di ALDO MANTINEO – Un sistema dell’informazione “strutturata” decisamente più maturo, che ha imparato – e sta continuando a farlo – “come rapportarsi al ruolo della conoscenza scientifica e come la ricerca di sensazionalismi danneggi la società nel suo complesso”. È la fotografia della complessa “industria” delle news così come, verosimilmente, verrà fuori dal tunnel di questa pandemia che ha letteralmente stravolto consolidate certezze, a ogni livello, e creato pericolosi vuoti che troppi provano a colmare non senza approssimazione. È un’analisi che si muove tra le poche (provvisorie e mutevoli) certezze che oggi la conoscenza scientifica riesce ad offrire sul coronavirus e la straordinaria abbondanza di informazioni che vengono riversate, attraverso ogni canale – più o meno codificato – nella nostra quotidianità quella di Antonio Nicita, siracusano, docente di politica economica alla Lumsa e, da gennaio 2014 commissario dell’Agcom, l’Autorità per le Garanzia nelle Comunicazioni, occupandosi in maniera più specifica di infrastrutture e reti. Autore di numerosi saggi, Antonio Nicita aveva lasciato il suo incarico all’Agcom al quale era stato chiamato dal Parlamento a novembre del 2013 in quanto il mandato era già scaduto ed era stato prorogato una prima volta. L’esplodere dell’emergenza coronavirus ha indotto il presidente dell’Agcom a chiedere a Nicita di congelare le proprie dimissioni per continuare a dare il proprio contributo di idee, progetti, analisi e proposte in un momento nel quale anche l’intero sistema dell’informazione è chiamato a svolgere con – se possibile – ancora maggior senso di responsabilità, il proprio ruolo.
– Professore, sull’emergenza coronavirus (in tutti i diversi aspetti nei quali viene declinato) in giro c’è tanta buona e puntuale informazione così come se ne trova anche molta altra quanto meno discutibile. Non direi, invece, che ce ne sia troppa come si argomenta da qualche parte. Il problema non è, semmai, che c’è una diffusa scarsa capacità di valutare e “pesare” le diverse notizie (non sempre tali…) che scorrono incessantemente sotto i nostri occhi sugli schermi di tutti i device dei quali non sappiamo più fare a meno? La corsa alla condivisione, che sembra essere l’unica “regola” alla quale attenersi nel mondo dei social, ha acuito questa diffusa difficoltà di analisi dei singoli contenuti?
«Distinguiamo innanzitutto l’evoluzione della conoscenza su questo nuovo virus e l’informazione sulla conoscenza disponibile. Dalla metà del mese di gennaio le notizie hanno ‘inseguito’ le conoscenze scientifiche del fenomeno e queste sono state, inevitabilmente, provvisorie e talvolta contraddittorie. I dati su cui è stata costruita la nostra conoscenza scientifica del fenomeno, cosi come comunicata dall’Oms, si sono basati soprattutto sul caso cinese. Sapremo, con il tempo, se quei dati hanno fotografato solo una parte di un fenomeno più ampio, in termini numerici. Il punto è che, basandosi su quei dati, il Governo italiano ha attuato misure di prevenzione nella convinzione che non ci fossero stati i tempi per una epidemia in loco. Ciò ha fatto si che l’informazione ci abbia raccontato un virus d’importazione, l’attenzione ai rapporti con persone che provenivano dalla Cina, circostanza che in alcuni casi ha anche generato pregiudizi e sospetti nei confronti della comunità cinese in Italia. Ciò ha comportato che non fossero indagate molte persone con sintomi ricoverate negli ospedali. Poi abbiamo drammaticamente scoperto che il virus stava già in Italia da molto tempo e vi sono stati approcci contraddittori tra il virus come influenza e il virus come epidemia ad alta letalità. L’informazione è stata corretta ma ha dovuto seguire conoscenze incomplete e in continuo aggiornamento. L’informazione sul virus è stata tanta, le emittenti televisive hanno dedicato oltre il 50% delle notizie al tema. Ma ovviamente su questa incertezza ha anche proliferato la disinformazione, inclusa quella organizzata”.
– Nodo fake news. Di recente anche l’Unione Europea si è mobilitata e nei suoi rapporti parla anche di una massiccia immissione di notizie false – create in ambienti politici precisi e in contesti geografici ben individuati – che nelle prime settimane del dilagare in Europa dalla pandemia hanno avuto come bersaglio specifico Paesi come l’Italia. Una dimensione Internazionale del fenomeno che fa il paio con quella più domestica che si concretizza in un flusso quotidiano, incessante, di false notizie che si inseguono di chat in chat… come giudica questo fenomeno dal suo osservatorio dell’Agcom?
– L’Agcom è intervenuta in più occasioni anche sanzionando comportamenti irregolari…
«L’Autorità ha richiamato alcune emittenti nazionali per la superficialità con la quale hanno contribuito a rilanciare alcune notizie false, ad esempio quella circolata su Facebook in relazione agli effetti “miracolosi” di un farmaco utilizzato in Giappone che poi si è scoperto non essere ancora oggetto di sperimentazione in quel Paese, in quanto, come ha dimostrato un report del Corriere della Sera, quel tipo di farmaco sarebbe ancora in una fase di definizione di protocolli. L’Autorità ha anche deciso di sospendere per sei mesi, ai sensi della normativa vigente, l’attività di talune trasmissioni di sedicente informazione scientifica in realtà aventi natura di televendita di prodotti parafarmaceutici. Infine l’Autorità ha rivolto un atto di indirizzo anche alle piattaforme online, finché, con la loro autoregolamentazione, possa no contrastare questo tipo di fenomeni».
– Nella battaglia per affermare il primato di un’informazione ancorata a dati oggettivi, verificati, che aiuto può venire dal mondo dell’intelligenza artificiale? Che ruolo stanno già avendo oggi i big data nel modo di produrre informazione? Adesso si punta, tra l’altro, su un progetto che utilizza proprio whatsapp per verificare l’attendibilità di una notizia: che risultati stanno maturando? Qual è lo scenario che si profila?
«Sicuramente, gli algoritmi cosi come svolgono un ruolo nel proporre determinati tipi di contenuti e di disinformazione proprio a quei soggetti che mostrano più attenzione e interesse a questo tipo di contenuti, cosi possono evitare fenomeni di polarizzazione. Sono allo studio diversi meccanismi, da parte delle piattaforme, per identificare questo tipo di strategie e contrastarle. Agcom non ha al momento alcun potere sulle piattaforme online, ma ha aperto tavoli di confronto rispetto all’autoregolamentazione che le piattaforme online si sono date. All’interno di questo tavolo è partito un progetto molto interessante con WhatsApp per il quale l’utente può rivolgere a un numero di WhatsApp che corrisponde ad un fact-checker scelto dalla piattaforma, i contenuti che ha ricevuto sul coronavirus per sapere se gli stessi sono stati oggetto di factchecking. È un esperimento importante perché si fonda sulla consapevolezza e la capacità critica dell’utente anziché sulla eliminazione della notizia, facendo quindi salva la libertà di espressione, anche quando essa di fatto è solo lo strumento privilegiato degli strateghi della disinformazione”.
– Spingiamoci avanti con lo sguardo, al momento in cui la pandemia sarà alle nostre spalle. Come immagina che sarà, in quel momento, il sistema dell’informazione? Il fruitore medio dei contenuti di informazione, indipendentemente dallo strumento che utilizzerà, lo immagina più avvertito è consapevole di quanto non sembra lo sia oggi? Che ne sarà dell’editoria tradizionale (giornali, tv generalista e radio)?
«Dipende da noi. Questa vicenda drammatica del coronavirus deve farci capire che la conoscenza scientifica non ha la verità in tasca ma procede, con umiltà, alla verifica di ipotesi ed è quindi lo spazio più protetto e sicuro nel quale avviare il dibattito e il progresso delle provvisorie verità scientifiche. Le fake news invece ci offrono certezza e sicurezza, ma proprio per questo dobbiamo dubitarne. Chi ci offre complotti e sospetti sta parlando alla nostra pancia affinché la nostra testa smetta di pensare. Credo che tutta l’informazione abbia imparato come rapportarsi al ruolo della conoscenza scientifica e come la ricerca di sensazionalismi danneggi la società nel suo complesso. C’è una domanda di informazione di qualità e occorrono politiche di sostegno al lavoro e alla missione del giornalismo autentico che non cerca facili risposte e che aiuta il cittadino a ragionare con la propria testa senza cercare il conforto dei complottisti o dei facili profeti». (am)
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