IL CONSIGLIO REGIONALE RIUNITO OGGI IN VIA STRAORDINARIA PER CHIEDERE IL DECLASSAMENTO AI FINI COVID;
Nino Spirlì

ZONA ROSSA O GIALLA , DIATRIBA INUTILE
LA REGIONE VOTI CONTRO DECRETO SANITÀ

di SANTO STRATI – Il Consiglio regionale è stato convocato in via straordinaria domani, sabato per votare un ordine del giorno con cui si chiede per la Calabria il declassamento da zona rossa a zona gialla. Il che, se permettete, è una rispettabilissima iniziativa ma che non serve a nulla: rossa o gialla la zona, poco cambia per la nostra regione, visto che la decisione – sicuramente non facile – di un parziale lockdown per la Calabria risponde esclusivamente a una logica di prevenzione e non si basa, ovviamente, sul numero dei contagi, per fortuna molto più bassi che nelle altre tre regioni diventate zona rossa. Il problema principale riguarda la fragilità strutturale della sanità in Calabria: non ci sono, di fatto, le condizioni per affrontare ricoveri di massa in terapia intensiva, ove il contagio dovesse assumere livelli incontrollabili. In altre parole, occorre fermare le possibilità di rischio contagio costringendo i cittadini a evitare situazioni di assembramento e l’unico strumento valido, ad oggi, risulta la chiusura di attività e bloccare le persone a casa. Piaccia o no, la situazione provocata da dieci anni di insensato commissariamento della sanità nella regione ha messo in ginocchio il territorio calabrese, con una feroce (e criminale) politica di tagli economici che hanno guardato solo ai risparmi ottenuti e non al numero delle vittime di malasanità che si sarebbero potute evitare. È questo il vero senso della battaglia che tutti insieme, Consiglio e Giunta regionale, sindaci, amministratori, società civile, devono portare avanti: opporsi con ogni mezzo all’infame decreto Sanità la cui proroga per 24-36 mesi è un’offesa ai calabresi e una mortificazione per le competenze e le capacità locali che, grazie a Dio, non mancano.

Da ogni parte si levano scudi contro la decisione di instaurare una zona rossa (ogni sindaco ha deciso di dire la sua), ma dopo le dichiarazioni del ministro della Salute Roberto Speranza alla Camera c’è poco da contestare: il problema non è il colore della zona, ma ha due aspetti di fondamentale importanza. Il primo riguarda l’organizzazione e l’immediato adeguamento delle strutture sanitarie per fronteggiare la crisi covid (visto che da giugno ad oggi, pur avendo i quattrini, si sono realizzati appena sei posti in più di terapia intensiva a Reggio), così da scongiurare una evitabile quanto odiosa ondata di nuove vittime per mancata assistenza. Il seocndo è rivolto al tessuto imprenditoriale e sociale: se il Governo decide di chiudere, lo faccia, ma prima metta i quattrini per ristorare le perdite nelle tasche di ristoratori, baristi, commercianti, esercenti che vedono sfumare non solo ricavi che già si annunciavano ridotti al 50%, ma anche qualsiasi aspettativa di ripresa economica. È comodo dire chiudiamo e poi paghiamo: il Governo deve prendersi la responsabilità diretta di gestire la crisi sia sanitaria sia economica, lasciando parte le promesse (ci sono svariate migliaia di lavoratori che aspettano ancora la cassa integrazione da aprile e si sono salvati grazie alle generose anticipazioni dei datori di lavoro, quando è stato possibile) e mettendo nero su bianco date e cifre, Soldi veri, non crediti d’imposta. Le serrande sono abbassate ma le spese corrono ugualmente: affitti, utenze, tasse e imposte, contributi, manutenzione e quant’altro serve per tenere in piedi un’azienda. I nostri governanti, probabilmente, non conoscono le dinamiche di spesa per gestire un’attività commerciale, ma non possono più ignorarle, come non possono ignorare le centinaia di migliaia di imprenditori e lavoratori autonomi invisibili ed esclusi, pur facendo capo alla filiera produttiva del Paese. Lo abbiamo scritto e lo ripeteremo fino alla noia: si rischia di provocare una spaventosa crisi di nuova povertà che investe il ceto medio, i piccoli imprenditori, gli artigiani, i commercianti. Serve bloccare ogni imposizione fiscale se si vuole salvare il tessuto produttivo, diversamente salta in modo irreversibile l’economia del Paese e sarà troppo difficile arginare la spaventosa massa di nuovi disoccupati (licenziati) di precari senza alcuna possibilità di reimpiego, di padri di famiglia disperati perché privati di qualsiasi reddito. E cosa danno da mangiare ai propri figli? Le promesse del Governo?

Quindi, ben vengano le iniziative di lotta, il rigore – possibilmente trasversale – delle forze politiche calabresi a chiedere di guardare con occhio diverso ai bisogni reali della nostra disgraziata terra. Perché è intollerabile che ancora oggi gli italiani del Nord, ricco e opulento, abbiano in investimenti fissi di sanità 84,4 euro a disposizione, contro i 15,9 degli italiani di Calabria: è qui l’odioso divario su cui – proprio nell’ambito sanitario – bisogna confrontarsi e alzare la voce, battere i pugni, fino a farsi sentire, senza rinvii né vaghe assicurazioni. La riserva del 34% a favore del Mezzogiorno in termini di spesa per gli investimenti è diventata legge e bisogna dare atto al premier Conte e al ministro per il Sud Peppe Provenzano, ma già ecco che a proposito del Recovery Fund le regioni del Nord (che covano silentemente il sogno dell’autonomia differenziata) stanno già brigando per togliere al Sud buona parte dei fondi proprio a esso destinati.

Il presidente f.f. Nino Spirlì – cui suggeriremmo per amor di patria di astenersi da altre comparsate televisive che generano solo imbarazzo – fa bene a promuovere una decisa iniziativa contro il rinnovato decreto Sanità, rimarcando le colpe dei commissari che «non hanno svolto il loro lavoro correttamente». Spirlì afferma che «è necessario raccontare le cose per come stanno, sulla scorta di atti formali che fotografano al meglio la verità che stiamo raccontando da giorni. Prima di dire che questa situazione è responsabilità della Regione, dunque, è opportuno che i rappresentanti del Governo interroghino la propria coscienza, facciano un passo indietro e accettino, una volta per tutte, quella che ormai è una certezza: il fallimento della gestione commissariale in Calabria. Quella stessa gestione che l’esecutivo Conte, malgrado una forte opposizione interna, si accinge a riproporre». E il presidente facente funzioni non dimentica di elogiare il lavoro di quanti stanno dannandosi l’anima per aiutare chi soffre: «non consentirò mai – ha detto – che vengano messi in discussione lo sforzo e la professionalità dei medici, degli infermieri e del personale sanitario e amministrativo della regione. Professionisti eccezionali che, nonostante le tante criticità determinate dalle varie strutture commissariali scelte dal Governo, hanno dato – e stanno dando tuttora – il massimo di se stessi per far funzionare l’intero sistema. Li ringrazio uno a uno».

Ma c’è anche chi il commissariamento lo difende. La senatrice pentastellata Bianca Laura Granato non usa mezzi termini: «Paghiamo le dirette conseguenze dell’inadeguatezza anche degli apparati burocratico-amministrativi regionali che solo un commissariamento rafforzato potrebbe sopperire. È davvero fuori da ogni logica invocare l’uscita del commissariamento in queste condizioni, a chi dovremmo affidare la sanità in questa regione? – si chiede la senatrice Granato – certo non ad una classe dirigente e politica che ha miseramente fallito pur avendo avuto il tempo e le risorse per intervenire e mettere in sicurezza il diritto alla salute e alle cure dei calabresi». Con buona pace della sen. Granato è forse utile ricordarle che il decreto Sanità portato a vanto del M5S è stato poi sconfessato da numerosi parlamentari calabresi pentastellati per l’incapacità di offrire soluzioni alla grave situazione della sanità in Calabria.

Anche per questo motivo, ci permettiamo di considerare un’inutile discussione quella che domani il Consiglio regionale – già con le contestazioni di natura politica dell’opposizione – andrà ad affrontare. Si parli di emergenza sanitaria e dell’impossibilità per i calabresi di autogestirsi in un momento così drammatico del Paese e in una situazione dove la salute di tutti è messa seriamente a dura prova. Si individuino gli strumenti di lotta civile per impedire che venga votato il nuovo decreto di commissariamento: questo è l’impegno che i calabresi si aspettano dai loro rappresentanti istituzionali, è questo il vero obiettivo da raggiungere. Mai più commissariamenti, autodeterminazione delle figure professionali locali adeguate a risolvere i problemi e a gestire la sanità, con una non meno importante aspettativa: l’azzeramento del debito pregresso nella sanità. Si può fare, le norme dell’emergenza, l’extradeficit, la disponibilità dell’Europa nei confronti del debito pubblico, lo permetterebbero. Ci vuole volontà politica e una buona dose di coraggio e autorevolezza, che ahimè, non riusciamo a intravvedere in questo esecutivo, in balia dei capricci dei cinquestelle (prossimi a diventare quattro gatti) e dei colpi di tosse d’un Salvini ormai in caduta libera. Il Covid lascerà una insopportabile scia di vittime e danni spaventosi alla nostra economia, ma allo stesso tempo può rappresentare un’opportunità unica per cavalcare la crisi e guidare il Paese verso crescita e sviluppo, mettendo al primo posto il Mezzogiorno e il suo ruolo fondamentale nell’ottica mediterranea.

Ci piacerebbe, dunque, auspicare una sorta di tregua per il bene comune, ma sappiamo che quasi certamente è un sogno irrealizzabile. I nostri irresponsabili esponenti politici (nessuno escluso) sanno solo continuare in inutili schermaglie dialettiche, impalpabili, fumose e inaccettabili, per imputare all’una e all’altra parte ogni genere di errore, per attribuire tutti i guasti di dieci anni di commissariamento della sanità, e, infine, per contrastare qualsiasi iniziativa solo perché presentata dalla parte avversa. Per cortesia, fermatevi, i calabresi ne hanno le scatole piene di questi atteggiamenti e trovate un punto d’incontro per raggiungere il comune obiettivo del bene comune. A leggere le note che arrivano in redazione, da maggioranza e opposizione, non si può non notare che l’emergenza covid non ha insegnato nulla, anzi sta accentuando – in vista del prossimo appuntamento elettorale per il rinnovo del Consiglio regionale – lo scontro politico, senza esclusione di colpi. Basterebbe un onesto e serio esame di coscienza per mettere da parte arroganza, supponenza e incapacità di dialogo e ragionare, una volta tanto, nel solo interesse dei calabresi. (s)

 


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