REGIONALI / QUASI DUE MILIONI I CALABRESI CHIAMATI ALLE URNE: QUANTI ELETTORI SI ASTERRANNO? ;
I giovani e la Calabria

Svegliati Calabria mia, andiamo tutti a votare!
Una regione “normale” per il futuro dei giovani

di SANTO STRATI – Di tutti i primati negativi che assomma la Calabria ce n’è uno che ci piacerebbe venisse smontato in questa giornata elettorale: l’astensionismo (56% alle passate elezioni del 2014) è il segnale più evidente della disaffezione, della delusione, del rifiuto della politica dei calabresi. Se questa domenica di fine gennaio saranno numerosi i “pentiti” del non-voto, vorrà dire che la Calabria si è svegliata dal suo torpore e che i calabresi davvero cominciano a pensare di poter vivere in una regione “normale”. Una regione dove i bambini hanno a disposizione le pari opportunità e non solo un decimo (o anche peggio) degli aiuti previsti dal governo centrale per le ricche regioni del Nord, una terra dove gli investimenti non sono cattedrali nel deserto issate per avvantaggiare i soliti affaristi che prendono i soldi e scappano. Un luogo da amare e, soprattutto, da far amare. Un angolo di paradiso che ritrovi la sua giusta reputazione e si faccia conoscere e apprezzare in tutto il mondo, non più per i fatti di ‘ndrangheta, ma per la qualità della vita, la innata cordialità e il senso di accoglienza delle sua gente, la capacità dei suoi giovani, la competenza di uomini e donne di cultura, scienziati, ricercatori, formatori, docenti, educatori, che il mondo, al contrario della Calabria, ammira e valorizza tantissimo. Una California d’Europa dove alla mitezza del clima si associano un patrimonio archeologico e culturale inestimabile oltre che unico, una straordinaria ricchezza di paesaggi, mari, montagne, boschi, e un’eccellente offerta eno-gastronomica. In poche parole una regione “normale” dove la ricchezza la fa la sua gente e dove la parola divario possa diventare un brutto ricordo da cancellare.

Svegliamoci, noi calabresi che abbiamo lasciato la nostra terra, pur mantenendola sempre nel cuore, e svegliatevi voi calabresi che vivete e volete vivere, avete il diritto di vivere, in Calabria. Non andare a votare è una resa che contrasta col sentimento più comune di questa terra: non arrendersi mai. Mettiamo da parte lo scoramento, l’insofferenza e – se serve turiamoci il naso, come suggeriva Montanelli – ma andiamo tutti a votare. Non importa a chi verrà dato il voto, ognuno è libero di esprimere nel segreto dell’urna, le proprie preferenze, ma non possiamo accettare che il primo partito di una regione che grida al grande misfatto del Nord, che urla la sua disperazione, che chiede attenzione, poi non vada a votare. Anche se la propria parte politica non dovesse vincere, il recarsi alle urne indicherà che è vera la voglia di riscatto e che non c’è alcuna intenzione di cedere al colonialismo nordico che dimentica che le sue fortune le deve in gran parte ai milioni di meridionali che andavano a lavorare nelle fabbriche di Torino e di Milano.

Non serve la rassegnazione, ma una buona dose di indignazione che deve muovere i calabresi a far capire chiaramente ai futuri ospiti di Palazzo Campanella e di Germaneto che è finita o deve proprio finire l’era del familismo, del favoritismo, della disattenzione, degli annunci e delle mancate realizzazioni. Un’era che ha caratterizzano quanto meno gli ultimi venti anni e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Se dovessimo elencare i misfatti e le cose non fatte vi costringeremmo a leggere centinaia di pagine, ma sono cose risapute e messe in evidenza da tempo dai media, con un solo limite: i politici non leggono i giornali, non ascoltano radio e tv, non guardano le testate on line, solo loro ignorano le tantissime assurdità dell’amministrazione, sia essa locale, regionale, nazionale, che pur vengono spiattellate ogni giorno sulla stampa, sui social, in tv. Siamo afflitti da tasse, gabelle, leggi astruse e decreti attuativi che non vengono mai varati così da rendere inutili i provvedimenti approvati, eppure si continua lo stesso, con le abituali scelte che non guardano al bene comune ma quasi sempre ad interessi privati o di parte.

Il voto del 26 gennaio serve a questo, non solo a eleggere un presidente e 30 consiglieri regionali, ma ad esprimere (si spera) una tendenza di rinnovamento che ormai è inarrestabile e il nuovo Governo regionale, di qualunque colore esso sarà, deve tenerne conto. Necessitano competenza, capacità e voglia di fare: i calabresi devono compattarsi a pretendere che “paese normale” sia anche la Calabria, invocando provvedimenti che hanno un’urgenza spaventosa, a cominciare dalla sanità. Non servono ricette magiche, ma – ripetiamo – competenza e voglia fare, di realizzare, mettendosi al servizio dei cittadini. Un sogno?

Beh, sì, lo ammettiamo, è ancora un sogno, ma 50 anni di regioni hanno portato ricchezze e disastri: splendore e opulenza nelle aree settentrionali, desolazione e miseria al Sud. Non è solo lo scippo al Sud (60 miliardi) di cui il direttore del Quotidiano del Sud Roberto Napoletano si è fatto intrepido accusatore scoprendo e denunciando gli altarini di un regionalismo differenziato ante-litteram a solo vantaggio del Nord. Ma la sua non può essere una voce isolata: occorre riaprire la questione meridionale facendo leva sulla ricchezza straordinaria (e inutilizzata) di cui il Mezzogiorno dispone: il Mediterraneo. Il mare nostrum può essere la molla del riscatto e della crescita sociale, non solo per le popolazioni del Mezzogiorno, ma per tutte quelle che si affacciano sulle sue rive. Non più questione meridionale, dunque, ma questione mediterranea, dove pure i problemi dell’Africa trovino finalmente una qualche soluzione che consenta una vita “normale” anche lì. I migranti fuggono dalla guerra, ma anche dalla miseria e dall’assoluta mancanza di prospettive. Ma un governo che si dimentica del Mezzogiorno avrà mai tempo e voglia di occuparsi del Mediterraneo e delle sue genti?

Solo per fare un esempio, abbiamo, in Calabria, il porto di Gioia Tauro che è al centro del Mediterraneo, l’unico a permettere l’attracco di navi porta-container di stazza gigantesca. È dovuto intervenire il privato a risollevarne le sorti, quando ancora per fare il collegamento unisca il porto alla rete ferroviaria (e favorisca la cosiddetta intermodalità), giusto un paio di km di strada ferrata, stanno da anni a litigare sulle competenze per chi deve approvare il progetto. E questa è sola una delle tantissime urgenze che il nuovo governo regionale dovrà risolvere. Vedremo e vigileremo, senza riguardo per alcuno, su cosa farà il nuovo governo regionale e il nuovo Presidente (uomo o donna che sia): chi ha accettato la sfida elettorale sappia che avrà vita dura e i calabresi non staranno a guardare. Non è un auspicio, ma una sensazione suffragata da tante voci assonanti, di giovani, donne, disoccupati, laureati incontrati in questi ultimi sei mesi in lungo e in largo in Calabria. C’è una nuova coscienza “politica”, consentiteci le virgolette, c’è voglia di cambiamento e la pretesa di essere ascoltati e non blanditi con promesse e annunci ad effetto.

La politica regionale, di cui è giustificabile il rigetto di tanti che in passato hanno rinunciato al voto, ha mostrato l’incapacità di intercettare le reali esigenze dei cittadini, ha rivelato l’insipienza di chi governa e l’ignavia di assumersi la minima responsabilità. Una politica che ha mostrato, peraltro, il suo lato peggiore in questa insulsa campagna elettorale i cui esiti, fino all’ultimo, non sono per niente scontati. Non sappiamo quanti voti faranno perdere alle rispettive parti l’affrettato addio di Di Maio (insensato e folle a tre giorni alle elezioni in Emilia e in Calabria), le spavalderie gratuite di Salvini e l’infelice battuta sessista di Berlusconi nei confronti dell’imbarazzatissima Santelli («Non me l’ha mai data», una goliardata che un capo politico non dovrebbe permettersi nemmeno al chiuso dei suoi salotti eleganti). Il tempo scorre in fretta, la gente dimentica rapidamente e guarda i suoi ragazzi che preparano il trolley. Loro, molto spesso con una legittima fitta al cuore, non dicono arriverderci, ma più facilmente «addio» alla casa che li ha visti nascere, ai genitori, agli affetti. Quella stessa parola che i calabresi dovrebbero gridare alla politica da strapazzo di chi immagina di venire a conquistare la Calabria. Per questo occorre che andiamo tutti a votare. (s)