L’OPIONE / Francesco Garofalo: È tempo di alzare la testa contro l’autonomia

di FRANCESCO GAROFALO – È tempo di alzare la testa. Facciamo nostro l’appello di Mons. Francesco Savino, Vescovo di Cassano All’Jonio e Vice Presidente della Conferenza Episcopale Italiana. I governatori, i sindaci, gli amministratori, i sindacati gli studenti, i lavoratori, gli ordini e le categorie professionali e gli insegnanti facciano fronte compatto e diano battaglia sul disegno di legge sull’autonomia differenziata.

Senza indicare i livelli essenziali delle prestazioni, che servono a stabilire i livelli minimi di servizi di cui un territorio ha bisogno, senza applicare integralmente la perequazione per le zone economicamente più povere, negando così trasporti, cure mediche, scuole e infrastrutture nelle nostre città, si stabilisce per legge dello Stato che in una parte del Paese i diritti non valgono niente.

Questo articolato, se approvato definitivamente, sarebbe un ulteriore colpo alle popolazioni del Sud che già di per sé, vivono enormi disagi per quanto riguarda per esempio, sul fronte dell’offerta dei servizi socio sanitari. Inoltre, rischia di cristallizzare, se non ampliare, le disuguaglianze oggi esistenti tra cittadini che fruiscono di certi servizi, a un certo livello, e cittadini destinati a non beneficiarne o a beneficiarne in termini del tutto insufficienti. I padri costituenti hanno posto dei principi fondamentali per evitare che vi siano divari tra le diverse realtà.

Non bisogna mai dimenticare che la nostra Costituzione è nata dalle macerie nefaste della guerra e del regime fascista, e frutto della convergenza delle anime laiche e cattoliche. Così come, auspico e mi auguro, come sta avvenendo in tanti Comuni italiani, il Consiglio Comunale di Cassano, approvi un documento contro l’autonomia differenziata e che le forze politiche facciano la loro parte su una problematica d’interesse nazionale. Chiunque avrà l’onore di guidare le istituzioni locali, nel prossimo futuro dovrà pensare soprattutto a questo: ai giovani che aspettano solo una buona occasione per investire qui il proprio talento e contribuire al progresso della terra in cui sono nati e in cui hanno il diritto di crescere, lavorare e vivere.

Il Presidente Sergio Mattarella, ci ha ricordato di recente a Trento, capitale europea del volontariato, che «abbiamo bisogno di solidarietà, di esprimerla e di riceverla, per sentirci parte di una comunità e della sua storia che va avanti. La solidarietà, peraltro, è una pietra angolare degli ordinamenti. La nostra Costituzione la riconosce come presupposto di uno sviluppo davvero civile».

LA CALABRIA SE L’AUTONOMIA SARÀ LEGGE
DA “CENERENTOLA” A “BADANTE DEL PAESE”

di GREGORIO CORIGLIANO – Davvero non cambia nulla per il Sud e per il Paese con il ddl Calderoli sull’autonomia differenziata?

E allora perché si fa, verrebbe da chiedersi. La verità, a stare attenti e a leggere le carte con sufficiente attenzione, è che non cambia solo per il Sud, ma per tutto il Paese. Come è stata concepita, la riforma consentirà di fatto la nascita di 20 repubbliche autonome con evidenti regole differenti. Come dire che si tornerà allo Stato preunitario fatto di staterelli, uno diverso dall’altro.

E quel che altrettanto conta è che ci saranno leggi e regolamenti diversi per ogni regione, che potrebbe pure non chiamarsi Regione, a questo punto, ma Repubblica autonoma della Calabria, per esempio. Con Sigla ReACal, tanto per dire. Per differenziarla dalla Re.A.Pi. E le amministrazioni locali ne soffriranno anche loro le conseguenze o gli effetti perversi, perché i sistemi amministrativi saranno profondamente differenti. E gli imprenditori che devono investire in Calabria o in Lombardia?

Ognuno avrà a che fare con legislazioni diverse. Ed i medici, anche loro. Gli stipendi saranno uguali in tutto il Paese, come dice la Meloni, in tutta la nazione?

Certo che no. Ed a quel punto, se già lo è oggi, figurarsi quando il ddl sarà legge.

Ci sarà pure una Regione, o uno staterello, che paga di più o no? Certo, ed allora medici e paramedici scapperanno là! E i docenti, la stessa cosa. Ognuno andrà dove si guadagna di più, se per andare da uno Stato all’altro non ci vorrà il passaporto. Calderoli mette le mani da dentista avanti e dice che ci saranno i Lep. Se questi saranno come i Lea, staremo freschi. Già scappano oggi per il Nord, se non per l’estero, come pure sta avvenendo. E quindi i cittadini non saremo tutti uguali, o no?

Come sarebbe possibile garantire a tutti i meridionali il tempo pieno a scuola, come succede per ogni famiglia settentrionale, senza i finanziamenti adeguati.

E questi vanno avanti, con leggerezza e col sorriso sulle labbra, tanto chi vivrà, appunto, vedrà. Perché si dice che si tratta di autonomia differenziata. Forse perché saranno “valorizzate” le differenze ambientali, storiche e culturali delle regioni? E se la Calabria, come scriviamo tutti i giorni, è la cenerentola del Paese, col ddl sarà addirittura la badante del Paese. Al Nord, infatti, è concentrata la produzione industriale vera e propria dell’Italia, e con la differenziata, avrà maggiori benefici! O no? E la meraviglia è che parlamentari del Sud, e politici meridionali, hanno votato a favore. Come si fa? A me pare, come dice il Laboratorio civico, un abominio. E le voci di quanti dicono “niet” a Calderoli sembrano “vox clamans” nel deserto di un Pese che sta vivendo, una mutazione che più radicale non si può. Un sussulto di coscienza dei politici calabresi e meridionali viene auspicato, ma ad oggi, il segno di vita è assai flebile.

Daranno un segno? Forse, quando, probabilmente sarà troppo tardi.

Come per la Zes, la zona economica speciale la cui riforma, a parere di uno che se ne intende, come il presidente della Puglia Emiliano, porterebbe ad una riedizione della Cassa per il Mezzogiorno. E perché l‘ex presidente della Corte costituzionale De Siervo parla di riforma precaria ed impugnabile in modo agevole? Perdono tutti i cittadini italiani con il ddl Calderoli: Certo, dice De Siervo, si rischia un periodo di insicurezza e di tensioni tra Regioni più forti e regioni più deboli.

Ecco perché gli oppositori parlano di decreto Spacca Italia, con un Nord potente ed un Sud misero ancor di più. Eppure c’è stato un periodo in cui si parlava di abolizione delle Regioni o di rivisitazione delle stesse, a distanza di mezzo secolo dalla loro istituzione ed invece adesso non solo non si cambiano in maniera più efficiente con l’esperienza acquisita, ma addirittura si peggiorano.

Ecco perché, se dovesse passare definitivamente, come passerà, non resta, detto adesso, che impugnare di fronte ai Barbera ed alla Consulta, perché viene violato l’attuale assetto unitario ed a perdere non sarà solo Calderoli, al quale non credo interessi molto, ma tutti gli italiani.

E Poi, piangere il morto, come diceva l’antico detto, sempre attuale, saranno lacrime perse.

E l’incorreggibile Kociss sarà sempre vivo e vegeto ma non tornerà più a occuparsi molari e premolari! (gc)

Pd Calabria: Governo ascolti l’allarme dei vescovi calabresi

«Sull’autonomia differenziata, il governo di centrodestra e la sua maggioranza ascoltino il monito dei vescovi calabresi, che sono al di sopra delle parti». È l’appello lanciato dal Partito Democratico calabrese, sottolineando come «i vescovi calabresi hanno avvertito che il disegno di legge in questione rischia di minare il principio di unità e solidarietà nazionale, di compromettere il diritto alla salute e quello all’istruzione, di inficiare l’accesso ai servizi essenziali che lo Stato deve garantire a tutti i cittadini nella stessa misura».

«Nell’esprimere netta preoccupazione per l’autonomia differenziata, la Conferenza episcopale della Calabria – continuano i dem calabresi – ha osservato che, riguardo alla determinazione dei Livelli essenziali di prestazione, c’è un precedente: l’esperienza fallimentare dei Livelli essenziali di assistenza. Nello specifico, la stessa Conferenza ha poi valutato che con questi strumenti si giustifica una formale uguaglianza di trattamento, coprendo, in realtà, un’inaccettabile disparità tra le persone».

«Nel dibattito parlamentare sul regionalismo differenziato, il governo e la sua maggioranza – ha sottolineato il senatore Nicola Irto, segretario del Partito democratico della Calabria – si sono mostrati ciechi e sordi davanti ai nostri ragionamenti. Difatti, hanno presentato il provvedimento in discussione come un’opportunità per il Sud, che invece verrà sganciato definitivamente dal resto della nazione».

«Ancora una volta mi auguro che i parlamentari meridionali del centrodestra, a partire da quelli calabresi, interroghino la loro coscienza e difendano l’eguaglianza dei cittadini, principio democratico – ha concluso Irto – al centro delle riflessioni della Conferenza episcopale della Calabria». (rcz)

I vescovi calabresi: Autonomia rischia di essere motivo di ulteriore divario tra Nord e Sud

Il disegno di legge sull’autonomia differenziata, approvato in Senato, «rischia di diventare di ulteriore divario tra Sud e Nord, tra aree sviluppate e regioni più povere, minando il principio di unità e solidarietà e compromettendo il diritto alla salute, all’istruzione e l’accesso ai servizi essenziali che lo Stato dovrebbe garantire in forma eguale a tutti i cittadini». È la preoccupazione espressa dalla Conferenza Episcopale Calabra, presieduta da mons. Fortunato Morrone, arcivescovo di Reggio Calabria-Bova, nel corso della sessione invernale, svoltasi nei giorni scorsi al Seminario Arcivescovile Pio XI di Reggio.

«La determinazione dei Livelli essenziali di prestazione (Lep), prevista dal disegno di legge – spiegano i vescovi calabresi – ricorda l’esperienza fallimentare dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) che, come è facilmente riscontrabile, non hanno assicurato un’uniformità del Servizio sanitario nazionale. Queste misure, invece, vengono presentate come utili soltanto per giustificare una formale uguaglianza di trattamento, ma in verità coprono una inaccettabile disparità che ricorda la famosa espressione orwelliana: “Alcuni sono più uguali degli altri”».

Una due giorni molto intensa, dove i vescovi della Calabria hanno accolto fraternamente S.E. Mons. Giuseppe Alberti, nuovo vescovo di Oppido – Palmi, che per la prima volta ha partecipato ai lavori della Cec. Durante il primo giorno della sessione invernale è stato eletto il nuovo vicepresidente della Conferenza episcopale calabra: è Monsignor Claudio Maniago, arcivescovo di Catanzaro – Squillace. Subentra a Monsignor Francesco Milito, vescovo emerito di Oppido – Palmi, che nei mesi scorsi ha concluso il servizio di vicepresidente della Cec per raggiunti limiti di età: tutti i vescovi hanno espresso un sincero ringraziamento a Monsignor Milito per il lavoro svolto con competenza e dedizione in seno alla Conferenza ed a servizio della diocesi pianigiana.

I vescovi hanno poi manifestato concreta vicinanza agli agricoltori che in queste ore stanno manifestando il proprio dissenso rispetto alle politiche agricole dell’Unione Europea. Dagli accordi al ribasso fino alle norme sull’abbandono dei terreni, è in gioco anche il futuro della Calabria. I presuli auspicano un deciso ed unito intervento della politica calabrese a supporto degli agricoltori della Regione.

Durante i lavori è stata posta una rinnovata attenzione ai contributi delle varie Commissioni della Conferenza episcopale calabra affinché possano meglio mettere in atto il Cammino sinodale delle Chiese di Calabria: il lavoro delle Commissioni, infatti è espressione della comunione tra le diocesi e deve favorire scelte comuni per la crescita spirituale della regione.

Sono stati ascoltati i rappresentanti della Confederazione delle Confraternite delle Diocesi d’Italia: la Vicepresidente per il meridione, dottoressa Lia Coniglio, e l’assistente spirituale nazionale, il vescovo Michele Pennisi. Entrambi hanno descritto il valore attuale delle Confraternite e hanno raccomandato di puntare sulla formazione, per superare tradizionalismi che non rispondono più alle esigenze del tempo presente.

I rappresentanti della Federazione Calabra della Confederazione dei Consultori Familiari di Ispirazione Cristiana, avvocato Raffaele Cananzi, dottor Roberto Pennisi, dottoressa Giovanna Tripodi, don Francesco Cuzzocrea, hanno evidenziato l’importanza che queste preziose istituzioni, a servizio della Vita e della Famiglia, e hanno auspicato che esse siano presenti e favorite in ogni diocesi.

I vescovi hanno, poi, continuato ad approfondire la riflessione operativa riguardante il cammino di qualificazione dell’Istituto teologico calabro e i processi necessari per una formazione dei presbiteri della regione sempre più adeguata alle necessità dei tempi e della nostra terra.

Al termine dei lavori, i vescovi hanno provveduto a nominare Monsignor Giuseppe Alberti quale Vescovo delegato per la Commissione per il Laicato, la Consulta per le Aggregazioni Laicali, la Commissione per il Lavoro, i Problemi Sociali, la Giustizia e la Pace. (rrc)

NELLA COERENZA DELLE CONTRADDIZIONI
SOLO LA CHIESA HA CAPITO L’AUTONOMIA

di MIMMO NUNNARI – C’è un aspetto non considerato nella polemica che si è accesa sulle conseguenze che comporterà l’introduzione dell’Autonomia differenziata se mai arriverà al traguardo e non riguarda solo la divaricazione Nord Sud che inevitabilmente si accentuerà malgrado le ipocrite rassicurazioni della Lega il movimento nato separatista che ha sempre avuto l’obiettivo di disarticolare l’unità morale sociale e politica del Paese.

Il traguardo sogno della Padania poco più di trent’anni dopo passando da Bossi a Salvini potrebbe ora essere raggiunto, paradossalmente con l’aiuto determinante di FdI: la forza politica erede di movimenti di destra e post fascisti che fino a poco tempo fa innalzavano orgogliosamente la bandiera dell’antiregionalismo e della patria unita.

Senza andare troppo indietro nel tempo, quando Giorgio Almirante, segretario nazionale del Movimento Sociale Italiano, affermava che le Regioni sarebbero state “carrozzoni clientelari e di potere” e votò contro la loro istituzione, insieme a liberali e monarchici, basterebbe adesso ricordare quando nel 2014 l’attuale presidente del Consiglio Giorgia Meloni allora esponente di Alleanza Nazionale presentò in Parlamento un progetto di riforma costituzionale – insieme al collega Edmondo Cirielli, l’attuale viceministro degli Esteri – che prevedeva l’abolizione delle Regioni tout court.

È questa l’Italia: il Paese delle conversioni per opportunismo e per convenienza, del trasformismo e degli intrighi. Aveva ragione lo scrittore Guido Morselli: “Negli uomini, non esiste veramente che una sola coerenza: quella delle loro contraddizioni”.

È questa l’Italia alla perenne ricerca di stabilità e identità: Il Paese dove non si è mai riuscito a saldare moralmente e culturalmente – con un visione suprema dello Stato –  territori dalla Sicilia alle Alpi.

Oggi, sembra che tutti in Parlamento abbiamo dimenticato – anche i “45” senatori di centrodestra del Sud che hanno chinato il capo come i sudditi – che il fanatismo e l’egoismo delle leghe nordiste è un veleno che corrode la solidarietà di cui il Mezzogiorno e le aree più deboli hanno bisogno.

Solo la Chiesa sta parlando con chiarezza: “È questo un modo per diventare più solidali, sapendo del grande divario che c’è tra una parte e l’altra d’Italia”? ha commentato il segretario di Stato Vaticano cardinale Pietro Parolin dopo il voto del Senato. E pochi giorni prima un avvertimento pesante era giunto da Matteo Maria Zuppi presidente della CEI: “Attenti i vescovi del Sud sono sul piede di guerra”.

La questione non è solo ciò che un domani potrà accadere ma ciò che sta già accadendo oggi, con uno scenario politico parlamentare terreno di scontro duro, come nell’epoca post risorgimentale e con i giornali nazionali che sulla scia di questa contrapposizione si schierano a favore o contro una causa, a sostegno o contro le forze politiche, tornando a quel vizio d’origine del giornalismo italiano che ha condizionato a lungo la sua funzione e il suo sviluppo, non solo nel ventennio fascista. Si sta facendo un tipo di giornalismo votato alle cause da sostenere, delle parti politiche da assecondare, e poco attratto dall’esigenza di informare con correttezza con il fine precipuo di comunicare notizie e di interpretare i gusti e le esigenze dei lettori e di informare a tutto campo. Anche per questo i giornali nazionali continuano a perdere lettori. Un secolo e mezzo dopo l’Unita’, i mezzi della comunicazione risentono ancora di quel vizio d’origine che malauguratamente si riflette nelle vicende storiche del Paese, anch’esse, per mancanza di visioni, tornate all’epoca dei contrasti e delle fratture politiche che allontanarono e oggi ancora allontanano il Mezzogiorno dall’Italia e dall’Europa, delegittimando i valori etici-politici dello Stato unitario. (mnu)

L’OPINIONE / Giuseppe Sera: Con autonomia si concretizza disprezzo del Governo per il Sud

di GIUSEPPE SERA – Registriamo, con sdegno ed incredulità, la violenza inarrestabile dell’attuale governo verso il sud e i suoi cittadini. Il sì del Senato al ddl sull’autonomia differenziata, approvato in Senato con i voti della maggioranza, sancisce in maniera inequivocabile il disegno, non tanto occulto, delle destre di creare un Italia a due velocità.

La non definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni produrrà per le tante Regioni del Sud Italia ingiustizie marcate e non giustificabili per un paese democratico. Tra le materie che le Regioni potranno gestire da sole ci sono: tutela della salute, l’istruzione, tutela e sicurezza del lavoro e perfino trasporto e distribuzione nazionale dell’energia.

Il divario incolmabile, per entità di spesa, tra le regioni del sud rispetto alle regioni del nord prefigura una situazione nella quale i più colpiti sono i cittadini sfortunati di una parte della Nazione. L’autonomia differenziata, senza prima aver armonizzato e avviato i Lep, può diventare un elemento di rottura della solidarietà di un Paese in ambiti essenziali come la sicurezza e la sanità; un cittadino italiano non può avere un destino diverso a seconda di dove nasce.

Infine risulta inquietante l’assurdo “silenzio assenso” di tutti i presidenti delle regioni del sud amministrate dalla destra i quali anteponendo gli interessi politici al bene dei cittadini dei loro territori partecipano con l’inganno al disegno funesto della Lega e degli alleati del governo.

L’unità d’Italia messa a rischio, non tanto negli aspetti territoriali, ma nei diritti dei cittadini, in contrapposizione a quanto uno Stato Democratico deve garantire nelle sue diverse manifestazioni.  Ed è proprio questa mancanza di responsabilità che impone una seria riflessione sulle azioni che siamo chiamati ad intraprendere per evitare che i nostri figli debbano rimpiangere il fatto di essere nati nel nostro meraviglioso Sud. (gs)

[Giuseppe sera è del gruppo Pd in Consiglio comunale di Reggio Calabria]

L’OPINIONE / Giuseppe Falcomatà: Ci siano restituite le risorse dei Fondi della Coesione

di GIUSEPPE FALCOMATÀ – Vorrei fare i complimenti per come è stato organizzato questo Consiglio comunale aperto, con un approccio costruttivo e concreto, da amministratori. Ho ascoltato con attenzione l’introduzione del sindaco Sandro Repaci, mi ha fatto riflettere sugli errori che spesso gli amministratori pubblici commettono rispetto al dibattito sul Ponte sullo Stretto, ossia non concentrarci su cosa ruota attorno a questa grande opera pubblica.

Un punto di vista ed una discussione che non si limita alla sola infrastruttura o ad un approccio influenzato prettamente dall’ideologia, tra chi è comunque ragionevolmente favorevole e chi allo stesso modo è contrario.

Fra i vari commenti, ho ascoltato quelli di chi, come rappresentanti istituzionali, aveva timore di avviare opere pubbliche per paura delle infiltrazioni mafiose. Non possiamo permettere a nessuno di dire che questo Ponte non unirà due coste, ma due cosche. Chi l’ha detto se ne deve assumere la responsabilità. Noi sappiamo cosa significa fare i sindaci, i consiglieri comunali, al Sud, in Calabria, nella nostra provincia, non servono le statistiche o gli elenchi dei amministratori minacciati per ricordarci quanto sia gravoso il nostro lavoro. Allo stesso tempo noi la criminalità la contrastiamo e faremo sempre di tutto affinché le necessarie opere pubbliche, per il bene collettivo, siano realizzate per i territori.

Oggi la domanda non è più: Ponte sì o Ponte no. Siamo già più avanti rispetto a questa domanda che poteva valere fino a quando il decisore politico non aveva ufficialmente attivato questo processo. Il dubbio che dobbiamo sciogliere ora è che ruolo giocare come Enti pubblici territoriali, decidere se subire la decisione oppure governarlo, da protagonisti, accendendo i fari su tutto quello che saranno le fasi di approvazione del progetto esecutivo, avvio lavori lavori e completamento. Questo è il nostro ruolo.

Per quanto mi riguarda, sul Ponte ci sono anche dei ‘no’ Ponte. Ad esempio diciamo no ai progetti ‘calati dall’alto’, senza il protagonismo dei territori. Diciamo di no ad un progetto che ci priva dei Fondi di Coesione, risorse che la Costituzione stabilisce che siano aggiuntive, e non sostitutive, per far crescere lo sviluppo di aree in difficoltà rispetto alle regioni più ricche. Ad oggi, invece, circa un miliardo di euro di fondi previsti per la Coesione, previsti per le regioni Sicilia e Calabria, stanno dentro il progetto del Ponte. Si tratta di risorse marginali se pensiamo all’investimento generale dell’infrastruttura, ma che risultano invece decisive per i nostri territori.

Non sono d’accordo su quanto dichiarato nei giorni scorsi dal viceministro alle Infrastrutture, Edoardo Rixi, a Reggio Calabria, che quelle risorse sono state prelevate perché le Regioni Calabria e Sicilia non hanno capacità di spesa. Si tratta di un incidente istituzionale poco consono anche nei confronti di chi le governa.

Un altro ‘no’, infine, lo diciamo ad un Ponte che con il progetto scellerato dell’autonomia differenziata, rischia di voler unire un’Italia di fatto divisa, tra chi ha già tutto e avrà ancora di più e chi invece avrà sempre meno. (gf)

[Giuseppe Falcomatà è sindaco di Reggio]

L’OPINIONE / Filippo Veltri: Calderoli, l’ultimo giapponese

di FILIPPO VELTRI «È il maiale di prosciutti di Calderoli, ne ha un allevamento…»: la battuta di Pierluigi Bersani, l’altra sera ad Otto e mezzo di Lilli Gruber, fotografa alla perfezione quello che è successo, e sta succedendo, dopo il voto di martedì al Senato sulla così detta autonomia differenziata.

Rivoluzioni in piazza annunciate (De Luca), vergogne nascoste malissimo (i 45 senatori del Sud, a cominciare da quelli calabresi, che hanno votato a favore del provvedimento e che si sono beccati i secchi rimproveri al fulmicotone dell’Arcivescovo di Cosenza), per ora un vincitore certo. Dall’ampolla con l’acqua del Po raccolta sul Monviso (1996) all’autonomia differenziata del 2024 infatti il passo – politicamente parlando – è assai più breve di quanto non facciano pensare i quasi trent’anni trascorsi. Allora alla regia c’era Roberto Calderoli, e così è anche oggi: il vincitore vero, l’unico dei bossiani a essere sopravvissuto a tutte le stagioni della Lega.

Oggi è lui il grande vecchio che ancora muove le fila dentro una Lega che non è più il Carroccio di Alberto da Giussano, ma un partito che ha cercato di diventare nazionalista, salvo poi essere travolto dai veri nazionalisti di Giorgia Meloni. A Calderoli della «Lega Salvini premier» non è mai fregato nulla.

Lui, l’ultimo giapponese come l’ha definito il Manifesto, porta avanti il programma di sempre, una revisione in chiave economica delle macro-regioni dell’ideologo Gianfranco Miglio. In sostanza: l’autonomia fiscale del Nord, dopo che la secessione è stata superata e affogata dalla storia. «Teniamoci i danè»: il concetto si è dipanato attraverso mille forme in questi tre decenni, dal Parlamento di Mantova fino alla devolution, con i quattro saggi del centrodestra, riuniti nell’agosto del 2003 nella baita di Lorenzago di Cadore, poi bocciata dal referendum costituzionale del 2006.

Venne poi il federalismo fiscale  (2009), con i famosi decreti delegati che tennero prigioniero l’ultimo governo Berlusconi fino al 2011 e finì in un nulla di fatto. La crisi del 2011, l’arrivo del governo tecnico di Monti e dell’austerità (insieme al pareggio di bilancio in Costituzione) fecero infatti carta straccia del federalismo. 

Nel frattempo l’ultimo dei giapponesi si è però fatto più furbo: per l’autonomia niente più riforme costituzionali, meglio una legge ordinaria, dall’apparenza più soft. Zaia lo ha sempre pungolato, forte del referendum del 2017 che vide l’autonomia stravincere in Veneto e Lombardia. Alla fine il core business dei leghisti doc, al netto delle scampagnate di Salvini con Marine Le Pen, è rimasto lo stesso. 

Tornato al governo nel 2001, un Bossi assai più debole rispetto agli anni Novanta e più sottomesso a Berlusconi riuscì comunque a mettere in piedi, complici Tremonti e Aldo Brancher, quel meraviglioso teatrino dei 4 saggi  di Lorenzago (Calderoli, Nania di An, Pastore di Fi e D’Onofrio dell’Udc). Calderoli si presentò in bermuda di jeans e camicia bianca, abbronzatissimo. Fu lui a tentare di incastrare le due riforme, litigando con Nania di An sulla clausola per l’interesse nazionale. Cossiga, in vacanza in Cadore, benedisse i saggi a suo modo: «Mi inchino di fronte a questo concentrato di cultura e conoscenza…».

La montagna partorì il topolino: competenza esclusiva delle Regioni in materia di sanità, scuola e polizia locale. Nel frattempo Calderoli era diventato ministro delle riforme, al posto di Bossi colpito dall’ictus nel 2004. Da allora ha cambiato mille spartiti per suonare sempre la stessa musica: quella dell’autonomia del Nord. Si è fatto più prudente, non grida più «Bergamo nazione tutto il resto è meridione», non porta maiali sui terreni destinati alle moschee (Bersani non dimentica però), non ha perso la pazienza della mediazione, anche con le opposizioni. Ma il filo, in fondo lo ha riconosciuto lui stesso in questi giorni in Senato, è sempre quello verde che parte dal Dio Po. «Il nostro vero obiettivo politico, dai tempi di mio nonno Guido…».

Ora l’ultimo miglio alla Camera e poi si vedrà, in attesa che dal Sud parta davvero una mobilitazione che fin qui però nessuno ha visto. (fv)

SANITÀ, L’AUTONOMIA RIMANE INCOMPIUTA
SE NON SI GARANTISCONO LEP E FABBISOGNI

di ETTORE JORIO – Ovunque la gente muore di mala sanità o quantomeno passa le pene dell’inferno nel rintracciare un medico di famiglia che non ha più ovvero, ancora, ad “acchiappare” un esame diagnostico vitale, altrimenti programmabile a distanza di anni, spesso post mortem.

Ovunque gli anziani sono più soli che mai, e nella loro moltitudine maggioritaria nella nazione non hanno servizi adeguati e non trovano alcuno che garantisca loro l’assistenza sociale. Idem, con somma vergogna, per i disabili. Per non parlare di trasporti pubblici, latitanti e angusti a tutti i livelli; di una scuola che non lo è più; di rifiuti che rientrano per volume nelle abitazioni poste ai primi piani perché incontenibili sui marciapiedi; dell’ambiente degradato; del dissesto idrogeologico; del mare pieno di escherichia coli; di una sicurezza tanto in deficit sociale da far portare a casa qualche coltellata.

Per non parlare della condizione delle infrastrutture con ponti in pericolo e strade con voragini che conducono all’inferno. Ebbene, a fronte di tutto questo, pur di dimostrare di esserci, si fa il tifo perché le cose continuino così, con una spesa storica incapace di rendere servizi, buona solo a farci la cresta sopra. Insomma, invece di affrontare la mamma di problemi, la finanza pubblica, come meglio renderla strumentale a rendere i diritti fondamentali, ci si reinventa.

Con questo si prende a schiaffi la Costituzione, quella voluta di forza nel 2001 dal centrosinistra alla quale ha dato un ampio consenso referendario il Paese il 7 ottobre di quell’anno. Ma non ci si accontenta di ciò. Il centrosinistra maltratta il ddl predisposto e approvato dal governo Prodi il 3 agosto 2007 di attuazione del federalismo fiscale, un po’ prima che fosse mandato a casa. Dal quale testo uscì poi, con qualche miglioramento, quello di Calderoli che si tradusse nella legge 42/2009 con una votazione positiva di tutto il Parlamento, fatta eccezione dell’Udc.

A questa seguirono undici decreti delegati condivisi da tutto l’arco parlamentare, tra i quali quello (n. 168/2011) che affidava ai costi e fabbisogni standard, collaborati dal fondo perequativo in soccorso delle Regioni povere, la sostenibilità dei Lep. A proposito di questi ultimi, fatta eccezione per i malconci e inadeguati Lea venuti fuori a fine 2001 e rivisti a gennaio 2017, a nessuno è importato più dello zero (nel senso matematico).

A ricordarsene, con un mero ma confuso accenno perché messo in una relazione errata, Boccia nel suo Ddl del 2020 (Conte II) poi ripreso dalla Gelmini nel governo Draghi che, di fatto, hanno svolto lo stesso ruolo di Prodi. Testi gregari per Calderoli, che ne ha copiato tanto e migliorato parecchio portando così a casa il voto favorevole dal Senato il 23 gennaio scorso.

C’è da essere soddisfatti? Affatto. L’impianto legislativo è appena passabile ma positivamente condizionato alla definizione dei LEP e alla determinazione degli strumenti finanziari per sostenerli.

Il tutto, avvenuto nella confusione totale, nella totale inconsapevolezza di cosa si stesse facendo a partire dall’insediamento dell’attuale Governo: – Legge 197/2022, di bilancio per il 2023. Un obiettivo temporale per definire i LEP con scadenze ballerine, prima entro la fine del 2023, oggi del 2024 e chissà per arrivare fin dove; – L’affidamento ad una Cabina di regia politica con il mandato di determinarli al Clep. Un’invenzione che non va bene per raggiungere la mission di definizione dei Lep. Un organo pletorico che sta dimostrando la sua lentezza e la non adeguatezza a raggiungere velocemente lo scopo istituzionale. Individuare i Lep per materia non è roba da affidare, esclusivamente ad accademici, ai quali manca la duttilità della materia. I Lep sono materiale d’uso, in quanto tale non da racchiudere in schede che nel leggerle si ricava una grande lontananza dal pervenire a ciò che occorre al Paese per usufruire nel concreto dei diritti civili e sociali. I Lep costituiscono l’elemento basico attraverso i quali gli anzidetti diritti prendono forma esigibile e non già assumano circoscrizioni teoriche fini a se stesse; – Il tema nella sua completezza. Un disorientamento totale nel comprendere cosa occorra fare per finanziare il buon esito della partita. Meglio quanti soldi occorrono, una volta individuati, per renderli esigibili alla popolazione intera. E qui si apre il sipario delle fantasie che si leggono e si ascoltano. A proposito, si assiste al dramma della inconsapevolezza di chi pretende il costo delle dipintura dei muri senza neppure avere costruita la casa. Diventa, infatti, ridicolo ascoltare previsioni sia nefaste che stupefacenti.

Entrambe sono impossibili e incredibili sino a quando non si verifichino più cose: a) che vengano definiti i Lep per materie o gruppi di esse, al lordo delle trasversalità necessarie; b) che vengano per ogni materia individuati i fabbisogni delle singole regioni, con una chiara evidenziazione delle differenze negative che le distinguono sul piano delle povertà del gettito; c) che vengano determinati i costi standard per Lep o gruppi di essi; d) che sulla base degli anzidetti rilievi differenziati vengano determinati per Lep i fabbisogni standard cui dare certezza di copertura anche attraverso la perequazione verticale che occorre disciplinare e rendere praticabile previa la costituzione del Fondo. Un’esigenza irresponsabilmente silente in tutto il percorso pre-legislativo.

Solo così potrà farsi ciò che occorre, altrimenti continueranno competizioni sull’acqua calda. Ciò in quanto il regionalismo differenziato, per potervi accedere, è subordinato a tutto quanto evidenziato. Insomma, no Lep, costi e fabbisogni standard? No party! (ej)

[Courtesy Sanità24]

L’OPINIONE / Pietro Massimo Busetta: Lo schiaffo dal Senato al Sud un vulnus pesante all’unità del Paese

di PIETRO MASSIMO BUSETTAUn pugile suonato che non reagisce più. Ormai da anni, abituato a prenderle senza alcuna capacità di rispondere in modo adeguato, il nostro Sud non sa far altro che leccarsi le ferite. L’opposizione all’autonomia differenziata, approvata martedì in Senato, viene descritta come una battaglia di retroguardia, di chi non vuole cambiare per continuare ad essere assistito. 

Attaccato il Sud dai grandi quotidiani nazionali, l’autonomia si veste di una cornice di legittimità data da opinionisti che facilmente si schierano con il vincitore, e purtroppo anche i grandi maestri non hanno resistito al fascino  del potere, mentre i propri rappresentanti per non essere messi da parte, aderenti a partiti nazionali, non possono far altro che far buon viso a  cattivo gioco e sostenere a pappagallo la litania che così il Sud ci guadagna.

Una situazione irrecuperabile, vaso di coccio tra vasi di ferro in un Paese duale, nel quale conta come asso di picche quando la briscola è a denari, si dibatte nella sua incapacità di reagire, pestando l’acqua nel mortaio, con una popolazione che ha la sensazione che le problematiche non la riguardano,  tranne poi a scagliarsi contro l’ultimo degli infermieri in un pronto soccorso perché il servizio è da terzo mondo. Il che fare è una domanda complicata, confusi tra continuare a giocare a un tavolo che lo vede sempre perdente o  allontanarsi e andare fuori gioco. 

La cronaca di questi giorni ha le sue radici negli anni e nei mesi passati. Quando si è consentito alla Lega (sempre Nord) di essere l’unica forza territoriale. Guardando i notiziari televisivi ci si accorge che i principali ministeri sono nelle loro mani. E ci si deve sentire rappresentati da Giancarlo Giorgetti al Ministero dell’economia e delle finanze, o da un Roberto Calderoli al Ministero per gli Affari Regionali e le Autonomie. 

Dovrebbero essere i Ministri di tutti, invece giocano a favore di una sola parte e i goal che fanno non sono per l’Italia ma solo per il Nord. Il  tema di contare così poco, in un Paese così grande ed economicamente potente, di non avere il diritto ad un progetto di futuro nella propria terra, di dovere pensare solo all’aereo nel caso in cui ci siano delle patologie importanti, di convincere molti giovani che per risolvere il problema personale l’unico modo sia di emigrare, alla ricerca dei diritti, e come dar loro torto, è centrale. 

Che poi è quello che vuole la struttura produttiva del Paese, cioè di spostare le professionalità laddove la loro bulimia continua a creare posti di lavoro e opportunità interessanti, per  sentirsi cittadini con tutti i doveri ma anche i diritti. Pronta a strapparsi le vesti quando si dà  un’alternativa all’emigrazione, con un reddito di cittadinanza, di sopravvivenza. Pericolosa china quella sulla quale si sta adagiando il nostro Paese.

La possibilità che primo o poi la corda eccessivamente tirata  possa spezzarsi è molto alta. E in assenza di statisti, ma in presenza soltanto di gestori di una situazione complicata, la possibilità che alla fine invece di indirizzare il Paese verso traguardi importanti, come ha fatto Helmut Kohl in Germania,  ma che si gestiscano le forze in campo, é alta. In tale situazione le forze rappresentanti  del Sud sono estremamente deboli e quindi hanno poca rilevanza. 

Il lavoro di ricostruzione della consapevolezza di una popolazione sulla quale si è abbattuta la problematica della dispersione scolastica, la mancanza di lavoro, una criminalità dilagante, è molto complicato e richiede tempi lunghi. Tanto lunghi da consentire nel frattempo la desertificazione di una realtà importante per il Paese.

Di questo alcune forze non tengono conto. Non capiscono che lo schiaffo che è stato dato martedì al Sud non è uno shock elettrico dato   a chi non vuole caricarsi delle proprie responsabilità, quanto un vulnus molto pesante all’unità del Paese.

Bene hanno fatto i partiti della minoranza a sbandierare il tricolore in Senato, perché in realtà non è solo quello che viene strappato, ma anche la possibilità di essere il Paese un protagonista nell’Unione.

Perché lasciare nel freezer, congelato, il 33% della popolazione e il 40% del territorio e pensare di poter concentrare tutto nelle lande nebbiose bergamasche, bresciane o emiliane romagnole,  é da masochisti. Nulla di simile rispetto a quello che  ha  fatto la Germania per esempio. Che si é impegnata  per finalmente mettere a regime la ex Ddr. Diventando la locomotiva  d’Europa, ritornando ad avere ruolo di capofila nell’Unione.

Un Nord ricco che ha fatto prevalere con l’approvazione della legge sulla autonomia la teoria che il Sud é una palla al  piede, della quale bisogna liberarsi, lasciando affondare lo stivale da solo, sicuri che in questo modo la parte forte si salverà.  

Ma non capire che il venir meno di un mercato importante, instillare gocce di odio e di indipendentismo in un organismo fragile, é una operazione pericolosa, con risultati imprevedibili. L’effetto dirompente di una scuola con livelli diversi di apprendimento, dovute alla possibilità di pagare meglio gli insegnanti, il permanere di una sanità di qualità migliore che continui ad alimentare i viaggi della speranza, in sintesi la possibilità di dominare e fare le leggi che servono al Nord bulimico, grazie ad una possibilità di ricatto data da una forza territoriale senza la quale il Centro Destra non può governare il Paese, diventa pericoloso. 

Non si fermeranno qui, adesso cercheranno di far passare le gabbie salariali, forti di un supposto diverso costo della vita, che tiene presente gli affitti ma non il costo della mancanza di servizi. La domanda di che fare rimane insoluta, oltre alla denuncia e a lavorare per la crescita della consapevolezza c’è poco da fare. 

«Guai ai vinti» dice Brenno di fronte alle rimostranze di un senatore romano che si accorge che la bilancia che deve pesare l’oro é truccata. E i nuovi Galli non sono diversi da quelli del 390 a.c.  E a breve i loro centri studi, dimostreranno  con abbondanza di dati, come tutto questo avvantaggia il Sud. 

Ma é incomprensibile come un Sud sempre avvantaggiato, che utilizza le risorse del Nord, poi abbia un reddito procapite che è la metà di quello del Nord. Misteri della fede. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]