IL FOTOVOLTAICO E IL CONSUMO DEL SUOLO
PERPLESSITÀ SULLA LEGGE DELLA REGIONE

Dal 3 luglio 2024 sono in vigore i criteri del Ministero dell’Ambiente che devono essere usati dalle Regioni per individuare le aree idonee e non idonee alla realizzazione di impianti di energia da fonti rinnovabili dando priorità all’obiettivo generale di sviluppo loro assegnato. 

Il territorio regionale sarà così classificato: aree idonee con procedimento autorizzatorio accelerato; aree non idonee dove specifiche tipologie di impianti non si potranno realizzare; aree ordinarie dove gli impianti si potranno realizzare con il previsto procedimento autorizzatorio; aree dove sarà vietato installare impianti fotovoltaici a terra.

Le aree idonee e non idonee saranno individuate dalle Regioni con apposita legge da approvare entro il 30 dicembre 2024 (180 giorni dall’entrata in vigore del Dm 21 giugno 2024). Superato tale termine scatteranno i poteri sostitutivi statali. 

Abbiamo avuto in via preliminare la Proposta di legge regionale che fissa tale disciplina e non poche sono le perplessità e le preoccupazioni derivanti dall’aumento del consumo di suolo che ne deriverebbe, dalla mancanza di valutazioni di quanto la Calabria ha già dato in appoggio al Decreto Fonti di Energia Rinnovabile (Fer) ai fini del raggiungimento degli obiettivi 2030, e non solo.

Il nostro senso civico e la nostra sensibilità di cittadini ci obbligano a prendere posizione in merito a questo pericolo e, pertanto, invieremo la seguente lettera aperta al Presidente della Regione Calabria, al Presidente del Consiglio Regionale, agli Assessori e Consiglieri Regionali della Calabria.

“Prendo a prestito le parole di un amico che, come noi, ha a cuore le sorti della Calabria:  «Quei mostri, paradigma dell’ipocrisia di chi usa artatamente la parola rinnovabile come falso sinonimo di sostenibile, inquinano la terra e le acque con cemento tossico, falcidiano avifauna, allontanano le api, impoveriscono interi territori vocati al primario, arricchiscono pochissimi a spese di tutti, favoriscono corruzione e dinamiche mafiose, attuano un danno culturale che richiederà decenni per essere riparato (ammesso che sia riparabile). Il vero rinnovabile sostenibile sta nella microproduzione diffusa su edifici già esistenti. Questo sì, genererebbe ricchezza e posti di lavoro diffusi, sostenibilità sociale ed economica, cultura della dignità ed orgoglio locale. L’eolico industriale è una menzogna gravissima e delinquente».

Dunque, al consumo di suolo si sommano la perdita dei servizi ecosistemici, la diminuzione della qualità dell’habitat, la perdita della produzione agricola, lo stoccaggio di CO2, gli eventi climatici estremi, la capacità del terreno di assorbire e trattenere l’acqua e regolare il ciclo idrologico con danni stimati di oltre 400 milioni di euro all’anno per il nostro Paese.

Ci preoccupa che i prati spontanei, i pascoli ed i tratti distintivi delle nostre campagne e delle nostre colline, siano classificati come “superfici agricole non utilizzabili” e dunque come “aree idonee”; Mentre sappiamo bene che boschi, macchia mediterranea, garighe, prati, calanchi, pascoli, incolti, fossati, ecc., sono giacimenti vitali di biodiversità per piante spontanee, fauna selvatica a rischio di estinzione; 

Ci preoccupa che le stesse aree agricole, che dovrebbero essere al sicuro se sono inserite come tali nei piani regolatori, e le altre aree classificate non idonee, possono comunque essere asservite all’attraversamento dei cavidotti che comportano disboscamento, realizzazione di piste, scavi, distruzione, ecc.; 

Ci preoccupa che in caso di vincoli paesaggistici, l’autorità dovrà esprimersi entro trenta giorni, mentre oggi il termine è di almeno 45 giorni. E nel caso di interventi di rifacimento o ripotenziamento di impianti esistesti o già autorizzati, a prescindere dalla collocazione dell’impianto, non occorre neanche l’autorizzazione paesaggistica. Mentre nei procedimenti di autorizzazione di impianti su aree idonee, il parere obbligatorio per la Valutazione di Impatto Ambientale non è vincolante ed i termini delle procedure di autorizzazioni sono ridotti di un terzo. Mentre sappiamo bene che la Soprintendenza, da molti anni con molta fatica e non sempre con risultati ottimali, tenta di limitare gli impatti sui beni culturali e paesaggistici;

Ci preoccupa che Alle Regioni è attribuita la possibilità di stabilire una fascia di rispetto dal perimetro dei beni sottoposti a tutela, fino a un massimo di 7 chilometri di ampiezza e che tale fascia di rispetto dovrà essere discrezionalmente (ma non si sa con quale criterio) differenziata a seconda della tipologia di impianto Fer e proporzionata al bene oggetto di tutela;

Ci preoccupa che il rispetto dei principi della minimizzazione degli impatti sul territorio, sul capitale naturale, sul patrimonio culturale e sul paesaggio, è secondario agli obiettivi e alla sostenibilità dei costi correlati al raggiungimento di tali obiettivi;

Ci preoccupa che “al fine di tutelare la risorsa mare, caratterizzata dal grande valore paesaggistico/panoramico nonché economico delle coste della Calabria, sono state classificate aree non idonee le fasce costiere per una profondità di 5 km, calcolate prendendo come riferimento le strade costiere panoramiche statali SS 18 Tirrena Inferiore e la SS 106 Statale Ionica. 

Dunque, cosa succederà dopo questi 5 Km?

Ci preoccupano le fasce di rispetto dal perimetro dei parchi come il Pollino, l’Aspromonte, la Sila, le Serre, e quelli istituendi, che è ristretta a 500 metri dai confini dei parchi per gli impianti fotovoltaici ed a 5 km per gli impianti eolici o altre fonti; 

Ci preoccupa che siano classificate idonee le aree agricole distanti meno di 500 metri da impianti o stabilimenti industriali e le aree collocate entro 300 metri dalle autostrade, a prescindere se si tratta di aree di pregio; 

Ci preoccupa che nei siti, ove sono già installati impianti per produzione di energie rinnovabili, siano possibili interventi di modifica, anche sostanziale, per rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione, eventualmente abbinati a sistemi di accumulo, fino ad un aumento dell’area del 20 per cento;

Ci preoccupa che a circa 20 giorni dalla scadenza per la presentazione della proposta di legge, non siano stati opportunamente convocati e coinvolti gli enti locali;

Ci preoccupa che nella nostra Costituzione, si attribuiva la sovranità al popolo nei limiti e nelle forme previste dalla stessa Costituzione, e si desumeva il conseguente principio della partecipazione dei privati al procedimento amministrativo….in un’ottica di imparzialità tra l’interesse pubblico con quello dei soggetti privati coinvolti…

Mentre oggi si esercitano i “poteri sostitutivi” per imporre la sovranità delle multinazionali con conseguenze sul piano della tutela dei diritti e del bene pubblico, calpestati e annientati a vantaggio di privati e, ancor peggio, sacrificando aree vitali, devastando, prima di produrre, cancellando ogni forma di vita vegetale o animale e contribuendo significativamente al consumo di suolo.  

A causa della ipercementificazione selvaggia si accrescono, dunque, i rischi di cambiamenti irreversibili, il punto di non ritorno che fa presagire uno scenario di progressivo peggioramento della crisi climatica negli anni a venire che si inserisce in un territorio particolarmente fragile con trombe d’aria, frane, mareggiate, grandinate, temperature eccezionali, piogge intense, alluvioni ed esondazioni, siccità e incendi, gestiti faticosamente ed economicamente inaccettabili con logiche emergenziali. 

La minimizzazione o peggio la negazione della realtà che stiamo vivendo può risultare tragica se non agiamo con intelligenza seguendo le indicazioni dell’Ispra, secondo le quali si può e si deve evitare altro consumo di suolo nella realizzazione degli impianti senza venire meno agli impegni di produzione da rispettare entro il 2030, privilegiando l’utilizzo di superfici di strutture edificate, quali capannoni industriali, di edifici pubblici e privati, di strutture sanitare, edifici scolastici, parcheggi pubblici (leggi cittadella regionale, università, ospedali) e privati (leggi centri commerciali, autostrade, distributori carburante) ecc. 

Sarebbe sufficiente per la Calabria attenersi al Quadro Territoriale Regionale Paesaggistico (QTRP) che ha valore di piano urbanistico-territoriale con valenza paesaggistica, riassumendo le finalità di salvaguardia dei valori paesaggistici ed ambientali di cui all’art. 143 e seguenti del D.Lgs n. 42/2004.

È necessario che l’energia prodotta nel Mezzogiorno e nelle Isole sia destinata al fabbisogno locale, evitando l’ulteriore impoverimento dei nostri territori a favore di soggetti esterni e di altre aree del Paese. In quest’ottica un sostegno deciso al fotovoltaico familiare non solo non consuma suolo e non inquina, ma afferisce risorse direttamente nelle tasche delle famiglie che lo adottano.

È necessario favorire piuttosto che pregiudicare la difesa degli ecosistemi, dei paesaggi e della biodiversità nel rispetto dei nostri luoghi, della nostra storia che, secondo la nostra Costituzione, è un compito fondamentale della Repubblica.

(Italia Nostra sezione Alto Tirreno Cosentino, Vibo Valentia, Lamezia Terme, Crotone e Soverato-Guardavalle)

SFRUTTARE I FONDI DEL PNRR CONTRO
IL CONSUMO DEL SUOLO IN CALABRIA

di GIOVANNI MACCARRONEL’estate ho l’abitudine di lasciare una vaschetta piena d’acqua in giardino. Serve al mio cane per rinfrescarsi durante le giornate di caldo afoso. Siamo alla fine di novembre e quella vaschetta continuo a tenerla in giardino. Il cane ci va spesso perché fuori le temperature sono ancora alte.

Ma cosa sta succedendo. Ovunque si guardi, il clima sembra essere veramente impazzito.  Basta guardarsi attorno per capire che qualcosa è cambiato. I climatologi stimano che l’aumento della temperatura terrestre ha sicuramente un effetto diretto sull’innalzamento della temperatura superficiale dei mari, che si traduce in una maggiore quantità di vapore acqueo nell’atmosfera. Un’atmosfera con più vapore acqueo favorisce l’insorgenza di eventi atmosferici più imprevedibili e impetuosi 

Come più volte segnalato, l’aumento della temperatura terrestre è dovuta principalmente all’attività dell’uomo. L’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change, Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, emanazione dell’Onu) ha fatto notare che esiste un forte legame fra utilizzo di fonti fossili (carbone, petrolio e gas naturale) e l’incremento delle emissioni di gas come anidride carbonica (CO2), metano, protossido di azoto e idrocarburi alogenati che impediscono al calore prodotto dalla terra di ritornare in buona parte nello spazio e fanno salire la temperatura del pianeta (c.d. effetto serra antropico che si aggiunge all’effetto serra naturale).

Bisogna, quindi, fare di tutto per abbandonare le fonti fossili e sviluppare sempre più le fonti di energia rinnovabili. Diversamente, le cose potrebbero presto addirittura peggiorare con l’insorgenza di numerosi processi climatici avversi legati all’innalzamento delle temperature, come ad esempio ridotte precipitazioni, siccità e fenomeni di degradazione del suolo. Inoltre, come abbiamo avuto modo di notare negli ultimi anni, l’aumento della temperatura non ha solo un effetto diretto sul processo di desertificazione. Al contrario, si stima che potrebbe verificarsi un ulteriore aumento della piovosità in certe aree geografiche con un possibile conseguente aumento delle inondazioni in queste zone

È terribile quello che sta accadendo. Pertanto, è subito necessario adottare provvedimenti urgenti per invertire la rotta a causa del riscaldamento globale. Soprattutto, occorre adottare misure coerenti al fine di far tornare il clima globale a qualcosa che si avvicini il più possibile al normale. 

Il problema è che se è vero che i difensori della lotta al mutamento climatico (che oggi si chiama “decarbonizzazione”) pensano che la transizione energetica ed ecologica (cioè il passaggio da un sistema di produzione di energie basato soprattutto sulle fonti fossili – quali il carbone, che ad oggi è la più grande fonte di emissioni globali di carbonio e che ha toccato un +9% nel 2021, il petrolio e il gas naturale – alle fonti rinnovabili) possa avvenire attraverso l’energia solare, l’eolico (inclusi gli impianti off-shore), gli impianti di biometano e la promozione dell’agri-voltaico, è altrettanto vero però che essi rimangono totalmente indifferenti davanti alla considerazione secondo la quale l’interesse sotteso alla realizzazione e alla ricerca di fonti energetiche alternative è normalmente non già quello di tutela ambientale ma quello economico imprenditoriale del soggetto privato ad effettuare un investimento pubblico.

Per cui, in qualche modo, si continua ad avallare un modo di pensare che, attraverso la spinta alla realizzazione e allo sviluppo delle fonti di energia rinnovabili, tutela indirettamente la creazione di uno strumento economico.

Invece, bisognerebbe evitare questa strumentalità al mercato delle fonti rinnovabili. Così come bisognerebbe evitare di pensare ancora oggi che “occorre una severa comparazione tra i diversi interessi coinvolti nel rilascio dei titoli abilitativi — ivi compreso quello paesaggistico — alla realizzazione ed al mantenimento (come nel caso di specie, trattandosi di un procedimento di sanatoria) di un impianto di energia elettrica da fonte rinnovabile. Tale comparazione, infatti, nei casi in cui l’opera progettata o realizzata dal privato ha una espressa qualificazione legale in termini di opera di pubblica utilità, soggetta fra l’altro a finanziamenti agevolati (a pena di decadenza senza il rispetto di tempi adeguati) non può ridursi all’esame dell’ordinaria contrapposizione interesse pubblico/interesse privato, che connota generalmente il tema della compatibilità paesaggistica negli ordinari interventi edilizi, ma impone una valutazione più analitica che si faccia carico di esaminare la complessità degli interessi coinvolti. Ciò in quanto la produzione di energia elettrica da fonte solare è essa stessa attività che contribuisce, sia pur indirettamente, alla salvaguardia dei valori paesaggistici” (cfr. in specie Consiglio di Stato, sez. V, 12 aprile 2021, n. 2983, ma nello stesso senso Consiglio di Stato, sez. VI, 9 giugno 2020, n. 3696 e Consiglio di Stato, sez. VI, 23 marzo 2016, n. 1201).

Lo sviluppo economico imprenditoriale del privato rappresenta certamente un interesse meritevole di tutela (ai sensi dell’art. 41 Cost.), ma non deve necessariamente porsi in modo da compromettere la qualità dell’ambiente e la disponibilità delle risorse naturali, la qualità della vita. A tale soluzione è pervenuto di recente il nostro legislatore che ha provveduto ad integrare l’art.41, secondo cui “la libertà dell’azione economica privata non può danneggiare la salute e l’ambiente“.

In tal senso, del resto, già l’art. 3-quater del “codice dell’ambiente” che, in proposito, ha, per l’appunto, esplicitato la regola per cui, in applicazione del principio dello sviluppo sostenibile, in qualsiasi procedimento amministrativo che comporti il bilanciamento di istanze e interessi pubblici e privati contrapposti, l’interesse alla tutela ambientale deve essere tenuto in prioritaria considerazione nella ponderazione e comparazione degli interessi in gioco.  

Pertanto, per ridurre le emissioni di gas serra e garantire un futuro energetico più pulito e sostenibile, le fonti energetiche alternative sono cruciali. Come già detto in altra occasione, sarebbe auspicabile, però, che tale riduzione non finisca per tradursi in un ulteriore pregiudizio per l’ambiente, la qualità dei paesaggi e in un ulteriore depauperamento delle risorse ecosistemiche (e non solo alimentari) dell’agricoltura.

Pur affermando che le fonti rinnovabili possono dare un forte impulso al cambiamento climatico, si deve tuttavia riconoscere che soprattutto in territori come il nostro, dove la perdita di superficie utile per il settore agricolo è già imponente a causa della cementificazione spinta e l’erosione collinare, l’introduzione di quantità considerevoli di impianti di energia elettrica da fonti rinnovabili (in particolare eolico e fotovoltaico) determinerebbe inesorabilmente uno scenario “catastrofico, “apocalittico”.

La Calabria con i suoi 479.000 ettari si pone tra le regioni italiane con il più alto indice di boscosità. Nell’ultimo cinquantennio, tuttavia, abbiamo avuto una forte perdita di alberi determinata in particolar modo dagli incendi boschivi. Inoltre, nel tempo abbiamo avuto anche una forte perdita di superficie utile per il settore agricolo. Tutto questo è stato in generale determinato dai fenomeni erosivi (molto più evidenti nel versante ionico rispetto a quello tirrenico) a loro volta favoriti dai numerosi e ripetuti incendi estivi che hanno ridotto sensibilmente la buona copertura vegetale di tipo arboreo o arbustivo del nostro territorio. Nello specifico, invece, la perdita di suolo è stato anche determinato dalla cementificazione spinta che negli anni ha sottratto al settore primario imponenti superfici.

Pensate, quindi, cosa potrebbe accadere in futuro se non riuscissimo a fermare l’ulteriore consumo del suolo provocato da un incremento considerevole dei parchi eolici oppure di campi fotovoltaici. Possiamo solo immaginare uno scenario “apocalittico e un territorio completamente devastato dal forte incremento delle aeree impermeabilizzate realizzato anche grazie al d.lgs 29 dicembre 2003, n. 387 che, nel prevedere espressamente all’art. 12, comma 1, che “le opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli stessi impianti, autorizzate ai sensi del comma 3, sono di pubblica utilità”, sostanzialmente spiana la strada all’espropriazione per pochi soldi delle aree agricole.

Quello che addolora è constatare che in futuro con molta probabilità la bellezza dei territori calabresi verrà completamente sacrificata in nome di una riduzione su scala globale del gas ad effetto serra, dietro la quale – dobbiamo proprio dirlo – “agiscono in realtà molto concreti e potenti interessi economici locali delle imprese del settore (finanziati con lauti incentivi statali, a carico della finanza pubblica e delle bollette dei consumatori)”.

Mi auguro che ciò non accada. Anche perché da un certo punto in avanti non ci sarà più modo di tornare indietro. La nostra generazione e soprattutto quella precedente hanno già causato enormi criticità ambientali. Perciò, in futuro, bisogna intervenire energicamente per migliorare le condizioni di vita sul pianeta e garantire alle nuove generazioni l’accesso a un ambiente pulito e salubre (a tal fine gli stati che aderiscono all’Onu si sono infatti impegnati con l’Agenda 2030 a mettere a punto un piano per il miglioramento delle condizioni di vita sul pianeta entro tale data; inoltre, nell’art. 9 della nostra Costituzione recentemente è stato aggiunto: “Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni.”).

Non c’è più tempo da perdere, dobbiamo mettere a frutto la normativa vigente e, in particolare, l’articolo 9, comma 1 del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77 (convertito con modificazioni dalla legge 29 luglio 2021 n. 108), il quale precisa che “alla realizzazione operativa degli interventi previsti dal Pnrr provvedono le Amministrazioni centrali, le Regioni, le Province autonome di Trento e di Bolzano e gli Enti locali, sulla base delle specifiche competenze istituzionali, ovvero della diversa titolarità degli interventi definita nel Pnrr, attraverso le proprie strutture, ovvero avvalendosi di soggetti attuatori esterni individuati nel Pnrr, ovvero con le modalità previste dalla normativa nazionale ed europea vigente”.

L’attuazione del Pnrr (che è il mezzo con cui, all’interno di ciascuno Stato, si realizzano gli obiettivi di Next Generation Eu) avviene secondo un cronoprogramma con millestones (traguardi) definite e il trasferimento delle risorse avviene periodicamente per tranches, a seguito di un procedimento di verifica del conseguimento da parte dello Stato dei traguardi.

Ogni indugio e ritardo delle amministrazioni pubbliche, compreso le nostre, può compromettere il rispetto del cronoprogramma stabilito, bloccando, alla scadenza prevista, l’erogazione da parte dell’Eu delle tranche di risorse stanziate.

Per cui, compromettere l’attuazione del Pnrr equivale ad impedire ai soggetti attuatori la realizzazione delle Missioni (il Pnrr prevede sette Missioni a loro volta suddivise in sedici componenti e 216 Misure) e, per quello che ci interessa, della Missione 2 relativa ad “Energia rinnovabile, idrogeno, rete e transizione energetica e mobilità sostenibile” che prevede ingenti stanziamenti finalizzati alla crescita delle rinnovabili, al potenziamento delle infrastrutture di rete e all’utilizzo dell’idrogeno che può essere generato anche da rinnovabili e, in tal caso, viene specificamente definito come “verde” per distinguerlo da quello generato da altre fonti.

Con la conseguenza che l’eventuale inerzia amministrativa da parte dei nostri enti locali viene a pregiudicare gravemente la realizzazione di interventi diretti a contribuire alla lotta (globale) ai gas serra, quali l’installazione di impianti diretti allo sfruttamento dell’energia solare, idrica, del vento, geotermica, delle biomasse (come i rifiuti organici), delle onde, delle correnti e delle maree, oppure di interventi finalizzati allo sviluppo della filiera idrogeno verde pari a €3,64 miliardi (di questi, il Governo ha già stanziato €500 milioni per la creazione di 52 Hydrogen Valley in aree industriali dismesse).

Quindi, armiamoci di santa pazienza e vediamo se le istituzioni pubbliche hanno l’intenzione seria di adottare – in tempi brevi – le misure connesse con la tutela dell’ambiente e, soprattutto, se sono in qualche modo in grado di impedire o al massimo di limitare il consumo di territorio e di paesaggio.

“Chi vivrà vedrà” (dalla canzone “Gianna” di Rino Gaetano). Speriamo bene. (gm)