ECCO COME FUNZIONERÀ IL FEDERALISMO FISCALE SE DOVESSE PASSARE LA RIFORMA PROPOSTA DA CALDEROLI ;
No all'autonomia differenziata

MISSIONE «AUTONOMIA DIFFERENZIATA»
COSÌ IL NORD “RUBERÀ” RISORSE AL SUD

di DAMIANO BRUNO SILIPO – Il DDL sull’autonomia differenziata prevede che le regioni a statuto ordinario possono chiedere «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» in 23 materie, tra cui istruzione, salute, ambiente, infrastrutture e trasporti, produzione di energia, internalizzazione delle imprese, tutela e sicurezza del lavoro.

Unitamente al trasferimento delle funzioni, vengono trasferite alle regioni le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, necessarie per attuare l’autonoma nelle materie richieste. Per la gestione delle materie oggetto di autonomia, le regioni possono trattenere i tributi equivalenti. Il trasferimento delle funzioni attinenti alla realizzazione dei diritti civili e sociali (scuola, lavoro, previdenza, etc.) è legato alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e dei relativi costi e fabbisogni standard, comunque da definire entro un anno. Altre materie però (infrastrutture, porti, aeroporti, zone economiche speciali, ferrovie, protezione civile, energia) che sono il piatto forte, possono essere trasferite senza aspettare la definizione dei LEP.

Il meccanismo previsto dal DDL Calderoli è simile a quello delle regioni a statuto speciale.

Il punto sostanziale che caratterizza queste regioni è quello di trattenere per sé gran parte delle imposte: la Valle d’Aosta si tiene il 100% di Irpef, Ires (imposta sulle società), Iva e accise sui carburanti; le Province autonome di Trento e Bolzano il 90% e l’80% di Iva; il Friuli-Venezia Giulia il 59% e il 30% delle accise; la Sicilia il 71% dell’Irpef, il 100% dell’Ires e il 36% di Iva; e  la Sardegna il 70% su tutto e il 90% di Iva. Con questi soldi si pagano: sanità, assistenza sociale, trasporti e viabilità locali (che però si pagano in proprio anche Regioni come Lombardia, Toscana e Lazio), manutenzione del territorio, infrastrutture per l’attrazione turistica. La Valle d’Aosta e le due province del Trentino si finanziano anche l’istruzione, ovvero gli stipendi degli insegnanti.

Lo Stato paga tutto il resto: le spese per la giustizia (procure e tribunali), le forze dell’ordine, le infrastrutture di carattere nazionale (come la rete ferroviaria, i trafori, pezzi di autostrada, a partire da quella del Brennero), i servizi Inps, oltre alla macchina politica e amministrativa statale. Tutte spese che sono finanziate dalla fiscalità generale, alle quali queste regioni non partecipano, o lo fanno in piccola parte.

La similitudine fra le regioni a statuto speciale e il DDL Calderoli consiste nel principio che ogni Regione possa negoziare con lo Stato i settori che intende gestire in proprio, trattenendo i tributi equivalenti.

Per capire cosa cambia con il DDL Calderoli, basta considerare l’esempio della sanità. Con l’avvento del Sistema Sanitario Nazionale ad ogni regione fu assegnata nella spesa sanitaria una cifra pro-capite eguale, corretta con indici di bisogno sanitario, sulla base del principio che a tutti i cittadini devono essere garantiti i livelli essenziali di assistenza. Il fabbisogno standard fu quindi identificato con la spesa media nazionale, introducendo così la regola di un gioco a somma zero: le regioni con una spesa sanitaria storicamente superiori alla media dovevano cedere risorse alle regioni più svantaggiate. Difatti al Lazio, che partiva da 33% di spesa sanitaria superiore alla media, fu ridotto lo scarto all’11% e alla Calabria, che partiva da -21%, fu ridotto lo scarto a -12%. Per avere la stessa spesa pro-capite in sanità, oggi sette regioni del Sud ricevono fondi perequativi da quelle del Nord, per un ammontare di 5-6 miliardi all’anno. Con il DDL Calderoli tutto questo non sarà più possibile, perché, se tutte le regioni del Nord chiederanno l’autonomia in sanità, non dovranno più contribuire ad alcun fondo perequativo. Le regioni del Mezzogiorno potranno contare solo sulle proprie entrate fiscali o sul contributo di uno Stato indebolito nelle proprie capacità fiscali e d’indebitamento.

Se si aggiunge che secondo la riforma del Titolo 5, le regioni potrebbero realizzare intese tra di loro per costituire organi comuni per la gestione di infrastrutture o altro, la realizzazione della Macroregione del Nord diventerebbe lo Stato sostanziale dentro uno Stato formale che sarà svuotato di poteri e contenuti.

Nella discussione sul provvedimento grande rilievo è stato dato alla definizione dei LEP. Quand’anche fosse vero che i LEP verranno definiti in tempi brevi, cosa cambia per il Mezzogiorno? L’autonomia differenziata di Calderoli non è subordinata alla realizzazione dei LEP. Anzi, essa comporterà che i LEP non verranno mai realizzati su tutto il territorio nazionale.

In passato lo Stato è intervenuto con la regola della golden share per impedire che settori strategici come l’energia, l’acqua, le reti di comunicazione e mobilità venissero acquisite da imprese straniere o private. Con il trasferimento di questi settori alle regioni viene meno anche il concetto di  interesse nazionale, perché ogni regione può decidere cosa fare di queste risorse. Cosi come, di fronte ad una futura crisi energetica, invece di avere  Draghi o Meloni che vanno a trattare con altri Stati per avere più gas o petrolio, potremmo avere 20 presidenti di staterelli sovrani che vanno a contrattare la stessa cosa. Per non parlare dell’istruzione o della ricerca, dove ogni regione potrà perseguire obiettivi diversi, comunque su una scala ridotta. Così, l’Italia, che già sconta un deficit nella ricerca, sarà definitivamente condannata a rimanere ancora più indietro, perché le dimensioni di scala nella ricerca sono fondamentali. Le maggiori spese in ricerca e sviluppo di alcune regioni non potranno mai compensare la perdita nella capacità di progettare il futuro di un intero sistema universitario e produttivo nazionale nella ricerca.

Comunque, il DDL Calderoli non motiva mai perché spostare questi poteri dallo Stato alle regioni potrebbe migliorare la situazione per i cittadini italiani, e come le stesse regioni potrebbero far fronte ai nuovi poteri, del tutto simili a quelli di uno stato sovrano. Efficienza vuol dire che con le stesse risorse le regioni sarebbero in grado di produrre di più dello Stato, non significa che produce di più chi ha più risorse. E non c’è molta evidenza al riguardo.

Le conseguenze per il Mezzogiorno

Ipotizziamo che le regioni del Nord chiedano l’autonomia in tutte le 23 materie previste. Esse quindi potranno trattenere gran parte o tutte le entrate fiscali e, come avviene già oggi nelle regioni a statuto speciale, potranno garantire stipendi più alti ai propri lavoratori o favorire ancora di più le imprese, o migliorare ulteriormente i servizi sanitari. Oggi nelle regioni a statuto speciale la spesa pro-capite per i propri cittadini è di 7.096 euro, contro i 3.688 delle altre regioni.

Per converso, ipotizziamo che nessuna delle regioni meridionali chieda l’autonomia. Non avendo sufficienti entrate fiscali proprie, continueranno a chiede il sostegno dello Stato, per garantire i servizi essenziali o altro. Però lo Stato potrà contare solo sulle entrate fiscali delle regioni meno ricche e si ridurrà anche la propria capacità d’indebitamento. Tra l’altro, il processo di riduzione del divario nei servizi sanitari tra regioni s’interromperebbe.

I cittadini meridionali, attratti da opportunità di lavoro e servizi migliori, salari più alti avranno ancora di più l’incentivo a trasferirsi al Nord, per lavorare, studiare o curarsi.

Il Meridione perderebbe attrattiva anche come mercato di sbocco delle merci prodotte al Nord, perché si ridurrebbe la capacità di spesa delle regioni meridionali. Se si considerano gli effetti dell’ulteriore perdita di capitale umano che subirà il Meridione, è facile prevedere le conseguenze di questo DDL sull’ulteriore allargamento del divario Nord-Sud. È prevedibile anche che una ulteriore divaricazione tra regioni più ricche e regioni più povere creerà tensioni tra i cittadini del Sud e del Nord, ed andrà a lacerare l’unità nazionale.

Le conseguenze per l’Italia

La conseguenza più devastante del DDL Calderoli non è però l’allargamento del divario Nord-Sud, ma il fatto che lo Stato perde gran parte della propria ragion d’essere, ovvero la capacità d’imporre tasse e di spendere. La politica economica nazionale e la legge di bilancio diventerebbero poco rilevanti per la vita dei cittadini.

Se la burocrazia statale perde potere, tutte le rimanenti quindici regioni a statuto ordinario potranno trasformarsi in piccoli stati sovrani, ciascuno con leggi, funzioni e risorse differenziate. La complessità amministrativa crescerebbe esponenzialmente, questa volta su tutto il territorio nazionale, con il rischio di rendere la vita a imprese e cittadini assai difficile, dovendo confrontarsi con 20 legislazioni regionali differenti sulle stesse funzioni. Esattamente l’opposto di quanto chiede l’Unione Europea per l’erogazione dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Un governo responsabile non farebbe nulla per peggiorare la situazione burocratica del Paese, almeno fino al 2026, entro cui bisogna realizzare i progetti del PNRR.

Quello che è più preoccupante è che il DDL aumenterà la possibilità di default dello Stato italiano. Al riguardo, si può dire che il DDL Calderoli si configura come un atto eversivo. Il difficile equilibrio tra elevato debito pubblico e capacita’ di vendere il debito sui mercati si basa sulla fiducia che lo Stato, con le sue entrate fiscali, sarà in grado di ripagare il debito. E’ utile ricordare che il governo Berlusconi è stato costretto a dimettersi proprio per la necessità di ristabilire questa fiducia. L’autonomia differenziata mina dalle fondamenta questa fiducia, perché toglie al governo centrale gran parte del potere reale di coprire eventuali buchi di bilancio con nuove tasse o tagli di spese, essendo questi poteri in gran parte trasferiti alle regioni. D’altra parte, riproporre, come si fa adesso con le regioni a statuto speciale, un meccanismo con cui lo Stato prima attribuisce generose compartecipazioni ai tributi alle regioni per poi toglierle in parte per finalità di solidarietà nazionale o per ripagare il debito, appare quanto meno singolare. Al riguardo, non può essere certamente il presidenzialismo il contro-bilanciamento all’autonomia differenziata.

Questa legge è frutto della vittoria del centro-destra, ma anche degli errori del centro-sinistra. Infatti, è stato un governo di centrosinistra che nel 2001, con l’illusione di sterilizzare le spinte federaliste del Nord, che ha attuato la riforma del Titolo V della Costituzione. Inoltre, fu un governo di centrosinistra che nel 2018 sottoscrisse le pre-intese con Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna per il trasferimento di funzioni alle regioni,  ed in entrambi i casi non evitò al centrosinistra di perdere le elezioni.

Tra l’altro, il DDL dà il via libera alla realizzazione delle pre-intese con le tre regioni per la realizzazione dell’autonomia differenziata.

L’autonomia differenziata nasce da spinte secessioniste delle regioni ricche, ma viene giustificata con la necessità di dare una scossa al Mezzogiorno, che sarebbe costretto ad usare in modo più efficiente le risorse. Ma il principio di Pareto sostiene che una nazione sta meglio quando una parte dei propri cittadini migliora la propria condizione senza peggiorare quella degli altri. L’autonomia differenziata di Calderoli determinerà il miglioramento della condizione di alcuni a discapito di altri.

Non c’è dubbio che le classi dirigenti meridionali, con il loro ascarismo e gattopardismo, abbiano alimentato questo disegno. Non c’è dubbio che la sinistra quando è stata al governo nazionale o alla guida delle regioni meridionali non ha saputo mettere in campo un programma di sviluppo per il Mezzogiorno in grado di ridurre il divario. Ma il DDL Calderoli, più che contro il Meridione, si configura come un atto eversivo contro la Nazione, contro i governi nazionali, che non sarebbero più in grado di fare politiche nazionali,

Nel breve periodo le regioni del Nord trarranno vantaggi dall’autonomia differenziata. Ma siamo sicuri che, in una dimensione globalizzata, ridurre il potere del governo di fare politiche globali e nazionali sia vantaggioso per le stesse regioni del Nord? Comunque, questo DDL mina alla base la possibilità di ridurre il divario tra Mezzogiorno e Centro-Nord, acuirà le tensioni ed aumenterà la povertà nel Mezzogiorno. Per non distruggere anche il sogno di costruire un’Italia e un Mezzogiorno migliori di come sono oggi occorre reagire, essere capaci di fare proposte alternative, su cui creare una mobilitazione popolare. Qui le strade possono essere due.

Riproporre, come ha fatto il presidente Giorgia Meloni nel 2014, anche provocatoriamente, di abolire le regioni, oppure, più realisticamente, fare una controproposta in cui una qualche forma di autonomia viene garantita alle regioni, salvaguardando però le competenze e il ruolo dello Stato nella realizzazione degli obiettivi macroeconomici, tra cui quella della riduzione del divario tra Mezzogiorno e Centro-Nord, e la sua capacità di ripagare il debito pubblico. Il che comporta l’impossibilità per le regioni di trattenere interamente o quasi le tasse nei propri territori. Questo però è possibile solo se si riuscirà ad impedire al DDL Calderoli di andare avanti.

(Courtesy OpenCalabria)

Damiano Bruno Silipo è professore di Banking and Finance all’Università della Calabria. Ha conseguito il Ph.D. in Economics alla University of York (UK) ed ha insegnato in varie università straniere, tra cui Queen Mary University of London e la University of Connecticut (USA). I suoi principali interessi di ricerca riguardano l’economia dell’innovazione, il comportamento bancario e lo sviluppo territoriale.

 


Il disegno di legge Calderoli sull’autonomia differenziata, approvato il 2 febbraio scorso, è l’atto più importante dall’avvento della Repubblica, che cambierà l’Italia come la conosciamo oggi ed avrà conseguenze decisive sul futuro della nazione e sulla vita dei cittadini. Mette in discussione la stessa natura dello Stato. Eppure è passato quasi in silenzio, come se fosse una qualsiasi legge: scarsissimo dibattito e scarsa opposizione nel Paese. Certamente ha pesato la scarsa consapevolezza degli italiani, che presi dalle difficoltà quotidiane, non hanno percepito la portata e le conseguenze di questo provvedimento, Ma ha contribuito anche la modalità di approvazione del DDL, che ha esautorato il parlamento dall’intero processo. Che cosa cambia con il DDL Calderoli? Si potrebbe dire che non cambia nulla per cambiare tutto. Non cambia nulla, nel senso che tutto viene realizzato a legislazione vigente. Cambia tutto, perché le conseguenze nel lungo periodo saranno la fine dello stato unitario come lo conosciamo oggi. (OpenCalabria)