Roma è la città più grande della Calabria con i suoi oltre 500mila calabresi residenti o domiciliati per motivi di studio e di lavoro: quale migliore ribalta per la manifestazione Calabria è in programma dall’8 al 10 marzo al Caffè Letterario di via Ostiense 95, guidata dall’attore Gigi Miseferi? Una tre giorni dedicata ai profumi e sapori della Calabria, alla sua cultura, alle associazioni dei calabresi di Roma, ai testimonial della “calabresità”.
La manifestazione, ad ingresso libero, è organizzata dalle Associazioni Profumi e sapori della Calabria e Itaca Mondo in collaborazione con le principali Associazioni Calabresi della capitale che hanno aderito. L’evento si propone di offrire un percorso di conoscenza della Calabria che accantona antichi stereotipi e presenta il suo volto autentico in un percorso costante di innovazione probabilmente non del tutto noto al grande pubblico. Insomma, una grande vetrina aperta alla città di Roma per mostrare che la Calabria “è” cultura, paesaggio, storia, religiosità, tradizioni, cibo buono e salutare, folklore, artigianato, musica, gente piena di iniziativa, è stata ed è emigrazione ed accoglienza.
Un percorso a sfaccettature multiple, una sorta di “viaggio” sensoriale e culturale in cui i visitatori si immergeranno completamente nell’editoria, nei film, nelle tradizioni enogastronomiche, in mostre e contenuti musicali e nelle diverse arti che contraddistinguono l’identità e le tradizioni calabresi. Saranno coinvolti, in primo luogo i calabresi che si sono in qualche modo distinti nel loro ambito (start up, scrittori, artisti, cantanti, chef, giornalisti, registi…) che possono essere considerati “testimonial” dell’identità calabrese.
Una Calabria di volti e di esperienze che testimoniano quanto di prezioso la Calabria offre, a dispetto di una conoscenza ancora poco diffusa e talvolta falsata nel resto d’Italia e nel mondo. La direzione artistica è affidata a Gigi Miseferi. L’inaugurazione venerdì 8 marzo alle 17. Da non mancare. (rrm)
Il capitolo regionalismo differenziato, ovvero la maggiore autonomia amministrativa richiesta da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna è per il momento accantonato. Ieri il Consiglio dei Ministri (che aveva anticipato di un giorno la scadenza per la discussione) ha deciso di prendere tempo e al ministro degli Affari regionali Erika Stefani, che in mattinata in RAI ad Agorà aveva trionfalmente presentato la cosa come fatta, non è rimasto che prendere atto del rinvio obbligato.
Su queste pagine, il presidente del Consiglio regionale Nicola Irto due giorni fa aveva messo in guardia sulla “secessione mascherata” che il provvedimento avrebbe potuto provocare. E la dura presa di posizione del governatore della Campania Vincenzo De Luca e di quello della Puglia Emiliano, aveva già ieri mattina fatto sperare che i ministri non decidessero di accogliere le richieste dei governatori delle regioni “ricche”. Per la verità, proprio dal Consiglio regionale della Calabria, con voto unanime, era partita qualche settimana fa una decisa risoluzione contro il federalismo differenziato, ovvero la pretesa di maggiore autonomia delle regioni più prosperose a tutto svantaggio del Mezzogiorno, accolta anche dalla Campania.
Non è stato, in realtà, l’appello di Irto né quello degli altri due governatori a far cambiare idea al Governo. Il retroscena è squisitamente politico e di sapore assolutamente elettorale e lascia, ancora una volta intravvedere come le distanze tra i due alleati di governo siano sostanzialmente sempre più ampie. Il ragionamento fatto dai 5 stelle è stato molto semplice: a pochi mesi dalle Europee, il provvedimento sull’autonomia di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, se fosse stato approvato, sarebbe diventato un clamoroso assist per la Lega, che avrebbe moltiplicato i consensi proprio in quelle regioni, potendo vantare un risultato di grande valore per tutto il Settentrione. Quindi, il rinvio (probabilmente se ne parlerà dopo le elezioni di maggio) è diventato inevitabile per evitare ai pentastellati di favorire l’amico-nemico Salvini.
Alle popolazioni del Mezzogiorno, per la verità, le ragioni politiche che stanno dietro alla frenata del Governo interessano poco: occorre, semmai, ribattere che la coesione e l’unità del Paese non vanno messe in discussione (e comunque sarebbero partiti tanti ricorsi alla Corte costituzionale contro l’eventuale provvedimento) e che il Sud, dimenticato nel contratto di governo tra Lega e 5 Stelle deve, invece, cominciare ad avere l’attenzione necessaria. Se non riparte il Mezzogiorno, non riparte l’Italia, questo sembra chiaro a tutti, tranne che all’attuale governo. Il ministero per il Sud Barbara Lezzi non si è fatta notare per iniziative e provvedimenti di alcun genere, mentre sono tantissime le questioni irrisolte, alcune molto gravi come quella del Porto di Gioia Tauro.
Il presidente Irto aveva lanciato un appello “alla ragione” in particolar modo ai deputati pentastellati della Calabria e a tutta la compagine parlamentare calabrese: non ci sarà, per ora discussione alla Camera, ma l’invito del presidente del Consiglio regionale calabrese andrebbe fatto valere per l’attività (scarsa) di gran parte di deputati e senatori che rappresentano la Calabria. Fatte le dovute e meritorie eccezioni (chi ha voglia si guardi le nostre pagine dedicate all’attività dei parlamentari calabresi nella sezione Calabria Parlamento) si parla e si discute poco di provvedimenti finalizzati al rilancio, allo sviluppo, alla crescita della regione.
In tutto questo contesto, va segnalata la battuta divertente del ministro Stefani al governatore De Luca: “fate richiesta di autonomia anche voi!” Non è però il tempo delle frasi che invitano al sorriso: il ministro (ovvero la ministra) degli Affari regionali minimizza sull’accaduto e rimane ottimista: «Restano da sciogliere alcuni nodi politici – ha dichiarato ai giornalisti all’uscita da Palazzo Chigi – credo che riusciremo a farlo già la prossima settimana per riportare il testo, questa volta definitivo, al Consiglio dei ministri e quindi sottoporlo ai presidenti di regione per verificarne il gradimento».
Difficile condividere l’ottimismo della ministra, visto che il vicepremier Di Maio ha già lanciato il diktat “niente leggi prima delle elezioni”, ma, ad ogni buon conto, i calabresi e tutto il Mezzogiorno stiano in guardia. La battaglia contro l’autonomia è appena iniziata. (s)
Nella foto di copertina, il ministro Erika Stefani
È la decima edizione del Premio Ritratti di Poesia, promosso dalla Fondazione Terzo Pilastro presieduta e diretta dall’economista Emmanuele Francesco Maria Emanuele: oggi a Roma (alle 11), nella suggestiva Sala del Tempio di Adriano, il poeta e giurista calabrese Corrado Calabrò ha ricevuto il prestigioso riconoscimento della Fondazione per la vastità della sua opera poetica. Calabrò, reggino di nascita, fine giurista ed eccelso poeta, ha pubblicato nei mesi scorsi una splendida raccolta di versi (Quinta dimensione, Mondadori) che raccoglie sessant’anni di liriche. Un libro che sta raccogliendo vasti consensi di pubblico e di critica.
La manifestazione di Terzo Pilastro è, in realtà, una maratona poetica (dalle 9.30 alle 19.30) che offrirà insieme reading e confronto con gli autori (inclusi gli incontri con le scuole) dal mattino fino a sera. Un’impegnativa kermesse di poesia che vuole avvicinare soprattutto i più giovani all’universo poetico di poeti di grande levatura e personaggi poco conosciuti legati alle nuove tendenze della poesia di ogni parte del mondo.
Corrado Calabrò, alle 11, sarà il primo a ricevere l’ambito riconoscimento dalle mani del prof. Emanuele e intratterrà con una breve prolusione i presenti, oltre a presentare e recitare personalmente alcune sue liriche di grande suggestione.
Il Premio di Poesia Terso Pilastro nel suo albo d’oro conta Andrea Zanzotto (2010), Maria Luisa Spaziani (2011), Pier Luigi Bacchini (20129, Giovanna Bemporad (2013, ad memoriam), Giampiero Neri (2014), Elio Pecora (2015), Giancarlo Majorino (2016), Giuseppe Conte (2017), Donatella Bisutti (2018) e quest’anno Corrado Calabrò. (rrm)
Nella foto di copertina Emmanuele Francesco Maria Emanuele e Corrado Calabrò
Oggi pomeriggio a Roma, presso Palazzo Altieri, il cav. Ercole Pietro Pellicanò, introdurrà l’incontro per presentare il volume “Giornata del Credito: 50 Giornate. il percorso della memoria ed… oltre”. Prendono parte Gianni Letta, presidente onorario della Fondazione Guido Carli, Carlo Fratta Pasini, consulente Banco BPM, Gaetano Micciché, presidente Banca IMI e Salvatore Rossi, Direttore generale della Banca d’Italia.
Il cav. Pellicanò, calabrese doc, è a capo dell’Associazione Nazionale per lo Studio dei Problemi del Credito (ANSPC), ha presieduto diversi istituti bancari ed è attivo in iniziative legate al mondo del credito e della finanza, oltre a far parte del Comitato Scientifico della rivista Tempo Finanziario. (rrm)
Soddisfazione in Calabria per la nomina a vicedirettore di Rai-Parlamento del giornalista cosentino Alfonso Samengo, già capo della redazione del TGR di Rai-Cosenza.
Il Presidente del Consiglio regionale Nicola Irto ha fatto pervenire al giornalista un telegramma di felicitazioni. «Desidero formularle – ha scritto il presidente Irto – il mio augurio personale e quello dell’assemblea legislativa calabrese per la sua conferma a vicedirettore di Rai parlamento. Scelta che, nel solco del percorso tracciato in questi anni dalle sue riconosciute doti umane e professionali, premia l’impegno rivolto alla ricerca di una informazione di qualità che esprime appieno la funzione spettante al servizio pubblico. Tale risultato è da noi accolto con gioia e soddisfazione quale ulteriore affermazione del valore dei calabresi impegnati come lei ai massimi livelli, ai vertici del mondo dell’informazione».
(in calce al servizio la recensione del Corriere della Sera del 22 dicembre)
20 dicembre 2018 – Una serata romana all’insegna della poesia e della bellezza: le liriche di Corrado Calabrò– poeta e giurista orgogliosamente calabrese – raccolte in Quinta dimensione” hanno riempito il Tempio di Adriano, a Roma, facendo riscoprire il senso dell’amore, della passione, del bello. Sentimenti di difficile lettura ai nostri giorni, col tempo che inesorabile sfugge a qualsiasi manomissione e costringe a tante rinunce, prima su tutte quella di fermarsi a pensare, a riflettere, a meditare. La poesia svolge questo non sempre facile compito di invitare a soppesare i propri sentimenti con la lievità di versi che invitano a scoprire e scoprirsi. Corrado Calabrò, in sessant’anni di poesia, ha saputo coniugare il suo sdoppiamento tra il rigore dell’uomo delle istituzioni e il poeta dell’amore, tra poetare e vergare di diritto, tra la fermezza del giurista e la passionalità del cantore. Il risultato è sotto gli occhi di chi conosce già le sue straordinarie liriche e di chi si accosta ad esse anche solo per un’occhiata di sfuggita: quest’ultima operazione – avvertiamo – è impossibile, giacché basta un verso per catturare l’occhio e la mente e indurre a inseguire un avanti e un indietro. La scoperta dei versi di Calabrò, difatti, è un divelarsi continuo di suggestioni e affreschi di sentimento che disarmano l’innocua paura della parola scritta, in un tratteggio ora tenero ora selvaggio, ora moderno e al tempo profuso di classica armonia. Una poesia che conquista e travolge l’indifferenza cui ci stiamo abituando: uno dei suoi capolavoro Roaming del 2008 (602 versi) chiude – dopo un sogno infinito che tratteggia il mondo di ieri e di oggi – così: Sotto stupite stelle / si smarrisce per noi la distinzione / tra provenienza e destinazione.
Questa nuova raccolta poetica non ha seguito l’ordine cronologico delle liriche apparse in svariate decine di volumi, ma – curata dal valente Marco Corsieditor di poesia di Mondadori – ha una scansione per temi e sezioni. Non è stato facile selezionare tra le migliaia di versi e soprattutto scartare seguendo i temi dell’amore, del mare, dell’astrofisica. Calabrò, nel corso del tempo, ha raggiunto una piena maturità espressiva, ma risulterebbe una bizzarria guardare con occhio diverso la sua produzione poetica degli anni passati, tra sperimentazione e puro classicismo, poiché l’insieme della sua poetica rappresenta, senza dubbio, un meraviglioso affresco di emozioni e di sentimenti di cui diventa difficile non appropriarsi.
La serata al Tempio di Adriano, aperta da Gianni Letta, amico di lunga data ma sincero e genuino ammiratore del Calabrò poeta, con un delizioso affresco dell’autore, arricchito di riferimenti e annotazioni argute, ha visto sul tavolo la presenza anche di Carlo DI Lieto (autore di un delizioso volume su Calabrò), dell’editor Marco Corsi e del filologo Giuseppe Rando, che hanno catturato l’attenzione della sala con puntuali rimandi all’energia poetica di Calabrò e al suo dominare il verso secondo un felice estro di creatività e di passione.
Moltissimi gli ospiti illustri. Erano presenti tra gli altri: il presidente del Consiglio di Stato Filippo Patroni Griffi e il presidente emerito Pasquale De Lise, il presidente emerito della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli, l’ambasciatore Renato Varriale e gli ex ambasciatori Anna Blefari Melazzi, Alessandro Minuto Rizzo e Felice Scauso, il preside della Facoltà di Lettere della Sapienza Roberto Nicolai, il presidente Emmanuele Emanuele, i giornalisti Antonio Padellaro, Roberto Napoletano e Roberto Sommella, il manager Franco Bernabè, l’ex presidente della Corte dei conti Luigi Giampaolino e della Corte d’appello Giovanni Lo Turco, Paolo e Giovanna Portoghesi,Pippo Franco, il prof. Franco Romeo, Andrea e GitteMonorchio, l’on.le Gerardo Bianco, la principessa Maria Pia Ruspoli, Sandra Carraro, l’ex avvocato generale dello Stato Ignazio Caramazza, l’ex Ministro Mario Ciaccia.
Ha chiuso la serata un applauditissimo recital di poesie lette dall’autore e dall’attrice Maria Letizia Gorga. (s)
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Il testo dell’intervento del prof. Corrado Calabrò al Tempio di Adriano
Vi ringrazio tutti, uno per uno.
La poesia – ha scritto Heidegger – è un colloquio e questo significa che stabilisce un rapporto binominale tra autore e lettore, tra autore ed ascoltatore. Point to point; non si spalma indiscriminatamente sull’uditorio come i mass media.
Sì, nella mia infanzia e nella mia prima adolescenza ho vissuto una doppia vita. D’inverno studio, orari da rispettare.
L’estate, l’estate era un’altra cosa. L’estate era vacanza, vacatio da qualsiasi imposizione. Vivevo, nelle lunghe estati, in una casetta ai bordi della spiaggia a Bocale. Bocale è solo a 15 chilometri da Reggio Calabria ma allora era come Macondo; la vita era rimasta indietro di un secolo: una macchina a ritroso nel tempo.
Da giugno a ottobre vivevo in quella casetta, dalla soglia sempre insabbiata per le onde lunghe che in autunno giungevano a lambirla.
Leggevo, leggevo furiosamente.
E facevo grandi nuotate.
Tuttavia certe notti la nostalgia, la nostalgia della mamma, mi accorava.
E certi pomeriggi, stando seduto sulla spiaggia, stringendo le ginocchia tra le mani, seguivo con lo sguardo le navi che s’allontanavano piano piano nello Stretto di Messina verso oriente rimpicciolendo sempre più fino a venire ingoiate nella distesa liquida. Anche dopo la loro scomparsa mi pareva di continuare a vederne una parvenza, come il sorriso del gatto sparito di Lewis Carroll. Avrei voluto seguirle, a nuoto o in barca a vela, fino a raggiungere “la soglia che segna il limitare a un nuovo giorno”.
Fu lì, fu allora che provai per la prima volta l’impulso a poetare.
Il mare è stato il mio imprinting dell’indeterminatezza della poesia, del desiderio dell’illimite, di un orizzonte che s’apra su un ulteriore orizzonte, di un sipario mentale che s’alzi su un altro scenario, in un inseguimento senza fine verso l’«oltre da me».
Vivere a Roma mi ha indotto maggiormente a ricordare il mare. Roma è una città stupenda, che mi ha dato tanto, è la mia città. Anche se è da condividere il giudizio di Argan: “Non conosco una città che sappia peggiorare meglio di Roma”.
Ma ogni mattina, quando vado al balcone e apro le imposte, avverto come un senso di privazione. Ancora assonnato, ogni volta sul momento non capisco che cos’è. Solo un attimo dopo realizzo: mi manca il mare.
Ma forse la mia è solo una spiegazione posticcia dello sdoppiamento delle mie inclinazioni e del mio vissuto.
Una spiegazione di cui forse non c’è bisogno.
Osserva Bergson che “c’è, nel profondo dell’animo della maggior parte degli uomini, qualcosa che, impercettibilmente, fa loro eco”, come un altro-da-sé. Un altro noi-stessi porge l’orecchio quando parliamo, ci legge quando scriviamo. E Rimbaud ha scritto “Io è un altro”, Je est un autre.
Quel mondo venne spazzato via quando avevo sedici anni: la terra passò di mano e io non ci rimisi più piede, come se all’improvviso non esistesse più.
Nelle estati successive scoprii le grandi spiagge sabbiose e il mare caldo di Locri, di Gioiosa, di Riace, dove avevo dei parenti.
Quel mare, quando ormai non ci andavo più, mi avrebbe riservato una sorpresa.
È stato Sant’Agostino a intuire per primo il legame misterioso tra passato, presente e futuro.
Poi (quindici secoli dopo…) è venuto Einstein a rivelarci scientificamente la continuità tra passato e presente: “Per chi crede nella fisica”, ha detto Einstein, “la linea che divide passato, presente e futuro è solo un’illusione”. La compresenza di passato, presente e futuro, questa è la grande rivelazione della relatività. Noi vediamo oggi quello che è accaduto in una stella due miliardi di anni fa. Lo vediamo come se accadesse ora; e per noi accade adesso, in questo momento. E un osservatore che, dotato di un potente telescopio, guardasse la Terra da un pianeta distante 1939 anni luce, vedrebbe Pompei mentre viene sepolta da una coltre di cenere, i corpi che si contorcono negli ultimi spasimi, vedrebbe Plinio che, incidendo con uno stilo una tavoletta cerata, descrive l’eruzione del Vesuvio mentre le polveri e i gas stanno per soffocarlo.
E nessun osservatore è privilegiato; nessuno può dire: «È il mio tempo che regola quello degli altri». Il tempo esiste in funzione degli eventi che si verificano; e per ogni osservatore si verificano nel momento in cui gli appaiono.
Ho costeggiato per anni a nuoto, da adolescente e nella prima giovinezza, estate dopo estate, le spiagge di Riace, in Calabria, senza sospettare minimamente che sotto pochi metri d’acqua – quell’acqua che portavo a me una bracciata dopo l’altra – ci fosse un’altra presenza, sdraiata su un letto di sabbia. Dopo averli cullati per millenni nel suo liquido oblio, il mare ci ha offerto – ha offerto a noi – i guerrieri di bronzo, alzatisi in piedi ai nostri giorni come se soltanto adesso, soltanto per noi, prendessero forma dall’inconscio dell’artista (che è anche il nostro stesso inconscio). Corpi perfetti, di contemporanei, ma con gli occhi di chi non ha più fretta.
Di chi sono i guerrieri di Riace? Di Fidia, di Lisippo, di un Pitagora reggino, d’ignoto scultore?
Come il mare, così l’arte, la poesia non sono nostre o di un altro. Una poesia, una composizione musicale, una statua, un quadro non appartengono all’autore più di quanto non appartengano al lettore, all’ascoltatore, al contemplatore che, entrando in sintonia (in sumpάteia, dicevano i greci), li faccia rivivere dentro di sé.
Quando questo avviene, allora si realizza un piccolo miracolo: poeta e lettore, musicista e ascoltatore, pittore e contemplatore sono un tutt’uno per il tratto di tempo in cui entrano in risonanza. Lo scultore che, millenni or sono, scolpiva i suoi guerrieri di Riace e noi che per un dono del mare li sfioriamo oggi con gli occhi e con le dita, siamo contemporanei. Beethoven, che quasi due secoli fa scriveva le ultime note su uno spartito, e noi che siamo oggi pervasi dalla sua musica siamo contemporanei.
Ecco, è tutto qui. È questo, questo nonnulla che fa l’arte, che fa la poesia.
Un mito greco vuole che Zeus, essendosi reso conto che ananké, la necessità inesorabile, avrebbe reso insopportabile la vita agli uomini, abbia dato loro prima eros e poi, giacché neanche eros è dissociabile dalla morte (eros kai thanatos), la bellezza: l’amore per la bellezza avrebbe dato ai mortali un palpito, un assaggio dell’immortalità di qualcosa che ci trasporta – o, meglio, promette di trasportarci – al di là del quotidiano. È questo che fa l’arte, che fa la poesia: ci distoglie dalla camera premortuaria della nostra quotidianità; è come se ci sottraesse per un po’ alla spietata irreversibilità dello spazio-tempo.
Non so se sarà la bellezza a salvare il mondo. Temo di no; ma forse potrà farci accettare di avere aperto gli occhi fuggevolmente su un pianeta qualsiasi di una stella modesta: una tra i miliardi e i miliardi di stelle che brillano nel cielo notturno. (Corrado Calabrò)
La recensione pubblicata il 22 dicembre dal Corriere della Sera
13 dicembre 2018 – Questa sera a Roma, alle 19, al Nuovo Cinema Palazzo (piazza dei Sanniti 9) sarà presentato il libro di Marcello FonteNotti stellate (Einaudi). L’attore reggino, vincitore della Palma d’oro a Cannes con il film Dogman di Matteo Garrone,sarà al centro di un dibattito animato dalla scrittrice Rosella Postorino con la partecipazione di Emanuele Trevi, Giuliano Miniati e Paolo Tripodi. Legge alcuni passi del libro l’attore Elio Germano. (rrm)
«"Notti stellate" è nato da un incontro. Io studiavo in strada, raccontavo la mia vita come se fosse una storia inventata […] Poi un giorno ho incontrato Paolo Tripodi e Giuliano Miniati: abbiamo iniziato a vederci, frequentarci, uscire insieme. Abbiamo passato tante serate scrivendo a sei mani fino alle cinque di mattina, registravamo, si sbobinava, io raccontavo tutti i personaggi e li interpretavo. E ridevamo, ridevamo tantissimo».Marcello Fonte racconta la nascita di "Notti stellate", il rapporto con la madre («femminista prima che nascesse il femminismo») e il padre, l'uomo a cui Marcello pensava sul palco del Festival de Cannes, quando tutti applaudivano e il rumore gli ricordava quello della pioggia sulle lamiere della casa della sua infanzia.⭐ bit.ly/NottiStellateEinaudi
10 dicembre 2018 – Calato ieri sera il sipario sulla XVII edizione di Più Libri, Più Liberi, la rassegna della piccola e media editoria, con uno straordinario successo di pubblico: 100mila presenze, e quasi tutti gli incontri affollatissimi. La partecipazione di oltre 15o0 autori, tra italiani e internazionali, ha qualificato la fiera rivelando la grande voglia di incontro che si registra oggi tra lettori e autori, soprattutto da parte dei giovani. La piccola partecipazione di editori calabresi, qualcuna “storica” (come Città del Sole di Franco Arcidiaco e Antonella Cuzzocrea), ha comunque portato a casa un buon riscontro di interesse.
Città del Sole ha proposto proprio ieri la presentazione di Carneade di Antonio Calabrò, con interventi di Franco Arcidiaco, Pietro Raschillà e Roberto Scanarotti.Laruffa editore ha presentato Il vento dell’Est di Paolo De Luca con il vicedirettore dell’Ansa Stefano Polli e Nicola Graziani, raccogliendo molti consensi; Coccole Books (di Cosenza) ha suscitato l’interesse dei più piccoli con le sue belle edizioni per bambini e l’evento musicale Il formichiere Ernesto; l’editore crotonese D’Ettoris ha presentato il libro di Andrea PappalardoBianche sponde sotto una lesta aurora e il libro di Silvio RossiI signori dell’anello. Guida alla vita familiare in piccole note con Giuseppe Brienza. E grande eco, a proposito di Calabria, ha avuto l’incontro dell’ex sindaco di Riace Mimì Lucano con i giornalisti Francesco Merlo di Repubblica e Alessia Candito del Corriere della Calabria.
Un’edizione che ha, in sostanza, confermato la validità della formula: non è facile trovare chi paga un biglietto per ascoltare gli autori ma soprattutto per comprare dei libri. Invece a Roma funziona. È una vetrina per gli editori, ma una ghiotta occasione di cultura per il pubblico. Resta da capire quanti poi dei 100mila che hanno affollato gli stand degli editori, torneranno in una libreria a curiosare, “annusare” libri, scoprire novità o autori sconosciuti. Manca l’abitudine al libro, probabilmente, non ereditata dai genitori per i più giovani, ma l’affollamento agli incontri e alle presentazioni fa ben sperare. PLPL è sì una gigantesca bancarella di libri, con un’offerta che potrebbe persino apparire esagerata, ma svolge adeguatamente la funzione di stimolo e di impulso alla lettura. L’osservazione più frequentemente raccolta in fiera è stata, però: “qui scrivono tutti, ma leggono in pochi”.
«Anche quest’anno Più libri più liberi è stata una straordinaria occasione culturale: code dalla mattina alla sera, migliaia di ragazzi, incontri affollatissimi, editori contenti – ha sottolineato il presidente dell’AIE, Ricardo Franco Levi –. AIE, l’Associazione Italiana Editori, si conferma una volta di più la casa di tutta l’editoria italiana, la casa dei piccoli e medi editori».
«Grande festa del libro e del mondo della cultura – ha detto Anna Maria Malato Presidente di Più libri più liberi – che ha visto la partecipazione di un pubblico attento, colto e interessato, proveniente non solo da Roma ma da ogni parte dell’Italia. Siamo molto soddisfatti per l’attenzione che tramite la nostra manifestazione siamo riusciti a dare ad un tema complesso come il Nuovo Umanesimo. Ci impegneremo per consolidare questo risultato e crescere ancora negli spazi e nell’offerta».
«La Fiera ha confermato la sua formula di successo – ha spiegato il presidente del Gruppo Piccoli editori di AIE, Diego Guida –. Questo si è concretizzato in incontri professionali seguitissimi che, attorno al tema della visibilità delle nostre produzioni e dell’internazionalizzazione, si sono tradotti in proposte pratiche e operative per il comparto, che imposteranno il lavoro per la categoria dei prossimi mesi».
«Anche in questa occasione il Centro per il libro e la lettura ha voluto dedicare i propri incontri alle scuole, bambini e ragazzi, i nostri interlocutori privilegiati – ha dichiarato Romano Montroni, Presidente del Centro per il libro e la lettura –. In generale siamo soddisfatti perché iniziative come Più libri più liberi hanno un grande valore per avvicinare il mondo dei libri ai lettori».
Da ultimo, da segnalare il grande successo per i ventitré appuntamenti del programma professionale, affollatissimi, che si sono svolti all’interno del Business Centre, il nuovo polo business e professionale di 500 metri quadrati, posizionato al Piano Forum e curato negli allestimenti da Gino Piardi con suo progetto Perrero Experience che ha portato in Fiera le eccellenze del design italiano. Il Business Centre ha funzionato da punto di incontro tra gli editori, le aziende della filiera (11 le aziende che hanno incontrato gli editori) e il pubblico professionale. Più libri più liberi rafforza così il suo ruolo di incubatore e di occasione di confronto e crescita per gli operatori del settore. Lo conferma anche il PLPL Rights Centre in cui gli editori e gli agenti stranieri hanno potuto conoscere il meglio della produzione editoriale della piccola e media editoria italiana da tradurre nei propri Paesi. Il progetto ha visto raddoppiare sia il numero degli incontri che sono diventati più di 600, sia il numero degli operatori italiani, 101, rispetto ai 45 dello scorso anno. Hanno partecipato 30 operatori stranieri provenienti da 20 Paesi. (rrm)
6 dicembre 2018 – Un fiume in piena, ma nessun livore, tanta amarezza, ma tanta determinazione: il sindaco sospeso di Riace Mimì Lucano, ospite di Republica alla fiera romana di Più Libri Più Liberi, ha raccontato la sua vicenda, con mille sfaccettature, mettendo in evidenza i paradossi e le assurdità del suo caso. In una sala gremitissima ed entusiasta, Lucano ha lasciato poco spazio a chi lo ospitava, i giornalisti Francesco Merlo di Repubblica affiancato da Alessia Candito (Repubblica/Corriere della Calabria), perché erano tante le cose che voleva dire. In libertà e senza condizionamenti, sottolineando la sua singolare condizione di “sconfinato”: libero di andare ovunque, ma non di stare nel suo paese, Riace, che molti vorrebbero candidare al prossimo Nobel per la pace. Mimì Lucano raccoglie continui applausi, il pubblico fa la fila solo per stringergli la mano e dire un semplice grazie, di cuore. Parla di getto, con il candore tipico di chi non ha niente da nascondere o, peggio, da farsi perdonare. Irruento, ma sincero, autentico e talmente naïf, politicamente parlando, che si capisce perchè i politici non lo amino, ma la gente sì. È però, un “isolato”: raccoglie il consenso, l’entusiasmo di chi lo ammira (quando era ai domiciliari quasi diecimila persone in corteo andarono a Riace), è un modello di ispirazione per Wim Wenders ma è abbandonato dall’intellighentia nostrana: dove sono gli intellettuali che si strappano le vesti per tante banalità di poco conto, ma – fatte poche eccezioni – non fanno muro a difesa di un uomo che con la sua – autentica – modestia e la sua determinazione fa capire cosa significa essere “uomo” in un mondo che sta perdendo ogni umanità.
Merlo – che conosce molto bene Lucano, dopo tante interviste e incontri – lo ha introdotto suggerendo le analogie con il caso del sociologo siciliano Danilo Dolci che sul finire degli anni 50, a Partinico, vicino a Palermo, subì un processo e la successiva condanna per le sue campagne di libertà. Appena una domanda e Lucano non si è fermato più: ha raccontato della sua esperienza, della sua Riace, del modello di integrazione che ancora tanti stentano a riconoscere, nonostante la concretezza dei risultati raggiunti. Il modello di integrazione suggerito da Lucano, in realtà, è molto semplice: utilizzare le case abbandonate, trasformare gli scantinati in botteghe artigiane, valorizzare le passate esperienze o competenze dei migranti. A Riace c’era il vasaio di Kabul, la ricamatrice nigeriana, la creatrice di aquiloni afghana. Cioè, ricreare condizioni di vita – e di libertà – offrendo opportunità che sono diventate felici ricadute per la comunità. Fino a che il decreto sicurezza e i mancati versamenti per i centri di accoglienza non hanno messo fine a un’esperienza che andava, invece, imitata e mutuata anche altrove. Anche a San Ferdinando di Rosarno – ha sottolineato Alessia Candito – dove la baraccopoli abusiva è sotto gli occhi di tutti e produce solo violenza e morte (ultima vittima il ragazzo diciottenne arso vivo qualche giorno fa).
Già, San Ferdinando di Rosarno: come può un Paese civile tollerare quest’infamia di un’umanità che ha perso ogni valore? È sotto gli occhi di tutti, occorre ridare dignità a giovani, donne, uomini che si spaccano le mani a raccogliere arance e vivono un’infelice esistenza di disperazione e desolazione. Così come, quanto è avvenuto a Isola Capo Rizzuto, con i migranti sbattuti per strada .- inclusa la ragazza incinta e la sua bambina di sei mesi – che dovrebbe non soltanto indignare, ma farci vergognare tutti di vivere in questo Paese, in questa Calabria, bellissima e maledetta ma che – ha ricordato Mimì – è «terra di libertà, terra d’amore». (s)
*Ci scusiamo per la qualità del nostro video, girato con difficoltà in condizioni di luce impossibili, ma l’audio si sente bene. Segnaliamo anche il video di Repubblica.it:
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