INSOLITO MA IMPORTANTE APPELLO DELLA CONFERENZA EPISCOPALE CHE INTERVIENE SULLE ELEZIONI REGIONALI;
Conferenza Episcopale Calabra

CHIESA CONTRO I DIAVOLI DELLA POLITICA
VESCOVI CALABRI CHIEDONO COMPETENZA

di SANTO STRATI – Preciso e netto, arriva l’appello dei vescovi calabresi contro la mala politica in vista delle prossime elezioni regionali. Insolito, ma provvidenziale a marcare insieme coinvolgimento e preoccupazione, ma anche una non tanto velata sfiducia, sulla classe politica che ha governato nelle ultime consiliare. Non è un’invasione di campo, né un problema di interferenza, ma l’atteggiamento della Chiesa giunge tempestivo a creare ulteriore scompiglio in uno scenario fin troppo confuso e malmostoso. Occorre assicurare lavoro e dignità, afferma il documento, ma per farlo servono soprattutto onestà, capacità, competenza e il supporto «delle migliori ed eccellenti intelligenze nel campo della finanza, dell’economia, della cultura, dell’imprenditoria e dell’innovazione».

Cosa chiedono i vescovi calabresi? Senza, evidentemente, mostrare preferenze o indicazioni per il voto, il documento della Conferenza Episcopale Calabra, sostanzialmente domanda competenza nel rispetto dell’etica della politica. Sono tanti, troppi, i problemi fin qui trascurati o rimossi senza aver trovato soluzioni accettabili, è dunque necessario un risveglio delle coscienze, prima in chi si candida, poi in chi andrà a votare.

Il desiderio dei vescovi – si legge nel documento che tutti i calabresi, credenti o non, dovrebbero stamparsi e attaccare sull’uscio di casa, in modo da vederlo ogni qualvolta escono – è di «contribuire alla vita buona e giusta e alla qualità della vita della Calabria. In questo tempo di pandemia, tale obiettivo è risultato ancora più stringente; tanti sono stati, infatti, gli aspetti critici venuti in superficie: ritardi, carenze e nodi, molti dei quali ignorati dai più, ma comunque pubblici e sorprendenti e, proprio per questo, avvertiti con maggiore acutezza dal nostro popolo.

«La Calabria va continuamente liberata da mali antichi, e curata in modo nuovo, perché le realtà sofferte nei vissuti di ognuno sembrano scendere dai campanili delle nostre Chiese e versarsi sulle coste dei nostri mari, metafora di un continuo ritorno, nelle distese di argilla: metafora di movimenti sempre franosi, di scontro con l’asperità dei monti, simbolo della durezza della nostra storia. Questa nostra terra, segnata da grandi contraddizioni e contrasti, ha bisogno di risanare, con una terapia intensiva, l’azione amministrativa e politica, puntando a curare quei mali che non hanno più l’ossigeno di respiro verso il bene comune; di debellare la sempre vegeta preoccupazione degli interessi privatistici, per come le cronache degli ultimi tempi ci raccontano. Attraverso la sana politica e la sana amministrazione, la Calabria deve riguadagnare fiducia in se stessa, eliminando promesse illudenti, ma senza fondamento, premesse a elemosine e provvidenze assistenzialistiche, prime vere minacce alla democrazia e alla dignità degli onesti e, in particolare, dei più giovani, che aborriscono qualunque forma di assistenzialismo e di corruzione».

Una dichiarazione di “guerra” ai diavoli della politica, che non le manda a dire. C’è una sorprendente, quanto irrazionale, tendenza al lassismo da parte della classe politica nostrana e l’unica preoccupazione che sembra prevalere riguarda in primo luogo la riconferma della candidatura e poi la pervicace (e diabolica) convinzione di essere predestinati a uno scranno di Palazzo Campanella. Nessun progetto politico, nessun piano strategico che metta il bene comune al primo posto: fatte le piccole, significative, eccezioni, il discorso si attaglia a buona parte dei consiglieri uscenti, di quelli che sono rimasti fuori la volta passata (giusto un anno e mezzo fa, per la cronaca), quelli che spintonano pretendendo l’incoronazione, ops – scusate – la posizione in lista. Con una legge regionale che, vergognosamente, nessuno a Palazzo Campanella si è minimamente degnato di riformare, i risultati sono quelli che sono: è entrata la pari opportunità (ma solo per le liste, non per i posti in Consiglio), non è stato ammesso il voto disgiunto (dove è previsto, si vota per il presidente e si può scegliere la coalizione avversaria), non è stato svincolato il blocco di sette assessori (col risultato, in una regione come la Calabria, che troppe deleghe vengono caricate – spesso senza criterio – a un singolo). Fra tutte la norma che più stride è quella del voto disgiunto – presente nel regolamento di voto  in quasi tutte le Regioni italiane –, quella che potrebbe fare la differenza e permettere poi al presidente eletto di essere libero di formare un governo secondo una propria visione strategica e non pagando “cambiali” elettorali alla coalizione che lo ha eletto. Un governo di larghe intese sarebbe l’ideale per la nostra martoriata terra, ma con l’attuale legge elettorale è una condizione irrealizzabile, salvo che il nuovo Presidente non voglia passare alla storia come “illuminato” dal solo obiettivo del bene di tutti i calabresi (anche dei sei milioni che milioni che vivono fuori del territorio) e dell’intera regione. Un Presidente – di destra, di sinistra, di centro, non importa – che abbia il coraggio di sovvertire le non scritte (e infami) regole d’ingaggio della politica, dove il clientelismo, il familismo e gli interessi di parte, producono – grazie al cielo – fin troppo lavoro alle procure. Ma non è combattendo giudiziariamente i “signori del voto” che si aiuta la Calabria: occorre prevenire la loro affermazione, bloccare per tempo ogni idea criminale della politica, se si vuole il bene della Calabria.

Per questa ragione, l’«appello dialogico» dei vescovi calabresi richiede attenzione e merita riguardo. Scrivono: «Permangono, purtroppo, assistenzialismi spaccianti come “favore” ciò che invece è un diritto della persona e del cittadino, mentre con la piaga mai spenta del clientelismo si continua ad incrementare e offendere il ceto degli ultimi, degli scartati e dei senza-diritti, facendo pericolosamente spazio alle forze occulte deviate e alle mafie.

«Vi sono diritti fondamentali che precedono la politica, perché derivano dalla dignità conferita ad ogni persona in quanto creata da Dio. La Calabria ha una storia da preservare, ma ne ha un’altra parallela e contingente da abbandonare.

• È la storia dei bilanci mal fatti – quando non sfacciatamente falsi –, facendo registrare record negativi a Comuni e Aziende Sanitarie in insanabile dissesto.

•  È la storia dell’assenteismo e della scarsa produttività, che restituisce l’immagine di un insufficiente e deplorevole senso del dovere e di vocazione al lavoro.

• È la storia di servizio sanitario paurosamente frodato, che ha seminato per anni vittime inconsapevoli e che attende di essere condannato senza appelli in chi ha sbagliato, o ha omesso.

• È la svendita della nostra terra, spesso alla connivenza falsata dal rispetto al malaffare, immiserendo e deturpando l’immenso suo bacino di bellezza, di energia e di risorse ambientali.

• È la persistenza della corruzione in tanti – abito ordinario e sistema di condotta –, sia nello svolgimento dei pubblici servizi, sia nella pessima prassi dell’assenteismo sul posto di lavoro.

• Fino a quando durerà lo sfruttamento del lavoro nero?»

È un memorandum spietato, ma preciso, che mette a fuoco i mali della politica per come fino ad oggi è stata amministrata in Calabria. È un appello, un’esortazione, un anelito di speranza di tutti i calabresi che la Chiesa calabrese fa propri ribadendo che «l’etica della politica è vincolante per tutti, a qualsiasi schieramento, gruppo o partito si appartenga».

Cos’è l’etica della politica? I Vescovi calabresi ne hanno tracciato i punti salienti. Consiste:
• nella ricerca del “vero” bene comune. Al di là degli interessi di parte, per edificare la nuova Calabria di oggi e di domani;

• nel coltivare la competenza e la responsabilità, in un’epoca fluida;

• nell’ottica della collaborazione con gli orizzonti della nuova politica governativa nazionale ed europea;

• nella ricerca di alleanze e strategie collaborative lungimiranti, affinché non si resti irretiti da miopie partitiche, partigiane, colluse, trasversali;

• nella rottura con qualsiasi collegamento con le forze diaboliche e malefiche della ’ndrangheta, con altre ad esse colluse e, in generale, con quelle occulte, comunque appartenenti alla criminalità organizzata;

• nella vigilanza, che esige il massimo rigore nell’escludere candidature da sottobosco inquinato, aborrendo tutto ciò che possa essere premessa a future e sicure Commissioni di accesso e Commissariamenti, sempre in crescente dinamismo e frenante per mesi – a volte per anni – la regolare e ordinaria amministrazione della cosa pubblica;

• nella fallimentare pratica di voti di scambio come architrave dei consensi in vista dell’ascesa a ruoli e incarichi di potere, sorretti da una logica oligarchica, offensiva e deprimente. Vanno perciò individuati candidati con competenze tecniche e specifiche, che godano di riconosciuta stima pubblica, noti per specchiate qualità morali, responsabili e motivati, sinceramente amanti del bene comune, in vista del progresso della nostra Regione. Una politica che ispira fiducia può rimotivare il dovere del ritorno al voto della nostra gente, perché ancora una volta non vinca il partito degli astenuti».

Al di là di chi è legittimamente impedito di tornare a votare in Calabria (la richiesta parlamentare di applicare il voto per posta è stata brutalmente respinta dal Ministero dell?interno perché impraticabile per “motivi tecnici”), l’astensionismo tradisce la sfiducia e l’avvilimento nei confronti della politica calabrese. E, sia ben chiaro, coglierà a piene mani nell’elettorato di sinistra, quello più sfiduciato e confuso, disorientato e irritato dai maneggi romani.

La Chiesa chiede «attenzione permanente di educazione illuminazione e formazione delle coscienze all’impegno socio-politico» perché si abbia cura dei poveri e dei più fragili. E cita i temi del lavoro, della salute pubblica, dell’ambiente e dell’acqua pubblica, dell’innovazione, della coesione sociale. È questo il punto principale che i candidati alla presidenza dovrebbero mettere al centro del programma: non vi può essere sviluppo economico senza il rispetto di pari diritti e il superamento del distanziamento sociale. Se i candidati (tre?) cercavano un programma, il manifesto della Conferenza Episcopale Calabra offre loro un’ottima base per elaborare una visione strategica a seria e di sicuro effetto. Quella che, ahimè, fino a oggi in Regione è proprio mancata. (s)

Il documento della Conferenza Episcopale Calabra

PER LA _VITA BUONA_ DELLA REGIONE