COL REDDITO DI CITTADINANZA, RIDOTTA
L’EMIGRAZIONE: SERVE MA VA MODIFICATO

di MASSIMO MASTRUZZOCon la Legge di Bilancio 2023, per tutti gli “occupabili“, si sopprime la parola “congrua”, tanto che, di fatto, si potrà perdere il Reddito rifiutando qualunque offerta di lavoro, qualunque essa sia, ovunque sia. La cancellazione della cosiddetta “offerta congrua”, costringerà difatti i beneficiari ad accettare qualunque lavoro e su tutto il territorio nazionale, pena la decadenza dal beneficio. 

Lo sblocco dell’emigrazione

Questo sembra essere il reale motivo di tale astio verso il RdC, uno strumento che volente o nolente, con tutti le auspicabili e necessarie correzioni, dalla sua comparsa ha comunque dato la possibilità di una scelta: restare (o per meglio dire resistere) o emigrare. Opzione che i cittadini del Sud-Italia, stante i milioni di emigrati, non hanno mai avuto. Il RdC, al momento, sta rallentando proprio l’emigrazione.  

E questo poco velato tentativo di “(ri)sblocco dell’emigrazione” è avvalorato dalla vicenda che ha visto il coinvolgimento della Intel, l’azienda americana che costruisce microchip, prevedeva un importante investimento in una località (anche) in Sicilia, nello specifico a Catania, dove oltre alla presenza di un centro importante, attorno alla St Microelectronics, che poteva rappresentare un nucleo di attrazione, si sarebbe potuto usufruire del valore aggiunto della locale facoltà di Ingegneria dell’Università che si è specializzata e attrezzata per fornire specialisti apprezzati in tutto il mondo.

Senza contare che Catania è all’interno di una Zes, e che queste sono state create proprio attrarre investimenti dall’esterno dell’area e visto che Catania ha un aeroporto internazionale a pochi chilometri dalla zona industriale, e poteva fornire dei vantaggi fiscali rispetto al costo del lavoro, oltre che dei vantaggi per quanto attiene agli utili che si sarebbero eventualmente prodotti, così come prevedono le Zone economiche speciali, sembrava la candidata perfetta, la ciliegina sulla torta di un serio progetto alternativo al Reddito di Cittadinanza: se il reddito di cittadinanza viene percepito nella aree dove la disoccupazione è maggiore, non serve un luminare per capire che la contromisura sia banalmente rappresentata da proposte reali e “congrue” di occupazione.

Offerte di lavoro dove congruo significa in scala 1 a 1: al cittadino residente nella provincia x viene sostituto il RdC con un posto di lavoro entro i confini della propria provincia di residenza (ed evito di sottolinea che in un Mezzogiorno senza le adeguate infrastrutture per la mobilità, bisognerebbe che il concetto di congruo tenesse conto anche della disponibilità di trasporto pubblico). Perché se la proposta di lavoro è a 1200 km più a nord, l’odore del marcio dietro all’eliminazione della “offerta congrua” è nauseante. 

Detto fatto, dopo la visita ministro leghista dello sviluppo Giancarlo Giorgetti, che da Ministro (leghista) di tutti gli italiani è andato personalmente ad incontrare i dirigenti della società americana negli Stati Uniti, il colosso statunitense sorgerà a Vigasio, una cittadina in provincia di Verona.

Si parla di un investimento da circa 4,5 miliardi che dovrebbe portare 1.500 assunzioni dirette e 3.500 posti di indotto e con governo italiano che sarebbe pronto a contribuire al 40% con fondi pubblici (pubblici, quindi anche dei cittadini siciliani) dell’investimento totale di Intel in Italia, o meglio nel Veneto.

Ennesimo esempio di disomogeneità di Stato rispetto a quanto previsto dall’art. 3 della costituzione: che logica ha l’aver creato le ZES proprio per attrarre investimenti, se alla prima occasione in barba al concetto stesso di coesione sociale si cofinanziano investimenti in un’area già satura di imprese e lavoro.

Ora fronte di una fabbrica che avrebbe portato 4.000 posti di lavoro, potenzialmente raddoppiabili, in una realtà, il territorio del Mezzogiorno d’Italia, con 20 milioni di abitanti, che per la sua condizione di minor reddito pro-capite e maggior disoccupazione tra gli altri territori degli stati membri dell’UE, ha dato il maggiore contributo negativo affinché all’Italia venisse assegnato la fetta più grande del PNRR, fabbrica e posti di lavoro che avrebbero  certamente contributo alla sottrazione del reddito di cittadinanza a tanti che ne usufruiscono perché non hanno opportunità lavorative, quante migliaia di meridionali dovranno trasferirsi nel Veronese per lavorare magari proprio in quella fabbrica? 

Che senso ha tutto ciò se non l’alimentazione della disomogeneità territoriale. 

Negli ultimi 15 anni quasi due milioni di meridionali si sono spostati al Centro Nord Italia (Dati Svimez). In sostanza, sono di più i meridionali che emigrano dal Sud per andare a lavorare o studiare al Centro Nord che gli stranieri immigrati regolari che arrivano in Italia. 

Gli emigrati dal Sud tra il 2002 e il 2017 sono stati oltre 2 milioni, di cui 132.187 nel solo 2017. Di questi ultimi 66.557 sono giovani (50,4%, di cui il 33% laureati). Il saldo migratorio interno, al netto dei rientri, è negativo per 852 mila unità. Nel solo 2017, si legge, sono andati via “132 mila meridionali, con un saldo negativo di circa 70 mila unità. Il gap occupazionale del Sud rispetto al Centro-Nord nel 2018 “è stato pari a 2 milioni 918 mila persone. 

L’indebolimento delle politiche pubbliche nel Sud, poi, incide significativamente sulla qualità dei servizi erogati ai cittadini. Il divario nei servizi è dovuto soprattutto ad una minore quantità e qualità delle infrastrutture sociali e riguarda diritti fondamentali di cittadinanza. Drammatici sono poi i dati che riguardano l’edilizia scolastica. 

A fronte di una media oscillante attorno al 50% dei plessi scolastici al Nord che hanno il certificato di agibilità o di abitabilità, al Sud sono appena il 28,4%. Inoltre, mentre nelle scuole primarie del Centro-Nord il tempo pieno per gli alunni è una costante nel 48,1% dei casi, al Sud si precipita al 15,9%. Rispetto a questi dati, e in totale assenza di offerte concrete per i diritti dei cittadini del Mezzogiorno d’Italia, la battaglia al Reddito di Cittadinanza condotta dal neoeletto governo, che dovrebbe governare tutta l’Italia, appare come il tentativo, peraltro  irrispettoso di quanto previsto dall’art 3 della Costituzione, di voler mantenere lo status quo di un sistema Italia duale, o peggio ancora coloniale.

Offrire le stesse opportunità, e soprattutto lo stesso diritto di accesso al lavoro in tutta Italia, sarebbe l’unica proposta politica seria da fare come alternativa al RdC… invece siamo al cospetto della genialata cancellazione della cosiddetta “offerta congrua”… (mm)

[Massimo Mastruzzo è del direttivo nazionale Movimento per l’Equità territoriale]

I DATI DELL’INPS: IL 13% DEI CALABRESI
PERCEPISCE IL REDDITO DI CITTADINANZA

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Reddito di Cittadinanza e calo demografico sono due questioni importanti con cui la Calabria deve fare i conti. La prima, la misura voluta dal M5S di Giuseppe Conte, è ampiamente diffusa nella nostra regione; la seconda, un triste dato di fatto.

Secondo i dati del Bilancio sociale di Inps Calabria, presentato nei giorni scorsi, «il 13 per cento della popolazione in Calabria è percettore di reddito (di cittadinanza) con una media di 563 euro a persona». Un dato che conferma quelli forniti a novembre da Open Calabria, in cui veniva evidenziato un record nazionale della nostra regione: stando ai dati di settembre 2022, i percettori del Reddito di cittadinanza sono 99mila (contro i 103 mila del 2021) e che le persone coinvolte sono 224 mila contro i 240 mila nel 2021.

Si tratta di dati che, per il presidente del Comitato Regionale Inps Gianfranco Trotta, fanno comprendere come il Reddito di Cittadinanza «vada riformato, vada rivisto ma non eliminato senza alternative, altrimenti una parte della popolazione sarebbe in povertà assoluta».

Dello stesso parere il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, che ha partecipato all’evento e ha sottolineato l’esigenza di una rapida riforma del provvedimento di cui evidentemente non si può fare a meno, salvo a far crescere situazioni di disagio nei nuclei familiari senza reddito.

Ma non è solo il tema del Reddito di Cittadinanza a destare preoccupazione. C’è anche il dato che conferma la Calabria come una regione che conta sempre più anziani. I pensionati «rappresentano il 62,08% (738.337 in aumento rispetto al 2020 che erano 735.699) rispetto alla popolazione attiva 14-64 anni (1.189.374 in diminuzione si registra, infatti, – 37.139 rispetto all’anno 2020) – si legge nei dati Inps –. Le pensioni erogate dall’Istituto in Calabria sono 738.337 di cui 620.415 relative alla gestione privata con un importo medio mensile di € 628.07; per la gestione pubblica, invece, le pensioni erogate sono 117.922 il cui importo medio è pari a € 1.884.37. Le pensioni destinate alle donne, esclusa la gestione dipendenti pubblici, risultano con un assegno medio di € 541.04 pari al 48.38% dell’intero ammontare delle pensioni liquidate anche se rappresentano il 56% dei percettori di pensioni».

«Questo dato conferma, ancora una volta – viene evidenziato – la disparità di trattamento economico e di carriere tra uomini e donne nel percorso lavorativo. I pensionati gestione privata titolari di un reddito pensionistico lordo inferiore a 1000€ sono circa l’87,68%». 

Nel corso della presentazione del Bilancio, a cui hanno preso parte il presidente Civ nazionale Inps, Roberto Ghiselli, il direttore Inps Calabria Giuseppe Greco e il presidente Trotta, è stato evidenziato come «le performance dell’Inps calabrese vedono l’istituto tra quelli con le prestazioni migliori in ambito sociale».

«I dati rappresentati dimostrano una ripresa rispetto all’anno tragico del 2020 – ha commentato il direttore Inps Calabria, Giuseppe Greco – . Evidentemente non poteva che essere così, però si traccia un trend che fa anche ben sperare e auspichiamo in una corsa nel 2023. Questo anche grazie all’impegno delle nostre lavoratrici e dei lavoratori dell’Inps che sono però in numero sempre più risicato. I risultati in termini di performance sono frutto anche di un rapporto assolutamente consolidato e ben funzionante con i cosiddetti stakeholders e i patronati senza i quali indubbiamente l’istituto non potrebbe vantare dati di questo livello».

Il presidente Trotta, poi, ha snocciolato i dati, presentando una novità del bilancio, ossia i ricorsi per rapporti di lavoro disconosciuti. Un ambito, ha affermato Trotta, nel quale «c’è un esercizio vario della fantasia che davvero alcune volte ci lascia interdetti». Il ricorso ad assunzioni fittizie per “accaparrarsi” le misure di sostegno al reddito, oppure per “aggiungere” punti ad una graduatoria, ha aggiunto Trotta «mortificano le migliaia di lavoratrici e lavoratori che con molti sacrifici si recano al lavoro ogni giorno e che, loro malgrado, sono costretti a fare ricorso agli ammortizzatori sociali perché licenziati oppure per le sospensioni del lavoro stesso. Oltre al lavoro nero, al lavoro precario e sottopagato esiste una nuova o vecchia categoria che è il lavoro fittizio finalizzato ad attingere dai sussidi statali».

Secondo la campagna di Customer Experience,  l’attività dell’Inps Calabria ha avuto una valutazione partecipativa 2021 con un punteggio di soddisfazione pari a 3,81 in linea con la media nazionale di 3,94. Diminuisce inesorabilmente il personale, una costante degli ultimi anni, ma che nel 2021 ha toccato la quota di 80 unità in meno rispetto all’anno precedente. 

Le lavoratrici e i lavoratori dipendenti nella nostra Regione nell’anno 2021 sono 495.185 in aumento rispetto al 2020, aumentano i lavoratori del settore privato del 6.8% per un totale di 263.563 e diminuiscono i lavoratori del settore pubblico dell’1.8%, infatti, si attestano a 109.255, unica categoria che diminuisce mentre sono in aumento i lavoratori autonomi dell’1.2%, così come aumentano anche i lavoratori parasubordinati del 5.5%, arrivando, quindi, a 13.834.

Rispetto al 2020 aumenta l’occupazione femminile in tutti i settori. Continua inesorabilmente il drammatico calo demografico, così come diminuisce la popolazione residente soprattutto nelle aree interne. Altro dato preoccupante si conferma il saldo negativo dei processi migratori con un -8.568 di iscrizioni nonostante un saldo positivo dei processi migratori con l’estero di + 1.247.

Nel 2021 le prestazioni di sostegno al reddito per cessazione di lavoro accolte sono state 147.686 in aumento + 3.2% (NASpI, anticipazione NASpI, DISCOLL, D.S. Agricola) con una forte diminuzione delle DIS-COLL pari al 14,62 ed un aumento delle NASpI del 4% circa e delle Anticipazioni NASpI del 26.27 in aumento anche la D.S. Agricola del 2.86% rispetto al 2020.

Per quanto riguarda le misure relative alle sospensioni del rapporto di lavoro nel 2021 le ore autorizzate sono state 40.630.639 concentrate soprattutto nei Fondi Solidarietà F.I.S. 38%, Cassa Integrazione Guadagni in Deroga 34.3%, nel 2020 le ore autorizzate furono 51.297.872.

I sussidi erogati nell’anno 2021 di competenza della Regione Calabria ed erogati dall’INPS sulla base di apposite convenzioni per interventi di politiche attive per il lavoro e tirocini hanno riguardato 6.203 beneficiari, per una spesa totale di 18.375.000 euro. 

Le indennità Covid-19 previste nei vari decreti-legge sono state erogate, le domande definite 241.298 recuperando anche la giacenza relativa al 2020. 

Per quanto riguarda l’Invalidità Civile anche nel 2021 è proseguita l’attività in convenzione con la Regione Calabria con l’affidamento all’Istituto delle funzioni relative all’accertamento dei requisiti per l’ottenimento della pensione che ha, nei fatti, accorciato notevolmente i tempi di attesa e di erogazione della prestazione. Si conferma il trend negativo degli scorsi anni rispetto alle pensioni di invalidità erogate. 

Quelli presentati dall’Inps, dunque, sono dati che – come ha evidenziato Occhiuto – «dovrebbero essere alla base delle decisioni politiche». (ams)

Occhiuto: Le Regioni siano coinvolte nella fase dell’attuazione del Pnrr

Il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, ha chiesto che le Regioni siano coinvolte nella fase dell’attuazione del Pnrr. Nel suo intervento a Start di TgSky24, il Governatore ha evidenziato come le «Regioni non sono state protagoniste della stesura del Pnrr e non lo sono nemmeno ora nella fase di gestione e di attuazione: molte volte fanno semplicemente gli aggregatori di iniziative che però vedono beneficiari i Comuni».

«Un presidente di Regione dovrebbe avere una visione dello sviluppo complessivo del suo territorio, e questa visione la dovrebbe realizzare attraverso le risorse, nel nostro caso, del fondo di sviluppo e coesione, ma soprattutto del Pnrr. Quindi, non coinvolgere i governatori forse è stato un errore», ha detto il Governatore, spiegando che «la situazione in Calabria rispetto al Piano nazionale di ripresa e resilienza è, più o meno, quella che c’è in tutte le Regioni: il blocco dei cantieri dovuto al caro energia e al caro materie prime. Questa è una circostanza che l’Europa deve approfondire».

«Il Pnrr – ha spiegato – è stato preparato prima della guerra, prima del caro materie prime. Adesso l’Europa deve avere la capacità di reagire con immediatezza alle sfide che ha davanti. Sono perciò contento che queste richieste che il presidente Meloni ha fatto, di maggiore flessibilità nella spesa o nei tempi di realizzazione degli interventi del Pnrr – che molti in Italia affermavano fossero impossibili a farsi, come se il Pnrr nelle sue regole fosse un dogma -, ora siano condivise da altri Paesi europei. Quindi, una volta tanto, l’Italia riesce a mettersi alla guida anche in Europa di processi che fanno migliorare le decisioni che l’Ue deve prendere».

«Noi non avremmo potuto superare la pandemia senza l’aiuto delle istituzioni europee – ha proseguito – non avremmo rimesso in moto l’economia dell’Unione senza un atteggiamento diverso da parte delle istituzioni europee rispetto a quello che avevamo conosciuto negli anni precedenti la pandemia. L’Europa ha recuperato credibilità, non deve perderla ora, non deve ritornare ad essere l’Europa intransigente e lontana dai temi che riguardano lo sviluppo. Credo che affermare queste necessità, e farlo con decisione e rispetto delle istituzioni europee come ha fatto il nostro premier, fa bene all’Ue oltre che all’Italia».

Sul tema dei migranti, Occhiuto ha spiegato che la Calabria «ha già accolto in questo anno 17mila migranti. L’abbiamo fatto senza mai protestare, creando un rapporto improntato alla leale collaborazione con le Prefetture e con i sindaci. La Calabria ha dimostrato di essere una Regione accogliente, peró il peso di questa emergenza non può essere lasciato soltanto all’Italia»

«I migranti arrivano da Paesi che si affacciano sul Mediterraneo – ha spiegato ancora – che appartengono ad un continente, l’Africa, che nei prossimi decenni moltiplicherà per due la sua popolazione, per cui questi flussi sono destinati a crescere. Allora, o l’Europa si pone nella condizione di governare insieme questo processo, oppure dimostra di non avere contezza di quello che sarà da qui a qualche tempo questo fenomeno. Peraltro il Mediterraneo sta diventando centrale nell’agenda dell’Europa, anche in quella economica. Noi stiamo comprando l’energia dal Mediterraneo, con questi Paesi dovremmo anche intensificare i rapporti commerciali perché avranno tassi d’incremento del Pil segnatamente superiori a quelli delle economie europee».

«Allora, vivere passivamente questo problema lasciando che prevalgano gli egoismi nazionali credo sia sbagliato – ha continuato –. Devo dire che il presidente Meloni sta facendo un buon lavoro in Europa. Ricordiamoci che prima che si insediasse questo governo qualcuno in Italia, che non vuole bene al nostro Paese, rappresentava in Europa un’idea sbagliata del governo e del presidente Meloni, come se si trattasse di un esecutivo di estrema destra, nemico dell’Unione europea. Il presidente Meloni sta dimostrando di avere rispetto dell’Europa e anche di non avere nessuna soggezione, nessun complesso di inferiorità. È così che l’Italia deve rappresentarsi in Europa».

Per quanto riguarda il Reddito di Cittadinanza, il presidente della Regione ha evidenziato che in Calabria ci sono 240 mila percettori.

«Considero questa misura giusta nella parte che riguarda la necessità di affrontare il tema della povertà – ha spiegato – ma è sbagliatissima in quella parte che affronta le politiche attive del lavoro. Si è trattato di un clamoroso errore dei 5 Stelle. A un errore si ripara con una soluzione che sia davvero efficace e funzionante. Se ci si limita a cancellare l’errore senza proporre una soluzione alternativa, si rischia di commettere un errore ancora peggiore del precedente».

«Nel nostro Paese, e a maggior ragione nel Meridione – ha proseguito – c’è un disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, anche perché non funzionano bene i Centri per l’impiego. Secondo me si tratta di istituti che peraltro scontano il fatto di essere stati pensati in epoche diverse da quella attuale. Ormai un’azienda che cerca un dipendente o un collaboratore lo fa in maniera differente da come avveniva tradizionalmente. Nell’era delle grandi tecnologie, i Centri per l’impiego forse dovrebbero non essere luoghi fisici ma addirittura delle App che i singoli imprenditori potrebbero utilizzare. Noi abbiamo un sistema del mercato del lavoro che dovrebbe incrociare domanda e offerta, ma che non funziona da anni. Se prima quindi non poniamo il mercato del lavoro nella condizione di funzionare, riformandolo, e non interveniamo nella formazione dei disoccupati, non ne usciremo».

«Suppongo che sia difficile per un disoccupato in Calabria, in Campania o in Sicilia – ha concluso – trovare un lavoro in sei o otto mesi, per cui se si toglie il reddito di cittadinanza senza aver realizzato prima efficacemente la riforma del mercato del lavoro, credo che si cancelli un errore, ma non si trovi una soluzione. Mi auguro che in questo senso ci sia un approfondimento da parte del governo». (rrm)

Sanità, Occhiuto: È indispensabile riformare reclutamento medici

Il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, ha evidenziato come nella sanità servono non solo risorse ma, soprattutto, quanto sia indispensabile riformare il reclutamento medici.

Nel suo intervento a Tg1 Mattina, Occhiuto ha ricordato che «la mia regione è stata governata nella sanità dall’esecutivo nazionale, perché è commissariata da oltre dieci anni. Ciò vuol dire che non abbiamo un assessore regionale alla sanità. Certo, da un anno sono io il commissario, ma prima abbiamo avuto a svolgere questo ruolo generali dei Carabinieri o della Guardia di Finanza».

«Abbiamo avuto un commissariamento da parte del governo – ha spiegato – che non ha prodotto risultati: non è stato accertato il debito, non è aumentata la qualità delle prestazioni sanitarie. Ho raccolto una sanità in macerie. C’è bisogno di risorse, ma soprattutto di riformare un aspetto che è stato molto trascurato negli ultimi anni, quello relativo al reclutamento dei medici. Io vivo un problema gigantesco legato alla carenza dei medici, così come lo vivono le altre Regioni: sappiamo tutti che i Pronto Soccorso in Italia hanno difficoltà a reperire personale sanitario».

«Nei reparti ospedalieri c’è questa carenza – ha continuato – anche perché per anni non sono state finanziate le borse di studio che servivano per colmare questi vuoti, e questo accade ancor di più in una Regione come la mia che ha un sistema sanitario poco attrattivo.
Ora sta succedendo anche che molti medici si dimettono dal pubblico per andare a lavorare nelle cooperative a gettone, facendo spendere ai sistemi sanitari 120-130 euro a ora. In Calabria si richiedono anche 150 euro per un turno di ora che equivale, per otto ore, a circa 1200 euro e quindi 50mila euro al mese».

«Allora, bisogna intervenire dando la possibilità ai medici che già operano nel pubblico – ha proseguito – di guadagnare un po’ di più e in condizioni migliori. È un tema di numeri ma anche di incentivazioni. A volte si discute soltanto delle risorse, e questo vale anche per il Pnrr, ma non a sufficienza delle riforme che nel nostro Paese varrebbero più delle risorse».

Il Governatore, poi, ha parlato del Reddito di Cittadinanza.

«Sul reddito di cittadinanza – ha ricordato – credo di essere stato l’unico esponente del centrodestra che ha sollevato qualche perplessità sulla riforma. Considero questa misura un grande errore dei 5 Stelle, ma ad un errore si deve riparare con una soluzione».

«Per cui, se non si riforma il meccanismo che permette di incrociare domanda e offerta di lavoro – ha evidenziato – è difficile pensare che, ad esempio, in una Regione come la mia si possa trovare un’occupazione in soli sei o otto mesi. Credo che il reddito di cittadinanza, nella parte che riguarda le politiche attive del lavoro, sia stato un grande errore, ma a questo errore si deve trovare una soluzione.
Se lo si cancella soltanto, in una Regione come la Calabria, nella quale ci sono 240mila percettori, può essere un problema».

Parere positivo, poi, per l’iniziativa del ministro Nordio: «Questo è il primo governo di centrodestra dopo tanti anni, con un magistrato ministro della Giustizia. Giudico positivamente il fatto che Nordio abbia avuto il coraggio di proporre certi temi, forse partendo da una posizione che è più favorevole a fare le riforme, proprio perché è un magistrato che è stato in trincea», ha detto Occhiuto.

«Nordio, ad esempio – ha spiegato il Governatore – è ancora più credibile quando dice che a volte c’è stato un abuso delle intercettazioni. Le intercettazioni sono uno straordinario strumento d’indagine. Lo dico io che governo una Regione nella quale è importante non avere alcun cedimento nell’attività di contrasto ai poteri criminali, ma a volte le intercettazioni sono diventate uno strumento di lotta politica.
La separazione delle carriere è un altro punto che Forza Italia ha sempre evocato come necessario per riformare il sistema della giustizia. Così come l’obbligatorietà dell’azione penale: se i magistrati sono bravi hanno la possibilità di stabilire quali attività vadano perseguite e quali no».

«Probabilmente queste riforme non sono state ancora fatte – ha detto –  perché da tanti anni non c’è un governo con una maggioranza coesa come quella attuale. Questo è un governo che ha una maggioranza politica che in Italia non vedevamo dal 2011.
Quindi, probabilmente questo esecutivo è nella condizione di fare ciò che governi con coalizione più larghe, che paradossalmente nascevano per realizzare cose più coraggiose, non sono riusciti fare». (rrm)

Manovra, Occhiuto: È inutile cancellare Rdc senza risolvere problema ricollocazione al lavoro

Il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, nel suo intervento a Coffee Break su La7, ha evidenziato come «cancellare il Reddito di Cittadinanza senza risolvere il problema della ricollocazione al lavoro è un fatto inutile».

«Personalmente ho invitato il governo a un supplemento di riflessione sul tema del reddito di cittadinanza. Lo considero un errore dei 5 Stelle, ma penso anche che a un errore bisogna riparare con una soluzione», ha aggiunto Occhiuto, spiegando che «nella mia regione ci sono 240mila percettori di reddito di cittadinanza, considero giusto che possa essere revocato tale beneficio a chi rifiuta un’offerta di lavoro, ma prima di revocarlo entro 8 mesi, dobbiamo essere in grado di far funzionare i Centri per l’impiego e rendere possibile l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro, altrimenti rischiamo di riparare, ripeto, ad un errore senza una vera soluzione».

Parlando poi del presidente del Consiglio dei ministri, Occhiuto ha detto credo che «Giorgia Meloni stia governando nel miglior modo possibile, considerata la crisi attuale dovuta soprattutto al caro energia».

«Crisi – ha aggiunto – che rende davvero difficile affrontare i temi prioritari di governo. Lo sta facendo con un piglio straordinario, dimostrando anche quanto le donne sappiano essere forti e determinate».

«Noi dovremmo avere la capacità – ha spiegato – di superare talvolta steccati ideologici che ci fanno vedere le cose con gli occhi pieni di pregiudizio, senza considerare le cose buone che a volte ci sono. Io faccio i complimenti a Giorgia Meloni, perché credo che si stia dimostrando una piacevole sorpresa persino per i suoi oppositori che la ritenevano un pericolo, perché – secondo loro – avrebbe isolato l’Italia, inducendo anche l’Europa a considerarla tale».

«Invece il presidente Meloni è andata in Europa – ha concluso – fugando qualsiasi timore sul governo della nazione da parte del centrodestra». (rrm)

LAVORO AL SUD: LA SOLUZIONE NON STA
NEL REDDITO DI CITTADINANZA COSÌ COM’È

di FRANCESCO AIELLO – Il reddito di cittadinanza rischia di diventare in modo strutturale un mero strumento di sostegno dei consumi. È una strategia fallimentare per lo sviluppo del Mezzogiorno già sperimentata nel corso degli ultimi 60 anni, perché non crea sviluppo, ma alimenta dipendenza.

Alla fine del processo di revisione dell’aiuto al reddito di cui si parla molto in questi giorni, molti degli attuali percettori del reddito di cittadinanza potranno rimanere senza lavoro. Dipenderà sia dall’efficacia delle politiche attive che saranno adottate, ma questo richiede sforzi immani in un paese in cui i Centri per l’Impiego hanno vincoli organizzativi non banali e le agenzie private hanno poco spazio di azione, sia dalle prospettive economiche dell’Italia.

Uno scenario verosimile che potrà manifestarsi nei prossimi due-tre anni è che per garantire “pace sociale”, si dovrà pensare a forme di sostegno del reddito alle persone che rimarranno senza sostegno e senza lavoro. La soluzione più immediata, ma molto rischiosa, è di perpetuare meri trasferimenti di reddito. Ecco perché la riforma del reddito di cittadinanza diventa una nuova sfida del paese, perché oltre ad azioni finalizzate ad aumentare l’occupabilità dei beneficiari dell’income support, è necessario che aumenti la domanda di lavoro delle imprese, ossia che l’Italia inizi a crescere dopo quasi tre decenni di stagnazione. È complicato immaginare la creazione di nuova occupazione se il paese non riprende a crescere.

È importante anche capire cosa succederà nella fase di transizione. Se l’attuale aiuto diventa temporaneo – le ipotesi al vaglio sono 6 mesi, o un anno – ed è pensato solo per chi cerca lavoro, la platea di beneficiari non cambia rispetto allo scenario attuale, perché tutti cercheranno lavoro e aderiranno al Patto per il Lavoro o similari (che diventa condizione di accesso al sostegno). Alcuni troveranno lavoro e, al fine di rendere capillare questa circostanza, è cruciale aumentare il differenziale tra il sussidio e la retribuzione. Tanto maggiore è questa differenza tanto più attrattivo sarà il lavoro.

La questione della congruità dei salari da parte del settore privato è di difficile risoluzione, ma la differenza deve essere sostanziale, di almeno il 30%, affinché chi rinuncia all’aiuto possa essere sanzionato con la revoca del sostegno. È complicato applicare sanzioni se il mercato del lavoro non remunera con salari congrui. L’effetto sarà anche di ridurre il lavoro in nero, se parallelamente si riduce l’onere contributivo a carico delle imprese.

In alternativa, in questa fase di modifiche, gli attuali percettori non lavoratori riceveranno un sussidio per la formazione: l’ammontare della spesa per gli occupabili non cambierà, ma cambierà la fonte del finanziamento. Per esempio, la proposta del presidente del consiglio, Giorgia Meloni, è di utilizzare per la formazione dei percettori del reddito di cittadinanza il canale dei fondi europei. Alla fine del periodo di formazione, si può trovare occupazione o no. Per coloro che rimarranno non occupati – molti a Sud – l’alternativa può essere di irrobustire il terzo settore o l’impiego obbligatorio in servizi di pubblica utilità gestiti dai comuni.

È un percorso tortuoso, con rischi ed opportunità sia per i lavoratori che per il Paese. La natura «tortuosa» di questo percorso dipende non solo dalle caratteristiche individuali dei percettori del sostegno, ma anche dal funzionamento dei Centri per l’Impiego, dalla diffusione della cultura del lavoro e soprattutto dal fatto che il sistema Italia riesca ad uscire dalla bassa crescita che si osserva da almeno 25 anni.

Il rischio da annullare, a Sud, è che l’income support diventi un nuovo canale di finanziamento dei consumi interni dei meridionali. È un’ipotesi che bisogna evitare perché, in modo analogo all’occupazione non necessaria nella pubblica amministrazione degli anni ‘70 e ‘80 o a tutte le forme di trasferimento e di sussidi incondizionati di cui hanno goduto le regioni del Sud, non aiuta lo sviluppo, ma alimenta la dipendenza. (fa)

Francesco Aiello è ordinario di Politica Economica dell’Unical e presidente del think tank OpenCalabria]

RAPPORTO INPS: LA FOTOGRAFIA DI UN SUD
CHE VEDE ANCORA PARTIRE I SUOI GIOVANI

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – «Abbiamo speso circa 60 miliardi di euro per prestazioni Covid  (cassa integrazione, bonus per gli autonomi). Noi continuiamo a dire che il 65% del reddito ,di cittadinanza va al Sud, ma dimentichiamo di dire che il 70% delle prestazioni Covid sono andate al Nord». Così il presidente dell’Istituto Pasquale Tridico, alla presentazione del 21º rapporto annuale Inps

E l’assegnazione delle risorse per il Covid è un indicatore utile a capire quello che avviene per qualunque altra  forma di strumenti di welfare nel nostro Paese. Una voce di verità nella confusione di dichiarazioni, ma le  denunce di assegnazione di reddito di cittadinanza a criminalità organizzata o in generale a gente che non avrebbe diritto fanno sì che la levata di scudi verso questo strumento stia divenendo generalizzata.  Ma a chi dice che in un anno e mezzo hanno truffato allo Stato quasi 15 milioni di euro, ricordo che gli evasori ne sottraggono 150 miliardi nello stesso tempo.

A maggior ragione è stato criminalizzata da quando si è ritenuto abbia influito pesantemente nell’indirizzare consenso verso l’unica forza politica che lo ha difeso in modo assoluto, quel Movimento Cinque Stelle che evidentemente da esso ha ricavato un consenso generalizzato, soprattutto nel Sud.  Ma il tema è che in tal modo si butta a mare il bambino con l’acqua sporca. Infatti sono tutti a puntare il dito verso uno strumento, che si ritiene nell’immaginario collettivo dia l’opportunità a chi non vuol lavorare di farsi mantenere e che fondamentalmente porta ad indicare il Mezzogiorno come un’area di nullafacenti o perlomeno aspiranti a tale condizione.

 Si dimentica che negli ultimi 10 anni si sono trasferiti al Nord oltre 1 milione di lavoratori, per avere un progetto di futuro, che evidentemente al Sud mancava e che  quindi accusare gli abitanti di una realtà di poca voglia di lavorare, visto che sono disponibili a sradicarsi, mi pare poco generoso.

E ci vuole poco a passare dall’accusa ai percettori del reddito di cittadinanza alla generalizzazione nei confronti di un Sud che si accusa chieda soltanto di essere assistito e che non vuole assolutamente lavorare.  Le prime modifiche sul reddito cittadinanza, che portano all’esclusione da tale strumento non appena si rifiuta una seconda offerta di lavoro anche a distanza di 2000 km, fanno capire bene verso che quale direzione   si indirizzerà una possibile nuova modifica.

Sarà, se non quella di eliminarlo nei confronti di chi va dai 18 ai 59 anni, quella di sottrarre  il sussidio non appena si rifiuta la prima offerta di un posto di lavoro in qualunque parte d’Italia esso si trovi. Dimenticando che quando ci si sposta da una propria realtà ad un’altra distante, a parte il costo individuale e sociale del taglio delle radici nei confronti delle proprie origini, al depauperamento della realtà di provenienza, che peraltro ha speso risorse importanti spesso per formare gli individui, comporta la creazione di nuovi poveri, soprattutto nella prima fase, quella nella quale la remunerazione ottenuta non consente nemmeno il soddisfacimento dei bisogni essenziali dell’individuo. 

Tale riflessione è confortata dal fatto che da quando esiste lo strumento moltissimi rinunciano ad un posto di lavoro, anche a tempo indeterminato, quando questo si presenta ad una distanza tale per cui tutta una serie di costi, che magari nel luogo di residenza sono inesistenti, come quello per esempio della casa, sono invece  da affrontare.  Per cui quello che poi rimane, dopo che si è proceduto a soddisfare i bisogni essenziali, è il nulla  se non si è nella condizione addirittura di chiedere l’aiuto delle famiglie di origine. 

Ma l’altro aspetto sul quale si ha difficoltà a riflettere è quello messo in evidenza proprio dal presidente Tridico. Dimentichiamo spesso che, facendo tutti i conti e mettendo insieme tutte le risorse che vengono destinate alle diverse parti del Paese,  la spesa pro capite destinata al Sud è sempre di gran lunga inferiore di quella destinata al Nord. 

D’altra parte è ovvio che ciò accada.Tutti i sistemi di welfare, che si tratti di cassa integrazione ma anche delle pensioni quando queste non vengono calcolate, come è stato fino a poco tempo fa,  col sistema retributivo, non possono che portare a delle contribuzioni da parte dello Stato, maggiori per il Nord. Infatti, essendo per esempio il numero di pensionati di gran lunga più elevato nelle aree del Nord è evidente che portano ad una spesa  maggiore, in una discrasia tra aree territoriali, oltre che tra generazioni. 

Sia le une e le altre vengono penalizzate ovviamente da sistemi che favoriscono coloro che sono all’interno del sistema. E coloro che non lo sono, si chiamino giovani ancora non entrati nel mercato del lavoro del Nord e del Sud, ovviamente maggiormente del Sud, considerato che il lavoro è più difficilmente a disposizione in tali aree, e soggetti che nel mercato del lavoro non sono mai entrati.

Se si considera che sono circa 3 milioni nel Mezzogiorno si capisce come la distribuzione del welfare sia assolutamente favorevole alle realtà del Nord. Dimenticare poi che molti dei servizi sociali  sono  distribuiti in modo difforme nelle varie parti del Paese ci fa vedere la realtà con una lente distorta. Non avere la mensa scolastica per esempio per le famiglie è un costo ulteriore che esse affrontano, così come non avere un servizio pubblico di mobilità, come avviene in molte parti del Sud, comporta un costo aggiuntivo che spesso non viene evidenziato. 

Non è casuale infatti che vi sia grande difficoltà ad attuare perfino i livelli essenziali di prestazione in tutte le parti del Paese, che sono rimasti inattuati per parecchi anni fino ad oggi. Quindi che lo strumento vada in qualche modo corretto, laddove ha manifestato evidenti storture, è evidente. Dimenticando peraltro che il problema non è quello di fare incontrare la domanda e l’offerta di lavoro, considerato che esiste un’offerta ma non vi è la domanda.

Lo strumento, certamente di civiltà,  va aiutato  da controlli adeguati che evitino che lo abbiano  coloro che non ne hanno diritto. Ma evidenziare continuamente le risorse che vengono destinate ad esso, dimenticando che vi è un welfare complessivo a favore prevalentemente del Nord, è un modo  distorto di raccontare la realtà. (pmb)

REDDITO DI CITTADINANZA, TRA POLEMICA
ELETTORALE E SOSTEGNO PER I PIÙ DEBOLI

di PIETRO MASSIMO BUSETTAVoto di scambio o grido di dolore? Il reddito di cittadinanza continua ad essere un tema centrale rispetto all’andamento della competizione elettorale.

In molti lo ritengono uno strumento che è stato utilizzato in modo perverso da un raggruppamento politico senza scrupoli. Il Movimento Cinque stelle lo difende a spada tratta sfidando chiunque voglia eliminare una misura che, sostengono, ha salvato molti dalla povertà in un periodo particolarmente difficile, prima caratterizzato dalla pandemia ed ora da un aumento dell’inflazione che sta erodendo molti dei redditi degli italiani e delle pensioni, soprattutto quelle più basse. 

La cosa più facile é dire che incoraggia molti a scegliere di non lavorare, perché è molto più comodo avere un sussidio, che ti arriva mensilmente, piuttosto che faticare per avere un salario decente. E poiché tale strumento è utilizzato prevalentemente nelle regioni del Mezzogiorno il pensiero conseguente é che i meridionali sono nullafacenti, scansafatiche, e per essere completi aggiungerei anche mandolinari e mangia spaghetti. Completando la serie di luoghi  comuni che individuano le popolazioni dello stivale. 

Peraltro lo strumento ha colpito  pesantemente una certa imprenditoria del Nord che era abituata, soprattutto per i lavori occasionali e stagionali, ad avere tutta la manodopera che serviva loro. Ed in molti casi avere manodopera bianca e che parla in italiano è molto più comodo che  averla nera e che balbetta la lingua. Ma ha disturbato anche molta imprenditoria del Sud, abituata ad avere una massa disponibile che pressava  sul mercato del lavoro e che invece con tale strumento è venuta meno. 

Il tema è diventato di quelli dirompenti soprattutto perché  le forze politiche, che ritengono che tale strumento vada abolito o perlomeno pesantemente modificato, si sono convinte che abbia indirizzato il voto di molti elettori verso il Movimento5S, adesso partito, che del suo mantenimento ne ha fatto un cavallo di battaglia della campagna elettorale. 

Mentre dall’altra parte il Movimento 5S sostiene che è un loro merito aver saputo interpretare le esigenze di una popolazione marginale, che versa in stato di grande bisogno. Certamente non si può nascondere che alcune volte lo strumento può incoraggiare alcuni, abituati a vivere di espedienti, mettendo insieme reddito  di cittadinanza e lavoretti in in nero, a rinunciare ad un vero lavoro strutturato.

La verità però è che di lavori che abbiano una dignità sufficiente per essere chiamati tali,  nel Mezzogiorno, ve ne sono pochi e che le esigenze di un mercato del lavoro asfittico, nel quale l’offerta dei lavoratori sopravanza pesantemente la domanda delle imprese, sono sempre estremamente limitate.

Il macigno dell’esigenza della creazione di un saldo occupazionale di oltre 3 milioni di posti di lavoro,  per arrivare al rapporto popolazione occupati dell’Emilia-Romagna,  sta sempre lì ad incombere per dare quella spiegazione del fenomeno che molti non vogliono comprendere. Se ogni anno vi sono 100.000 persone che abbandonano la realtà del Sud, con un costo per le varie casse regionali di oltre 20 miliardi, considerato che ogni individuo per essere portato alla scuola media superiore  costa 200 milioni, è evidente che la realtà meridionale è più complessa di quanti la vogliano semplificare con stereotipi che sarebbe l’ora di abbandonare. 

E che invece la capacità di affrontare le difficoltà che la vita presenta é forse molto più grande nei ragazzi del Sud di quanto non abbiano coloro che evitano pure di  andare all’università, perché tanto il lavoro lo trovano facilmente dopo le scuole medie superiori. Tra parentesi non bisogna dimenticare che moltissimi di coloro che emigrano ogni anno, per  il primo periodo, che spesso non si limita a pochi mesi,  vengono aiutati pesantemente dalla famiglia, con rimesse importanti perché la remunerazione che percepiscono non è sufficiente per mantenersi fuori casa, cosa che provoca il primo salasso. 

 Il secondo si verificherà quando i genitori compreranno loro la casa nella periferia milanese. La gente del Mezzogiorno é in cerca di una forza politica che lo rappresenti, che si prenda carico di una problematica che dal 1860 è diventata sempre più irrisolvibile.

Stanca di vedersi utilizzare come colonia dove si può catapultare la Brambilla animalista a Gela, come la Fascina semi moglie a Marsala,  cerca, delusa  da molti partiti che dichiarano di volersene occupare solo a parole, qualcuno che la rappresenti adeguatamente e che possa contrapporsi ad una Lega che porta 100 rappresentanti nel Parlamento italiano, e ad un partito unico del Nord, nel quale si inserisce anche Bonaccini del PD, che vuole quell’autonomia differenziata che in assenza dei Lep, dei quali non si parla più, possa consentire ai bambini di Reggio Emilia di avere quei servizi che quelli di Reggio Calabria non riescono nemmeno a sognare. 

Per questo quello che viene dal Mezzogiorno e che andrebbe adeguatamente interpretato é un grido di dolore, una richiesta di aiuto, ma anche un moto di rabbia, perché ormai in tanti si sono stancati di essere sudditi, non di un re, ma di una realtà nordica che indirizza risorse, investimenti, infrastrutture, servizi in generale solo verso una parte.

E che al momento opportuno fa carte false per non perdere l’investimento della Intel, che porterà tanti posti di lavoro in un Veneto che non ha nemmeno il capitale umano da impiegare nelle fabbriche. 

Quando Conte dice a Renzi di provare a scendere tra la gente, senza la sicurezza che lo protegga, in modo assolutamente sbagliato perché  è sembrata una minaccia, evidenzia che il Sud è diventato una polveriera e che il pericolo che il bisogno possa portare a delle reazioni scomposte  é immanente.  

D’altra parte anche il segnale di Cateno De Luca, che oltre ad avere poco meno del 30%, non essendo supportato da alcun partito alle elezioni regionali siciliane, riesce a portare due rappresentanti nel Parlamento nazionale dà la dimensione di un disagio che non può essere ridotto alla questua di un popolo mendicante. 

Ma non mi pare che tali chiavi di lettura siano comprese da una realtà nazionale che continua il suo percorso, minacciando con Zaia di far saltare la formazione del nuovo Governo se non si procede immediatamente con quell’autonomia differenziata che sarà un ulteriore passo verso la secessione di fatto di una parte del Paese, che apre un panorama che potrebbe portare a  scenari non prevedibili. (pmb)

SI VOTA CON L’INCOGNITA ASTENSIONISMO
CALABRESI AVVILITI MA NON CAMBIA NULLA

di SANTO STRATI – Tra populismo di ritorno, sovranismo mascherato, una sinistra senza identità e in caduta libera e un centro – da molti vagheggiato – in cerca di spazi, agli elettori oggi non si presenta un’offerta in alcun modo allettante. Anzi,  saranno in tanti a guardare con sollievo la fine di questa orrenda e volgarissima campagna elettorale dove è prevalso il dileggio dell’avversario, la sua demonizzazione (da una parte e dall’altra), piuttosto che un confronto leale tra programmi e idee. E quando la politica scende a livelli così bassi, con una disaffezione fin troppo evidente, è ovvio che il populismo, quello becero e più insidioso, riesce a trovare spazi insperati.

Cosa resterà ai quasi quattro milioni di ragazzi che oggi, per la prima volta, si avvicineranno (?) alle urne, con la facoltà di esprimere il voto anche per la Camera alta (in precedenza votavano per il Senato solo i maggiori di 25 anni)? Non sappiamo la percentuale di quanti rinunceranno per fattori oggettivi (il non voto di chi studia e lavora lontano dal luogo di residenza è un’infame situazione che il Parlamento si è rifiutato di sanare) o per scelta ideologica, o, peggio ancora, per disinteresse totale e rifiuto della politica. Ma sarebbe un grave errore immaginare che ai giovani la politica non interessi, è semmai il contrario: è la politica che si è disinteressata delle nuove generazioni, declinando in quest’occasione una serie di verbi al presente indicativo, dimenticando di usare il tempo futuro. Una scelta scellerata che avrà il suo peso nella formazione delle future classi dirigenti: i nostri ragazzi, quelli bravi, laureati a pieni voti e con lode, ma anche quelli con un voto di laurea risicato, hanno imparato a proprie spese che la Calabria non è un paese per giovani. C’è chi il trolley l’ha preparato già dal primo anno di università, rinunciando, ahimè, a tre atenei che nella loro terra sfiorano l’eccellenza ma pur preparando una classe formata e competente di laureati, soprattutto, in campo scientifico, non vedono offerta poi alcuna opportunità di lavoro, di crescita delle competenze, di utilizzo delle capacità dei loro laureati. È colpa della politica regionale, si potrebbe dire per assolvere i governanti che si sono succeduti in 50 anni di Regione pur con lampanti indizi di colpevolezza, ma in realtà è tutto il sistema nazionale che viaggia su binari paralleli a rafforzare l’odioso divario. Nord e Sud continuano a essere separati grazie a una politica miope e occupata a spremere il Sud (ricco serbatoio di competenze formate a spese dei meridionali) e a valorizzare le già ricche regioni del Nord.

Una delle prime scelleratezze che il probabile governo che ci toccherà subire (vista l’impossibilità per gli elettori di scegliere a piacimento i propri rappresentanti) riguarda l’ampliamento del divario, ovvero l’applicazione dell’autonomia differenziata, dove a far testo sarà l’incostituzionale criterio della “spesa storica”: più hai speso (avendo le risorse), più avrai; meno hai investito (per mancanza di fondi destinati al Sud, spesso inutilizzati per incapacità), meno ti tocca. Questo significherà disagi ulteriori per le popolazioni meridionali, ma ai politici che nelle ultime settimane hanno riscoperto il Sud per fare incetta di voti con marketing social-populista, poco importa. Stasera in molti prepareranno i fazzoletti per dire addio ai Palazzi e qualcuno festeggerà l’insperata rimonta.

È facile trascinare le folle, con spregiudicate tattiche subliminali di pseudo-convincimento, giocando la carta del reddito di cittadinanza. “Giuseppi” Conte – che qualcuno continua a ritenere ingenuamente  l'”avvocato del popolo” – ha giocato sporco – diciamo la verità – facendo balenare la possibile cancellazione del reddito di cittadinanza da parte degli avversari e terrorizzando una schiera di disgraziati che nella stragrande maggioranza dei casi sopravvive grazie a questo strumento di welfare sociale. In Calabria, per dire, sono circa 220mila i percettori del reddito di cittadinanza e probabilmente altrettanti sono coloro che aspirano a poterlo ottenere: una massa incredibile di elettori presi per la gola (ci si consenta questa crudezza) con la garanzia del mantenimento del reddito di cittadinanza, ma solo se premiati dal voto. In verità, Conte, da buon incantatore di serpenti, ops – scusate – di folle di disperati adoranti non ha fatto altro che cogliere al balzo l’opportunità che i suoi amici e avversari gli hanno offerto. Nessuno dei politici ha capito cosa significa per milioni di italiani poter contare su una risorsa mensile assicurata per consentire una qualche sopravvivenza: lo strumento è giusto, ma la sua modalità di applicazione sbagliata. Va mantenuto, ma dev’esser un sostegno a chi il lavoro l’ha perduto o non riesce a trovarlo, non a chi preferisce poltrire (o lavorare in nero) e aspettare i quattrini sulla Postepay sociale. Non è un mistero che centinaia di operatori del turismo, quest’estate, si sono visti rifiutare offerte di lavoro da tantissimi giovani percettori del RdC: chi gliela faceva fare di andare a lavorare?

Stupidamente le destre, ma anche la sinistra, hanno gestito male la questione del reddito di cittadinanza e hanno offerto su un piatto d’oro una valanga di voti al partito di Conte (che col Movimento 5 sStelle crediamo abbia poco a che fare) che da dato per disperso ha riconquistato facilmente le piazze dei percettori dell’aiuto di Stato, molti disperati, troppi furbastri. Conte non ha fatto altro che cogliere il sentiment di una piazza avvilita, stufa e scontenta e trasformarlo in consenso. Un po’ quello che Grillo e i suoi hanno fatto nel 2018: allora si sono schierati contro la casta (ma poi lo sono diventati molti di loro) e hanno raccolto la rabbia e la voglia, ovvero lanciato la scommessa, di cambiamento. E qui, non tanto la destra con i suo proclami anti-profughi e il sovranismo mascherato da aspirazione al presidenzialismo (leggi potere assoluto), ha sbagliato, ma soprattutto la sinistra ha perso il treno della rinascita, trascurando la larghissima voglia di riformismo che l’avrebbe portata alla vittoria. Si è toccato con mano quanto sia distante il Paese della politica da quello reale. Ma non sperateci: nessuno farà un mea culpa e tutto resterà come prima, secondo la logica gattopardiana “cambiare tutto perché nulla cambi“.

Stasera conosceremo il nuovo volto del Paese e quali scenari si andranno a prefigurare. Se la Meloni non supera il 40% con la coalizione avrà poco da pretendere dal Paese che non ha mostrato di andare in delirio per leghisti nordisti-pentiti o fratellanze di dubbia affettuosità. Ma se Atene piange, Sparta non ride: a sinistra si raccoglieranno i cocci di una politica inesistente e il risultato sarà di una ingovernabilità assicurata. Cosa che il Paese, in questo momento, non si può permettere. Una sola proiezione possiamo permetterci, in attesa del voto: passato il 25 settembre, tutti quelli che hanno riscoperto il Sud (per ovvie necessità elettorali) se ne dimenticheranno in fretta. I nostri giovani continueranno a vedersi rubare il futuro, la Calabria sconterà più degli altri gli effetti perversi e nefasti del caro-bollette, il Ponte sullo Stretto tornerà dentro l’immutabile wish-list che il carosello della politica propina da anni a calabresi e siciliani, e la crescita e lo sviluppo del Sud resterà un sogno. Malgrado il Pnrr e le buone intenzioni del governatore Occhiuto. Buon voto a tutti. (s)

IL PROGETTO INPS DEDICATO AGLI ULTIMI
SALARIO MINIMO E L’AIUTO AI PIÙ DEBOLI

di SANTO STRATI – È un progetto partito nel 2019, prima che scoppiasse la pandemia: l’INPS, guidata dal calabrese Pasquale Tridico si è data l’obiettivo di occuparsi di chi ha più bisogno, i cosiddetti “ultimi”, generalmente dimenticati, ma soprattutto trascurati. Ovvero, quelli che, per tante ragioni, non sanno nemmeno di poter contare sulle prestazioni e i servizi che l’Istituto di Previdenza è in grado di offrire loro. È un bellissimo progetto, diciamolo subito, perché se nell’immaginario collettivo l’INPS è quello che paga le pensioni e trattiene i contributi dallo stipendio, in realtà pochi sanno delle finalità sociali dell’Istituto. Che, ovviamente, si regge dalla raccolta dei contributi previsti dalla legge dovuti dal datore di lavoro (a fini di previdenza e assistenza) e in piccola parte dal lavoratore, ma eroga servizi che sono essenziali per il welfare dei cittadini. Dalle pensioni di qualunque genere (lavoro, vecchiaia, invalidità, etc) fino al reddito di cittadinanza e al sostegno al reddito a chi ne ha bisogno.

Paradossalmente, sono proprio gli “ultimi”, quelli che hanno più bisogno, che, in passato, non solo non accedevano ai servizi INPS, ma soprattutto non erano nemmeno a conoscenza delle opportunità di sostegno ad essi riservate.

Il progetto, che si chiama “INPS per tutti” è stato avviato tre anni fa, coinvolgendo le molte realtà del Terzo settore che già operano con grande impegno e dedizione a favore delle persone più svantaggiate e, naturalmente, le diocesi. La Chiesa, da sempre, svolge un’intensa opera di carità e assistenza e diventa uno strumento essenziale di collegamento con i servizi che possono essere offerti ai bisognosi dall’Istituto di Previdenza.

L’iniziativa è partita dalle grandi città, dove maggiore è la presenza di senzatetto e di persone bisognose di aiuto e assistenza (Roma, Milano, Torino, Bologna e al Sud a Napoli, Bari e Palermo), ma il progetto prevede di estendere a tutto il Paese questo servizio di assistenza. Per fare un esempio, a Roma, alcuni funzionari Inps sono andati con i computer portatili a incontrare nelle comunità persone bisognose, controllando in tempo reale se avessero diritto a qualche prestazione. In buona sostanza, non è il cittadino (fragile e bisognoso) che va a cercare aiuto all’Inps, ma è l’Istituto che cerca di individuare chi è in una condizione di disagio per offrirgli assistenza e servizi: ci sono pensionati con cifre mensili ridicole che non riescono a mettere insieme il pranzo con la cena e molti che hanno perso il lavoro e non sanno come mandare avanti la famiglia. In questo campo, utile si è rivelata la collaborazione con i Patronati e anche i CAF che hanno un quadro abbastanza preciso di situazioni di indigenza dovute a disoccupazione, perdita di lavoro, pensione sociale troppo bassa.

Il progetto “Inps per tutti” è stato avviato anche in Calabria già da due anni a Cosenza (ci fu un incontro con tutti i Vescovi del Cosentino a Lorica per coinvolgere le diocesi) e sta dando buoni risultati anche nella Città Metropolitana di Reggio e presto coinvolgerà anche le altre sedi provinciali. A dimostrazione che la sede calabrese dell’Istituto, diretta da Pino Greco, ha colto con grande entusiasmo e spirito di collaborazione il progetto per fornire assistenza a quanti si trovano in stato di assoluta povertà, senzatetto, senza dimora (quanti – separati – sono costretti a dormire in una macchina?), ma anche a quei cittadini che vivono in territori lontani dalle sedi Inps di competenza: l’obiettivo, come già detto, è quello di raggiungere gli utenti, non farsi raggiungere, contattare chi ha bisogno, non aspettare di ricevere richieste d’aiuto. Intervenire preliminarmente, quando è possibile, al fine di alleviare disagi e risolvere, compatibilmente con gli indirizzi che si è dato in questo campo l’Istituto, i problemi delle fasce più deboli della popolazione. È una scelta maturata con l’introduzione del reddito di cittadinanza che dal 2019 è risultato uno strumento efficace di contrasto alla povertà, anche se andrebbero completamente riviste le sue caratteristiche che hanno favorito soprusi e godimenti non dovuti, a sfavore di chi, invece, ha veramente bisogno di un sostegno contro il carovita.

Incontro a SOverato con Pasquale Tridico

Quando venne introdotto il reddito di cittadinanza, c’erano schedati tre milioni e mezzo di disoccupati e pensionati che hanno potuto usufruire del sostegno finanziario previsto, ma emerse l’altra realtà, quella dei cosiddetti “sconosciuti totali” di cui l’Istituto ignora l’esistenza. È stata una scelta meritoria, di grande coraggio, quella di occuparsi di questa fascia anonima di popolazione: centinaia, migliaia di disperati, ai quali non si può e deve negare il diritto a una vita decorosa.

Accanto a questa iniziativa di cui poco si è scritto e che pochi conoscono, c’è da mettere in evidenza l’obiettivo del salario minimo, utilizzando la direttiva europea che indica la soglia sotto la quale emerge una situazione di precarietà, anzi, chiamiamola col suo vero nome, povertà. E tra la pandemia, l’inflazione galoppante dovuta alla crisi Ucraina e all’inutile conflitto portato avanti dalla Russia, cresce continuamente il numero dei nuovi poveri, ovvero quelli che pur avendo un lavoro sono in difficoltà con le bollette, gli affitti, le spese generali e di sostentamento familiare. Una marea di persone alla quale occorrerà provvedere con iniziative che non possono esaurirsi con l’introduzione del salario minimo. Tra l’altro, la direttiva europea lascia agli Stati membri di decidere come applicare la norma: sarà frutto di contrattazioni collettive, o di una norma di legge?

Secondo una valutazione dell’INPS, se il salario minimo fosse individuato in 9 euro (lordi) ne trarrebbero vantaggio quattro milioni e mezzo di lavoratori, oggi sottopagati o, peggio, sfruttati da imprenditori non degni di questa qualifica. Sarà uno dei temi che affronteremo oggi nell’incontro pubblico di Soverato promosso dall’Associazione Calabrolombarda presieduta da Salvatore Tolomeo con la partecipazione del Comune. Il presidente Tridico, calabrese doc (è cosentino di Scala Coeli) risponderà alla “Calabria che domanda”. (s)