Cavallo di battaglia del grande Giorgio Albertazzi, il Mercante di Venezia visto ieri sera a CatonaTeatro nell’adattamento e la realizzazione di Giancarlo Marinelli, trova in Mariano Rigillo un validissimo erede. Testimone di un grande mestiere sul palcoscenico e convincente capocomico di una non facile messa in scena. Nel teatro di Shakespeare il Mercante è un’opera che ha registrato tante rivisitazioni, anche cinematografiche: questa di Marinelli è “fresca”, snellita quanto basta (secondo anche le indicazioni di Albertazzi), spumeggiante a tratti, lavorando sulla giocosità dei personaggi, anche là dove esistono problematiche di non poco conto.
Shylock, l’usuraio ebreo (un magnifico Rigillo) potrebbe rischiare di accentuare la carica di antisemitismo che a Shakespeare era sfuggita di mano, invece è, tutto sommato, un commerciante avido di denaro, ma più assetato di orgoglio e di vendetta nei confronti del cristiano Antonio. La storia è nota: una libbra di carne è la penale a garanzia di un prestito non rimborsato a tempo dovuto. Shylok la pretende dal mercante Antonio, rinunciando (insolito atteggiamento per un usuraio) al doppio o al triplo, perché vuol far prevalere il suo essere ebreo rispetto agli odiati cristiani, ma in realtà è un povero “cristo” che perde tutto a fronte dell’avidità di potere. Perde il denaro, perde la figlia, perde la sua dignità, sbeffeggiato da un improbabile azzeccagarbugli (Porzia camuffata e travestita) che risulta persino più addottorato del doge.
La morale è semplice: il potere non è un esercizio gratuito e spesso presenta un conto che non si potrà saldare se non a costo della propria dignità. Tre amori a incastro, in un girotondo di allegria, anche se sovrasta il dramma della minaccia di una terribile mutilazione. Perciò questo Mercante diverte e rende persino simpatico Shylock, al pari del buffone Graziano o del servitore Lancillotto-Job. Brava e sicura nel ruolo di Porzia Romina Mondello e bravi – e applauditissimi – tutti i protagonisti: Ruben Rigillo (Antonio), Francesco Maccarinelli (Bassanio), Teresa Valtorta (Jessica), e i comprimari Antonio Rampino (il Doge e altri personaggi), Mauro Racanati (Lorenzo), Simone Ciampi (Graziano) Cristina Chinaglia (Job) e Giulia Pellicciari (Nerissa).
Il regista ha ricostruito l’atmosfera veneziana pensando a Morte a Venezia, ma in realtà si è poi ricredutio: il ponte che sovrasta la scena diventa la passerella di un’allegra chiamata in giudizio, sì da far dimenticare notti e nebbie veneziane, ma sospingere alla lievità di calli e campielli sullo sfondo di una storia di amori, amicizia, rancore e avidità di potere. Meritatissimi i lunghi applausi finali, ottima scelta di Lillò Chilà in un cartellone stagionale che sta dando risultati sperati. (mcg)