VIOLENZA NELLE SCUOLE, SI ISTITUISCA UN
OSSERVATORIO PROVINCIALE SUL DISAGIO

di GUIDO LEONE –  Gli episodi sono ormai all’ordine del giorno ed è una escalation rispetto agli anni scorsi. La scuola non può essere l’unica a dare risposte per risolvere il fenomeno del bullismo e della violenza giovanile. In questa azione di prevenzione è necessario costituire una rete fra tutte le agenzie educative.

Già nel 1996 quando iniziarono i primi studi scientifici sul bullismo si registrò un 40% di alunni vittime di soprusi. Non si tratta sempre di violenze fisiche. Ci sono anche quelle verbali e anche forme che portano all’isolamento sociale del soggetto debole fino all’esclusione e alla diffusione di menzogne su di lui. E in quest’ultimo caso si arriva al ricorso della moderna tecnologia con la diffusione via Internet e on line delle foto o foto dell’atto di violenza. No il problema non è sottovalutato. L’importante è averlo evidenziato e adesso cercare di dare un soluzione immaginando che nessuna campagna avrà efficacia se la scuola non sarà sostenuta da famiglie e istituzioni sul territorio.

Gli ultimi dati sono disarmanti

In Italia più di uno studente su quattro sostiene di essere stato vittima di bullismo. Il dato emerge dallo studio effettuato dal ministero dell’Istruzione riguardante l’anno scolastico 2022/23. Il monitoraggio ha interessato 185 mila studenti delle scuole superiori di tutta Italia e ha l’obiettivo di dare una panoramica generale del fenomeno. Per dare dei numeri precisi, il 27% degli intervistati ha dichiarato di aver subito atti di bullismo, una percentuale in forte crescita rispetto all’ultima rilevazione, considerando che il numero era fermo al 22,3% nel 2020/21. Nella maggior parte dei casi si tratta di episodi isolati e occasionali. Ma sono in aumento anche quelli sistematici, dal 2,9% del 2020/21 al 5,4% del 2022/23.

Il Bullismo origina spesso nelle aule scolastiche

In base all’indagine dell’Osservatorio in difesa, realizzato da Terre des Hommes, insieme a OneDay e alla community di ScuolaZoo, la scuola è il luogo più probabile dove subire violenza. Il 65% dei giovani dichiara di essere stato vittima di violenza a scuola e tra questi il 63% ha subito atti di bullismo e il 19% di cyberbullismo, mentre la percentuale di chi ha subito una violenza, sia fisica che psicologica, sale al 70% se si considerano le risposte delle ragazze e all’83% tra chi si definisce non binario e scende al 56% tra i maschi.

Anche le tipologie di violenza subite sono diverse tra i generi, a eccezione delle violenze psicologiche e verbali che colpiscono in egual misura maschi e femmine (71% in generale e per le femmine; 69% per i maschi).

Bullismo e cyberbullismo, così come le violenze psicologiche e verbali, per il 79% dei casi  prendono di mira soprattutto l’aspetto fisico, poi l’orientamento sessuale (15%), la condizione economica (11%), l’origine etnica e geografica (10.5%), l’identità di genere (9%), la disabilità (5%) e la religione (4%).

Le conseguenze sono abbastanza pesanti

In capo a tutti la perdita di autostima, sicurezza e fiducia negli altri, riscontrata dal 75% dei giovani, mentre il 47% affermi di soffrire di ansia sociale e attacchi di panico e per il 45% è motivo di isolamento e allontanamento dai coetanei. Gli altri effetti negativi sono: difficoltà di concentrazione e basso rendimento scolastico (28%), depressione (28%), paura e rifiuto della scuola (24%), disturbi alimentari (24%), autolesionismo (20%).
Tra le violenze fisiche, di cui è stato testimone il 46.5% dei ragazzi, le più frequenti sono le aggressioni (68%) e gli scherzi pesanti (63%).

Anche il web è percepito come il luogo dove è più probabile essere vittime di violenza, indicato dal 39% delle risposte, segue la strada (41%).

La violenza in classe viene esercitata anche contro il personale scolastico

Docenti accoltellati da studenti, altri presi di mira con pallini di gomma mentre sono in cattedra, presidi schiaffeggiati, personale scolastico aggredito da familiari degli alunni. È solo una parte dei casi di cronaca che si sono verificati nell’ultimo periodo. Le scuole sono diventate, a conti fatti, dei ring. Ad avere la peggio sempre più spesso è il personale. Che le violenze ai danni del personale scolastico siano in aumento lo dicono i numeri. Lo scorso anno sono state in tutto 36. Quest’anno sono già 28. E sempre più spesso gli autori delle aggressioni non sono gli allievi, ma i genitori (casi in aumento del 111% rispetto allo scorso anno).

Secondo una indagine di Skuola.net, che ha coinvolto un campione di 2.000 studenti delle classi secondarie superiori, per oltre un quinto (21%) le aggressioni sono figlie dell’atteggiamento delle famiglie, che oggi tendono a giustificare sempre e comunque i figli. Mentre oltre 1 su 10 (il 14%) sostiene che ciò accade perché gli insegnanti hanno perso il blasone e l’autorevolezza del passato. Ma la fetta più grande (37%) individua nella società nel suo complesso la fonte della violenza: l’aggressività è ovunque e i giovani non sfuggono al “contagio”.

Nonostante un’escalation del genere, però, la risposta di docenti e dirigenti scolastici è sinora stata abbastanza morbida, forse per timore di ulteriori repliche ma anche per la consapevolezza di non avere nelle famiglie degli alleati su cui poter contare ciecamente.

Basti pensare che, in base al racconto degli studenti interpellati dal sondaggio di Skuola.net, quando sono accaduti episodi che hanno avuto strascichi disciplinari, la maggior parte dei genitori non si è schierata apertamente dalla parte dell’insegnante: in circa la metà dei casi (49%) le famiglie solitamente hanno voluto approfondire la questione, mentre in quasi un terzo (29%) hanno optato per la strenua difesa dei figli; solamente il 22% ha invece raccontato che la «denuncia» formale della scuola ha trovato sempre terreno fertile e appoggio da parte dei famigliari dell’aggressore.

La questione educativa interpella, dunque, sempre più il mondo adulto

Oggi più che mai. I giovani sono figli del tempo che vivono e sono la proiezione di quanto il mondo adulto propone e testimonia. Certo ci sono delle responsabilità e sono di quanti in questi decenni hanno condotto un sistematico smantellamento di quella cultura educativa fatta di regole da rispettare, di buoni comportamenti. Gli adulti devono vigilare di più e soprattutto devono ricordarsi di essere modelli per i giovani. Infatti tra i fattori di rischio per il bullismo c’è anche lo stile educativo che alcuni genitori assumono:troppo permissivo o troppo autoritario. Messaggi che lasciano ai ragazzi l’idea che la prevaricazione sia un modello di affermazione sociale.

E poi ci sono  i messaggi della televisione, di trasmissioni televisive che coltivano  il peggio della nostra umanità, di internet, degli stessi videogiochi. Rispecchiano modalità di vita che non fanno passare modelli positivi di responsabilità, di attenzione agli altri, di senso del dovere, di impegno, di onestà.

Come prevenire il bullismo allora?come intervenire di fronte ai comportamenti pre-devianti?

Il bullismo può originare anche dall’esasperazione di conflitti presenti nel contesto scolastico. Il conflitto è da considerarsi come un campanello d’allarme e può degenerare in forme patologiche quando non si hanno gli strumenti che permettono di riconoscerlo, esprimerlo e gestirlo in un’ottica evolutiva dei rapporti. Se non gestito, il conflitto rischia di mutarsi e provocare effetti distruttivi sulle relazioni (prevaricazione e sofferenza) e sull’ambiente (alterazione del clima gruppo).

Prevenire e affrontare il bullismo, dunque, significa non solo identificare vittime e prepotenti, ma affrontare e intervenire sul gruppo dei pari nel suo insieme.

La classe è , nello specifico, il luogo privilegiato in cui, dopo il verificarsi di un caso di bullismo ma anche nell’intento di prevenire il dilagare di certi fenomeni, si deve svolgere l’irrinunciabile azione educativa a favore di tutti gli studenti, coinvolgendo i genitori degli allievi e delle allieve e tutti i docenti.

La cronaca ci  riserva negli ultimi tempi anche  notizie di insegnanti resisi responsabili di episodi sconcertanti

Di fronte a comportamenti di tale gravità la risposta possibile è: tolleranza zero. Migliaia e migliaia di insegnanti seri della scuola italiana non meritano di essere screditati da pochi irresponsabili, sì da parlare di bullismo alla rovescia.

Sottolineare invece che è il caso di ripensare il percorso formativo dei futuri docenti questo sì. Nella formazione necessita più preparazione pedagogica e psicologica. Il mestiere dell’insegnante non può essere omologato agli altri, ha una sua specificità che consiste nel non gestire pratiche di ufficio ma relazioni umane intanto e su queste innescare i meccanismi dell’apprendimento.

Sono spie di un malessere ,di situazioni di inadeguatezza che forse ci fanno capire che è giunto il momento di iniziare a rivedere i meccanismi di selezione degli educatori; ma  che è anche necessario un forte sostegno alla professione docente, riconoscere alla scuola dentro la società l’importanza che merita,  richiamare al senso di responsabilità tutti coloro che hanno un ruolo fuori e dentro la scuola nel percorso di formazione dei nostri ragazzi.

È arrivato, dunque, il momento in cui si giochi la partita tutti insieme. Quali proposte intanto?

La scuola è comunque  testimone di ciò che avviene al suo interno e, dunque, anche delle situazioni di difficoltà, disagio, disadattamento, sofferenza dei propri studenti e, perché no, dei propri insegnanti ,che, ancorché non prodotti da fatti-reato, ovvero prodotti da reati non procedibili, dovrebbero tuttavia mobilitare interventi di sostegno e di rieducazione da parte delle istituzioni. Va riconosciuta la necessità di rimotivare l’azione della scuola nei confronti del disagio, coinvolgendo i servizi sociosanitari del territorio per istituzionalizzare il servizio di counseling scolastico non solo per gli allievi, anche per docenti e genitori.

Magari un servizio strutturato di psicologia scolastica, frutto di una intesa inizialmente sperimentale tra Assessorati Regionale alla Sanità e alla P.I.,Ufficio scolastico regionale e Ordine regionale degli psicologi, presso istituti secondari riconosciuti come scuole a rischio per contesto sociale o per consistente numero di popolazione scolastica (è il caso di Reggio), o altro significativo indicatore sociale.

La presenza dello psicologo contribuirà al miglioramento della vita scolastica, supporterà anche le famiglie, migliorerà la qualità dei servizi offerti dalle istituzioni scolastiche e fronteggerà, prevenendoli, i fenomeni di insuccesso formativo, di abbandono, di dispersione e, di disagio giovanile, in particolare il bullismo.

Così come va rilanciata la creazione di un organismo di studio e di analisi, come potrebbe essere un Osservatorio provinciale sul disagio minorile e giovanile, in grado di monitorare il fenomeno e tracciare delle linee guida di intervento, con iL coordinamento di tutte le agenzie educative del pubblico e del privato sociale da parte della Prefettura. (gl)

[Guido Leone è già dirigente tecnico USR Calabria]

CALABRIA, POLITICHE GIOVANILI: UNA RETE
AD ARGINARE E CURARE DEVIANZA E DISAGI

In Calabria, come in tutta Italia, il disagio giovanile è un problema che non può essere ignorato. Una piaga che bisogna combattere e che si può e deve affrontare attraverso non solo misure, ma anche strumenti adeguati per aiutare le famiglie e i ragazzi affinché non si ripetano più i tanti e deplorevoli episodi di violenza registrati nella nostra regione.

«In un tempo ‘inquinato’ dall’individualismo e dall’inasprimento della violenza che vede protagonisti, soprattutto i giovani, è fortemente necessario lavorare sulla prevenzione del disagio attraverso interventi formativi, aggregativi che promuovano personalità giovanili forti e resilienti rispetto alle vulnerabilità della vita», aveva dichiarato la vicepresidente della Regione, Giusi Princi, nel presentare la misura a favore delle Politiche Giovanili a settembre.

«Dobbiamo affrontare le tante forme di disagio che esistono nella nostra comunità, tra cui quello economico, sociale, culturale e, soprattutto, quello giovanile», aveva dichiarato a marzo il sindaco di Catanzaro, Nicola Fiorita, nel corso di una iniziativa sul tema.

La sua vice, Giusy Iemma, ha ribadito la necessità di «cambiare passo, imparare a dialogare, a costruire una rete sociale proattiva che si preoccupa di dare spunti ed opportunità ai nostri giovani».

Antonio Marziale, garante regionale dell’Infanzia e dell’Adolescenza, presente all’incontro, aveva ribadito la necessità di «ricostruire, negli adulti, la percezione dell’adolescenza. Siamo immersi in una società  in cui l’adolescente quasi non esiste, perché si passa dall’infanzia all’essere considerati adulti».

«Questo – ha spiegato – è un vizio che abbiamo come genitori ma anche come società e come istituzioni”. “Dobbiamo responsabilizzarci come adulti ad accompagnare questo passaggio – la conclusione del garante – all’interno del quale, non avendo guide, gli adolescenti si smarriscono e ricadono in comportamenti devianti».

Ma quali sono le origini della devianza giovanile contemporanea? Perché si verificano questi fenomeni? A tutto ciò risponde il dott. Franco Leone, sociologo presso l’Asp di Cosenza, intervistato dal Centro di Ricerca Cresesm.

A cosa è imputabile il disagio giovanile?

«Certamente il disagio giovanile attuale è imputabile alla serie di fattori: credo che il disagio psichico, in età adolescenziale, si caratterizzi come problema multifattoriale. Esso riguarda ambiti legati alla sfera della realtà personale e socio-ambientale in cui il giovane vive e sviluppa la propria personalità».

Quali sono le cause che fanno esplodere la violenza di adolescenti e giovani?

«Il fenomeno dell’agire violento da parte di alcuni giovani va inquadrato in ambito personale e sociale. Solitudine, mancanza di riferimenti, paura del confronto paritetico con l’altro sesso, subcultura patriarcale, stimoli negativi dai media, dilagare della pornografia, cultura dell’avere tutto e subito, disagio genitoriale, disvalori sociali; e inoltre consumismo affettivo, superficialità relazionale, agenzie educative primarie e secondarie silenti o inadeguate, che arrancano dietro a uno sviluppo repentino delle mode e dei consumi, guerre e offese alla natura e al creato, costituiscono i fattori di rischio in cui si innesta l’agire violento in generale».

 Vi sono altre concause?

«Una specifica attenzione va riservata al mondo dei social. Le nuove generazioni sono sottoposte a notevoli e molteplici impulsi negativi veicolati ad una velocità sorprendente dai mezzi tecnologici. A portata di pochi clic un mondo feroce e insano, deforme e bugiardo, disfunzionale e disvaloriale si offre alla mente dei giovani, deturpandone lo sviluppo e la coscientizzazione dei processi conoscitivi che prima avvenivano con gradualità e con l’accompagnamento di adulti e figure parentali-educative di riferimento>.

 Vi sono giovani che fanno uso di sostanze allucinogene: spesso si registra la presenza di cani antidroga nelle vicinanze di alcuni istituti scolastici

«L’uso di sostanze allucinogene stimola il bisogno di emulare i componenti del gruppo ed un senso innato di gregarietà per non distinguersi dal gruppo dei pari, rappresentano un enorme stimolo all’agire scorretto e autolesionista tipico di chi fa uso di sostanze psicotrope. Quindi, più che rafforzare, le droghe tendono a indebolire la rappresentazione del sé».

Le agenzie educative svolgono un ruolo importante nella formazione dell’adolescente 

«Le agenzie educative primarie (famiglia) e secondarie (scuola, gruppi, associazioni, mondo religioso, ecc.) annaspano dinanzi alla velocità dei cambiamenti e delle mode. Senza demonizzare le tecnologie e gli stessi giovani, le agenzie educative devono confrontarsi con loro e accompagnarli con amore e con lo sforzo di capire i contenuti di cui essi si cibano, cercando di indirizzare la loro voglia di vivere verso mete nobili. Se i giovani hanno difficoltà a inserirsi armonicamente nella società forse è anche perché noi adulti gli stiamo costruendo un modo disvaloriale. Quindi bisogna fare anche un’onesta autocritica da parte nostra».

 In pratica gli adolescenti e i giovani vanno alla ricerca di cosa? 

«La contrapposizione generazionale dovuta all’incomprensione crea un disagio comunicativo. Criticare sempre e solo, senza capire, ascoltare, cercare il buono e il bello che c’è nel cuore di tutti i giovani significa dichiarare guerra e rinchiudersi in una sterile autodifesa che a sua volta ricrea il circolo vizioso della incomunicabilità fra generazioni».

Le agenzie educative si impegnano adeguatamente per la costruzione della persona?  

«La scuola spesso viene indicata come il capro espiatorio su cui sfogare le delusioni e l’impotenza di noi adulti quando constatiamo il fallimento dell’approccio educativo. Certo, la scuola ha la finalità di formare informando, ma al tempo stesso ha quella di liberare le capacità dei singoli costruendo sulle potenzialità individuali, sfuggendo alla tentazione della rigidità dei programmi e dei comportamenti. La sfida sta tutta in questi termini: informare, rispettare, accompagnare, liberare. Se ai giovani non viene parlato questo linguaggio essi tenderanno sempre più a isolarsi, ad avere atteggiamenti autolesivi o di aggressione verso il gruppo dei pari e verso le figure considerate come “altre da sé».

La famiglia, la scuola e la pandemia cosa hanno provocato fra i giovani?   

«Le figure degli specialisti sono fondamentali ma non devono sostituirsi alle figure parentali. Devono accompagnarsi vicendevolmente e stabilire strategie condivise fra scuola e famiglia, per aiutare il giovane a ricercare quell’equilibrio perduto. La pandemia ha notevolmente contribuito a creare solitudine e senso di spaesamento soprattutto negli adolescenti che maggiormente hanno bisogno di relazioni e integrazione nel gruppo dei pari».

Gli adulti sono “incapaci” di dare ai giovani il buono esempio?  

«Nessuno può dire di non essere all’altezza di un compito educativo insito nella natura umana. Intelligenza, umiltà, ascolto, proposta e testimonianza di valori vissuti e praticati da parte degli adulti sono sempre possibili. I giovani ci guardano sempre e ci giudicano dalla nostra coerenza e serietà. Si sentono traditi quando tra il dire e il fare si frappone sciatteria e noncuranza da parte degli adulti.  Non si tratta quasi mai di salute mentale, ma di disagio personale e sociale. I disvalori tendono a suggerire di avere tutto e subito, a scapito dell’essere individuo di senso e di significato. La subcultura del possesso, la fragilità nell’accettare un rifiuto, la violenza verbale in famiglia e nel mondo dei media, tendono a scatenare l’agire violento».

I cellulari, i social, gli smartphone sviluppano dipendenza fra i giovani? 

«Stabilire ex-cattedra un orario per l’uso degli strumenti tecnologici è sciocco e controproduttivo oltre che impossibile e illusorio. Decidere insieme un uso adeguato e in momenti adeguati è molto più possibile e corretto. Confrontarsi poi sui contenuti appurati in rete dai giovani e dagli stessi adulti con cui convivono sarebbe poi un degno elemento di armonia esperienziale fra generazioni.  I social sono per i giovani ciò che per noi era il telefono fisso o la corrispondenza cartacea qualche decennio fa. Ogni epoca ha le sue peculiarità positive e negative. Non bisogna criminalizzare il presente solo perché stupidamente ne abbiamo paura non riuscendone a leggere i contenuti in quanto precari nella formazione informatica. Lo psicoterapeuta – secondo me – senza il dialogo con le figure adulte parentali e non di riferimento del giovane, può essere utile ma non risolutivo».

La sfera affettiva e sessuale come viene vissuta dai giovani?

«Quando tutta una cultura dilagante propone al giovane una visione dell’amore come cosa da ottenere, sempre e comunque, e non come progetto da costruire e condividere con un essere paritetico, allora si creano gli squilibri di cui la cronaca si riempie in questi tempi. All’amore inteso come donazione e incantamento stiamo sostituendo una visione dell’amore inteso come possesso e sfruttamento. La colpa di questo credo sia più degli adulti che dei giovani ai quali si propone una subcultura del successo, dell’avere, del piacere subito e comunque. Credo comunque che ogni epoca ha in sé gli strumenti per riprendersi e per non sprofondare completamente nel nulla».

Il prof. Luigi Troccoli: Le aggressioni alle giovani donne è dovuto all’istinto di possesso

Sulla ricerca della devianza giovanile, avviata dal Centro studi Cresesm, è intervenuto Luigi Troccoli, già Ispettore periferico del Miur, Dirigente scolastico della Provincia di Cosenza, nonché docente, scrittore e giornalista, che ha affrontato il problema del mondo contemporaneo giovanile alla luce della sua esperienza.

«Il disagio giovanile contemporaneo è stato aggravato dalla pandemia, ma non è attribuibile esclusivamente ad essa, se è vero che c’era prima e continua ancora adesso. Le aggressioni alle donne – ha osservato Troccoli – che intendono interrompere le relazioni credo che abbiano cause ancestrali. Esse si verificano anche da parte di uomini che sembrano avere avuto un vissuto normale in famiglie coese. C’è, purtroppo, l’istinto di possesso che non viene rimosso quando l’altra si allontana e genera un senso di sconfitta, che innesca frustrazione e incapacità di vedere oltre la rottura della relazione, determinando un blocco di prospettiva di vita, del quale è ritenuta responsabile la partner».

Troccoli ha continuato sull’uso delle droghe da parte dei giovani, inserendo il problema nel contesto più vasto della società contemporanea.

«L’uso di droghe è connesso a cause molteplici. La pressione del gruppo – ha proseguito Troccoli – il desiderio di essere accettati, la fragilità derivante spesso da situazioni familiari deflagranti. Infine, la curiosità che spesso è la porta invisibile che apre alle dipendenze. Sono tanti i giovani che si inseriscono nel mondo del lavoro, lasciando spesso famiglie ed affetti e dirigendosi fuori regione o all’estero».

«Pertanto, non generalizzerei – ha aggiunto –. In questo campo si generano anche differenze tra chi intraprende e chi attende. Nel mondo di oggi, in cui i bambini ed i ragazzi sono chiusi nei condomini ed avulsi dalla strada, che era l’educatrice prima, con la matrice solidale e stimolante del vicinato, i rapporti interpersonali sono creati artificialmente, senza l’aggregazione spontanea ed irriflessa tipica del gruppo dei vicini, o nelle palestre o nelle esangui reti digitali. Qui, empatia, fantasia, creatività, scontri tra pari, invenzioni di giochi e di regole davano sfogo e risalto a crescite autonome e autocostruite».

«Ad esempio, la lettera della liceale che parla della mancata di costruzione della persona da parte della scuola – ha proseguito –. La scuola italiana non è un costrutto uniforme ed omogeneo. Anche perché il docente, come gli studenti, non sono tutti uguali. C’è chi enfatizza il valore formativo delle discipline; c’è chi privilegia la relazionalità. Fatto sta che, in un mondo globalizzato e non parcellizzato in realtà politiche chiuse, in cui la competitività aumenta di livello ogni giorno che passa sia nel lavoro dei singoli sia nelle imprese, la realizzazione di sé esige anzitutto duraturi potenziamenti culturali. Proprio perché la debolezza da isolamento è visibile nei giovani, l’ingresso della figura dello psicologo nella scuola mi sembra non più procrastinabile».

 Il ruolo della scuola, l’uso dei cellulari, dei social e della rete, la violenza di genere sono oggetto di riflessione da parte dell’ex dirigente scolastico della provincia di Cosenza.

«Una cosa è certa: si è diluita la capacità della scuola di esigere o di evocare rispetto – ha sottolineato – e si è attenuato il timore dell’autorità, sia perché i genitori non sono più alleati della scuola, ma dei figli, sia perché la scuola è da alcuni anni affetta da una sorta di manifesta difficoltà a reprimere gli errori ed a dare risalto inconfondibile al valore prospettico dell’impegno negli studi. Ritengo che i cellulari a scuola non debbano entrare. O non si portano o devono essere disattivati. Anche social e rete ormai permeano la vita dei ragazzi e dei giovani. Usati con parsimonia e con finalità mirate integrano la capacità di acquisire conoscenze». 

«Il discrimine tra questa utilizzazione e quella ludica e disgregante sul piano morale e della formazione – ha concluso – sta nella capacità della scuola di esemplificare l’uso buono del mezzo e rigettarne gli impieghi perversi. È  un’opera difficilissima, alla cui efficienza la famiglia potrebbe contribuire. La ventenne violentata dopo essere stata drogata. L’abiezione morale di chi fa questo denota l’emersione dell’istinto non scomparso della sopraffazione dell’altro, per fini di piacere. È l’uomo nel quale scompaiono migliaia di anni di evoluzione sociale, annullata, in un gesto, e riportata nella logica primitiva del possesso di ogni cosa che si ritenga essere un bene». (rrm).

I GIOVANI CALABRESI E IL DISAGIO SOCIALE
NO, GIOVANI E BASTA, CUI OFFRIRE FUTURO

di GIUSY STAROPOLI CALAFATI – No, non parlate di giovani “calabresi”, come a voler intendere, giovani “con il marchio fisso”, quando raccontate di pistole e risse violente.

L’audience sale, è ovvio, l’etichetta calabra ha un certo appeal, ma vi prego, non girate maniacalmente il coltello nella piega e a scopo strettamente commerciale, o per motivi di tornaconto. Tanto vale targarli alla nascita, questi figli, e sulla loro culla scrivere: disgraziati, figli di puttana, mafiosi. 

Aiutate invece a recuperare il tessuto sociale mancante che li disgrega. Contribuite, ognuno con le proprie competenze, a rimarginare le ferite che li fanno soffrire. A curarle. Generalizzare, come se la testa di cazzo di pochi, fosse quella di tutti, non è giusto. È bastardo e irregolare. I giovani calabresi, quelli responsabili, sono ben altro e ben altri. E sono il meglio. All’Unical se ne potrebbe rintracciare buona parte. Quelli a cui invece si fa marcato riferimento, l’aborto della Calabria. 

Generalizzare un sistema, è criminale. Peggio delle malefatte che il crimine stesso commette. 

Il sistema va studiato, e in tutte le sue parti. Con raffinata concentrazione, partendo dai covi in cui questo si genera, e dai gruppi in cui prolifica. Famiglia, scuola, società civile. Riformando, se serve, le coscienze di quell’asse umano, in cui il pensiero che riaffiora è disordinato. Debole o già praticamente corrotto.

Ci sono analisi di carattere sociale che, al fine di una società sana, richiedono necessariamente indagini accurate, basate sulla scomposizione degli elementi che questa include. E in virtù di ciò, non ammettono ipotesi. L’analisi del quadro giovanile nella società contemporanea, va organizzata prima e strutturata poi, in base alle sofferenze che la deprimono. E che nell’indifferenza generale, generano giovani che nel contesto più ampio, si impongono come diversamente giovani. I figli ‘incoscienti’ del piccolo crimine sociale.

È certamente triste la questione giovanile nel mondo. Quella che si consuma nelle periferie ancora di più. 

Risse, pistole, schiaffi, pugni…

Cosenza, Vibo, Reggio come il far west. Cinema d’azione all’aperto. immagini da sconcerto. Non di meno, nel resto d’Italia e in Europa. In tutto il mondo. Il conto è troppo grande, generale e globalizzato.

È attiva una frammentazione sociale stravolgente. Dove il disagio è una mancanza esagerata che non coinvolge esclusivamente l’assenza di valori fondanti, ma la scarsa offerta di esempi. 

La famiglia è debole, e la scuola da sola non basta più. Non è più efficace, in quanto singola istituzione. Serve uno schieramento maggiore di forze, in cui il soggetto educatore abbia non il compito, ma il dovere assoluto di formare generazioni pensanti, non uniformi al pensiero delle masse, in grado di intendere e di volere. 

Serve un fondo – umano – di cultura (senza fondo), a perdere, volto a finanziare, le aspettative sociali di milioni giovani in tutto il mondo. Ma che non sia un piano di addestramento formale, ma una forma strategica di incentivo, volto alla formazione e alla crescita umana, sociale, culturale, politica e morale dei figli.

Ve lo ricordate l’Antonello di Corrado Alvaro, in Gente in Aspromonte? Quanto tempo dovette attendere il ragazzo prima di incontrare la giustizia e raccontarle il fatto suo?

Il disagio sociale del giovane pastore si ripete ancora oggi, e addirittura si amplia.  

Troppa poca e troppa scarsa formazione, poco Stato, e soprattutto pochissima giustizia sociale. E troppi, troppissimi ominicchi e mezzi uomini. 

La mancanza di certezze, punti fermi, riferimenti e guide, tormenta le nuove generazioni. Le inabissa. E mentre la terra gira su sé stessa, essi gravitano disordinatamente intorno alla terra. E si allontanano, poi si riavvicinano… Non hanno pace. C’è un’inquietudine di fondo che li disturba. Ed è per questo che, anche silenziosamente, con il loro modo di essere giovani, chiedono ai grandi, di poter scrivere al presente, una storia che al futuro non funziona più. La loro storia. Quella reale.

Chi non si sente responsabile del male di vivere che grava su giovani e adolescenti, scagli pure la prima pietra. Ma chi invece si sente in dovere di recuperare, faccia pure il suo nome, e prima che quello del proprio figlio venga cancellato per sempre dalla storia del mondo. Piangere sarà peggio che morire. (gsc)