorno (240mila su circa 800mila bambini) e sale al 67% per il Centro-Nord (980mila sui circa 1,4 milioni). La percentuale di alunni che frequentano un edificio scolastico dotato di palestra è del 54% in Italia, ma nel Mezzogiorno si ferma al 46% (370mila su 800mila circa) rispetto al 60% (850mila su 1,4 milioni) del Centro-Nord. Le carenze nell’offerta dei servizi incidono sull’accesso al tempo pieno nelle scuole primarie del Sud e condizionano significativamente i processi di apprendimento degli studenti meridionali lungo l’intero ciclo scolastico, spiegando buona parte dei divari Nord/Sud nei livelli delle competenze maturate.

La dispersione scolastica è più alta al Sud. Dei 583.644 alunni iscritti al I anno di scuola secondaria di I grado a settembre 2012, 96.177 (il 16,5%) hanno abbandonato il sistema scolastico senza conseguire un titolo di studio nei sette successivi anni. L’abbandono scolastico è particolarmente diffuso al Sud (17,4%) e nelle Isole (20,6%), mentre nel Centro-Nord si attesta al di sotto del dato nazionale (14,6% per il Centro e 15,6% per Nord-Est e Nord-Ovest). L’istruzione è un bene pubblico essenziale, la cui qualità e diffusione capillare tra territori sono condizioni imprescindibili per uno sviluppo inclusivo. Dare priorità all’investimento in istruzione significa restituire alla scuola il suo ruolo di primo presidio di contrasto alle disuguaglianze, garantendo a tutti gli studenti, indipendentemente dal contesto familiare e sociale, pari condizioni di accesso a un diritto di cittadinanza fondamentale.

Nel biennio 2022-2023, 7 donne italiane su 10 di 50-69 anni hanno avuto accesso agli screening mammografici a cadenza biennale, 5 su 10 nell’ambito di un programma organizzato. Questa media nazionale nasconde profondi differenziali territoriali. La prima regione per copertura è il Friuli-Venezia Giulia: 9 donne su 10, quasi 7 nell’ambito di un programma organizzato. L’ultima è la Calabria: solo 2 donne su 10, appena 1 su 10 nell’ambito di un programma organizzato.

Nel 2022, la mobilità passiva ha interessato 629mila pazienti, il 44% dei quali residente in una regione del Sud. Nello stesso anno, i Ssr meridionali hanno attirato 98mila pazienti, solo il 15% della mobilità attiva totale. Complessivamente, i malati oncologici residenti nel Mezzogiorno che ricevono cure presso un Ssr di una regione del Centro-Nord sono 12.401, circa il 20% dei pazienti oncologici meridionali da un minimo del 15% della Campania a un massimo del 41% della Calabria. Al Sud non mancano le esperienze positive, come il modello innovativo della Rete Oncologica Campana, sulle quali bisognerebbe investire per rafforzare l’offerta di percorsi di cura territorialmente omogenei e ridurre le diseguaglianze di accesso alle cure.

Escludendo dai criteri di allocazione i fattori socioeconomici che impattano sui fabbisogni di cura e assistenza, il riparto regionale delle risorse per la sanità penalizza i cittadini delle regioni del Mezzogiorno. La presa in conto di questi fattori (povertà, istruzione, deprivazione sociale) renderebbe la distribuzione del finanziamento nazionale tra Ssr più coerente con le finalità di equità orizzontale del Ssn. (ams)

 

PNRR, IL FALLIMENTO DELL’ATTUAZIONE È
DOVUTO ALL’EREDITÀ DI CONTE E DRAGHI

di ERCOLE INCALZANel mese di settembre del 2022, cioè in un periodo in cui era ancora in carica il Governo Draghi, in uno dei miei blog pubblicato su “Le stanze di Ercole”, denunciai, in modo dettagliato, lo stato di avanzamento, o meglio, lo stato di “non avanzamento” delle opere e delle scelte contenute nel Pnrr e, siccome non sono un veggente, tentai anche di analizzare attentamente ed in modo capillare lo stato di avanzamento delle varie proposte progettuali.

Questa analisi mi portò, in modo quasi automatico, ad elencare quanto sarebbe successo negli anni futuri, cioè nel 2023 e nel 2024. Riportai, cioè, le varie anticipazioni e denunciai anche, in modo formale, che lo stato davvero preoccupante ed irresponsabile era da ricercarsi nell’assenza di una governance unica e nel mancato avvio organico della intera operazione negli anni 2020 e 2021, cioè durante il Governo Conte 2 e nella prolungata sottovalutazione della stasi da parte del Governo di Mario Draghi.

Ebbene, i dati che avevo avuto modo di approfondire portavano alle seguenti conclusioni: alla fine del 2024, cioè a 18 mesi dalla scadenza dell’arco temporale imposto dalla Unione Europea avremmo potuto contare su un avvio concreto delle procedure e dei relativi affidamenti non superiore al 40% e quindi saremmo stati molto lontani dalla soglia di spesa del volano assicurato dalla Unione Europea.

Sempre in tale mia anticipazione elencai, per ogni singola area progettuale, le possibili quote di attivazione concreta e le difficoltà che non consentivano una adeguata attività della spesa. Queste mie considerazioni penso le ricordi anche Giorgio Santilli che fu uno dei pochi giornalisti a condividere questo mio allarme.

Ripeto questa mia denuncia non fu assolutamente presa in considerazione e, addirittura, se leggiamo i vari comunicati stampa pubblicati dalla Presidenza del Consiglio e da alcuni Ministri, come in modo particolare il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, scopriamo una ripetitiva elencazione di assicurazioni ottimistiche sullo stato di avanzamento dei progetti e delle scelte del Pnrr e del PNC (Piano Nazionale per gli investimenti Complementari al Pnrr.

Tra l’altro, cosa che mi preoccupa e al tempo stesso mi meraviglia, è che l’Anac sono sicuro conoscesse questa analisi tendenziale sin dal 2022 ed è strano che non l’avesse denunciata formalmente al Governo Draghi.

Quando il 22 ottobre del 2022 si insedia l’attuale Governo, infatti, il Ministro Raffaele Fitto, con la delega agli Affari europei, al Sud, alle politiche di coesione ed al Pnrr, si rende subito conto che praticamente era stato avviato concretamente appena il 7% – 8% dell’intero Piano.

Ed è il Ministro Fitto nel mese di dicembre del 2022, cioè dopo appena quaranta giorni dal suo insediamento, a dover cambiare l’intero impianto sia gestionale che programmatico; è sempre Fitto a costruire immediatamente una unica governance ed è sempre Fitto a cercare di trasferire nel Fondo di Sviluppo e Coesione (Fsc) alcune proposte ubicate nel Pnrr in modo da poter fare riferimento ad una scadenza temporale non del 2026 ma del 2027 con proroga fino al 2029 e, con questi atti, testimonia subito alla Unione Europea una chiara volontà, un chiaro tentativo di ripristinare delle condizioni difendibili sulla scadenza del giugno del 2026.

Pochi giorni fa abbiamo appreso delle anticipazioni relative allo stato di avanzamento del Pnrr da parte dell’Associazione Nazionale Anticorruzione (Anac); dati che, in modo sintetico, riporto di seguito:  «Le procedure di appalto relative a investimenti del Pnrr svolte negli anni 2023 – 2024 e non ancora assegnate sono oltre il 60% di tutte quelle avviate negli ultimi due anni, in particolare 98.033 su 162.480 mentre la quota degli importi economici degli appalti non ancora affidati è il 45% del totale avviato (35,5 miliardi di euro su 79,2 miliardi di euro.

Questo significa che una fetta molto ampia dei cantieri e dei contratti di fornitura previsti dal Pnrr non è ancora partita a diciotto mesi dalla scadenza prevista.

Sempre dai dati Anac risulta che per gli appalti avviati nel 2023 si è arrivati all’affidamento per il 74% del valore appaltato mentre per gli appalti avviati nel 2024 solo il 5%.

Infine «per le procedure avviate nel 2024 su 13.577 milioni di euro di lavori pubblici quelle non avviate, ammontano a 12.996 milioni di euro oltre il 96% del totale e se si aggiungono i 6,7 miliardi ereditati dal 2023 si evince che ci sono quasi 20 miliardi di euro di lavori pubblici del Pnrr ancora da affidare e cantierare».

Nasce spontaneo un interrogativo: perché, come detto prima, durante il Governo Conte 2 ed il Governo Draghi l’Anac, che sicuramente monitorava l’avanzamento delle opere del Pnrr e, quindi, era adeguatamente informata sulle naturali tendenze e sulle possibili previsioni di avanzamento dell’intero Piano nel 2024, non abbia detto nulla e, soprattutto, non abbia fatto presente ai vari Ministri competenti del Governo Draghi il vero fallimento dell’attuazione del Pnrr, il sicuro risultato negativo di una possibile soglia della spesa non superiore a 80 – 100 miliardi di euro su circa 230 miliardi di euro (Pnrr + Pnc)?

Come dicevo all’inizio questi dati in mio possesso non erano affatto riservati, andavano solo letti ed interpretati e, sono sicuro, l’Anac questo lavoro lo aveva effettuato.

Aggiungo solo che senza l’azione del Ministro Fitto sarebbe stato possibile raggiungere, nel giugno del 2026, solo la modesta soglia di spesa di appena 50 – 60 miliardi di euro e questo misurabile fallimento va addebitato, lo ripeto fino alla noia, alla mancata incisività gestionale e programmatica dei Governi Conte e Draghi. (ei)

PANETTA, GOVERNATORE BANKITALIA: CON
INVESTIMENTI E RISORSE SI RIALZA IL SUD

di ERCOLE INCALZA – Tutti i Governatori della Banca d’Italia da Menichella a Baffi, da Baffi a Ciampi, da Ciampi a Fazio, fino a Visco hanno sempre denunciato le criticità presenti nel Mezzogiorno, hanno sempre elencato le motivazioni che rendeva inamovibile una serie di vincoli che non consentivano la crescita di territori ricchi di potenzialità produttive, ricchi di capacità imprenditoriali elevate. Il Governatore Ciampi, addirittura, istituì, all’interno della Banca d’Italia, un apposito osservatorio finalizzato non tanto alla identificazione delle cause di tale fenomeno quanto alla ricerca di azioni e di strumenti necessari per cercare di annullare la resistenza alla crescita presente, in modo particolare, in Regioni come la Calabria, la Sardegna ed il Molise.

Insomma dobbiamo riconoscere alla Banca d’Italia il merito di aver seguito sempre la emergenza Sud e devo anche dare atto che in questo ruolo la Banca d’Italia è stata sempre oggettiva ed ha sempre ricordato che “pur in presenza di azioni mirate dello Stato, pur in presenza di scelte mirate alla infrastrutturazione dell’intero Mezzogiorno, purtroppo gli indicatori dello stato scoio economico del Sud, come ad esempio il reddito pro capite, non sono cresciuti  per niente o gli indicatori legati alla crescita di iniziative industriali non avevano superato soglie accettabili. Tra l’altro in una delle relazioni annuali del Governatore del 2006 leggiamo: «Pur avendo realizzato dal dopo guerra ad oggi infrastrutture come i porti di Cagliari, di Augusta, di Pozzallo, di Gioia Tauro, pur avendo ristrutturato quelli di Taranto e di Salerno e pur avendo realizzato nuove reti autostradali e nuovi impianti aeroportuali, non si è riusciti a incrinare minimamente il gap esistente tra il Sud ed il resto del Paese».

Tutto questo, quindi, per confermare la serietà ed al tempo stesso la oggettività delle analisi della Banca d’Italia.

Ebbene, leggendo le dichiarazioni dell’attuale Governatore Fabio Panetta a Catania in occasione della tappa siciliana del ‘Viaggio con la Banca d’Italia – Il polso dell’economia’, ci rendiamo conto che, indipendentemente dalle gratuite dichiarazioni di alcuni schieramenti politici della opposizione, stiamo vivendo davvero un “cambio di paradigma”, stiamo cioè vivendo un fenomeno che forse non riusciamo ancora a comprendere, un fenomeno che cambia integralmente tutte le descrizioni, tutte le interpretazioni di ciò che, fino a ieri, definivamo la “economia del Sud” o meglio, la “economia retrograda del Sud”.

E devo dare atto a Panetta che, nel suo intervento a Catania, ci ha praticamente svegliato ed informato, in modo analitico, della nuova realtà meridionale.

«Il Sud Italia – ha ribadito Panetta – è cresciuto più del Paese dopo la pandemia e ha ora “occasioni di sviluppo” per la fine della fase globale di delocalizzazione, da un lato, e per la produzione di energia rinnovabile dall’altro. Uno dei motori dello sviluppo del Mezzogiorno è senza dubbio il Pnrr, ma un ruolo chiave va riconosciuto al nuovo ciclo di programmazione dei fondi strutturali e del Fondo di sviluppo e coesione, senza contare il Fondo perequativo infrastrutturale per il Mezzogiorno».

«Una iniezione di risorse che in questo decennio vale “il cinque per cento del Pil” dell’area per ogni anno. Per questo – ammonisce Panetta – è necessario assicurare un impiego efficiente delle risorse, anche preservando in futuro il metodo del Pnrr, che prevede obiettivi ben definiti, un costante vaglio delle modalità di utilizzo delle risorse e interventi a sostegno delle amministrazioni più deboli dal punto di vista gestionale. Più che l’elenco delle opere e delle scelte è vincente il modello delle procedure e della articolazione delle fasi e se serve un allungamento dei tempi per la realizzazione dei progetti previsti non dev’essere un tabù. Qualora a causa dell’ingente ammontare degli investimenti insorgesse un conflitto tra i due obiettivi, efficacia e rapidità, sarebbe preferibile salvaguardare il primo e valutare la possibilità di concordare, soprattutto per le Regioni del Sud, un allungamento dei tempi di realizzazione dei progetti».

Panetta ha poi ricordato come la crescita del Sud osservata negli anni più recenti «sia in parte dovuta a fattori temporanei, legati alla risposta fornita agli shock globali dalle autorità nazionali ed europee». Il Mezzogiorno ha beneficiato «dell’incremento degli investimenti pubblici e del sostegno ai redditi delle famiglie meno abbienti.  Adesso, però – ha ribadito Panetta – è il momento di lanciare il cuore oltre l’ostacolo e di guardare con fiducia al futuro nonostante la congiuntura internazionale. Per quanto possa sembrare paradossale, la fase di incertezza globale che stiamo attraversando può offrire occasioni di sviluppo alle regioni del Mezzogiorno».

«Gli shock geopolitici registrati negli anni scorsi, dalla pandemia alla crisi energetica, fino ai tragici conflitti in atto, hanno reso palesi i rischi connessi con le politiche di delocalizzazione produttiva. Attualmente le imprese dei principali Paesi – rimarca Panetta – pongono enfasi maggiore che in passato sul tema della sicurezza degli investimenti e delle forniture di input di importanza strategica, in particolare l’energia. Sta emergendo la tendenza a collocare le attività produttive entro i confini nazionali o presso Paesi ritenuti affidabili sul piano economico e politico. E in questo scenario «le regioni meridionali garantiscono condizioni di stabilità geopolitica ed economica, anche grazie all’appartenenza dell’Italia all’Unione europea e all’Unione monetaria, rispetto alle destinazioni tradizionali della delocalizzazione produttiva sono collocate in prossimità dei maggiori centri economici europei e al crocevia del Mediterraneo, attraverso cui transita un quinto del traffico marittimo internazionale». L’altro punto di forza è la presenza “di poli scientifici di qualità”, di una forza lavoro “sottoutilizzata” e di un potenziale “mercato di sbocco con 20 milioni di abitanti”.

Queste precisazioni e questa corretta analisi di ciò che, come detto prima, ancora non abbiamo capito penso portino anche alla ricerca dei motivi che, proprio in questo biennio, sì quello dell’attuale Governo, hanno modificato o stanno modificando, le condizioni di crescita dell’intero Sud. Penso che in questo biennio siano maturati almeno quattro elementi che hanno reso possibile questa evoluzione:

La stabilità del Governo, la possibilità del mondo della produzione ed anche delle forze sociali di interloquire con certezza per cinque anni con un Governo ed un Parlamento stabile

La presa d’atto di cosa siano i Fondi comunitari, non solo quelli del Pnrr ma soprattutto quelli legati al Fondo di Sviluppo e Coesione. In questo il confronto tra il Ministro Fitto ed alcune Regioni del Sud ha dimostrato che l’organo centrale non trasferisce all’organo locale delle risorse senza conoscere prima i programmi e le finalità delle singole assegnazioni finanziarie

Il ritorno alla aggregazione dei comportamenti dell’organo centrale nei confronti delle scelte di riassetto strategico della economia del Sud; un comportamento che è stato attuato attraverso la istituzione di una Zona Economica Speciale Unica con un adeguato supporto finanziario; una scelta dopo il fallimento delle otto Zes precedenti, ferme per sei anni con una disponibilità finanziaria ridicola

La coscienza che, come ribadito da Panetta, proprio la sommatoria di criticità, come quelle generate dalle varie guerre, identificano il Mezzogiorno come una delle aree strategiche dell’intera area Mediterranea; una realtà che se non adeguatamente sostenuta a scala nazionale mette in crisi le condizioni di crescita logistica dell’intero Paese

Ora dopo queste dichiarazioni di Panetta sarebbe bene che il Governo nella redigenda Legge di Stabilità proponesse la istituzione di una Conferenza permanente sul Mezzogiorno. Una Conferenza permanente della durata di un semestre da svolgersi a Napoli con la presenza di tutte le Regioni (le otto Regioni del Sud sono una tessera chiave del Paese e quindi è necessario il coinvolgimento di tutte le Regioni), dei Dicasteri interessati, delle Commissioni parlamentari competenti, delle forze sindacali e degli organismi rappresentanti dei grandi assetti produttivi, dell’articolato mondo della finanza.

Una Conferenza permanente, ripeto, della durata di un semestre in cui, riconoscendo questo nuovo processo di rilancio del Sud, si definiscano le condizioni per un riassetto strutturale ed infrastrutturale del Mezzogiorno; si definiscano le condizioni per una crescita stabile di questo processo positivo partito proprio in questo biennio e che non vorremmo terminasse, per colpa di una sottovalutazione delle positività riconosciute da tutti, proprio ultimamente. (ei)

La Calabria prima in Italia per finanziamenti alle mense scolastiche

Con 91,3 mln di euro, la Calabria è la prima regione in Italia per i finanziamenti per la realizzazione e messa in sicurezza delle mense scolastiche.

È quanto emerso dalla pubblicazione della graduatoria del bando Pnrr da 515 milioni di euro, che posiziona la nostra regione leader, seguita da Campania, Lazio, Lombardia e Puglia.

Il Commissario della Lega in Calabria e capogruppo in Commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera dei Deputati, Rossano Sasso, ha voluto esaltare l’impegno del Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, sottolineando il ruolo cruciale che il governo e la Lega hanno avuto nel garantire un’adeguata attenzione al Sud Italia, e in particolare alla Calabria, attraverso questo bando.
«Il lavoro del Ministro Valditara è stato decisivo – ha dichiarato Sasso – per assicurare alla Calabria una quota così significativa di risorse, dimostrando una chiara volontà di ridurre le disuguaglianze territoriali e di promuovere il benessere di studenti, famiglie e lavoratrici del nostro territorio».
«Grazie al Pnrr e alla visione lungimirante del Ministro Valditara, la Calabria sta beneficiando di un’opportunità unica – ha evidenziato – per migliorare le sue infrastrutture scolastiche e garantire un futuro migliore alle nuove generazioni. La Lega continuerà a sostenere questi sforzi, lavorando affinché le risorse vengano utilizzate al meglio per il benessere del nostro territorio».
Per il Ministro Valditara «gli interventi incentivano il tempo pieno, migliorando non solo la qualità dell’istruzione per i nostri giovani, ma anche il supporto alle famiglie e alle donne lavoratrici». (rrm)

Irto (PD): Governo non ignori sulle priorità indicate da Ance

Il senatore del Pd, Nicola Irto, ha evidenziato come «non possono passare nel silenzio le recenti istanze dell’Ance sull’attuazione del Pnrr. Il governo deve rimediare ai propri gravi ritardi, specie per quanto riguarda la progettazione delle grandi infrastrutture, a partire dalle ferrovie».

«L’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza – ha spiegato – dovrebbe essere una priorità del governo, che invece perde molto tempo, spesso su questioni personali di singoli ministri. L’esecutivo di centrodestra è tutto impegnato a spaccare il Paese con l’autonomia differenziata, a definire i Lep in base al costo della vita nei singoli territori, a mantenere gli equilibri interni e a svendere all’estero beni e servizi nazionali strategici».

«Il governo – ha proseguito Irto – non ci vede né ci sente. Perciò gira lo sguardo davanti alle continue lungaggini nei pagamenti dei costruttori e alla necessità di rivedere alla svelta i prezzi dei materiali edili. Eppure, le imprese del settore, che resistono con enormi sforzi, stanno dando un contributo importante alla realizzazione delle opere previste dal Pnrr, all’occupazione e alla crescita dell’economia. Il governo continua a ignorarne le ragioni e i bisogni e, ad oggi, non ha un vero piano rispetto al finanziamento e all’avvio di nuove opere infrastrutturali al termine del Pnrr».

«So bene – ha concluso il parlamentare dem – che parlo di argomenti che non piacciono affatto al centrodestra, incapace di ascolto e di programmazione. Ora, però, è in gioco buona parte del futuro dell’Italia. Se a Palazzo Chigi continuerà a mancare una visione della realtà e la coscienza delle urgenze, il Paese continuerà a sprofondare nell’incertezza e nella crisi». (rp)

Rugna (Ance Calabria): Significativi ritardi nelle opere del Pnrr, soprattuto nelle ferrovie

«Attualmente, si rilevano significativi ritardi nelle progettazioni esecutive necessarie per rispettare le scadenze richieste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), con particolare attenzione alle grandi infrastrutture, come le ferrovie». È quanto ha rilevato Roberto Rugna, presidente di Ance Calabria, nel corso della due giorni organizzata dall’Ance Nazionale a Vico Equense sul tema delle “Opere Pubbliche oltre il 2026”, un’occasione importante per fare il punto sul settore alla presenza di una platea numerosissima di imprenditori, professionisti ed esperti.

Ad affiancare Rugna, Giovan Battista Piercacciante, vicepresidente nazionale di Ance con delega al Mezzogiorno, il presidente e dal vice presidente di Ance Cosenza, Giuseppe Galiano e Vincenzo La Pietra: dal presidente e dal vice presidente di Ance RC Michele Laganà e Herbert Catalano, oltre ai direttori Luigi Leone ed Antonio Tropea.

«Questo ritardo è il risultato di diverse concause, inclusa la debolezza strutturale delle amministrazioni locali, che faticano a far fronte alle complessità delle procedure», ha aggiunto Rugna, spiegando come «secondo i dati aggiornati, il 54% delle opere realizzate fino a oggi riguarda il settore edilizio. È importante ricordare che il Pnrr tocca una vasta gamma di settori; non solo quello delle infrastrutture, ma più della metà degli interventi (56%) si concentra su opere edilizie e infrastrutturali. Le imprese, dunque, stanno facendo la loro parte, sostenendo l’esecuzione di queste opere in un contesto che però presenta difficoltà significative».

«Uno dei principali problemi riscontrati – ha rilevato – riguarda i tempi di pagamento. Sebbene la normativa preveda che i pagamenti debbano avvenire entro 30 giorni dall’emissione del S.A.L. (Stato di Avanzamento Lavori), nella realtà, i tempi si estendono fino a 5-6 mesi. A questo si aggiunge l’impatto del caro materiali, un fattore che ha reso molti lavori economicamente insostenibili, portando a frequenti interruzioni. Le revisioni dei prezzi, fondamentali per adeguarsi all’aumento dei costi, stanno procedendo con molta lentezza. Alcuni adeguamenti sono stati erogati nel 2023, ma restano fermi quelli relativi al 2022 e per il 2024 non si intravedono ancora soluzioni. Questa situazione aumenta ulteriormente l’incertezza sull’effettiva conclusione dei progetti entro il 2026, termine previsto per il saldo finale del Pnrr».

«Al di là delle difficoltà amministrative – ha concluso – un’altra questione che preoccupa riguarda la natura delle opere incluse nel Pnrr. Circa il 70% delle opere non è di natura aggiuntiva, ma si tratta di progetti già esistenti che sono stati ripresi. Sebbene questa scelta sia comprensibile, solleva interrogativi su quali nuove opere saranno finanziate e realizzate dopo il 2026».

Per Perciaccante «la vera sfida sarà capire come il settore potrà continuare a crescere dopo la conclusione del Pnrr. Il futuro del settore edilizio e infrastrutturale dipenderà dalla capacità di immaginare nuove opere che possano avere un carattere propulsivo, simile a quello atteso dai fondi comunitari».

«Resta da vedere, quindi – ha concluso – se il contesto operativo sarà in grado di rispondere a queste esigenze o se continueranno a prevalere le difficoltà attuali». (rrm)

SCUOLE DISEGUALI, CALABRIA PRIMEGGIA
CON DIFFICOLTÀ NEI PERCORSI EDUCATIVI

di ANTONIETTA MARIA STRATI – In Calabria solo un bambino su quattro della scuola primaria ha accesso al tempo pieno, mentre solo il 20,8% degli alunni della primaria e secondaria di primo grado fruisce di una mensa e solo il 25,9% delle scuole ha una palestra, la percentuale più bassa in Italia. È il quadro sconcertante emerso dal Rapporto “Scuole Diseguali. Gli interventi del Pnrr su mese, tempo piene e palestre” di Save the Children, realizzato in occasione della ripresa dell’anno scolastico.

In Calabria, infatti, il tasso di dispersione scolastico è sopra la media nazionale: è dell’11,8% rispetto al 10,5%. Un dato che dimostra, ancora una volta, il divario e le diseguaglianze nell’offerta dei servizi educativi, che compromettono i percorsi di crescita di bambini, bambine e adolescenti, soprattutto nelle regioni del Sud e delle Isole, dove si continuano a registrare, nonostante i miglioramenti, livelli di dispersione scolastica tra i più alti in Europa.

«La scuola rappresenta uno spazio essenziale in cui dare a bambini, bambine e adolescenti uguali opportunità di crescita, contrastando la povertà educativa che oggi rappresenta più che mai un’emergenza», ha sottolineato Giorgia D’Errico, direttrice Affari Pubblici e Relazioni Istituzionali di Save the Children Italia.

«Eppure esistono ancora profondi divari territoriali nell’accesso ai servizi e alle infrastrutture educative – ha concluso – che gli investimenti e gli interventi del Pnrr fino ad ora attivati non sono riusciti a colmare totalmente. Ed è per questo che stiamo attivamente collaborando con la Regione Calabria per la definizione di un quadro organico di azioni volte alla prevenzione e al contrasto della povertà educativa, nell’augurio che questo diventi un pilastro fondamentale della programmazione e degli investimenti regionale».

La Regione, infatti, dispone di quasi 57,5 milioni di euro del Pnrr per 136 interventi interventi per mense, tempo pieno e palestre – di cui 89 per la costruzione, ristrutturazione o riqualificazione di spazi mensa e 47 per il potenziamento delle strutture sportive – per un valore complessivo di circa 57,5 milioni di euro. La provincia che ha avviato il maggior numero di interventi è di gran lunga Cosenza, con 51 progetti del valore di quasi 20,8 milioni di euro. Seguono Crotone (28 interventi per quasi 13,2 milioni) e Reggio Calabria, con 24 progetti per un valore di 8,4 milioni. Catanzaro ha ricevuto 11,4 milioni per 19 progetti, mentre Vibo Valentia attiva 14 progetti con 3,59 milioni di euro. Crotone e Vibo Valentia sono le province che hanno attivato il maggior numero di interventi per le mense rispetto al numero di studenti (rispettivamente 11 e 8,6 interventi ogni 10mila studenti), mentre Crotone e Cosenza quelle che registrano il maggior numero di interventi per il potenziamento delle infrastrutture sportive rispetto al numero di scuole (rispettivamente 7,8 e 5,1 interventi ogni 100 scuole).

Ma, nonostante questa importante somma, dal rapporto è emerso che anche tra le stesse province più svantaggiate – perfino nella stessa Regione – la distribuzione degli interventi per l’accesso al servizio mensa è disomogenea. Ad esempio, la provincia di Reggio Calabria, che ha il numero minore di studenti che accedono alla mensa nella Regione (soltanto l’11,9%) ha ricevuto 5,27 milioni per 16 progetti, ovvero 4,2 ogni 10mila studenti, mentre Cosenza, che ha una percentuale più alta (19,4%) ha ricevuto 12,28 milioni per 37 progetti, ovvero 8,2 ogni 10mila studenti. Le province di Catanzaro (29,3%) e Crotone (22,1%) hanno ricevuto finanziamenti simili, poco più di 6,4 milioni, per attivare rispettivamente 13 e 14 progetti, che però significano per Crotone un’attivazione di 11 progetti ogni 10mila studenti, la metà (5,5) per Catanzaro. Vibo Valentia (30,9% la percentuale di accesso alla mensa più alta a livello regionale) ha ottenuto il finanziamento più basso, 1,98 milioni con i quali attiva 9 progetti, ovvero 8,6 ogni 10mila studenti.

La mensa scolastica è fondamentale per garantire a studentesse e studenti, soprattutto quelli in condizioni di maggior bisogno, il consumo di almeno un pasto sano ed equilibrato al giorno. È, inoltre, un servizio indispensabile nell’ottica di incentivare l’estensione del tempo pieno e quindi di potenziare l’offerta formativa, con benefici sia per i ragazzi, , sia per le famiglie con effetti positivi in particolare per l’occupazione femminile. Eppure solo due alunni della scuola primaria su cinque beneficiano del tempo pieno – con le percentuali più basse in Molise (9,4%), Sicilia (11,1%) e Puglia (18,4%), le più alte nel Lazio (58,4%), in Toscana (55,5%) e in Lombardia (55,1%) – e solo poco più di un quarto delle scuole (il 28,1% delle classi della primaria e secondaria di I grado) offrono il tempo prolungato.

Anche la possibilità di praticare attività sportiva a scuola in una palestra rappresenta una grande opportunità per la crescita di bambine, bambini e adolescenti. Ma, ad oggi, meno della metà (il 46,4%) delle scuole statali primarie e secondarie (I o II grado) hanno una palestra. La Calabria è la Regione con la percentuale più bassa di scuole con una palestra: solo il 25,9% delle scuole (poco più di una su 4) contro il dato nazionale del 46,4%.

La regione ha ricevuto quasi 25 milioni di euro per 47 progetti di potenziamento delle strutture sportive a scuola. La provincia di Vibo Valentia, che il numero più basso di scuole con palestre nella regione (22,4%) ha attivato 5 progetti con un finanziamento di 1,6 milioni, pari a 3,1 interventi ogni 100 scuole, mentre Cosenza – che ha una percentuale leggermente superiore di scuole dotate di strutture sportive, il 23,4% – attiva ben 14 progetti per un valore di 8,5 milioni, pari a 5,1 interventi ogni 100 scuole. 14 progetti anche per la provincia di Crotone (26,8% di scuole con palestra), per un valore di 6,7 milioni e una densità progettuale di 7,8 interventi ogni 100 scuole. Soltanto 6 i progetti attivati a Catanzaro con 4,9 milioni (1,2 interventi ogni 100 scuole), mentre per Reggio Calabria i progetti attivi sono 8 per un valore di 3,16 milioni (2,2 interventi ogni 100 scuole) e una presenza di strutture sportive attualmente in un terzo degli istituti (33,3%).

In generale – si legge nel rapporto – i 433 interventi sulle strutture sportive scolastiche avviati con il Pnrr – sebbene rappresentino un passo importante per promuovere l’educazione motoria a scuola – sono insufficienti a garantire la copertura di palestre su tutto il territorio nazionale e a ridurre i divari tra le province, soprattutto nei territori dove la scuola spesso rappresenta l’unica opportunità per bambini e adolescenti di praticare attività sportiva. In Italia, un minorenne su tre (31,5%) che proviene da famiglie con scarse o insufficienti risorse economiche non pratica attività sportive e tra gli adolescenti di 15-16 anni il 16,2% rinuncia a fare sport perché troppo costoso.

Ciò che emerge, prendendo in considerazione anche i dati delle altre regioni, è una distribuzione disomogenea degli interventi tra le province più svantaggiate e la necessità di integrare le risorse del Pnrr con altri investimenti per garantire livelli essenziali delle prestazioni per l’accesso alle mense scolastiche, e così al tempo pieno, nelle scuole primarie e secondarie di I grado, nonché la presenza di palestre scolastiche su tutto il territorio nazionale, a partire dalle aree del Paese dove la scuola rappresenta spesso l’unica opportunità per bambini, bambine e adolescenti di praticare attività sportiva.

Con il Pnrr, le regioni del Mezzogiorno hanno avviato 767 progetti interventi del valore di 381 milioni e 932 mila euro, il Centro 213 del valore di 139 milioni e 340 mila euro e il Nord 428 del valore di 345 milioni e 650 mila euro. Con un investimento complessivo di oltre 17 miliardi di euro destinati al Ministero dell’Istruzione e del Merito, il Pnrr rappresenta un’occasione unica per garantire uguali opportunità a tutti i bambini, le bambine e gli adolescenti, soprattutto in territori dove la povertà minorile è più accentuata e le famiglie affrontano maggiori difficoltà economiche.

A partire dalla mensa e dal tempo pieno o prolungato, servizi essenziali di contrasto alla povertà educativa e alla dispersione scolastica: ad oggi, poco più di un bambino su due della scuola statale primaria ha accesso alla mensa (55,2%) e solo il 10,5% nella secondaria di I grado, con profonde differenze territoriali. Se nelle regioni del Centro e del Nord si concentrano le province con oltre il 50% di accesso al servizio da parte degli alunni della scuola primaria e secondaria di I grado– con punte del 70% e oltre a Biella e Monza e della Brianza, fino al 91,3% della Provincia Autonoma di Trento – gran parte delle province del Sud sono sotto la media nazionale (che è del 36,9%, considerando sia scuole primarie che secondarie di I grado).

Per Raffaela Milano, direttrice Ricerca di Save the Children Italia, «il problema che abbiamo davanti come Paese non è solo riuscire a garantire la tabella di marcia della spesa, ma fare in modo che le risorse del Pnrr raggiungano effettivamente i territori dove i bambini e le bambine scontano le maggiori difficoltà nel percorso educativo. Il PNRR rappresenta un’occasione unica per superare le disuguaglianze di offerta educativa tra nord e sud, tra centri urbani e aree interne. Ma dall’analisi della distribuzione delle risorse e degli interventi ad oggi avviati, l’obiettivo di riequilibrio sembra raggiunto solo parzialmente».

«È un campanello di allarme – ha proseguito – che deve spingere a realizzare al più presto un’analisi di impatto sulla povertà educativa di tutti gli investimenti della missione 4 del Pnrr, dedicati all’istruzione, in corso ed in programma. Nei territori più svantaggiati, è necessario integrare le risorse del Pnrr con altri fondi disponibili, per garantire un’offerta di servizi educativi a tutti i minori. Allo stesso tempo, giunti a questa fase del percorso, le istituzioni tutte, per i diversi livelli di responsabilità, devono attrezzarsi per garantire la copertura dei costi di funzionamento dei nuovi servizi in via di attivazione grazie al Pnrr – le mense così come gli asili nido – senza che l’aggravio di spesa corrente vada a ricadere solo sui comuni più virtuosi o sulle famiglie, e senza correre il rischio che i nuovi spazi, una volta pronti, restino chiusi per mancanza di risorse umane ed economiche, come purtroppo già tante volte è accaduto in passato». (ams)

Irto (PD): Il ministro Fitto lascia spesa del Pnrr a un quarto del totale

Il senatore del Pd, Nicola Irto, ha evidenziato come «nonostante abbia portato la spesa del Pnrr soltanto a 51,4 miliardi di euro rispetto agli oltre 194 previsti per l’Italia, il ministro Raffale Fitto sarebbe in partenza per fare il commissario europeo a Bruxelles» e «la spesa in questione è ferma a quasi un quarto del totale, con tutto ciò che ne consegue, soprattutto in territori come la Calabria, fortemente bisognosi delle risorse del Pnrr».

«Ancora, per come lo stesso Piano è stato rimodulato, il 65 per cento degli investimenti dovrà essere finalizzato nei primi otto mesi del 2026, entro cui l’Italia dovrà aver raggiunto il 28 per cento degli obiettivi per incassare il 19 per cento dei fondi». «Davanti a questo quadro impietoso, sorprende – ha sottolineato il senatore del Pd – il silenzio assoluto e assordante della Regione Calabria, che, con l’impiego delle risorse del Pnrr, dovrebbe guadagnare terreno in diversi ambiti fondamentali: dalla sanità all’efficienza energetica, dalla digitalizzazione all’inclusione, dalla mobilità sostenibile al turismo».

«Forse non sarà possibile –  ha concluso Irto – rimediare per tempo agli errori e alle lungaggini del centrodestra nell’attuazione del Pnrr. Temiamo, inoltre, che i ritardi cumulati dal governo colpiscano ancora una volta le regioni meridionali, secondo lo schema, divisivo del Paese, che l’esecutivo Meloni sta applicando con l’autonomia differenziata e con il recente taglio di 750 milioni del Fondo complementare del Pnrr».  (rp)