1970. Sono nate le Regioni in Italia e, dopo due mesi, viene presa una decisione: sarà Catanzaro il capoluogo della Calabria. Una decisione inaspettata, dato che i reggini erano certi che invece, la scelta sarebbe ricaduta su Reggio Calabria.
Una scelta quasi obbligatoria, dato che testi e pubblicazioni avevano, in precedenza, indicato la città di Reggio Calabria – città tra le più antiche e importanti di tutta la Magna Grecia – come capoluogo di Regione, nonostante non ci fosse, legalmente, un capoluogo ufficiale.
Rabbia, talmente tanta da parte dei reggini delusi, che scoppiò quella che fu definita una delle «rivolte urbane più violente e lunghe dell’Italia repubblicana».
A ripercorrere quella che fu definita La Rivolta di Reggio Calabria, su Rai Storia, alle 20.30, per il programma Passato e Presente, il prof. Ernesto Galli della Loggia e Paolo Mieli.
14 luglio 1970. Viene proclamato lo sciopero generale della città. In testa al movimento popolare per Reggio Capoluogo, l’allora sindaco democristiano Pietro Battaglia. Sembra la rivoluzione francese: la gente scende in piazza, c’è devastazione, distruzione e scontri con le forze dell’ordine che, nel frattempo, è di dura repressione.
Morti, feriti e tanti arresti fanno da cornice a una vera e propria guerra civile, con un bilancio complessivo di sei morti, 54 feriti e migliaia di arresti, che troverà tregua solo otto mesi dopo, il 23 febbraio del 1971, con l’arrivo dell’esercito in città.
Nel frattempo, il governo guidato da Emilio Colombo approvò un pacchetto, il cosiddetto Pacchetto Colombo, di misure economiche a favore di Reggio. Tra queste, la costruzione del V Centro Siderurgico di Gioia Tauro, che non vedrà mai la luce a causa della crisi della siderurgia.
Oltre al Centro Siderurgico, il Pacchetto Colombo provocò una insolita divisione degli organi istituzionali della Calabria: la Giunta regionale, infatti, era stata indicata a Catanzaro, mentre il Consiglio regionale a Reggio Calabria. (ams)