L’allarme inascoltato di Siclari del 31 gennaio
Il senatore: «Persi 90 giorni contro il Covid-19»

di SANTO STRATI – Era il 31 gennaio, giorno di audizione in Senato del ministro della Salute Roberto Speranza. Cinque giorni prima, Marco Siclari, giovane senatore calabrese di Forza Italia aveva lanciato un appello inascoltato (vedi calabria.live del 25 febbraio) sui rischi della pandemia da Coronavirus. Già si erano persi quattro giorni dal suo appassionato intervento in Senato e ancora nessuno immaginava quello che sarebbe capitato da lì a poco. Il 31, con molta discrezione, il Governo lanciava uno stato di emergenza di sei mesi, a fini precauzionali, ma nessuno era stato adeguatamente informato. Dopo la relazione del ministro, l’intervento del senatore Siclari, medico e dirigente sanitario, era stato ancora più intenso e vibrante di quello di pochi giorni prima. Siclari aveva intuito la gravità della situazione e ne aveva tracciato gli scenari, senza descrizioni apocalittiche, ma non per questo meno allarmanti.

«Parliamo di sanità pubblica – aveva detto Siclari –. Parliamo della tutela della salute e della vita dei nostri cittadini, soprattutto dei più deboli». Siclari si rivolge al ministro Speranza: «Abbiamo ascoltato con estrema attenzione la sua relazione che condividiamo, ma non basta. Non basta perché non riferisce provvedimenti concreti ed efficaci per prevenire nell’immediato il contagio di ciò che potrebbe rappresentare una gravissima pandemia, forse la più grave degli ultimi cent’anni. E per recuperare tempo prezioso, soprattutto prima che si diffonda in Italia, così com’è accaduto in due mesi in Cina, in soltanto due mesi, da novembre ad oggi. Ministro, abbiamo ascoltato anche le dichiarazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha ammesso che il rischio globale derivante dal coronavirus cinese è elevato. Sia per la sua aggressività sia per la sua pericolosità e soprattutto per la facilità con cui si trasmette tra le persone. Si trasmette come un virus influenzale: ciò vuol dire che fra tre mesi avremo picchi massimi, entro aprile, forse maggio. Dalla sua relazione si evidenzia che non abbiamo dati certi, non conosciamo il numero degli ammalati, non abbiamo certezza di quante persone siano guarite. Non sappiamo dove sono finiti i cittadini che hanno lasciato Wuhan e sono arrivati in Italia nell’ultimo mese, duemila e quattrocento persone».

«Lei ha dichiarato – ha proseguito Siclari nel suo intervento del 31 gennaio – che in Italia abbiamo i controlli più alti e ha chiesto una riunione internazionale di tutti i ministri della Salute dell’Unione Europea per capire come affrontare la situazione. Ministro, io le consiglio di andare in Europa e di portare quelle che sono le nostre indicazioni. Noi abbiamo i migliori scienziati al mondo, la migliore ricerca al mondo, e non dobbiamo aspettare che gli altri ci dicano, gli altri ministri degli altri Paesi europei come dobbiamo intervenire».

Siclari chiedeva al ministro di diffondere un messaggio per comunicare «come contenere la trasmissione del contagio nell’immediato, cosa che oggi non è accaduto. Contatti l’ambasciata cinese, signor ministro, e faccia contattare dall’ambasciatore tutti i cinesi che sono arrivati nell’ultimo mese in Italia. Facciamo degli esami clinici per vedere se ci sono portatori sani di questo virus, perché non lo sappiamo, e consigliamo a tutti di indossare le mascherine: negli aeroporti, nei treni, nei centri commerciali, nei punti affollati. Non dobbiamo vergognarci, non dobbiamo aspettare magari di dirlo tra una settimana quando sarà già tardi». Era il 31 gennaio, il senatore Siclari, cui non vogliamo attribuire il ruolo di Cassandra, aveva messo in guardia il ministro della Salute, l’intera aula del Senato. Aveva lanciato un allarme preciso e circostanziato, da uomo di medicina. Non è stato ascoltato. Anche se poi il suo documento di prevenzione da epidemia (un accurato decalogo delle cose da fare) è stato perfino apprezzato al livello europeo

Sono stati persi 90 giorni, non sappiamo quanto avrebbe potuto essere circoscritto e limitato il contagio: il 21 febbraio è scoppiato il caso Codogno, il giorno d’inizio di questa disgraziata guerra contro il nemico invisibile che ancora non si è riusciti a domare. Sono seguiti i provvedimenti di chiusura (fa fine dire lockdown, attenua la gravità dell’isolamento forzato in casa), a cascata, in modo generico, imponendo restrizioni, cambiando continuamente le misure, nel disperato tentativo di non sbagliare. Eppure, quando tutto questo sarà finito – perché dovrà pur avere una fine – bisognerà chiedersi degli errori, delle incapacità, delle lampanti incompetenze che hanno guidato la strategia del fronte antivirus.

Non è rimasto solo Siclari, inascoltato, come è avvenuto per il dott. Salvatore Spagnolo (calabrese di Simeri Crichi, chirurgo a Rapallo) che suggeriva con convinzione l’uso dell’eparina per bloccare le morti da embolia polmonare che il coronavirus continuava a provocare in misura crescente (vedi calabria.live del 26 aprile). Due medici, due calabresi. Appassionati del loro lavoro, nel credo d’Ippocrate, e calabresi “emigrati” come tante altre centinaia di teste pensanti, eccellenti risorse nel campo della scienza, della tecnica, della cultura, costretti a lasciare la propria terra per assenza di opportunità.

Per troppo tempo abbiamo permesso a chi ci governa di decidere per i nostri giovani, ovvero non decidere ignorando colpevolmente le loro capacità e competenze, rubando letteralmente il futuro a migliaia e migliaia di laureati e ricercatori. Un impegno che la nuova Giunta ha promesso di prendere seriamente a cuore. Noi ci saremo, non solo come rigorosi giornalisti testimoni della realtà regionale, ma soprattutto come calabresi che hanno a cuore questa terra e il futuro delle nuove generazioni. Servono risorse (e ci sono, l’Europa ce le dà, i passati governanti sono stati capaci di restituire milioni di euro non utilizzati!), ma serve l’intelligenza di aprirsi al confronto, ascoltare anche l’avversario politico, se il fine ultimo è il bene comune. Il nuovo governo regionale sta mostrando una inaspettata vitalità, una grande voglia di determinazione e di risultato. L’opposizione, per favore, smetta di fare polemiche montate sul nulla e presenti progetti, proposte, idee e dialetticamente si confronti: l’assemblea regionale deve diventare protagonista di questa voglia di cambiamento che tutti i calabresi chiedono a gran voce. È finito il tempo delle manovre di Palazzo e delle clientele: insieme si possono vincere tutte le sfide, anche le più grandi. E quando si sarà sconfitto il nemico di oggi bisognerà essere già pronti a costruire il domani che oggi, in piena emergenza, non bisogna assolutamente smettere di progettare. Non è solo un auspicio, è una drammatica necessità a cui tutti sono chiamati, ognuno per la sua capacità e la propria competenza, dovrà dare il meglio, pensando ai ragazzini smarriti di oggi di fronte al misterioso virus che li ha tolti da scuola e li trattiene a casa. Questi ragazzini si ricorderanno di questi terribili giorni, capiranno quanto ha pesato il sacrificio di medici, infermieri, operatori sanitari morti per assistere e salvare altre vite, e apprezzeranno quello che oggi scienziati, imprenditori politici hanno saputo progettare e costruire, per restituire un futuro che non potrà più essere rubato. (s)

CATANZARO – Abramo: servono misure di sostegno agli imprenditori dalla Regione

Anche a Catanzaro la grave crisi di liquidità sta mettendo in serio imbarazzo aziende e imprese medio piccole: la chiusura forzata da oltre 50 giorni ha provocato evidenti e, spesso, irreparabili guasti al sistema produttivo e all’economia reale del territorio. Servono provvedimenti e là dove il Governo centrale non riesce a soddisfare in alcun modo la pressante richiesta di aiuti finanziari da parte degli imprenditori, dovrà necessariamente intervenire la Regione.

Quindi, serve un’iniezione immediata e straordinaria di liquidità per le piccole imprese e le partite Iva calabresi la cui attività si è fermata a causa dell’emergenza coronavirus. È questa la proposta condivisa dal tavolo di lavoro, presieduto dal sindaco Sergio Abramo con i rappresentanti delle associazioni di categoria e le sigle sindacali, tornato a riunirsi a Palazzo de Nobili con l’obiettivo di presentare in tempi rapidi alla Regione Calabria un documento unitario. Il sindaco era affiancato dall’assessore alle attività economiche Alessio Sculco, dal dirigente di Autorità Urbana, Antonio De Marco, e dal presidente di commissione consiliare, Antonio Ursino.

«La priorità in questo momento – ha dichiarato il sindaco Abramo – deve essere quella di fornire un aiuto concreto a tutti gli operatori che sono stati colpiti dall’emergenza Covid-19 garantendo una risposta straordinaria quanto la natura di questa drammatica pandemia. Già nelle scorse settimane, attraverso le proposte che ho presentato in qualità di presidente di Upi Calabria insieme all’Anci regionale, avevo posto l’accento sulla necessità di mettere in circolo delle risorse che possano rappresentare un piccolo ristoro per il mondo del commercio e dell’artigianato. Un intervento che si può fare, e subito, attraverso la rimodulazione dei fondi Por e Pac non ancora impegnati».

«In questo modo – ha aggiunto il sindaco unitamente all’assessore Sculco –potremmo aiutare il nostro tessuto produttivo ad andare avanti e, soprattutto, scongiureremmo il rischio di vedere ridistribuire, a causa dell’emergenza in corso a livello nazionale, ingenti risorse non spese assegnate alla Calabria. Ho potuto costatare la piena sinergia e collaborazione da parte delle associazioni di categoria e del mondo sindacale con cui lavoreremo in queste ore per definire una proposta condivisa da sottoporre in tempi strettissimi al Presidente della Regione e ai Capigruppo in Consiglio regionale, affinché si possa dare un impulso immediato all’economia calabrese». (rcz)

I numeri del Covid in Calabria: c’è ottimismo,
ma la proiezione sui contagiati richiede cautela

Quanti sono effettivamente i positivi al Coronavirus in Calabria? Secondo i dati del bollettino ufficiale diffusi dalla Regione Calabria i numeri si mantengono, per fortuna, abbastanza bassi, soprattutto in confronto ai drammatici dati delle cosiddette regioni “rosse”. Secondo uno studio di OpenCalabria, però, la stima sarebbe troppo modesta: la diffusione dell’epidemia potrebbe essere 6 volte più elevata rispetto al valore che si osserva e addirittura in provincia di Catanzaro 12 volte rispetto al valore osservato.

di GIUSEPPE DE BARTOLO

La diffusione dell’epidemia in Calabria potrebbe essere 6 volte più elevata rispetto al valore che si osserva e addirittura in provincia di Catanzaro 12 volte rispetto a valore osservato. Questa evidenza consiglierebbe molta cautela riguardo ai tempi e ai modi di riduzione delle misure di confinamento e di chiusura che fino ad oggi hanno dato buoni risultati.

Come costatiamo giornalmente, seguire l’andamento di questa pandemia non è semplice nemmeno per gli addetti ai lavori, perché le misure delle variabili utilizzate danno comunemente una visione parziale della realtà.

Solo per fare qualche esempio, ricordiamo che il numero dei contagiati forniti di volta in volta dalla Protezione civile riguarda soltanto i casi “conclamati”, cioè coloro che sono stati sottoposti a tampone; di conseguenza da questa conta mancano gli asintomatici e coloro che comunque non si rivolgono alle strutture pubbliche. Inoltre, anche le statistiche dei deceduti, che dovrebbero essere quelle più robuste, registrano soltanto i “tamponati” e non gli altri.

Quando tutto sarà finito, o quasi, è vero che sarà possibile calcolare un tasso di mortalità definitivo per mille abitanti per Covid-19, ma anche in questo caso si otterrà ancora una volta un valore sottostimato per le ragioni dette prima sui deceduti. Non solo, ma a quell’epoca, non sarà possibile conoscere nemmeno il reale tasso di letalità della malattia per l’impossibilità di avere contezza del numero effettivo dei contagiati.

Pur con questi limiti di misura, per avviare la fase due sarebbe, comunque, indispensabile una stima accettabile della diffusione reale del virus sul territorio, che però solo un campione rappresentativo della popolazione può fornire. Nelle more, anche se con molte cautele, un’idea della diffusione del virus può aversi in base al numero dei contagiati e dei decessi osservati, adottando un’ipotesi sulla letalità effettiva del virus che, come hanno evidenziano gli studi finora condotti, varierebbe, con forchette però abbastanza ampie, dal valore di 0,66% per il caso cinese, a 0,90% per il Regno Unito, a 1,14% stimato dall’ISPI per l’Italia per tener conto del maggiore livello di invecchiamento della popolazione italiana rispetto a quella inglese. Livelli che in ogni caso sono più vicini alla letalità dell’influenza stagionale (0,1%) che a quelli di una malattia similare al COVID-19 come la SARS o la MERS che, come sappiamo, hanno fatto registrare tassi di letalità molto più alti, rispettivamente del 9-10% e del 36%.

Quali i probabili scenari della diffusione del virus in Calabria? Le considerazioni precedenti consentono una stima della diffusione del contagio se si tiene conto che il rapporto tra il tasso di letalità osservato (TLO) e quello effettivo (TLE) rappresenta il numero dei contagi “reali” per ciascuna unità di contagio osservato.

I risultati di questo semplice calcolo, peraltro già utilizzato per l’Italia intera, ci restituisce un quadro che per la nostra regione è molto preoccupante (Tabella 1): la diffusione dell’epidemia in Calabria sarebbe sei volte più elevata rispetto al valore che si osserva e addirittura in provincia di Catanzaro dodici volte rispetto a valore osservato, anche se in questo caso i dati di riferimento riguardano anche soggetti provenienti da altre strutture e provincie.

Queste evidenze consiglierebbero dunque molta cautela riguardo ai tempi e ai modi di riduzione delle misure di confinamento e di chiusura che fino ad oggi hanno dato buoni risultati. (gdb)        [courtesy OpenCalabria]

Giuseppe De Bartolo è Professore di Demografia, Dipartimento di Economia, Statistica e Finanza all’Unical.

CATANZARO – L’appello dei Geometri calabresi

Il Collegio Geometri e Geometri Laureati delle cinque province calabresi hanno scritto una lettera al presidente della Regione Calabria, Jole Santelli, con la richiesta di «destinare risorse, in termini di liquidità, che garantiscano sì la sopravvivenza del periodo di  fermo dettato dai restringimenti per la lotta al “coronavirus”».

Tali risorse, per i geometri calabresi, devono consentire «anche la  programmazione e la ripartenza di un’ intera classe di professionisti, i quali per la loro specificità non possono godere di ammortizzatori sociali rivolti ai soli lavoratori dipendenti, anche in nome della competizione equa all’interno della stessa categoria affinché non si generi o si acuisca, un dislivello economico-sociale».

I presidenti dei collegi delle 5 provincie calabresi, nel sollecitare l’attenzione della politica, sottolineano il senso di responsabilità, che «da quando gli scriventi hanno assunto l’onere di rappresentare la categoria dei Geometri liberi professionisti, nella qualità di Presidenti dei Collegi dei Geometri e Geometri Laureati della Calabria, hanno sempre avuto a cuore l’interesse dei propri iscritti quotidianamente impegnati nel difficile compito di offrire i loro qualificati servizi ai cittadini, alle imprese ed alle Amministrazioni Pubbliche presenti sul territorio calabrese». (rcz)

Rientri, la Santelli contraria: «Necessarie precauzioni alla partenza non all’arrivo»

«Oggi l’Italia ha bisogno di uno scudo protettivo totale – Non le manda a dire la presidente Santelli che si dichiara contraria alle misure del premier Conte –.  Evidentemente al Governo dà proprio fastidio che alcune regioni abbiano mantenuto basso il numero dei contagi. È di oggi la notizia che il Governo sta mandando in Calabria circa 50 migranti provenienti dalla Sicilia, ignorando in tal modo non solo le ordinanze regionali ma anche i decreti dello stesso Governo che dovrebbero bloccare la mobilità interregionale».

Già in mattinata la presidente Santelli aveva stigmatizzato gli annunci di Conte: «Dal governo via libera ad un nuovo esodo verso Sud. La dichiarazione di principio che fa divieto degli spostamenti interregionali viene smentita dalla norma di chiusura che consente il ritorno nel proprio domicilio, abitazione o residenza.

Tradotto un ‘liberi tutti’ che va oltre i casi specifici.

«Il governo si assume in pieno la responsabilità di un nuovo esodo verso Sud e dell’eventuale aumento di contagi che potrebbe derivarne.

Le misure di contenimento attuate dalle Regioni del Sud possono essere gravemente compromesse da questa decisione di autorizzare ritorni in massa da zone ancora con altissimi numeri di contagio.

È la terza volta che questo accade e le altre due volte le regioni sono state lasciate sole nella gestione dei ritorni.

Ora il Presidente Conte ed il suo governo si assumano la responsabilità piena delle loro scelte e da oggi adottino tutte le precauzioni necessarie affinché questi ritorni avvengano con le dovute precauzioni. Precauzioni che devono essere assunte in partenza e non scaricate sulle regioni di arrivo». (rrm)

Conte ‘autorizza’ il nuovo esodo verso il Sud
La Santelli: ne dovrà rispondere il Governo

Il via libera del Governo al ritorno a casa dei meridionali bloccati al Nord, preoccupa la presidente Santelli: «Le misure di contenimento attuate dalle Regioni del Sud possono essere gravemente compromesse da questa decisione di autorizzare ritorni in massa da zone ancora con altissimi numeri di contagio. Conte ed il suo governo si assumano la responsabilità piena delle loro scelte». Ma sono gli annunci del Presidente Conte che inquietano gli italiani e non solo i calabresi. 

di MARIO NANNI

«Siete sull’orlo dell’abisso, ma con me farete un passo avanti»: così un generale che cercava di rincuorare i suoi soldati ottenne l’effetto opposto incappando, per un uso malaccorto delle parole, in un corto circuito non solo semantico ma psicologico. In un corto analogo è incappato, per una apparente disinvolta sicumera, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, durante la conferenza stampa pomposamente annunciata per illustrare la cosiddetta fase due dell’emergenza coronavirus. In realtà una edizione riveduta e (s)corretta della fase uno, con qualche aggiunta. E molti punti interrogativi senza risposta, finora.

Conte ci ha messo tutta la buona volontà dello studente che si impegna per fare bella figura, quasi del primo della classe che dice che altri compagni ( leggi: altri governi europei) aspettano il suo compito per copiarlo. Ma, di là da questa botta di vanità che voleva forse rassicurare ma si presta ad amabili sfottò, il presidente del Consiglio è apparso a tratti incerto e non persuasivo mentre snocciolava la casistica delle situazioni: questo sì questo no. Come un attore che non crede fino in fondo neanche lui nel copione che recita, un copione scritto da altri, sotto la dettatura dell’esercito dei suoi consiglieri, consulenti, esperti, task force, Conte è caduto su alcune spie linguistiche che la dicono lunga su come questo governo stia affrontando la situazione. E soprattutto su come intende disegnare e gestire le fasi successive.

Speriamo solo che il numero di queste fasi non superi quello delle fasi lunari. Sciorinando le decisioni che andranno in vigore dal 4 maggio, il presidente del Consiglio ha usato questa formula: «consentiremo l’accesso a ville, a parchi pubblici ecc. Consentiremo di allungare le passeggiate. Consentiremo questo, consentiremo quello. Un momento! Consentiremo!!! Cioè una concessione? Ma il presidente del Consiglio si rende conto di parlare come il sovrano che “concedeva” i diritti, cioè la Costituzione? Dal giurista Conte non ci si aspetta che parli un simile linguaggio da ‘’Costituzione octroyée’’. Qui sono in ballo diritti fondamentali, cominciando da quello di circolazione, per poi passare al diritto di riunione, ai diritti religiosi, umani, culturali. Diritti a cui gli italiani da tante settimane pazientemente e disciplinatamente stanno rinunciando.

Ma quousque tandem? Per poi sentir parlare, quasi con stupefacente degnazione di questi diritti in termini di concessioni. Con toni e approccio quasi burocratico da dandy disarmato. Forse Conte ha deciso di dismettere i panni di ‘’avvocato difensore’’ del popolo italiano, quale si presentò dopo il primo incarico di fare il governo nel 2018, per indossare quelli del ‘’tutore’’ degli italiani? Da un presidente del Consiglio, per giunta giurista, si esige che si dimostri una esatta percezione della corrispondenza tra le parole e le cose.

Quel ‘’vi consentiremo” detto una volta può passare, ma ripetuto più volte proprio non può essere accettato. Le parole sono conseguenza delle cose, e non vorremmo che il presidente Conte si specchi come Narciso nei sondaggi e nel consenso che gli sono favorevoli e che si è forse anche guadagnato, e ritenga di potersi permettere certe sortite o espressioni da marchese del Grillo. In un periodo in cui per l’emergenza il ventaglio dei poteri del governo si è allargato a dismisura, nella tolleranza di un Parlamento piuttosto afono. E nell’assenza dalla scena e nel silenzio del Partito democratico, e del Movimento 5 Stelle, tormentato da convulsioni interne e troppo occupato dal mettere mano su nomine negli enti e leve di potere. Mentre Conte, come dicono a Roma si va ‘’allargando’’.

E legittimamente dal suo punto di vista si compiace dei sondaggi a lui favorevoli. Ma a Conte, pur apprendista della politica che ha tuttavia imparato in fretta a gustare l’ebbrezza del potere, non è sconosciuta questa verità o costante storica: nei momenti di grande difficoltà come questo che gli italiani stanno vivendo, la gente cerca sicurezza, riparo, rassicurazione e si stringe attorno al proprio governo e a chi lo guida. Poi passata la tempesta, si vedrà. Il presidente del Consiglio tenga conto di questo dato. Ciò non toglie che al governo non si possano muovere critiche, senza essere sospettati di portare acqua al mulino di Salvini. Questo è un ricatto intellettuale inammissibile. Escludiamo che Conte voglia abusare della pazienza degli italiani, però almeno non dia l’idea di sottovalutare la loro intelligenza. Ma le spie linguistiche nella conferenza stampa di domenica sera non finiscono qui.

«Nella fase due – (ma non è neanche una fase una e mezzo, NdR), ha detto –  dovremo convivere con il virus». Ma perché, nella ‘’fase uno’’ gli italiani con chi e con che cosa hanno convissuto?! Qui non si tratta di fare una puntigliosa e pregiudiziale esegesi, quasi alla moviola, delle parole di Conte, al quale va comunque il rispetto e l’apprezzamento per l’impegno che ci sta mettendo. Le sue ammiratrici ci tengono ad aggiungere che ci sta mettendo anche l’anima . E che!?, non si vede? Ma Conte non sembra rendersi conto che può dare anche fastidio questo approccio da contabile alla limitazione dei diritti, al di là di rituali e fugaci ammissioni su come si sia pasticciato su certi provvedimenti. Un esempio su tutti: le autocertificazioni. E se non si rende conto, non è una attenuante, è preoccupante. Vorrebbe dire che certi atteggiamenti ‘’sovranisti’’ gli vengono naturali.

“Se vuoi bene all’Italia stai a distanza”, è lo slogan del governo per convincere gli italiani a rispettare i limiti di distanziamento, ed è stato proclamato domenica sera da Conte. Se vuoi bene all’Italia!.? Il presidente del Consiglio ha forse voluto rendere omaggio ai sovranisti con questo slogan patriottico? Non sarebbe più efficace e persuasivo lo slogan “se vuoi salvare la salute, se vuoi salvare la pelle?” Perché di questo si tratta, prima la salute, il resto, come si diceva dell’intendenza, seguirà.

Per andare infine al merito di certe misure annunciate, a macchia di leopardo, con una dettagliata casistica da far invidia alla scuola dei gesuiti, ci sono molte cose che lasciano perplessi.. Saranno consentite per le cerimonie funebri non più di 15 persone. Chi vigilerà che siano 15 e non 16? Dopo l’elenco degli invitati ai matrimoni avremo la lista degli invitati ai funerali? I sentimenti, anche quelli più sacri, sono finiti nell’ingranaggio di una occhiuta burocrazia. Sarà una delle cose più tristemente e penosamente memorabili di questi tempi, questa restrizione o negazione della vicinanza alle persone care che ci hanno lasciato.

Pare che riapriranno le biblioteche. Non lo si poteva fare prima, visto che in molte biblioteche ci sono sale vaste e numerose e organizzando turni e limitazione di accessi si potevano bene rispettare le norme di prudenza e di distanza, consentendo così la ricerca e gli studi? Ma la cultura sembra essere non in cima ai pensieri di questo governo.

Basti pensare a come da subito e senza aspettare l’evolversi della situazione, si è deciso che la scuola riapra a settembre! Su questo ha menato scandalo in un recente articolo Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera, per il messaggio devastante che si trasmette ai giovani e agli studenti. E ora che migliaia di lavoratori tornano in fabbrica, i loro bambini chi li terrà? Conte è apparso preoccupato che queste parziali liberalizzazioni, se non supportate da comportamenti responsabili, possano far tornare il contagio vanificando i risultati fin qui raggiunti, preoccupazione peraltro non infondata,. Si è spinto a dire: se questo dovesse accadere, i danni per l’economia sarebbero irreversibili. E ha parlato delle mascherine, che saranno ormai l’oggetto da indossare tutti i giorni, già terreno di speculazioni dei soliti affaristi che puntualmente prosperano durante i tempi di guerra e le calamità.

Conte ha chiesto all’alto commissario Arcuri di adoperarsi per calmierare il prezzo delle mascherine. Presidente Conte, faccia esercitare la vigilanza anche sui prezzi delle merci, dei supermercati e degli altri prodotti di consumo, ora che si tornerà anche alla vendita al dettaglio. C’è un allarme prezzi che va tenuto presente.

Non si ripetano errori del passato quando, con il passaggio dalla lira all’euro, non si mantenne per un tempo più lungo il regime e l’esposizione dei doppi prezzi. Tutto ciò creò uno spostamento di ricchezza da un ceto all’altro e i ceti medi ne pagano ancora le conseguenze. Di andare al mare per ora non si parla, anche se gli operatori turistici chiedono di sapere almeno delle date per poter programmare la stagione. Gli italiani sommersi da circolari, dpcm, autocertificazioni (che resteranno), cercano lumi sul sito di Palazzo Chigi nella rubrica: domande frequenti. Pescando nelle risposte, pare che chi chi abita vicino al mare possa già fare il bagno. Commenta sarcastico il costituzionalista Giovanni Guzzetta: ora abbiamo una nuova fonte del diritto, il sito di Palazzo Chigi. Dopo il caso delle biblioteche, le chiese ancora chiuse alle cerimonie.

Escluse le chiese di piccole dimensioni, nelle cattedrali, non solo delle grandi città ma anche di tante città di provincia del Bel Paese, tenendosi a distanza e con la mascherina i fedeli non possono pregare ? Le autorità ecclesiastiche cominciano a dar segni di nervosismo. Conte rassicura, somigliando sempre più al conte zio manzoniano: troncare, sopire, smussare, rinviare, diluire, annunciare approfondimenti (bisogna pur dare tempo ai vari sinedri di partorire idee e proposte), spostare più in là, come la linea dell’orizzonte.

I Promessi sposi, che parlano di peste e di sofferenze e di morte per la pestilenza, è un testo che andrebbe riletto in questi tempi. Ci sono aspetti dell’Italia del ‘600 che sembrano rivivere nel costume di una Italia eterna e soprattutto in chi ci governa (le gride delle autorità che cercavano di fronteggiare il contagio, la rottura del legame sociale, la paura dei contatti).

È una lettura, anzi una rilettura , oltre alla Peste di Camus, che umilmente ci permettiamo di suggerire al presidente del Consiglio. Anche perché nei Promessi sposi oltre al Conte zio c’è anche la figura dell’Azzeccagarbugli.

Quest’ultima figura, per l’avvocato Conte, sarebbe una ben deludente mutazione. Da non augurarsela, per il bene non solo ( e non tanto) suo ma di questa povera Italia. (mn)

[courtesy Prima Pagina News]

D’un chirurgo calabrese l’intuizione ‘eparina’
«Non cura la polmonite, ma salva vite umane»

di SANTO STRATI

Questa è una storia tipicamente italiana: un chirurgo (calabrese) intuisce per primo la probabile principale causa di morte dei positivi al coronavirus, ma nessuno gli dà retta. È la storia del dott. Salvatore Spagnolo, originario di Simeri Crichi (CZ), già primario chirurgo al San Matteo di Genova, poi a Monza, oggi all’Iclas (Istituto Clinico Ligure di Alta Specialità) di Rapallo. Nuovo orgoglio calabrese dopo il (catanzarese) dott. Luigi Camporota che ha curato e guarito Boris Johnson a Londra.

A marzo il dott. Spagnolo, dopo i primi casi e i primi decessi a Codogno, matura un’ipotesi, frutto di anni di esperienza: la polmonite in sé non porta a morte improvvisa, ha un decorso di uno-due mesi, quindi c’è una concausa che provoca i decessi. La risposta si chiama tromboembolia polmonare massiva: il dott. Spagnolo intuisce che il Covid 19, il virus, scatena la formazione di coaguli (trombi) che, impedendo il corretto scambio ossigeno-anidride carbonica, portano a morte improvvisa.

La cura contro l’embolia massiva polmonale (Emp) esiste e viene praticata da anni in tutte le sale operatorie e in tutti gli ospedali: l’eparina, un farmaco anticoagulante, che impedisce la formazione di trombi e la conseguente embolia. Da qui, l’idea di trattare con l’eparina i malati affetti da coronavirus: questo farmaco non cura la polmonite, ma, sicuramente, salva vite umane.

Secondo la prassi della letteratura scientifica, il dott. Spagnolo trascrive questa sua esperienza e traccia con molti dettagli la sua ipotesi relativa all’embolia polmonare come causa principale di morte nel coronavirus, indicando anche la terapia con l’eparina. Scrive all’Aifa, a quasi tutti gli organismi sanitari che si occupano del Covid-19, ma nessuno gli risponde né si preoccupa di valutare l’ipotesi scientifica del dott. Spagnolo: nessuno che dica è “una fesseria” o “potrebbe essere un’ipotesi interessante da approfondire”. Niente.

Nello stesso tempo, a fronte del diniego di pubblicazione del suo studio, il dott. Spagnolo invia negli Stati Uniti il dossier che, dopo un paio di giorni, viene regolarmente pubblicato. È l’atto ufficiale che restituisce al dott. Spagnolo – oggi che sono in tanti a prendersi il merito di aver pensato all’eparina – il giusto riconoscimento al suo lavoro, alla sua passione di medico, al suo impegno nella salvaguardia di quante più vite umane possibili. Un orgoglio calabrese, un altro cervello andato via dalla sua terra, una delle tante eccellenze per le quali la Calabria  detiene il record nell’export. Capacità, competenza e impegno, caratteristiche facili da riscontrare nei tanti medici, scienziati, imprenditori che la Calabria continua, senza soste, a esportare, privandosi di figli preziosi.

Non è campanilismo, è giusto orgoglio di calabresi, lo stesso che anima Salvatore Spagnolo, con cui abbiamo parlato.

– Com’è nata l’intuizione che sta alla base della sua ipotesi di terapia?

«L’andamento clinico di questa patologia, caratterizzata dal fatto che al paziente improvvisamente manca il fiato, si abbassa la concentrazione di ossigeno nel sangue, e spesso si verifica la morte improvvisa, mi ha portato a valutare, sulla scorta della mia esperienza, ipotesi diverse sulle cause della mortalità da Covid-19».

«Osservando i sintomi che avevano i pazienti che si ricoveravano nelle terapie intensive lombarde, ho ipotizzato che la causa di morte non poteva essere una polmonite, perché la polmonite anche se grave, anche se pericolosa e mortale, fa morire nello spazio di un mese, due mesi, non in due giorni. Qui siamo di fronte a pazienti che stanno male, vanno in ospedale e velocemente desaturano il sangue, si abbassa di ossigeno, cominciano ad avere mancamenti di fiato, che molte volte è così grave che necessita l’intubazione, c’è bisogno dell’assistenza di un respiratore. Molte volte il respiratore non è sufficiente e si devono aumentare le pressioni nei polmoni in modo elevato e il più delle volte il paziente muore. L’altra caratteristica è che molti di questi pazienti muoiono di colpo, improvvisamente, senza poter fare niente. Questo con la polmonite non c’entra proprio niente.

«Per questa ragione ho ipotizzato che la causa di morte non può essere la polmonite ma qualcos’altro come l’embolia polmonare massiva. Ovviamente non basta dire che la polmonite non c’entra niente, c’entra l’embolia: bisogna documentarsi, cosa che ho fatto, valutare i dati clinici, studiare le varie situazioni cliniche».

– E, avendo individuato una possibile causa di morte, ha pensato all’eparina, un farmaco di uso comune che può limitare il numero dei decessi, bloccando l’insorgenza dell’embolia…

«Fra le caratteristiche che hanno questi virus c’è quella di avere nella loro membrana superficiale come un sensore, una glicoproteina, che entrata nel sangue lo fa coagulare. Ho trovato la probabile causa: è proprio la tromboembolia venosa disseminata indotta dal virus e non la polmonite responsabile della morte improvvisa. Questi coaguli non sono enormi, tuttavia sono in grado di bloccare la circolazione: non si ha più a livello alveolare lo scambio ossigeno-anidride carbonica.

Se questa possibilità di scambio scende troppo c’è una desaturazione del sangue e se la malattia interessa una estesa zona di polmone s’instaura una ipossia [mancanza di ossigeno, ndr] così grave che poi non risponde a nessuna terapia. E quindi quando la malattia è molto avanzata abbiamo il decesso del paziente per mancanza di ossigeno a livello cellulare».

– Nessuno le ha dato ascolto, si sarebbero potuti evitare tante morti…

«Quando i miei studi mi hanno confermato la bontà della mia intuizione, mi sono subito premunito di mettere per iscritto questa esperienza e mandare via mail il mio studio, ma non ho avuto risposta. Allo stesso tempo  ho diffuso la notizia che la causa di morte potesse essere l’embolia polmonare massiva. Ho mandato anche in America la mia nota scientifica che è stata pubblicata in pochi giorni. Quindi ho un documento che data dal mese di marzo dove espongo chiaramente la mia teoria e cioè che il covid causa una embolia polmonare acuta massiva e che il modo migliore di curarla è quello con l’eparina».

– Adesso l’AIfa ha “autorizzato” l’utilizzo dell’eparina e sono in molti a seguire questo protocollo.

«Le mie ipotesi sono state avvalorate ai primi di aprile da alcuni studi di angiotac polmonare che parlavano di embolia, ovvero veniva messo in evidenza che il 50% dei pazienti aveva un’embolia polmonare. Poi hanno fatto delle autopsie in varie zone d’Italia e anche lì è emerso che i polmoni avevano oltre all’infiammazione anche piccoli coaguli. Quindi la mia ipotesi è avvalorata da dati obiettivi e questo ha spinto i medici delle terapie intensive a iniziare la terapia con eparina che è un medicinale che viene utilizzato in sala operatoria. Per fare un esempio, in caso di flebite si fa questa punturina per evitare la formazione di trombi e il manifestarsi di un’embolia polmonare: chi entra in ospedale, la prima cosa che gli fanno, abitualmente, è una puntura di eparina nella pancia. Qualche anno fa, quando questo farmaco non esisteva era un dramma perché parecchi pazienti che venivano curati alle gambe, che stavano a letto in modo prolungato, venivano operati allo stomaco, morivano per embolia polmonare. Ora questo farmaco lo si dà per precauzione in tutte le sale operatorie, in tutte le fasi di lungodegenza, in caso di flebite, lo si dà comunemente, senza che provochi alcun danno, non ha effetti collaterali, salvo rarissimi casi quando c’è un’emorragia gastrica o un aneurisma al cervello. L’eparina ha due funzioni: quando il polmone è pieno di trombi la sia usa per farli sciogliere e se ne dà a dosaggi alti e in realtà parecchie persone che prima morivano attualmente sono curabili, sono migliorati. Adesso stanno morendo quelli che hanno già questa embolia massiva dentro. L’altro dato qual è? Siccome è il virus che scatena la formazione di questi coaguli quello che cerco di proporre io è che quando comincia a manifestarsi l’influenza, passano tre-quattro giorni e l’influenza non guarisce è un brutto segno: allora s’inizia la terapia con l’eparina per evitare che questo virus possa formare i coaguli. Sembra un ragionamento semplice, persino banale, ma ha trovato ostacoli, tanto che molti medici di famiglia che mi hanno consultato stanno usando di propria iniziativa questa terapia che impedisce la coagulazione.

«E questo utilizzo ha fatto andare molta meno gente in ospedale: attualmente le terapie intensive che erano state approntate per tutte quelle migliaia di persone che si dovevano ricoverare sono poco affollate: si pensi ai posti letto creati all’ex Fiera di Milano: sono vuoti, mentre venti giorni fa si sarebbero riempiti immediatamente.

– Hanno testato questo metodo con l’eparina in qualche centro clinico specializzato?

«Siamo in guerra, la gente muore. Da noi quando si ricovera qualcuno per embolia polmonare la prima cosa che facciamo è l’eparina per sciogliere i coaguli. E dunque, visto che questa patologia si può prevenire, si utilizza nelle cure domiciliari l’eparina a basso peso molecolare che ha l’effetto non di sciogliere i coaguli ma di prevenirne la formazione. Una terapia di questo genere non ha bisogno di test e di dimostrazioni perché esiste già come utilizzazione di farmaco: non bisogna fare una sperimentazione clinica per vedere se l’eparina scioglie il trombo o se quella a basso peso molecolare ne previene la formazione, perché lo sappiamo dall’esperienza di tutti i giorni. Si tratta di accettare questa ipotesi che ho suggerito e metterla in pratica. Una punturina sottocute a livello della parete addominale ha dunque la possibilità di evitare una malattia grave quale l’embolia polmonare. La polmonite è curabile, l’embolia no. È un farmaco a basso costo, usato abitualmente. Toglie la principale causa di morte».

– Ci sono stati errori nella terapia?

«In letteratura è descritto che sono stati trovati trombi nei polmoni dei deceduti per coronavirus; i cinesi l’hanno considerata una complicanza della polmonite, però i pazienti morivano seguendo le linee guida dei cinesi che per primi hanno vissuto l’esperienza del Covid-19. In Italia abbiamo, in un primo tempo, seguito in campo terapeutico le linee guida dei cinesi, sbagliando».

Sono in tanti, adesso, a vantare la primogenitura della terapia con eparina: qualcuno dovrà prima o poi spiegare perché la segnalazione e la cura suggerita dal dott. Spagnolo non abbia trovato ascolto presso le autorità sanitarie.

Dà un giudizio favorevole alle ipotesi scientifiche del dott. Spagnolo, l’ex presidente della Regione Calabria Pino Nisticò, illustre farmacologo di fama internazionale: «È un’osservazione interessante che merita sicuramente approfondimenti e studi adeguati: ai fini di una terapia immediata l’eparina si sta rivelando una cura adeguata quando ci sono fenomeni trombo-embolici. Non è un caso che a mostrare intuito, capacità e competenza sia un catanzarese: la scuola di medicina del capoluogo sta sfornando da anni eccellenze di cui l’Italia può essere largamente fiera. E se si realizzerà uno “Spallanzani” in Calabria – come suggerito dal rettore dell’Università Magna Graecia di Catanzaro Giovambattista De Sarro – sarà l’occasione per creare un centro regionale universitario che coordini gli altri prestigiosi istituti di malattie infettive come quello di Cosenza e di Reggio Calabria, nonché potenzialmente quello di Lamezia Terme. Così, questa rete diffusa su tutto il territorio rappresenterà la modalità migliore per combattere la pandemia da coronavirus e di eventuali future emergenze epidemiologiche, venendo incontro alle esigenze dei pazienti e dei loro familiari».

La Calabria, come sempre, è un passo avanti.  (s)

Allarme di Anastasi (IRIC) per le difficoltà di accesso al credito delle imprese

Gli interventi dei decreti Cura Italia che il Governo ha messo in campo continuano a suscitare rabbia e indignazione tra gli imprenditori che si trovano sempre più in difficoltà dopo due mesi di chiusura forzata. Di questo disagio si è fatto portavoce il Consigliere regionale del gruppo ‘Io resto in Calabria’ Marcello Anastasi, che ha espresso «preoccupazione per le difficoltà  che riscontrano gli imprenditori, gli artigiani e i liberi professionisti  reggini di accedere al credito bancario. Molti di loro – dice Anastasi – avendo investito cospicui capitali in progetti di sviluppo economico e di occupazione nel nostro territorio  e che oggi intendono continuare a  lavorare per contribuire alla ripresa, hanno bisogno di maggiore sostegno da parte degli istituti bancari»

«Gli imprenditori – ha detto Anastasi – che hanno bisogno di comprensione, di vicinanza, e di riconoscimento del loro ruolo e della loro funzione sociale, hanno necessità che il sistema bancario ponga più attenzione alle loro esigenze accelerando le azioni di finanziamento imprenditoriale a sostegno del loro lavoro e dell’occupazione».

«A tale proposito – ha rilevato Marcello Anastasi – l’intervento straordinario previsto dal Decreto Liquidità del Governo e che ha dato il via ai prestiti fino a 25 mila euro garantiti dallo Stato al 100% , non deve subire rallentamenti per cause derivanti dalle procedure bancarie, altrimenti è forte il rischio di snaturare il vero significato dell’azione di sostegno economico incentrato oltre che sull’offerta di liquidità, anche sulla veloce concessione della stessa, evitando così un ulteriore danno nei confronti di si trova seriamente in difficoltà».

«Molte sono infatti le segnalazioni che pervengono dal mondo delle professioni e  delle piccole e piccolissime imprese, i più colpiti, in ordine alle richieste documentali degli istituti bancari per avere accesso alle linee di credito, con gestione delle procedure che confliggono con i tempi imposti dalla crisi.

«Se così è – ha proseguito Anastasi – la gabbia della burocrazia può davvero restringere le opportunità di ripresa  in questa grave congiuntura economica di cui solamente i lavoratori interessati possono comprendere sino in fondo i pericoli di chiusura delle attività».

«È di interesse comune – ha sottolineato  il consigliere regionale di ‘Io resto in Calabria’ – tutelare il mondo del lavoro, le famiglie, lo status generale degli attori delle imprese e delle libere professioni, che con il loro laborioso fare alimentano l’economia, arricchiscono il mercato regionale e offrono servizi indispensabili per assicurare il comune benessere, rendendo  più attrattivo il nostro territorio al fine di ulteriori azioni di sviluppo».

L’esigenza di offrire immediata liquidità alle aziende è sotto gli occhi di tutti: «Da qui, e per evitare di costringerli al fermo delle attività cui molti sono tentati, e per salvaguardare settori come il turismo, agenzie di viaggio, strutture balneari, ristorazione, alberghi, camping, che in previsione dell’ormai vicina stagione estiva necessitano di immediata liquidità per fronteggiare spese di investimento anche sul piano dell’innovazione, si rende necessario una più determinata e veloce disamina delle pratiche di valutazione delle richieste di finanziamento. C’è bisogno – ha affermato  Anastasi – di un’etica della finanza adatta al momento storico, che salvaguardi da ulteriore stress gli imprenditori, artigiani e liberi professionisti».

Secondo Anastasi «È vitale che l’accesso al credito, per altro garantito tutto dallo Stato, debba avvenire con la massima sollecitudine possibile, seppure nel pieno rispetto delle leggi. Se nulla deve essere più come prima – ribadisce il consigliere regionale – anche le banche  aiutino gli imprenditori e i liberi professionisti reggini assicurando quanto previsto dal Governo nazionale in maniera veloce per favorire la ripresa e la garanzia dell’occupazione. Per tali ragioni, mi appello agli organi di controllo preposti a vigilare su questa situazione e anche ai nostri referenti politici nazionali, perché affrontino nelle loro sedi politico-istituzionali questa situazione ed assicurare che le forme di aiuto economico previste dal Governo nazionale  non subiscano stravolgimenti ma ci si attenga fedelmente alle linee guida già definite». (dc)

Si prepara la fase 2: ripartenza differenziata
In Calabria molto bassa la densità di contagio

di FRANCESCO AIELLO – La decisione su come e quando implementare la riapertura delle attività produttive non può non tener conto del numero  di persone ancora positive e della dinamica che si osserva nella curva del contagio da coronavirus. Diventa cruciale in questa fase di setting delle politiche considerare l’incidenza del contagio tra la popolazione e la densità dello stesso. Se l’obiettivo è di riaprire il paese in sicurezza, allora è necessario farlo analizzando la “dimensione relativa” del contagio e capire se la curva del contagio mostra un andamento “stabilmente” decrescente. Al momento, l’area più sicura del paese è il Mezzogiorno d’Italia, in cui la densità del contagio è 6,7 volte più bassa rispetto a quella osservata nelle regioni settentrionali e l’incidenza dei positivi per abitante è 4.8 volte più bassa del Nord.

Il contagio regionale. Il contagio da Covid19 è fortemente concentrato per regione e molto diversificato in termini di densità e di incidenza per 1000 abitanti. Al 22 Aprile 2020, il 73% degli “attualmente positivi” è concentrato in 5 regioni (Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Veneto e Toscana), mentre Molise, Basilicata, Umbria, Valle d’Aosta e Calabria assorbono in totale solo il 2% dei casi di positivi in Italia (vedi tabella sotto).

Tabella densità contagio covid19

Diversa è anche l’incidenza del contagio rispetto alla popolazione: in Italia 1,78 persone ogni 1000 sono contagiate.  Questo valore è pari a 3,4 in Lombardia, 3.47 in Piemonte, 2.9 in Emilia Romagna e 2 in Veneto. Il valore più elevato del contagio per abitante si ha in Valle d’Aosta (3,9 contagiati ogni 1000 abitanti). Rilevante è anche il caso del Trentino Alto Adige (3,1 contagiati per 1000 residenti). All’estremo opposto, l’incidenza del contagio tra la popolazione è basso in Molise (0,67 contagiati per 1000 abitanti), Basilicata, Umbria e Calabria (poco più di 0,4 positivi per 1000 residenti. Parallelamente, si osservi che la densità del contagio è in Italia pari a 0.35 contagiati per Km2 e varia da 1.43 contagiati per Km2 in Lombardia a 0.023 in Basilicata

Densità contagio covid19

La figura 1   sintetizza quanto la dimensione “relativa” del contagio vari a Nord a Sud del paese. Nelle regioni del Nord, ci sono 2.9 contagiati ogni 1000 abitanti. Questo valore è pari a 1,18 nel Centro di si riduce a 0.6 contagiati per 1000 residenti nelle regioni meridionali. Nel Mezzogiorno d’Italia,la densità del contagio è 6,7 volte più bassa rispetto a quella osservata nelle regioni settentrionali. E’ molto diversa anche la densità del contagio, che nelle regioni settentrionali è pari a 0.67, per ridursi a 0.24 nel Centro e addirittura a 0.099 nel Mezzogiorno d’Italia: nelle regioni del Sud l’incidenza dei positivi per abitante è 4.8 volte più bassa di quella che si osserva a Nord).

Curve di contagio covid19

Le curve del contagio. La precedente analisi riproduce la distribuzione territoriale del contagio in un dato istante nel tempo, che è realizzata utilizzando i dati disponibili in data 22 Aprile 2020. Per ottenere una più organica rappresentazione del fenomeno in esame è utile verificare in quale fase dell’espansione dell’epidemia si trovano le regioni italiane. A tal fine, le figure 2 e 3 mostrano le curve del contagio da Covid delle regioni italiane costruite utilizzando i dati pubblicati il 22 Aprile 2020 dalla protezione civile. I valori degli “attuali positivi” sono espressi sotto forma di numeri indice al fine di rendere confrontabili le serie storiche regionali. Il “giorno base” prescelto è l’11 Aprile 2020 che è quello in cui le curve del contagio degli “attuali positivi” mostrano un cambiamento di curvatura in molte regioni italiane. Infine, per rendere più chiara la posizione sul grafico delle varie curve regionali del contagio si è scelto di visualizzare la finestra temporale degli ultimi 20 giorni dell’epidemia.

Si noti che in alcune regioni il contagio è minore di quello osservato l’11 Aprile: si tratta dell’Umbria, della Basilicata, del Veneto e della Valle d’Aosta. Inoltre, è anche evidente che in alcune regioni il contagio tende a stabilizzarsi (in Calabria, Toscana, Campania e nelle Marche, che ha raggiunto il punto di massimo il 7 aprile), in altre è ancora crescente (gli “attuali positivi” sono superiori più del 10% di quelli rilevati l’11 aprile in Lombardia,  Puglia, Abruzzo, Lazio, Lombardia). E’ importante notare le curve del contagio degli “attuali positivi” hanno “imboccato” la strada della discesa in un congruo numero di regioni.

Si tratta di un’evidenza empirica che dovrebbe aiutare a capire che, allo stato attuale dell’espansione del contagio, non ha senso fissare una data unica per la riapertura in tutto il paese delle attività economiche. (fa)

[Courtesy OpenCalabria}

Francesco Aiello è professore ordinario di Politica Economica presso l’Università della Calabria. Attualmente insegna “Politica Economica” al corso di Laurea in Economia ed “Economia Internazionale” al corso di Laurea Magistrale in Economia e Commercio.

(A info@opencalabria.com si possono richiedere i dati completi).

La ricetta di Antonino De Masi per il “dopo”: fisco, compensazione legalità

Antonino De Masi è un imprenditore della Piana di Gioia Tauro, da anni nel mirino della mafia che lo vuole morto, da anni nemico giurato delle usure “autorizzate” delle banche. Nonostante tutto, De Masi continua a crederci, nel suo sentirsi calabrese che deve pensare alla sua terra e ai suoi conterranei. Una missione impossibile? No, sicuramente difficile e ardua, ma l’imprenditore – quando è tale – ha il rischio nel sangue e sa che deve osare se vuole riuscire in qualsiasi intrapresa.

Fortemente preoccupato per quello che succederà “dopo”, Nino De Masi ha indicato in una sorta di lettera aperta quelle che a suo avviso possono costituire serie proposte per una nuova rinascita del Mezzogiorno e, naturalmente della Calabria. Dalle «criticità e dalle povertà infrastrutturali» De Masi vede condizioni di vantaggio rispetto al Nord. (s)

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«Mi rivolgo ai calabresi e alla classe politica regionale – scrive Antonino De Masi –. Provo rabbia, amarezza e delusione per aver visto in passato tante sperate “rinascite”, proiettate da manovre “miracolose” che dovevano riallineare il Meridione al resto del Paese. Tutte fallite.

Può oggi il nostro Paese, ed anche l’Europa, permettersi le disparità dei propri territori? Possiamo noi tutti permetterci l’ennesimo fallimento? Possono delle manovre ordinarie riuscire a riavviare, in un contesto ancora più drammatico del passato, il motore del Sud?

Speriamo di aver ormai superato un periodo drammatico della recente storia del nostro Paese. Ora abbiamo il dovere di fare la nostra parte per ritornare ad una “normalità” che non sarà come prima.

In questi complessi e drammatici momenti abbiamo forse riscoperto l’orgoglio di essere Italiani, di essere una nazione e, aldilà delle speculazioni politiche, più o meno legittime e morali, ci siamo riappropriati della nostra umanità e della nostra civiltà. Ne usciremo diversi e forse migliori.

Io credo che anche in confronto con l’arroganza di altri Paesi, uniti solo, da come emerso, da “beceri” interessi economici in una comunità chiamata Europa, ne usciamo forti ed orgogliosamente portatori di quella “cultura umanistica” che è stata la base della civiltà e che ha messo prima l’uomo ed i suoi valori e poi le cose e non viceversa. Sembra di essere tornati nei millenni passati, quando le civiltà del sud (latini e greci) hanno civilizzato, scontrandosi con la barbarie e con i disvalori, il resto dell’Europa.

Oggi il coronavirus ha fatto anche emergere quelle primordiali differenze culturali e sociali.

Premetto che:

la Calabria e parte del meridione, già prima dell’epidemia, erano le regioni più povere d’Europa, con un’elevata arretratezza infrastrutturale che ha fatto venire meno diritti primari ai cittadini (salute, libertà, studio, trasporti et cetera);

questi territori sono caratterizzati da altissimi livelli di povertà, che portano a notevoli, costanti flussi migratori dei propri giovani, generando impoverimento anche culturale;

negli stessi territori si riscontra un tasso di disoccupazione, in particolare quello giovanile, tra i più alti dei Paesi sviluppati al mondo;

del disallineamento di questi territori si sono occupati tutti i governi dal dopoguerra in avanti e le politiche comunitarie destinando, o meglio, visti i risultati, sperperando ingentissime risorse pubbliche;

l’oggettiva arretratezza strutturale di questi territori non potrà mai consentire al sistema imprenditoriale di essere competitivo, pur, come avvenuto in passato, con l’utilizzo di forti incentivi pubblici (anche al 80% a fondo perduto);

tali condizioni di arretratezza, di scarso sviluppo e di povertà, sono state purtroppo l’humus in cui è cresciuta e si è radicata quella “cultura filo mafiosa” che ha fatto espandere il potere della più ricca organizzazione criminale al mondo, che oggi controlla e condiziona gran parte di questi territori e che è stata l’unico soggetto a trarre beneficio dagli ingenti interventi pubblici predisposti;

La presenza costante ed opprimente di questa organizzazione criminale ha fatto sì che una cd. “borghesia imprenditoriale e culturale” abbandonasse il Sud, trasferendo altrove le proprie attività e generando ulteriore impoverimento;

quel poco di economia presente in questi territori, aldilà di importanti realtà di nicchia, è legata al turismo ed all’agricoltura, che garantivano occupazione ed un minimo di sostentamento.

Economia in ginocchio

Quanto avvenuto con l’avvento dell’epidemia, ha di fatto bloccato l’economia di tutto il Paese, azzerando tutto. Ma va tenuto conto che:

il Nord Italia, che in questi anni ci ha consentito di essere una delle nazioni più ricche del mondo e che certamente è stato condizionato molto dalla serrata, con gli adeguati ed indispensabili interventi pubblici si riavvierà ritornando in tempi ragionevoli ai soliti livelli di competitività e ad essere la locomotiva del Paese;

in altri territori invece, e la Calabria in particolare, il blocco dell’economia e delle poche attività presenti, ha spento in modo quasi definitivo il motore produttivo del Sud, che già arrancava vistosamente;

la pandemia ha riportato in poco tempo il Mezzogiorno ad uno stato “di quasi irreversibilità”, accentuandone ancora di più le drammatiche povertà e criticità economiche e sociali;

le criticità oggettive qui rappresentate rendono preminente la necessità di mettere in campo gli strumenti necessari per far ripartire il sistema economico del Mezzogiorno, ma per sperare di ottenere dei risultati concreti occorre partire dall’analisi dei fallimenti del passato e intervenire con manovre e misure che diano risposte in tempi rapidi, visto il livello di povertà materiale e di criticità sociale;

per come rappresentato da importanti Istituzioni nel Mezzogiorno vi è una situazione nella quale il disagio economico, la povertà, insieme al forte radicamento della criminalità, possono innescare reazioni sociali molto gravi e radicalizzare ancora di più il ruolo e la funzione del sistema dell’“antistato”;

il Paese tutto, e di certo l’Europa, non si possono permettere che perdurino situazioni nelle quali queste diseguaglianze socio-economiche possano produrre ulteriori fenomeni sociali pericolosi.

La proposta

Da qui la mia proposta che intende contribuire a dare al tessuto imprenditoriale e socio-economico dei territori in palese difficoltà una possibilità di ripartire. A mio avviso è allora indispensabile:

individuare nel Mezzogiorno o in alcune regioni, intanto in Calabria, uno strumento che si potrebbe chiamare “compensatore” e che, partendo dalle criticità e dalle povertà infrastrutturali, possa consentire di avere condizioni di vantaggio rispetto ad altri, al fine di consentirne il riallineamento.

la mia idea di compensatore è quella che in altri luoghi d’Europa si è già realizzata anche per casi simili. Un territorio con una fiscalità ridotta, che compensi gli “handicap” infrastrutturali presenti. In questo modo, così come ad esempio avviene oggi in Irlanda, in Portogallo con l’Isola di Madeira, e nella famigerata Olanda, si avrà un luogo in cui attrarre imprese e generare ricchezza;

questo compensatore, questa area di fiscalità di vantaggio, consentendo al sistema produttivo importanti economie, restituirebbe in modo semplice ed immediato competitività al territorio, aldilà dei deficit infrastrutturali che potrebbero essere anch’essi sensibilmente ridotti in virtù dello sviluppo che si creerebbe. Abbattere la fiscalità significa ridurre i costi, dal costo del lavoro, al costo del fare impresa in generale, in modo che si crei uno sviluppo immediato, rendendo attraente il territorio alle aziende ed agli investitori;

questo strumento può innescare il cambiamento ed in un contesto come la Calabria ed il Porto di Gioia Tauro potrebbe cambiare le sorti del nostro Paese in pochissimo tempo; si pensi a quanto avvenuto ad Amsterdam dove intorno al porto si è creato un sistema economico tra i più efficienti del nord Europa. Tutti gli operatori della logistica delle merci saranno spinti a venire in Calabria, investendo grossi capitali.

A ciò andrebbero aggiunte piccole “leve” rivolte alle microrealtà imprenditoriali. Penso ad un sostegno da parte delle banche, con prestiti a tasso zero per 15 anni e con forme di garanzie semplificate, come pegni sulle quote aziendali, per garantire il capitale necessario alla partenza e, visto che la competitività sarebbe data dalla fiscalità di vantaggio, senza la necessità di finanziamenti a fondo perduto (e ciò eliminerebbe l’annosa problematica della gestione e dei controlli dell’utilizzo dei fondi pubblici). Oltre a ciò andrebbero individuati alcuni strumenti idonei ad incentivare la formazione e riqualificazione, pensando anche alla possibilità di una forma di obbligo di reinvestimento nel territorio di parte degli utili conseguiti dalle banche e società finanziarie che beneficeranno della fiscalità di vantaggio;

questa operazione potrebbe a mio avviso generare plusvalenze per il Paese, in quanto creerebbe ricchezza, farebbe emergere l’economia sommersa e consentirebbe con risultati tangibili l’allineamento dello sviluppo delle diverse aree.

Queste manovre infine devono essere accompagnate da una precondizione essenziale: la legalità, con una strategia da parte di tutto l’apparato statuale nelle sue varie articolazioni finalizzata a combattere la criminalità, adeguando gli strumenti legislativi a tali obbiettivi. Questa è una precondizione che non può venire meno.

Queste sono delle riflessioni, forse importanti, che se condivise potrebbero essere la base di un progetto politico comune per un rilancio immediato del Mezzogiorno e della Calabria in particolare».  (rrm)