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SAN FERDINANDO DI ROSARNO: LA CACCIA ALLA SEPPIA

di GREGORIO CORIGLIANO

Quando verrai a stare un po’ di giorni? Presto, presto! Prima di quanto si possa pensare! Ho risposto così a Niky e ad Agostino che mi invitano spesso a trascorrere una serata con loro. A discutere, certo. Essenzialmente, però, il motivo è un altro. Quello di gustare gli spaghetti conditi con il nero di seppia. Una boutade? No. E’ la verità. Questa conviviale, di solito, la” viviamo” in agosto. In uno dei ristorantini sul lungomare, di San Ferdinando, all’aperto. Seduti accanto ad amici o semplici conoscenti. Discutiamo di politica, di sanità, spettegoliamo, nell’attesa che “Lillazzo” arrivi per prendere “la comanda” e poi inizi a preparare la nostra pietanza preferita. Non è rapido, Lillazzo. Spesso ci fa incavolare, per i suoi ritardi dovuti alle troppe ordinazioni. Quando arrivano gli spaghetti al nero di seppia, cala il silenzio. Si spengono tablet e cellulari, anche se Niky è sempre connesso con l’ospedale di Polistena dove è primario di radiologia molto apprezzato per la sua disponibilità umana e professionale. E Agostino chatta con le sue “ammiratrici”. Di fronte al nero di seppia, però…
Già la seppia. Chi lo sa come, almeno una volta, si pescavano le seppie? Non sono moltissimi, credo. Tutti, ormai, pensano ai pescherecci o ai professionisti del mare. Non è così! Una volta la seppia era un passatempo fantastico al quale si potevano dedicare solo quanti vivevano la passione autentica del mare. Quanti il mare lo avevano (e lo hanno) scolpito in testa, quanti lo sognano, quanti lo amano, quanti lo guardano soprattutto di inverno, quanti vanno a farsi spruzzare dalla salsedine nei giorni e nelle notti di tempesta, quanti ammirano le onde – i cavalloni che non ci sono più dalle nostre parti – alzarsi  e infrangersi sulla spiaggia, quanti respirano il mare e si inebriano solo a sentirne l’odore ed il sapore!Quanti non sanno farne a meno!  Già, come si pescavano le seppie? Lo ricordo, qui, a me stesso, esprimendo,sempre, gratitudine a mio padre, che non era pescatore, ma maestro. E che aveva, molto di più, un amore smisurato per il mare. Aveva la barchetta rigorosamente di legno, attrezzi da pesca, vela, ami, palaie (remi) e tutto quel che fa di un maestro, il pescatore dell’alba, prima di andare a scuola, d’inverno.
Quando io sono nato, il 7 di agosto, mio padre era a pescare, guarda caso, le seppie, con la fiocina e lo specchio. Vi dico. Solo a pensarla la pesca della seppia, comporta impegno e passione. Si va a mare di mattina, con aiutanti e qualche ospite. Però? Però, il pomeriggio del giorno prima, bisogna predisporre la pesca dell’indomani. Addirittura? Eh, sì. Si va prima in campagna, si raccolgono i mirtilli (murzidi) in quantità (o il muschio?), si prepara in fascette, si porta a casa in cortile. Si va dal muratore e si comprano le “breste” (conglomerati rettangolari di cemento e brecciolino), poi, se non si ha a casa, si compra il fil di ferro. Verde, breste e fil di ferro servono per preparare i “mazzuna” un unicum utile per le seppie. Per le seppie? Certo. Col verde si copre la bresta e si lega col fil di ferro. Così si è preparato lo “specchietto per le allodole” anzi, per le seppie. Se ne preparano una decina, almeno di questi “mazzuna”. E poco a poco, si portano sulla spiaggia e si caricano sula barca, già pronta per essere varata, cioè immessa a mare.
Mio padre, il capo barca, aveva già convocato i suoi aiutanti. Ciccillo “u pilusu o Serafino “du fica”! Ogni tanto c’era anche Nino “cucchiaruni”. Loro ungevano di “sivu” (sego) le valanghe su cui era poggiata la barca e che servivano per farla scivolare a mare. Poi con olio di gomito, a remi, si raggiungeva il posto (segreto) dove buttare a mare “i mazzuna”.
Perché? Presto detto. I mazzuna, una volta in acqua, servivano da richiamo-nascondiglio per le seppie. Nell’immenso mare, non solo d’agosto, come facevi a ricordarti dove avevi buttato i mazzuna? Occorreva avere delle canne da piantare sulla spiaggia, magari con un fiocchettino. In quella direzione, in acqua c’era la trappola per le seppie. All’imbrunire, effettuata l’operazione “trappola”, il rientro a casa. In nottata, spesso, una passeggiata non guastava per un controllo delle canne. Poi il riposo della notte.
L’indomani all’alba – alle cinque di mattina – si scendeva a mare di nuovo. Ciccillu e  Zarafino erano pronti. Mio padre portava la fiocina e lo specchio: le uniche “armi” utili per la “caccia” alla seppia. I due marinai, con me, erano ai remi. Mio padre – fiocina sulla destra e specchio (una grande latta con all’estremità un vetro (tipo maschera da sub) sulla sinistra – in piedi a prua poggiava lo specchio in acqua in direzione della canna, che indicava “u mazzuni” depositato in acqua. Attraverso lo specchio guardava se, nascosta tra il verde attorcigliato alla bresta, ci fosse una seppia nascosta. Intravista scattava l’ “operazione infiocinamento”. Che soddisfazione averla catturata. Una, due, tre o più seppie, dopo aver girovagato tra i mazzuna! Le seppie pescate, dapprima sotto il tavolato della barca, al rientro venivano sistemate dentro lo specchio che fungeva anche da raccoglitore! Sulla spiaggia, amici, conoscenti,parenti. Tutti volevano vedere il professore(mio padre) al rientro. Per chiedere ed eventualmente complimentarsi. I due aiutanti di mare, provvedevano a tirare la barca – preparavano ‘u scaru (lo scaro) (vero Ciccio?) – e la barca veniva portata all’asciutto, rigorosamente a mano. I  verricelli sarebbero venuti dopo. Ciccillo e Nino, o Zarafinu, venivano gratificati con una seppia, ma siccome erano alunni di mio padre, erano felici di aver aiutato il loro maestro che, da lì a poco, avrebbero visto in classe. Questo, non sempre, perché i  due marinai con la scuola non avevano un buon rapporto! Vero Grazia “du fica”? Le seppie finivano nella mani della signora Titina, mia madre, che, per essere la moglie del capo barca (mio padre) aveva imparato a cucinarle. E soprattutto a preparare il nero di seppia con cui condire la pasta. Cosa non propriamente facile. Che sapore, la pasta! Non solo del gusto del nero, ma il gusto dell’amore di chi l’aveva saputa pescare! Ecco perché, con Agostino e Niky, mangiamo – ed offro io – gli spaghetti al nero. A convincere i due giovanotti, sono stato io, però! Mi ricordano mio padre, mi ricordano la spensieratezza, mi ricordano i miei amici del mare. E soprattutto il mio mare! Che è lì, che mi aspetta!

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Gregorio Corigliano, giornalista professionista, si è laureato in Economia all’Università di Messina nel 1970. È stato Capo Redattore della Sede regionale RAI di Cosenza. Scrittore e autore, ha ricevuto numerosi riconoscimenti per la sua attività, tra cui il Premio Cultura della Presidenza del Consiglio e il Premio Brutium. Attualmente è presidente del Circolo della Stampa “Mariarosa Sessa” di Cosenza. È editorialista del Quotidiano del Sud.