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Al Politeama in scena "Conta che passa la pazza"

CATANZARO – Al Politeama in scena “Conta che passa la pazza”

Domani sera, al Teatro Politeama di Catanzaro, andrà in scena Conta che passa la pazza, un atto unico con Irma Ciaramella e la regia, allestimento scenico e musica di Francesco Maria Cordello.

Lo spettacolo, che rientra nell’ambito del progetto Pro.sa – Professionisti Spettacolo Associati, promosso nell’ambito dei Programmi di distribuzione teatrale, Rete di teatri, con il sostegno della Regione Calabria, è prodotto da Acts – Associazione Culturale Top Spin attiva in campo culturale da tanti anni sul territorio di Ponza.

Sul palco una donna, ingabbiata in una crinolina dal sapore ottocentesco, è in azione in uno spazio, fuori dal tempo, delimitato da tre punti cardinali, raffigurati da tre oggetti simbolici: una caffettiera, una pentola e un coperchio che parlano, nonostante abbia più volte provato a zittirli. La donna non ha nome. Non lo ricorda. E’ lì, nel luogo in cui aspetterà, invano, che qualcuno la riporti a casa. Ma ha fatto calcoli sbagliati, ha dimenticato le virgole e, come spesso succede nelle equazioni, una virgola sbagliata conduce al risultato sbagliato. Si è svestita del ‘troppo’, ma non è ancora libera dal rumore assordante dei suoi pensieri inceppati che le richiamano alla mente ricordi a volte dolorosi. Solo nel gioco, nell’approccio ironico e gioioso, riuscirà ad immaginarsi nuova e desiderosa di ricominciare.

Nelle note di regia, Cordella ha scritto come «il sistema mediatico ha prodotto mezzi che hanno generato spazi e luoghi fasulli in cui è stato modificato il significato dei valori etici, estetici e morali su cui una società evoluta dovrebbe basarsi. Questo ha prodotto spaesamento e disorientamento».

«Le persone hanno perso improvvisamente il loro radicamento e di conseguenza la memoria, patrimonio necessario di una comunità matura. I più fragili, i più sensibili si sono “rifugiati” in patologie come depressione, demenza, Alzheimer – ha aggiunto – Ho inteso ricercare una forma che potesse ricreare uno spazio in cui, ricordare e rappresentare si fondessero in una visione della realtà non convenzionale. Astraendo il concetto di tempo, affinché la condizione patologica di chi si sente diverso, escluso, perduto o abbandonato potesse essere sublimata attraverso l’inclusione in una dimensione poetica che solo l’arte può offrire». (rcz)