IL MEDICO E PARLAMENTARE CALABRESE AVEVA PREVISTO LA PANDEMIA E ALLERTATO IL MINISTRO SPERANZA;

L’allarme inascoltato di Siclari del 31 gennaio
Il senatore: «Persi 90 giorni contro il Covid-19»

di SANTO STRATI – Era il 31 gennaio, giorno di audizione in Senato del ministro della Salute Roberto Speranza. Cinque giorni prima, Marco Siclari, giovane senatore calabrese di Forza Italia aveva lanciato un appello inascoltato (vedi calabria.live del 25 febbraio) sui rischi della pandemia da Coronavirus. Già si erano persi quattro giorni dal suo appassionato intervento in Senato e ancora nessuno immaginava quello che sarebbe capitato da lì a poco. Il 31, con molta discrezione, il Governo lanciava uno stato di emergenza di sei mesi, a fini precauzionali, ma nessuno era stato adeguatamente informato. Dopo la relazione del ministro, l’intervento del senatore Siclari, medico e dirigente sanitario, era stato ancora più intenso e vibrante di quello di pochi giorni prima. Siclari aveva intuito la gravità della situazione e ne aveva tracciato gli scenari, senza descrizioni apocalittiche, ma non per questo meno allarmanti.

«Parliamo di sanità pubblica – aveva detto Siclari –. Parliamo della tutela della salute e della vita dei nostri cittadini, soprattutto dei più deboli». Siclari si rivolge al ministro Speranza: «Abbiamo ascoltato con estrema attenzione la sua relazione che condividiamo, ma non basta. Non basta perché non riferisce provvedimenti concreti ed efficaci per prevenire nell’immediato il contagio di ciò che potrebbe rappresentare una gravissima pandemia, forse la più grave degli ultimi cent’anni. E per recuperare tempo prezioso, soprattutto prima che si diffonda in Italia, così com’è accaduto in due mesi in Cina, in soltanto due mesi, da novembre ad oggi. Ministro, abbiamo ascoltato anche le dichiarazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha ammesso che il rischio globale derivante dal coronavirus cinese è elevato. Sia per la sua aggressività sia per la sua pericolosità e soprattutto per la facilità con cui si trasmette tra le persone. Si trasmette come un virus influenzale: ciò vuol dire che fra tre mesi avremo picchi massimi, entro aprile, forse maggio. Dalla sua relazione si evidenzia che non abbiamo dati certi, non conosciamo il numero degli ammalati, non abbiamo certezza di quante persone siano guarite. Non sappiamo dove sono finiti i cittadini che hanno lasciato Wuhan e sono arrivati in Italia nell’ultimo mese, duemila e quattrocento persone».

«Lei ha dichiarato – ha proseguito Siclari nel suo intervento del 31 gennaio – che in Italia abbiamo i controlli più alti e ha chiesto una riunione internazionale di tutti i ministri della Salute dell’Unione Europea per capire come affrontare la situazione. Ministro, io le consiglio di andare in Europa e di portare quelle che sono le nostre indicazioni. Noi abbiamo i migliori scienziati al mondo, la migliore ricerca al mondo, e non dobbiamo aspettare che gli altri ci dicano, gli altri ministri degli altri Paesi europei come dobbiamo intervenire».

Siclari chiedeva al ministro di diffondere un messaggio per comunicare «come contenere la trasmissione del contagio nell’immediato, cosa che oggi non è accaduto. Contatti l’ambasciata cinese, signor ministro, e faccia contattare dall’ambasciatore tutti i cinesi che sono arrivati nell’ultimo mese in Italia. Facciamo degli esami clinici per vedere se ci sono portatori sani di questo virus, perché non lo sappiamo, e consigliamo a tutti di indossare le mascherine: negli aeroporti, nei treni, nei centri commerciali, nei punti affollati. Non dobbiamo vergognarci, non dobbiamo aspettare magari di dirlo tra una settimana quando sarà già tardi». Era il 31 gennaio, il senatore Siclari, cui non vogliamo attribuire il ruolo di Cassandra, aveva messo in guardia il ministro della Salute, l’intera aula del Senato. Aveva lanciato un allarme preciso e circostanziato, da uomo di medicina. Non è stato ascoltato. Anche se poi il suo documento di prevenzione da epidemia (un accurato decalogo delle cose da fare) è stato perfino apprezzato al livello europeo

Sono stati persi 90 giorni, non sappiamo quanto avrebbe potuto essere circoscritto e limitato il contagio: il 21 febbraio è scoppiato il caso Codogno, il giorno d’inizio di questa disgraziata guerra contro il nemico invisibile che ancora non si è riusciti a domare. Sono seguiti i provvedimenti di chiusura (fa fine dire lockdown, attenua la gravità dell’isolamento forzato in casa), a cascata, in modo generico, imponendo restrizioni, cambiando continuamente le misure, nel disperato tentativo di non sbagliare. Eppure, quando tutto questo sarà finito – perché dovrà pur avere una fine – bisognerà chiedersi degli errori, delle incapacità, delle lampanti incompetenze che hanno guidato la strategia del fronte antivirus.

Non è rimasto solo Siclari, inascoltato, come è avvenuto per il dott. Salvatore Spagnolo (calabrese di Simeri Crichi, chirurgo a Rapallo) che suggeriva con convinzione l’uso dell’eparina per bloccare le morti da embolia polmonare che il coronavirus continuava a provocare in misura crescente (vedi calabria.live del 26 aprile). Due medici, due calabresi. Appassionati del loro lavoro, nel credo d’Ippocrate, e calabresi “emigrati” come tante altre centinaia di teste pensanti, eccellenti risorse nel campo della scienza, della tecnica, della cultura, costretti a lasciare la propria terra per assenza di opportunità.

Per troppo tempo abbiamo permesso a chi ci governa di decidere per i nostri giovani, ovvero non decidere ignorando colpevolmente le loro capacità e competenze, rubando letteralmente il futuro a migliaia e migliaia di laureati e ricercatori. Un impegno che la nuova Giunta ha promesso di prendere seriamente a cuore. Noi ci saremo, non solo come rigorosi giornalisti testimoni della realtà regionale, ma soprattutto come calabresi che hanno a cuore questa terra e il futuro delle nuove generazioni. Servono risorse (e ci sono, l’Europa ce le dà, i passati governanti sono stati capaci di restituire milioni di euro non utilizzati!), ma serve l’intelligenza di aprirsi al confronto, ascoltare anche l’avversario politico, se il fine ultimo è il bene comune. Il nuovo governo regionale sta mostrando una inaspettata vitalità, una grande voglia di determinazione e di risultato. L’opposizione, per favore, smetta di fare polemiche montate sul nulla e presenti progetti, proposte, idee e dialetticamente si confronti: l’assemblea regionale deve diventare protagonista di questa voglia di cambiamento che tutti i calabresi chiedono a gran voce. È finito il tempo delle manovre di Palazzo e delle clientele: insieme si possono vincere tutte le sfide, anche le più grandi. E quando si sarà sconfitto il nemico di oggi bisognerà essere già pronti a costruire il domani che oggi, in piena emergenza, non bisogna assolutamente smettere di progettare. Non è solo un auspicio, è una drammatica necessità a cui tutti sono chiamati, ognuno per la sua capacità e la propria competenza, dovrà dare il meglio, pensando ai ragazzini smarriti di oggi di fronte al misterioso virus che li ha tolti da scuola e li trattiene a casa. Questi ragazzini si ricorderanno di questi terribili giorni, capiranno quanto ha pesato il sacrificio di medici, infermieri, operatori sanitari morti per assistere e salvare altre vite, e apprezzeranno quello che oggi scienziati, imprenditori politici hanno saputo progettare e costruire, per restituire un futuro che non potrà più essere rubato. (s)