SUI LEP OCCHIUTO È CONTRO CALDEROLI
«DISATTENDE QUELLO CHE ERA PATTUITO»

di SANTO STRATI Non è una dichiarazione di guerra, ma poco ci manca: il Presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto sferra un pesante attacco al ministro Roberto Calderoli a proposito dell’autonomia differenziata che sta procedendo a passo svelto verso l’approvazione. «Non era quello che avevamo pattuito – ha detto Occhiuto in un’intervista al quotidiano La Stampa –: il ministro leghista vorrebbe prima approvare la legge sull’Autonomia e poi garantire le risorse necessarie per finanziare i Livelli Essenziali di Prestazione (LEP). Secondo Occhiuto «l’approccio è sbagliato: le due cose devono viaggiare insieme, altrimenti per il Sud l’Autonomia rischia di diventare una trappola».

Forse il Presidente Occhiuto ha aperto gli occhi (finalmente!) sul trappolone leghista che si basa su un concetto semplice ed egoisticamente impeccabile: vale la spesa storica, ovvero chi ha avuto tanto (da spendere) continuerà ad averne in eguale quantità, chi ha avuto meno (ovvero non aveva risorse per investimenti di natura sociale) si arrangi con la stessa cifra di prima. Con buona pace della perequazione e del divario sociale che la Costituzione proibisce di avere. Ma il fatto è sotto gli occhi di tutti: sono stati approvati nove articoli su 10 e la legge che istituisce e regola la cosiddetta autonomia differenziata è a un passo dall’approvazione. Nonostante le dimissioni di autorevoli esponenti chiamati nel Comitati sui Lep e la grande confusione che regna sovrana intorno all’argomento.

Occhiuto reagisce con veemenza, infischiandosene  (complimenti, Presidente!) della tenuta della maggioranza che scricchiola continuamente tra gaffes e imperdonabili sciocchezze legislative che, di sicuro, non aiutano il popolo, ma soddisfano inconfessabili appetiti di lobbies. Il Governatore ci va pesante: «Temo – ha detto a La Stampa – che il primo vagone del treno, quello con la legge sull’Autonomia, arrivi puntuale in stazione mentre gli altri vagoni, che contengono il finanziamento dei Lep e il meccanismo di perequazione, finiscano su un binario morto.

«Senza il finanziamento dei Lep e senza il fondo perequativo (destinato ai territori con minore capacità fiscale pro-capite), i vantaggi per il Mezzogiorno sarebbero pochi. L’effetto finale, in altre parole, sarebbe quello di avere un aumento del divario tra Sud e Nord. Esattamente il contrario di quello che potremmo ottenere».

Occhiuto chiarisce di non essere contrario all’Autonomia differenziata, se vengono rispettati i patti che ridanno al Mezzogiorno le risorse necessarie per superare le insopportabili sperequazioni che colpiscono pesantemente, tra l’altro, gli asili nido e la formazione scolastica.  Secondo il Governatore, «L’Autonomia può essere una grande opportunità per il Sud, ma solo se quei vagoni di cui parlavamo arrivano nello stesso momento in stazione. Per la Calabria sarebbe un’occasione avere l’autonomia sulla gestione dell’energia o dei porti. Non ho quindi alcun pregiudizio, purché si rispettino gli accordi iniziali. Adesso si può anche approvare la legge al Senato, ma prima dell’ok definitivo bisogna finanziare i Lep. Confido nell’equilibrio e nella saggezza di Giorgia Meloni».

Il giornalista de La Stampa fa notare che Calderoli sostiene che è già in Costituzione la garanzia del finanziamento dei Lep. La replica di Occhiuto è lineare: «È vero, eppure non sono mai state garantite risorse per i pochi Lep finora stabiliti, nonostante l’obbligo costituzionale. L’Autonomia, invece, viene prevista dalla Costituzione solo come una ‘possibilità’, non come un obbligo.

«Trovo quindi assurdo che per la possibilità dell’Autonomia si vada di corsa e ci sia un’attenzione spasmodica, mentre per ottemperare a due obblighi costituzionali non ci sia alcuna fretta. Anche l’idea di permettere delle pre-intese è una fuga in avanti, se non sono finanziati i Lep. Questo modo di procedere non va bene a me e penso non vada bene nemmeno a Forza Italia.

«Ne abbiamo discusso con Tajani in mattinata. Ringrazio lui e i ministri di FI perché è grazie a loro che si era raggiunto quell’accordo, che ora va rispettato. Credo – ha detto Occhiuto – di non parlare a titolo personale. I governatori del Sud hanno le mie stesse preoccupazioni. Anche il gruppo parlamentare ha molti deputati e senatori meridionali che come me non hanno pregiudizi verso l’Autonomia, ma vogliono garanzie sulle risorse per i servizi da fornire ai cittadini. Altrimenti la conclusione è chiara a tutti: l’Autonomia non sarebbe più un’opportunità per il Mezzogiorno».

La posizione critica di Occhiuto merita l’apprezzamento di tutto il Sud: il criterio della spesa storica è la stortura che sta alla base del provevdimento e che verrebbe sanata solo con la parificazione per livelli essenziali di prestazione, ma il problema è che non ci sono le risorse e quindi i LEP costituiscono un serio ostacolo per la riforma ideata da Calderoli. Ma il rischio di far passare il provevdimento rinviando a data successiva il reperimento delle risorse finanziarie per i Lep ci sta tutto.

Sia ben chiaro: il Governo senza i voti di Forza Italia, che si sta mostrando decisamente critica nei confronti del provvedimento, non avrebbe i numeri per imporre una legge che divide ancor più in due l’Italia: Il Nord opulento e ricco, il Meridione povero e destinato a perpetuare una condizione di sottosviluppo, soprattutto nell’ambito del welfare e dell’assistenza.

Inoltre, il progetto di Autonomia differenziata va a scontrarsi con la pacata indifferenza di troppi attori politici del Mezzogiorno che avrebbero dovuto (e dovrebbero) issare muri e paletti contro una legge penalizzante e discriminatoria (c’è da chiedersi, ove passasse, se il Presidente Mattarella la firmerebbe).

Un invito a Occhiuto “a guidare le regioni del Sud alla ribellione pacifica” è venuto da Orlandino Greco, leader dell’Italia del Meridione. «È stata una bella notizia – ha detto il sindaco di Castrolibero – l’aver letto sulla stampa le ultime dichiarazioni del Presidente della Regione Calabria, il quale, svestendo i panni di alleato in coalizione ed indossando la casacca dei calabresi, ha lanciato un monito al Governo ed al Ministro Calderoli sull’autonomia differenziata.

«Quello, infatti, del mancato calcolo e  finanziamento dei Livelli Essenziali delle Prestazioni e dell’istituzione di un fondo perequativo per i territori più poveri, prima dell’approvazione della riforma è uno dei temi cari all’Italia del Meridione: sono mesi, infatti, che lo diciamo in giro per il Sud, nelle piazze e nelle istituzioni.

«Oggi anche il Presidente Occhiuto ha preso consapevolezza dei rigurgiti nordisti della Lega, consapevole della sua autorevolezza istituzionale. Ritengo, infatti, che il momento sia propizio affinché egli guidi la ribellione pacifica delle regioni del Sud. D’altronde è da tempo che molti amministratori del Sud, come il sottoscritto, hanno proseguito il loro impegno politico e civile al di fuori dei partiti tradizionali, in quanto consapevoli degli egoismi trasversali e di parte che hanno connotato lo scenario nazionale fin oggi.

«Questo è il tempo di fare rete tra le migliori energie del Sud per curare gli interessi di tutto il Paese: noi siamo orgogliosamente meridionali, siamo una forza politica autenticamente costituzionale che lotta per abbattere i divari e proprio per questo abbiamo a cuore le sorti di tutti gli italiani, da Bolzano a Siracusa, perché agganciare il vagone dello sviluppo meridionale al resto del Paese significherebbe sconfiggere il nordismo trasversale che attraversa tutti i partiti e costruire un treno ad alta velocità che proietterebbe l’Italia in una nuova dimensione nazionale di mercato e di diritti, rimettendoci al passo dei grandi paesi occidentali».

Diversa la posizione del PD calabrese che beffardamente sostiene che «Sull’autonomia differenziata Roberto Occhiuto recita a soggetto a danno dei calabresi. Si avvicinano le elezioni europee e il presidente della Regione Calabria si affida al teatro». Ricordano i dem della Calabria che Occhiuto «ha già votato a favore dell’autonomia differenziata in Conferenza Stato-Regioni e che nello scorso gennaio tenne con Calderoli una conferenza stampa a Catanzaro, al termine della quale lo stesso Occhiuto disse che “l’autonomia differenziata può determinare occasioni positive per la Calabria”, precisò di “conoscere e apprezzare Calderoli” e sottolineò che, “se c’è uno che può realizzarla, è proprio lui”. Allora Occhiuto aggiunse, con riferimento al disegno di legge in questione del ministro leghista, che è “evidente che si fa carico in qualche modo delle ragioni delle Regioni del Sud”».

«Ormai – sostengono i dem della Calabria – i calabresi conoscono bene il vizio insanabile del presidente Occhiuto, che dice tutto e l’esatto contrario per alimentare il proprio consenso virtuale. L’ambiguità di Occhiuto fa perdere credibilità alle istituzioni. Dunque, il governo Meloni continuerà a prendere decisioni inaccettabili sulla testa dei calabresi, proprio grazie a questo atteggiamento del presidente Occhiuto, politicamente pilatesco, opportunistico e bipolare».

Il presidente del  Gruppo Misto in Consiglio regionale Antonio Lo Schiavo a questo proposito sostiene che la presa di posizione di Occhiuto «arriva tardi e rischia di restare uno sfogo del tutto vano». La Lega – ha detto Lo Schiavo – è finalmente uscita allo scoperto, tradendo gli impegni sui Lep e confermando che i nostri timori erano e sono più che fondati. Dimostrando, qualora ce ne fosse bisogno, che l’operazione in atto mira solo ad aumentare il divario tra Nord e Sud del Paese».

E siamo di nuovo alla “rissa”: se al posto di mantenere una status di conflittualità permanente in Consiglio regionale, ci fosse uno sforzo comune per una risposta chiara e decisa contro l’attuale progetto dell’Autonomia, forse si farebbero gli interessi dei calabresi, mettendo da parte quelli di bottega (e di partito). In Calabria – dev’essere chiaro – serve una forza trasversale e unitaria che alzi unitariamente la voce e pretenda soluzioni immediate e concrete. Diversamente, il divario crescerà ancora e sarà il freno a qualsiasi ipotesi di sviluppo. (s)

Il Partito del Sud parteciperà alla manifestazione nazionale contro l’Autonomia differenziata

Il Partito del Sud-Meridionalisti Progressisti di Reggio Calabria ha aderito e partecipa alla manifestazione nazionale del 7 ottobre a Roma “La via maestra. Insieme per la Costituzione”, perchè ne condivide le rivendicazioni.

«Siamo da sempre contro l’Autonomia differenziata che spaccherà il Paese confliggendo con il patto di solidarietà della nostra Costituzione – fanno sapere dal Partito del Sud – Un provvedimento che accrescerà ulteriormente le disuguaglianze, oltretutto senza nessun dibattito pubblico. Un provvedimento che distruggerà quel che resta del patto nazionale di cittadinanza che fino a oggi era chiamato a rispondere alle disuguaglianze sociali, a vigilare sul nostro patrimonio collettivo a garantire i diritti dei cittadini, gli stessi, per tutti».

«Per la Pace: la guerra sarà ancora una volta pagata soprattutto dai figli del Sud, mentre la Costituzione è ancora una volta disattesa, così come accade per l’art. 11, quello che dice che l’Italia ripudia la guerra – continua la nota – Non dimentichiamo poi che ai giorni nostri l’Esercito italiano è composto dal 72% di cittadini del Mezzogiorno, contro un dato demografico del 34% di cittadini residenti, ovvia conseguenza anche della cronica scarsità di occasioni di lavoro nel Mezzogiorno».

«Per il salario ed il reddito: basta paghe da fame, basta sfruttamento, basta precarietà. Tutti meccanismi utili solo ad ingrassare multinazionali e prenditori collusi con l’attuale mala-politica. Siamo favorevoli ad Reddito minimo garantito che permetta a chi è in povertà di poter vivere – conclude il Partito del Sud – Partecipiamo tutti alla manifestazione del 7 ottobre, a difesa dei valori e dei principi della Costituzione del ‘48, mai realmente applicata integralmente, ed oggi ancora sotto attacco da chi vorrebbe stravolgerla ulteriormente con il presidenzialismo». (rrc)

DOVE INDIVIDUARE LE RISORSE PER I LEP
NODO CRUCIALE PER LA LORO ATTUAZIONE

di PIETRO MASSIMO BUSETTABagnarsi le mani e scoprire l’acqua calda. Affrontare problematiche con risvolti economici rilevanti e scoprire da giurista il concetto di equità. Con affermazioni anche pittoresche “Sui Lep si è fatto finora “flatus voci”, cioè discorsi privi di consistenza. 

L’audizione del  professore Sabino Cassese, presidente del Comitato per l’individuazione dei Lep, alla commissione Affari Costituzionali del Senato nell’ambito del disegno di legge sull’Autonomia, riserva grandi sorprese. Sembra la reazione di un alieno che, arrivato in Italia,  scopre grandi verità che però sono state assolutamente studiate, diffuse e acquisite dalla maggior parte di coloro che indagano le problematiche del Mezzogiorno e che sono argomento di battaglia intellettuale e politica. 

Per avere contezza basta guardare i tanti lavori prodotti dalla Svimez oltre che i suoi rapporti annuali per rendersi conto che nell’audizione scopriamo la ruota e l’arco. La prima scoperta é che i diritti di cittadinanza nel nostro Paese sono diversi a seconda dei territori in cui si vive, ma che ciò  dipende da una mancanza di conoscenza e dalla carenza di volontà .   

«Ritengo importante il lavoro che è stato fatto» dal Comitato sui livelli essenziali delle prestazioni «perché è stata una esplorazione in una terra incognita».  

Non sorge il dubbio al professore Sabino Cassese che il motivo della mancanza dei Lep e della loro attuazione non sia tecnico, ma economico e conseguentemente politico? Si chiede il professore se è conseguente alla mancanza di risorse? 

In realtà si ma lo risolve facilmente: «Se le risorse sono più limitate, sono più limitate per tutti e se sono più ampie sono più ampie per tutti, questa è una preoccupazione fondamentale della Costituzione». 

Tradotto in cifre significa che poiché gli asili nido a Reggio Emilia, con una popolazione di  169.908  al 31 dicembre 2021, sono 66 e a Reggio Calabria, con 172.479, sono  3 la soluzione consiste, in previsione di crescite contenute o negative, di chiudere 31 asili nido in Emilia Romagna per darli alla Calabria, in modo che l’una città ne abbia 35 e l’altra  34?  O che il diritto dell’agrigentino di fare 150 km in una ora su strada per arrivare a Palermo sarà garantito. O che si avrà la possibilità di una sanità che non costringa a prendere l’aereo?

E tutto questo può accadere senza sconvolgimenti sociali? 

 Ma continuiamo con l’audizione: «Il Comitato per la determinazione dei Lep dovrebbe finire il suo lavoro entro ottobre, poi occorrerà mettere una cifra accanto ai Lep». 

Tutto legittimo ma per arrivare alla conclusione che le risorse necessarie, quantificabili in 100 miliardi l’anno, non ci sono?

Purtroppo nella commissione sono stati coinvolti pochi economisti ed evidentemente la loro mancanza si fa sentire. Cassese in grande buona fede, conoscendo l’uomo,  afferma «La mia prima preoccupazione è stata che non venisse ignorato un solo diritto civile e sociale del cittadino su tutto il territorio nazionale” ed ha poi spiegato  che è stato predisposto un elenco di 223 Lep “primari”, che a loro volta contengono livelli non quantificabili».

Scoprirà presto che saranno solo buone intenzioni, come si sono resi conto che rischiavano di essere strumentalizzati da Calderoli coloro che si sono dimessi dalla Commissione. Gli ex presidenti della Corte Costituzionale Amato e Gallo, l’ex Presidente del Consiglio di Stato Pajno e l’ex Ministro della Funzione pubblica Bassanini non lavoreranno più al progetto: «Non ci sono più le condizioni per una nostra partecipazione. Il nodo sta nell’individuazione delle finanze necessarie per procedere con la riforma e nello scarso ruolo attribuito al Parlamento».

Nell’audizione il Presidente si preoccupa anche dell’aspetto della messa a terra dei Lep, dimostrando che veramente crede che potranno essere attuati: «La quantificazione dei Lep e delle risorse necessarie sono il penultimo miglio, ma c’è l’ultimo miglio da fare e dipende dalla qualità dell’amministrazione che gestisce. I divari di capacità amministrativa in Italia ci sono e non li possiamo risolvere con la definizione dei Lep”…».

Dimentica il grande professore tutta la polemica della diversa spesa pro capite, che se fosse uguale in tutto il Paese porterebbe al Sud una quantità di risorse maggiori di quelle disponibili e pari a 60 miliardi l’anno. Che poi sono la causa della differenza nelle diverse capacità amministrative dei Comuni.

 Come peraltro è stato documentato da diverse istituzioni nazionali e come è stato calcolato dall’ormai in smantellamento dipartimento per le politiche di coesione, problematica sulla quale il Quotidiano del Sud ha impostato una battaglia di conoscenza. 

Introduce poi  un elemento di novità nel suo ragionamento e cioè che i Lep siano strumento per un centralismo. Finora avevamo pensato che autonomia differenziata e conseguentemente i Lep, passaggio subito da Calderoli per attuarla, fossero propedeutici ad un percorso federalista. 

Invece Cassese sostiene che «introducono uniformità e cercano di bilanciare diversità e unità. Dobbiamo equilibrare l’unità con la diversità e a questo servono i Lep. La loro funzione è quella di creare un sistema di valori e cercano di bilanciare le due esigenze che hanno percorso tutta la storia italiana». Risponde così alla domanda «se non ci sia il rischio di uno Stato arlecchino con l’autonomia differenziata», il costituzionalista. 

Mi pare che il nostro Presidente, nel solco del rispetto che si deve ad una legge costituzionale modificata con il titolo V, cerchi di prendere il buono che da essa viene fuori. E certo se l’effetto dell’attuazione dell’autonomia differenziata fosse che i diritti di cittadinanza diventassero simili nelle diverse parti del Paese si sarebbe raggiunto un obiettivo di equità che supererebbe molti dei problemi della dualità che attengono all’Italia. la cosa più probabile é invece che il punto di arrivo dia legittimità alla spesa storica.

Gli obiettivi potrebbero essere virtuosi ma non bisogna dimenticare che la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni. Il timore che ci si limiti all’individuazione e si passi all autonomia pervade molta parte dell’opinione pubblica meridionale oltre che molti studiosi. D’altra parte non bisogna dimenticare che stiamo andando in cordata con chi può tagliare la corda in qualunque momento e che ha interessi, provinciali, contrapposti a quelli del Sud.  (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

SUI LIVELLI ESSENZIALI DI PRESTAZIONE
SI GIOCHERÀ LA PARTITA DELL’AUTONOMIA

Sui livelli essenziali di prestazione si gioca la partita dell’autonomia differenziata, anche se – è bene osservarlo – si è buttato un quarto di secolo discutendo male di un problema serio, confondendo spesso il federalismo fiscale con il regionalismo differenziato. Il prof. Ettore Jorio dell’Unical, ripercorre gli ultimi avvenimementi del Comitato Lep (CLEP) e indica luci e ombre di questo fondamentale argomento.

di ETTORE JORIO – Il due agosto, i 56 componenti il Clep – rimasti tali  dopo le dimissioni di Amato, Bassanini, Gallo e Pajno – hanno trasmesso al ministro Calderoli la prima relazione sul lavoro effettuato. Il suo contenuto avrebbe dovuto, in un Paese normale, rianimare il dibattito sul come la Nazione percepirà i diritti civili e fiscali. Invece, no. Si vivacizza quello sul regionalismo differenziato, confondendo spesso i fischi con i fiaschi e non fregandosene su come, per esempio, il calabrese farà propri i diritti che sino ad oggi non ha visto neppure da lontano.

Una idea di fondo, quella messa su carta dal Comitato per i Lep, condivisibile escludendo la conclusione cui è pervenuto il Sottogruppo n. 9 (Coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario). Che è poi l’eccezione che ha riempito per giorni, immediatamente successivi al ferragosto, le “rotative” dell’informazione. Però, solo di quella specializzata.

Nel ripercorrere le anzidette affermazioni, ci si rende conto che i rilievi mossi sembrano essere indirizzati avverso la Costituzione. Meglio, verso l’individuazione metodologica sulla quale poggia il finanziamento del sistema autonomistico, così come novellato il 2001. Un po’ come avviene oggi avverso l’art. 116, comma 3, in tema di regionalismo asimmetrico.

Il riferimento è stato infatti criticamente mosso sugli esiti prospettici del criterio che affida alla compartecipazione al gettito di tributi erariali riferiti ai relativi territori. Un rilievo su come il sistema funziona oggi. Più esattamente, addirittura dal 2000 a seguito del D.lgs. n. 56 attuativo della legge delega n. 133/1999. E stante la lettera costituzionale, è così che dovrà essere, a meno di cambiare l’art. 119, comma 2, della Costituzione.

Non si comprendono pertanto le critiche, persino con riferimenti impropri, atteso che il sistema compartecipativo attuale incide sulla maggiore imposta diretta, l’Iva, e non già su quelle indirette riferibili ai redditi prodotti e godute in alcune regioni, più esattamente in quelle più ricche.

Una imposta indiretta, quella compartecipata e goduta dalle Regioni ad oltre il 70% del gettito nazionale, che nella sua attuale dimensione regola e finanzia la sanità. Lo fa finanziando quel Fondo sanitario nazionale che con il federalismo fiscale applicato non ci sarà più, perché sostituito dal

Fabbisogno standard nazionale che è tutt’altra cosa. Dunque, criticarne il funzionamento futuro, perché a rischio di pericolose sperequazioni, significa criticare il metodo che la Costituzione impone. Se ne proponga quindi la modifica mediante una revisione ex art. 138 della Carta.

Al riguardo, è appena il caso di precisare che la soluzione per rendere a tutti i Lep, in egual misura, non risiede sulle differenze finanziarie in godimento ordinario alle Regioni (tributi ed entrate proprie e quote di compartecipazione). Essa la si realizza accelerando – sempre art. 119, ma comma quarto, alla mano – la costituzione fisica e il funzionamento del fondo perequativo ordinario indispensabile per compensare le differenze tra quanto percepito direttamente dalle autonomie territoriali, al lordo delle quote compartecipative, e quanto sarà loro necessario per garantire i Lea.

Non impegnarsi su questo e pensare ad altro si continuerà a fare quanto oramai dura da 22 anni. Il nulla.

Un altro tema importante, evidenziabile dalla relazione del Clep, è quello della individuazione dei Lep, pre-rendicontati dal medesimo solo in riferimento alle materie oggetto di eventuale differenziazione, ex art. 116, comma 3.

La causa di ciò è certamente risalente alla lettura della legge di bilancio per il 2023. Più esattamente, del comma 793 dell’art. 1, nella parte in cui si riferisce alla determinazione dei Lep.

Ebbene, nello svolgimento di un tale fondamentale compito si è elusa la individuazione dei Lep riferibili alle materie di competenza residuale, supponendo di affidare un tale compito ad un altro sottogruppo. Per l’esattezza, il Sottogruppo nr. 11 del Clep, anticipato dal ministro Calderoli nel corso del question time del 13 luglio, cui sarà affidato il compito di individuare i Lep riconducibili alle materie non differenziabili.

Al di là della lettura parziale del disposto del comma 793 della legge 197/2022, che sembra essere riferibile alla ricognizione principalmente delle normative vigenti, sarebbe stata provvidenziale l’emersione dei Lep riferibili altresì alle materie di competenza esclusiva regionale. Si sarebbero evitate alcune lacune che renderanno difficile l’andare avanti e portare a conclusione il lavoro per fine anno. Solo per fare un esempio, nella relazione del Sottogruppo n. 5 (Tutela della salute, più altro), è mancata l’opportunità al sotto-organismo di riferirsi ai Lep afferenti all’assistenza sociale che è materia residuale. Con questo è venuta a determinarsi una analisi/ricognizione molto parziale, anche perché con il Dpcm del 12 gennaio 2017 i Liveas sono stati “cancellati” perché inseriti nelle 71 pagine ove sono scanditi i Lea.

A proposito dell’importante e difficile mission affidata al Clep, basta immaginare quanto sia importante l’individuazione dei Lep – solo per far due esempi –  afferenti alla assistenza sociale e al turismo di competenza residuale delle Regione, così come molti altri di quelli riferibili alle restanti 18 materie di competenza esclusiva regionale.

Omettere di fare ciò – a proposito del quale se si dovesse ritenere una incompletezza della norma della legge n. 197/2022 ne occorrerebbe una nuova pensata a sua integrazione e non già supporre di correggere con un atto amministrativo – sarebbe grave, ed ogni ritardo nel risultato determinerebbe danni enormi per l’utenza che attende la soluzione a ciò dal 2001.

Ebbene sul tema, poche le considerazioni della politica fondate su una reale consapevolezza del problema. Anche il sistema universitario, al di là di qualche isolato intervento, sta facendo poco o nulla nell’affrontare l’applicazione sul federalismo fiscale e il tema dell’autonomia differenziata, ma legislativa. Di certo molto meno di quanto abbia fatto a seguito della revisione costituzionale del 2012, introduttiva del “pareggio di bilancio”.

Si diceva, male i partiti e i sindacati impegnati più in una disputa politica che nel confronto necessario ad un provvedimento attuativo della Costituzione.

Del resto, si sapeva che era comprensibilmente difficile mantenere la barra dritta sull’argomento. Ciò perché per affrontarlo con la dovuta consapevolezza significava avere ben digerito, in combine, gli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, la legge delega 42/2009, almeno cinque dei nove decreti delegati, il Dpcm del 12 gennaio 2017, la legge di bilancio per il 2022, nella parte in cui introduce i Leps. Non ultime, per tenere in conto le diversità ideologiche che però non apparivano, le due ipotesi di attuazione dell’art. 116, comma 3, della Costituzione elaborate dai già ministri Boccia e Gelmini. Non solo. Occorre mettere in linea con il Ddl Calderoli, quanto deciso ai commi 791/804 della legge di bilancio per il 2023 che, invero, qualche guaio interpretativo lo stanno determinando.

Si è buttato via un quarto di secolo, discutendo male di un problema serio, confondendo spesso il federalismo fiscale con il regionalismo differenziato.

Non solo nelle discussioni “di strada” ma anche negli ambienti di studio e riflessione politica. Ciò certamente a causa di un Paese che ha trascorso 22 anni senza interessarsi di come risolvere il problema generato dalla

revisione costituzionale del 2001, cui è stata data attuazione dal 2009 al 2011 per poi ricadere in un irresponsabile silenzio.

E dire che in mezzo c’erano i Lep, cui la Costituzione ha affidato – all’art. 117, comma 2, lett. m) – l’esigibilità egualitaria in tema di diritti civili e sociali.

Il risultato di tutto questo grave immobilismo del legislatore e della mancata iniziativa stimolante di partiti e sindacati in tal senso si è tradotto nella colpevole persistenza, per inerzia beninteso, della spesa storica a governare l’economia pubblica e finanziare i fabbisogni territoriali. Quei fabbisogni che incrementano progressivamente mantenendo in coda alla classifica dell’esigibilità dei diritti gli abitanti del Mezzogiorno nell’esigibilità dei diritti fondamentali. Maglia nera, la Calabria.

La lettura della anzidetta complessa e copiosa relazione a firma del prof. Cassese, soprattutto del “Quadro sinottico delle materie Lep”, ha generato tuttavia una perplessità di troppo, atteso che sono in esso rappresentate le materie, fatta eccezione di quelle residuali regionali, con a fianco un sì ovvero un no, rispettivamente riconducibili o meno a Lep. Ciò è accaduto a causa della lettera legislativa di fine 2022 (comma 793, lett. c), che sotto certi aspetti offre una incertezza su cosa siano i Lep, dal momento che li cerca ne “le materie o ambiti di materie che sono riferibili ai Lep”, quasi a volerli individuare per ogni materia ovvero per frammenti di esse.

I Lep hanno una unica certezza in termini di corretta esigibilità, devono rintracciare la loro esistenza nella trasversalità delle materie: tra quelle di competenza dello Stato (32), quelle concorrenti (20) e quelle che sono residuali (ben oltre 20). Da qui la ineludibilità di estendere, diversamente da come ha fatto sinora il Clip, alle materie di competenza esclusiva regionale.

Tutto questo perché non si può, infatti, neppure pensare a ripetere la stessa sottovalutazione che si fece con i Lea con il Dpcm 29 novembre del 2001 (senza prevedere in esso i Liveas) e che si è continuato a fare con le 71 pagine allegate a quello del 12 gennaio 2017. Assicurare i livelli di assistenza alla salute significa individuare lo standard erogativo nel massimo della indissolubile trasversalità. Altrimenti che welfare sarebbe?

Cioè senza escludere i Leo compositi riferibili anche: alla assistenza sociale, ai trasporti pubblici locali, alla agricoltura, all’alimentazione e all’urbanistica di competenza regionale, ovviamente includendo l’ambiente, produttore di salubrità e non di fattori inquinanti, e l’istruzione, magari prevedendo l’insediamento dell’educazione sanitaria come materia curricolare nella scuola dell’obbligo. Tutte materie e dunque ambiti di esse, ma da leggersi in senso non affatto restrittivo, tutt’altro. (ej)

IL TERMINE È AUTONOMIA DIFFERENZIATA
MA SIGNIFICA “SECESSIONE DEI PIÙ RICCHI”

di DAMIANO SILIPO – È molto probabile che tra pochi mesi l’autonomia differenziata di Calderoli diventi realtà, dando la possibilità alle tre regioni che nel 2017 hanno già sottoscritto le pre-intese con il governo (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna)  di attuare subito la secessione. Perché si scrive autonomia differenziata e si legge secessione dei ricchi. Infatti, il DDL Calderoli prevede che le regioni possono chiedere l’autonomia in 23 materie fondamentali per la vita dei cittadini (dalla sanità alla scuola e università, da infrastrutture e trasporti a energia e ambiente, etc.).

Lombardia e Veneto hanno chiesto l’autonomia in tutte le 23 materie, l’Emilia Romagna in 15 delle 23.
Unitamente al trasferimento delle funzioni, vengono trasferite alle regioni le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, necessarie per attuare l’autonomia nelle materie richieste.
In particolare, il DDL Calderoli prevede che le regioni possono trattenere gran parte delle tasse, che oggi vengono trasferite allo stato centrale, anche oltre quelle necessarie per finanziare le funzioni aggiuntive richieste.
Se si pensa che le sole tre regioni che hanno chiesto l’autonomia differenziata hanno un reddito complessivo di più di 700 miliardi all’anno (più del 40% del reddito complessivo dell’Italia), l’autonomia differenziata non è il riconoscimento formale della macro-regione Padania sognata da Bossi e co. ma certamente corrisponde alla secessione dei redditi delle regioni più ricche del Nord.
Tra l’altro, queste regioni disporranno di enormi risorse aggiuntive e saranno in grado di pagare, ad esempio, stipendi più alti ad insegnanti e personale sanitario rispetto alle altre regioni, anche per far fronte alla già forte carenza di medici ed altro personale sanitario. La secessione dei ricchi sarà quindi un impulso potente per medici, paramedici, insegnanti, ecc. della Calabria e delle altre regioni meridionali a trasferirsi nelle regioni più ricche, con il duplice effetto di affossare ancora di più il sistema sanitario calabrese e rendere impossibile la realizzazione dei livelli essenziali di assistenza, anche qualora venissero realizzati i nuovi ospedali. Senza contare che l’ulteriore depauperamento del capitale umano avrà effetti drammatici sulla qualità dell’istruzione e sulle prospettive di sviluppo della regione. Pertanto, la tesi degli autonomisti che trattenere nei propri territori una parte cospicua del “residuo fiscale” induce le regioni meno produttive a “darsi una mossa” è ipocrita, perché induce i cittadini di queste regioni a darsi una mossa a raggiungere le regioni più ricche, che offrirebbero salari più alti.
Come fa il Presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto a non rendersi conto di questi effetti, o a svendere le sorti di una regione per puro tornaconto personale o di partito?

È merito della Segretaria Elly Schlein aver attestato, senza se e senza ma, il Partito Democratico contro l’autonomia differenziata. Una posizione chiara e coraggiosa, tenendo conto che anche nel PD ci sono simpatie e spinte autonomiste. Il passo successivo è come contrastare questo disegno eversivo di Calderoli e del governo Meloni, e quale assetto istituzionale alternativo proporre per l’Italia.

Molti degli emendamenti proposti dai gruppi parlamentari del PD suggeriscono di ridurre a poche e non strategiche le materie su cui concedere l’autonomia.

Seppur importante, ritengo che il punto centrale non sia il numero di materie ma la realizzazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) su tutto il territorio nazionale, come pre-requisito per l’attuazione di qualunque forma di autonomia differenziata.

Nel DDL Calderoli la definizione dei LEP costituisce un puro requisito formale per la concessione dell’autonomia differenziata in alcune materie e non è contemplata alcuna realizzazione. Se già oggi la Calabria non rispetta i livelli essenziali di assistenza (LEA) in tutte le aree (prevenzione, distrettuale e ospedaliera), come si può pensare che quando il meccanismo della secessione si metterà in moto e genererà gli effetti appena descritti,  i LEP (che comporteranno una spesa ancora maggiore rispetto ai LEA) verranno mai realizzati nelle regioni meno ricche? 

Si potrebbe obiettare che vincolare la concessione dell’autonomia differenziata alla realizzazione dei LEP su tutto il territorio nazionale sarebbe come rinviare sine die l’attuazione di qualche forma di autonomia alle regioni. Come ha stabilito un tempo entro cui definire i LEP, il Governo Meloni potrebbe anche assegnare alle regioni le risorse sulla base dei fabbisogni standard e un termine entro cui attuare i LEP, con tappe intermedie per la loro realizzazione, che se non rispettate dovrebbero prevedere la decadenza dei Presidenti di Regione e poteri sostitutivi del governo.

Questo sì che darebbe luogo al più importante processo di attuazione della Costituzione Repubblicana e renderebbe l’Italia un paese migliore, perché ridurrebbe le diseguaglianze e aiuterebbe la crescita.

Viceversa, la secessione non solo allontanerà definitivamente la Calabria e il Mezzogiorno dal resto del Paese, ma farà più piccola l’Italia, perché quanto volete che conti in Europa e nel mondo anche un Presidente eletto dal popolo, quando il potere economico e politico appartiene a poche regioni ricche? (dsi)

Sarracino (PD): Serve battaglia popolare contro Governo ideologicamente contro il Sud

«La sfida sull’autonomia differenziata è la principale sfida che il Pd deve vincere in questo momento, anche perché il disegno della Lega ha un carattere irreversibile per come Calderoli lo ha congegnato». È quanto ha dichiarato il deputato del Pd Marco Sarracino, a cui Elly Schlein ha assegnato anche la delega per il Sud e la coesione territoriale, nel corso della Festa dell’Unità di Vibo Valentia.

La prima giornata, infatti, si è conclusa col dibattito su Autonomia differenziata. Il governo contro il Sud. Per affrontare la complessa questione sul palco si sono alternati gli interventi di Stefano Soriano, Elisabeth Sacco, Pino Capalbo, Domenico Lo Polito, Luigi Muraca, Salvatore Monaco, Mariateresa Fragomeni, Franz Caruso e Damiano Silipo.

«Si tratta di una modifica che va nella direzione opposta a quella che dovrebbe essere intrapresa e cioè di maggiore attenzione per il Sud. Già oggi senza autonomia – ha ricordato Sarracino – un cittadino a Milano costa allo stato 18mila euro all’anno, mentre un cittadino di Vibo 13.500. Siamo davanti a quello che è un “diritto differenziato” in base al luogo di nascita ed è profondamente ingiusto. Serve adesso una battaglia popolare per smascherare le bugie del centrodestra e tutelare la stessa unità nazionale. E dovrebbero parteciparvi anche i governatori di centrodestra del Sud come Occhiuto che avallando l’autonomia tradiscono il mandato affidato loro dagli elettori».

«Le stesse audizioni in Senato – ha concluso Sarracino – anche quella di Confindustria hanno evidenziato come con un Sud che resta indietro ci sarebbero difficoltà importanti per tutto il Paese. Ecco perché il no all’autonomia differenziata rappresenta un punto fondamentale della nostra estate  militante per ribellarsi a un governo che è ideologicamente contro il Mezzogiorno perché tenuto sotto scacco della Lega. Ed il percorso intrapreso dal Pd calabrese guidato da Nicola Irto va proprio nella direzione che ci auspichiamo per dare un reale rinnovamento alla nostra azione politica». (rvv)

Il presidente Occhiuto: Solo a parità di Lep si può dire di sì all’autonomia

«Solo a parità di Lep posso dire di sì all’autonomia differenziata». È quanto ha dichiarato il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, in una intervista a Il Giornale.

«Non ho una posizione dogmatica sull’autonomia differenziata – ha spiegato –. Si tratta di una possibilità contemplata dall’articolo 116 della Costituzione (sezione peraltro riformata quando era al governo il centrosinistra). Gli articoli successivi parlano di obblighi e non di possibilità. Come l’obbligo di garantire tutti i diritti in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, sia che un cittadino viva a Crotone sia che viva a Sondrio. Come anche l’obbligo della perequazione. In verità sia la possibilità dell’autonomia differenziata, sia la garanzia dei diritti sociali e civili e l’obbligo della perequazione non mi sembra siano stati attuati come prescrive il titolo quinto della Costituzione».

«Ho detto più volte – ha ricordato – che il disegno di legge di Calderoli è come un treno che ha tre vagoni: quello dell’autonomia differenziata, quello dei diritti sociali e civili non più quantificati secondo il criterio ingiusto della spesa storica ma secondo i fabbisogni, e quello della perequazione».

«Se spinto dall’autonomia differenziata – ha concluso – il treno arriva in stazione e porta con sé anche gli altri due vagoni, credo sia un grande risultato anche per le regioni del nostro Meridione dove oggi i diritti sociali e civili non sono garantiti nello stesso modo di altre regioni. E per arrivare a un punto di parità servirebbero risorse importanti». (rrm)

NON SERVE MAPPARE LA SPESA STORICA
HA GIÀ LEVATO I 61,5 MLD DOVUTI AL SUD

di MASSIMO MASTRUZZOL’ultima uscita di Calderoli ha dell’incredibile sia per quanto riguarda la “mappatura di come in passato sono state spese le risorse che lo Stato ha erogato” ovvero la spesa storica, sia per l’assurda dichiarazione riguardante il timore di finire assassinato. 

Su quest’ultima, se fosse vera, non è comprensibile come non sia stata presentata una denuncia o come questa, visto che a fare la dichiarazione di un potenziale reato è un ministro in carica, acquisita la notizia del possibile reato, il pubblico ministero non abbia incaricato la polizia giudiziaria di effettuare tutte le investigazioni necessarie per verificare la fondatezza del presunto crimine.

Se non fosse vera… ça va sans dire.

Per quanto riguarda la dichiarazione sul lavoro di mappatura per capire come in passato sono state spese le risorse che lo Stato ha erogato, territorio per territorio, un lavoro che secondo il ministro smentirà “la balla che al Sud arrivino meno soldi rispetto al Nord“, probabilmente Calderoli si è dimenticato, o fa finta di farlo, che la “mappa” è già stata fatta. 

Nel 2009, quando i leghisti andarono al governo con Berlusconi, fecero passare la legge, nota proprio come legge Calderoli, sul federalismo fiscale, convinti che il “Sud fannullone” derubasse il Nord, “Roma ladrona”, etc… Analizzando i dati si scoprì che non era così, anzi, le regioni del Nord, nella redistribuzione, ricevevano molti più soldi procapite.

Nello specifico fu Giorgetti a scoprirlo, che dal 2013 al 2018 fu presidente della commissione per il Federalismo Fiscale. Su sua richiesta, ricevette i dati sulla redistribuzione dei fondi dal ministero dell’Economia e alla fine insabbiò tutto (i dati fornitigli ufficialmente non risultano infatti agli atti).

Chiese anche di fare una seduta segreta come in antimafia, la cosa risulta dagli atti, dando come motivazione che: “i dati sarebbero potuti essere scioccanti“. E in effetti i dati erano scioccanti, aveva scoperto, analizzando la spesa storica, che ogni anno al Sud arrivano miliardi in meno per la spesa pubblica.

Si scoprì, ad esempio, che se vai in due comuni italiani che hanno lo stesso nome e lo stesso numero di abitanti, come ad esempio Reggio Emilia e Reggio Calabria, dato appunto che i Lep non ci sono, e i fabbisogni continuano ad essere stabiliti principalmente sulla base della spesa storica: “tanto avevi speso tanto ti do”, sembra di trovarti in due nazioni diverse, addirittura in epoche diverse.

A Reggio Emilia, che offre più servizi, viene riconosciuto un fabbisogno standard di 139 milioni; Reggio Calabria, che di servizi ne ha molti meno, 104 milioni: 35 milioni di euro in meno, pur avendo quasi 10 mila abitanti in più. Un neonato di Reggio Calabria ha diritto a 570 euro di spesa pubblica pro capite; Un neonato di Reggio Emilia a 700.

E questo accade ogni anno, con dati visibili dal 2009, perché prima avveniva senza avere contezza, anzi pensando che avvenisse esattamente il contrario, il che moltiplicato per ogni comune del sud porta, ripeto almeno dal 2009, ad una mancata assegnazione di circa 60 miliardi di euro ogni anno.

Ovvero, il Sud con una popolazione pari al 34,3% di quella nazionale, riceve il 28,3% della spesa pubblica complessiva, mentre il Centro-Nord con il 65,7% della popolazione italiana percepisce il 71,7% del totale di denaro pubblico. In altre parole, al Sud viene tolto il 6% di quello che secondo la Costituzione gli spetta, per essere elargito al Centro-Nord. Un 6% che equivale a 61,5 miliardi di euro illegittimamente sottratti ogni anno al Meridione.

Quindi, ministro Calderoli nell’esprimerle la mia solidarietà per le eventuali minacce ricevute e al contempo invitarla a presentare denuncia, le suggerisco di chiedere al suo collega di partito, Giancarlo Giorgetti, lumi in merito ai dati sulla redistribuzione dei fondi ricevuti dal ministero dell’Economia, e visto che si trova chieda anche chiarimenti sui motivi che lo indussero a farseli inviare “in modo riservato o facciamo una seduta segreta come avviene in commissione antimafia” . (mm)

[Massimo Mastruzzo è del direttivo nazionale Movimento Equità Territoriale]

AUTONOMIA E DISTRIBUZIONE DI RISORSE
VA UNIFORMATA LA SPESA PRO-CAPITE

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – Bisogna superare la spesa storica. Credo che l’esigenza che la distribuzione delle risorse avvenga sulla base di una equità sostanziale non può essere messa in dubbio se non con argomentazioni molto discutibili. Per essere più precisi il tema riguarda l’esigenza che in un Paese, che voglia restare unito, ogni cittadino abbia diritto, al di là delle sue capacità reddituali, di una quota di spesa pubblica complessivamente uguale.

Poi essa sarà distribuita in modo diverso perché coloro che hanno più bisogno avranno una quota maggiore di welfare, per cui alcuni avranno moltissimo ed altri, meno bisognosi, non avranno nulla, ma come principio generale ogni individuo, nella distribuzione complessiva della spesa pubblica dovrebbe avere una quota uguale.

Sarebbe invece assurdo il contrario, cioè che si destini di più alle aree più sviluppate e più ricche. Sembra impossibile ma è quello che da anni avviene in Italia.

La somma sottratta rispetto ad una teorica equidistribuzione, contestata nella cifra ma non nel principio, sarebbe se includiamo gli oneri pensionistici, visto che per anni sono state retributivi e non contributivi, e gli investimenti del settore pubblico allargato, molto contestati perché si afferma che le società relative sono quotate in borsa e quindi in parte proprietà di azionisti privati, sarebbe di oltre 60 miliardi.

In tale  somma non sono compresi quei 20 miliardi che ogni anno vengono regalati, in parte, al netto delle emigrazioni all’estero,  al nord del Paese,  con il processo migratorio dei  100.000, che formati abbandonano il Sud.

Né la somma che le singole Regioni versano a quelle del Nord per i servizi sanitari, che da queste ultime vengono forniti a cittadini meridionali, né la sottrazione di risorse che avviene per un patrimonio immobiliare che ogni anno perde di valore per l’effetto spopolamento e che invece provoca un aumento del valore di esso  nelle aree che incrementano la popolazione.

Non serve ripetere che la spesa pro-capite di ogni cittadino riguarda quello che viene destinato all’infrastrutturazione, all’istruzione, alla sanità, al welfare, a tutti i servizi che fornisce lo Stato, compresi quello per la sicurezza, per la difesa, per il funzionamento della macchina pubblica.

In realtà vi è chi vorrebbe semplicemente superare la problematica posta statuendo costituzionalmente, con l’autonomia differenziata, che le risorse rimangano alle Regioni che le producono, modificando il soggetto, previsto dalla Costituzione, che è l’individuo e sostituendolo, per il calcolo, con la Regione, che avrebbe diritto a trattenere le risorse che vengono prodotte sul territorio, sottratte piccole compensazioni da versare alla Stato centrale per le realtà meno sviluppate.

Quindi l’esigenza delle regioni meridionali è di quelle legittime e l’indignazione, che sale dai Presidenti delle Regioni del Sud, opportuna rispetto a una distribuzione delle risorse per la sanità che non rispetta il principio dell’equidistribuzione.

Ma bisogna essere realisti: se Reggio Emilia ha 66 asili nido e Reggio Calabria, con una popolazione superiore, ne ha tre pensare che le risorse non vengano date in base alla spesa storica significa chiedere a Reggio Emilia di chiuderne la metà.

È chiaro che tale prospettiva è assolutamente irrealizzabile, a meno di prospettive non auspicabili.

E allora bisogna aver chiaro che l’unico modo, perché gradualmente possa realizzarsi un processo di convergenza tra aree ricche e povere, è quello di avere crescite consistenti e risorse aggiuntive, come quelle del PNRR, ma anche una politica che metta veramente al centro il Mezzogiorno e che preveda un processo continuo che porti le due parti ad un percorso  di avvicinamento progressivo.

Come si sta vedendo nella preparazione della prossima finanziaria le risorse sono sempre estremamente limitate, la coperta è stretta ed è facile che non tutte le esigenze possano essere soddisfatte.

La richiesta che deve provenire dalle Regioni meridionali è che vi sia un piano di rientro che porti nel giro di qualche anno ad avere una spesa pro capite uguale per tutto il Paese. Richiesta che è in completa contraddizione e contrapposizione rispetto al percorso che si sta intraprendendo con l’autonomia differenziata, che prevede il trucco dei Lep, che presto sarà chiaro a tutti, che per i motivi detti, non potranno essere realizzati come peraltro è avvenuto nella sanità con i Lea (livelli essenziali di assistenza del SSN).

Ma ovviamente il tema non è tecnico, come si vorrebbe far credere, con il gruppo costituito da Calderoli per individuare i Lep, ma esclusivamente politico. I partiti nazionali, che devono dare risposte ai loro più esigenti elettori del Nord, avranno difficoltà, come si è visto anche con la distribuzione delle risorse del PNRR, a far accettare un riparto meno sbilanciato della spesa pubblica.

Le regioni settentrionali vogliono, giustamente, tenere il passo con le aree più sviluppate dell’Unione Europea e per questo hanno bisogno di spesa pubblica abbondante, per infrastrutturare il territorio con la quarta e quinta corsia per avere servizi adeguati mentre l’impresa privata, ma anche quella partecipata,  pressa per aiuti che riguardino la possibilità di innovare per essere competitivi sui mercati internazionali.

Per questo l’unica strada possibile è quella di una crescita che non sia dello zero virgola ma che metta in funzione quella che viene chiamata la seconda locomotiva e che per ora è rimasta ferma nei depositi delle ferrovie.

Pensare di far crescere un paese puntando su una sola gamba se non fosse ridicolo sarebbe da ingenui. Lasciare il 40% del territorio non utilizzato e il 33% della popolazione a un tasso di occupazione di una persona su quattro significa non capire le potenzialità possedute.

Il cambio di passo è proprio quello che serve ma non sembra ancora che tutti se ne siano resi conto, se ancora PD e Cinque Stelle si allertano per manifestazioni contro il ponte sullo stretto di Messina. Non capendo che la logistica è uno dei tre pilastri sui quali deve fondarsi il New Deal del Mezzogiorno, insieme al manifatturiero e al turismo. Mentre la proiezione euro-mediterranea, ormai indispensabile per l’Europa, è un altro degli elementi su cui si può fondare il Rinascimento del nostro Paese, partenendo da Sud. (pmb)

(courtesy Il Quotidiano del Sud / L’Altravoce dell’Italia)

L’OPINIONE / Gregorio Corigliano: L’autonomia accresce la povertà, dice l’arcivescovo di Napoli

di GREGORIO CORIGLIANO – «L’autonomia differenziata, per quanto la si voglia edulcorare con nuovo innesti terminologici (che la gente non comprende) rompe il concetto di unità, lacera il senso di solidarietà che è proprio della nostra gente, divide il Paese, accresce la povertà già troppo estesa ed estrema per milioni di italiani».

Sono parole queste, dell’Arcivescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia, calabrese di Satriano, che guida, con impegno e vigore, la curia più importante del Mezzogiorno. Forte del suo impegno in terra calabra, alla guida del centro calabrese di solidarietà, del quale ha parlato con nostalgia ed entusiasmo, abbastanza recentemente a Catanzaro, non poteva rimanere in silenzio di fronte al disegno Calderoli.

E con una lettera aperta che mi ha inviato per mail, memore di un antico rapporto, negli anni del mio impegno professionale, sempre vivo, in Rai, titolata “Il Vangelo e la Costituzione” si sofferma sul tema dell’autonomia differenziata, che, si spera non diventi mai operativa. Perché? «Cancella d’un colpo quel bagaglio ricchissimo di conquiste democratiche, realizzato dalle lotte popolari, dal Risorgimento ad oggi». Com’è costume dell’alto prelato, con grazia ma anche con fermezza, aggiunge che i promotori del ddl, con in testa il ministro Calderoli, dimenticano che non si tratta dell’attuazione della Costituzione ma, ma che la nostra Magna Charta parla dell’eguaglianza autentica fra tutti i cittadini e prescrive che sia lo Stato a garantirne l’effettiva parità.

E mons. Battaglia arriva a parlare della bellezza della nostra Costituzione che prevede una inscindibile unità tra autonomie e solidarietà, tra libertà individuale ed azione sociale, tra ricchezza individuale e ricchezza complessiva, tra singoli territori ed unità territoriale. Ed ancora: tra Regioni e Paese, tra Comuni e Stato, tra pluralismo e compattezza. Chi ha preparato quel disegno di legge che soprattutto al Sud, in particolare a Napoli e a Reggio Calabria, hanno contestato e criticano aspramente dimenticano che al centro di ogni divenire sociale c’è la persona non il singolo individuo privo del corredo umano che fa l’uomo un essere speciale. Naturalmente, il mio amico Arcivescovo rileva che «da soli non si va da nessuna parte, che anche le zone ricche subiscono il rischio di diventare povere e di incontrare la sofferenza ed il dolore». Ed arriva, mons. Battaglia alla bruciante attualità.

«Il terremoto e la devastante alluvione che subito la nobile e fiera Emilia Romagna hanno visto la straordinaria grandezza del popolo italiano: infatti è partita subito la solidarietà”. Specialmente dal Sud, il cuore della generosità è volato su quelle terre così duramente colpite. nessuno ha fatto i conti della spesa,  sostiene ancora don Mimmo, come ama essere chiamato. «Al Sud si è pregato e tifato, e soprattutto si è gioito quando il governo ha elargito somme considerevoli».

Quelle somme che anche noi consideriamo insufficienti per far rinascere quella parte di Paese. È infatti il territorio la prima ricchezza che hanno i poveri, indebolirglielo è colpa grave, non solo politica e le ferite ai territori in qualsiasi modo inferte, sono ferite sulle carni già aperte dei poveri. Battaglia si dice convinto che ai responsabili della cosa pubblica sfugga il significato della parola gente, della parola popolo, della parola comunità: cioè la persone con tutto il suo carico di diritti inalienabili. Non manca di scrivere che Lui è soltanto un prete che ha toccato con mano – eccome se lo ha fatto – la sofferenza, ogni giorno. Bisogna essere solidali con gli ultimo: lo ha sempre detto ed in questo caso lo ribadisce. 

«Di fronte alle enormi sofferenze di famiglie intere che non riescono a fronteggiare il più piccolo dei bisogni, nessuno osi – nessuno osi- tirarsi indietro. Certamente, com’è noto, la Chiesa non lo farà – basta ascoltare quotidianamente Papa Francesco». La chiosa: non tema alcuno di essere accusato di politicismo: Siamo con i poveri ed i bisognosi. Com’è giusto che sia, grazie Don Mimmo. (gc)