PIANO STRATEGICO DELLE AREE INTERNE
IL “DE PROFUNDIS” DEI BORGHI CALABRESI

di DOMENICO MAZZA – In un documento ministeriale, pubblicato qualche settimana fa, è stato reso noto un articolato che dovrebbe far tremare i polsi agli Establishment politici locali. Nel nuovo PSNAI (Piano strategico nazionale aree interne) è stata dichiarata la volontà d’intenti, da parte del Governo centrale, di abbandonare i Centri d’area interna al proprio destino.

Nell’obiettivo 4, invero, è contenuto un passaggio che recita: «Queste aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma nemmeno essere abbandonate a sé stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le accompagni in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento».

In pratica, senza fronzoli e orpelli, lo Stato somministra l’estrema unzione per oltre la metà delle circa 8000 Comunità locali italiane. Paesi prevalentemente montani e collinari, già provati da massivi fenomeni di spopolamento. Comuni che, nella stragrande maggioranza dei casi, per conclamate incapacità istituzionali, annaspano nell’offrire prospettive di crescita ai propri cittadini.

Nessuna visione. Zero prospettive. Stop agli investimenti. Fine delle politiche di programmazione e sviluppo. Solo accompagnamenti all’eutanasia amministrativa

Non è una facezia, né un malinteso. È un’epigrafe di commiato. Un necrologio di Stato. Si tratta di un cambio di paradigma silente e al contempo rovinoso. Si rinuncia all’idea di invertire la tendenza all’esodo demografico e lo si fa in maniera ufficiale e inesorabile. È una condizione di declino pianificato, venduto come accompagnamento normalizzato senza indennizzo.

Impatterà oltre 13 milioni di cittadini italiani su un totale di 59 milioni. Quasi un quarto dell’intera popolazione nazionale che, per oltre il 60%, risiede nelle Regioni del Mezzogiorno. Una condizione di marcata iniquità che stabilisce, in maniera netta e inesorabile, una distinzione fra due Italie: quella dei territori spendibili e vincenti e quella degli ambiti senza speranza a cui viene diagnosticato un cancro incurabile e irreversibile. Pertanto, si procede con una pianificazione di cure palliative degne del più spietato hospice privato. Una soluzione fredda e implacabile che sugella l’incapacità politica di ricercare sistemi di sviluppo e studiare obiettivi di rilancio.

Ma cosa comporta, di fatto, l’immane teatrino messo su dallo Stato a scapito delle piccole e diroccate Comunità? Significa, nessun investimento nel tentativo di trattenere giovani leve, tantomeno attrarre nuova linfa verso i richiamati contesti. Saranno banditi i servizi e si pianificherà una dignitosa decadenza dei luoghi oggetto del contendere. In pratica, il welfare sarà trasformato in una metodologia di cura che accompagnerà i Paesi d’entroterra sulla via del tramonto. Saranno fornite terapie e assistenze, ma sarà conclamata l’incapacità di strutturare opportunità e speranza.

Il nuovo PSNAI non è portatore di strategie risolutive: emette una sentenza che assevera l’inettitudine di un intero Establishment istituzionale a fornire risposte e soluzioni.

La condizione delle aree interne Alto Jonio e Sila-Greca/Marchesato: storia di una morte annunciata

Tutto il vasto ambito compreso tra le valli del Ferro, del Trionto, del Neto e del Tacina, si prepara a vivere tempi difficili. L’ambiente in questione, nel quale ricadono 2 ambiti d’area interna già compresi nel PSNAI e che annovera circa 30 realtà urbano-rurali complessive, si appresta a imbastire il proprio corredo funebre.

Una popolazione di circa 150mila abitanti, direttamente afferente ai quadranti geografici sibarita e crotoniate e gravitante sulle città di Corigliano-Rossano e Crotone, sarà lasciata a un destino crudele. Servizi, già oggi al lumicino, che diventeranno ancora più insufficienti con il passare del tempo. Non si pianificherà più. Non si tenterà di costruire percorsi per uscire dal baratro. Piuttosto, si guideranno detti contesti alla decrescita controllata. Un messaggio devastante che porterà la già risicata popolazione residente ad abbandonare le richiamate Comunità ancor prima che Dio decida per le loro sorti. Soprattutto, la consapevolezza che non fiorirà nuova linfa a rivitalizzare e rendere produttivi tali territori.

Penso a centri periferici e ultraperiferici come Campana, Bocchigliero, Longobucco, Savelli, Verzino. Ma anche Pallagorio, Umbriatico e Santa Severina. Così come Plataci, Alessandria del Carretto, Castroregio, Nocara e Canna. Ebbene, per le già citate e per tante altre Località, a fianco la dignità, finirà anche la speranza. Mi chiedo, a questo punto, a cosa serva tenere in piedi Istituzioni politiche se il destino di questi Centri sembra sia irreversibilmente segnato. Tanto vale investire in Commissari di Governo, che assolvano appieno il compito loro affidato: celebrare riti funerari per Paesi e Borghi disconosciuti dallo Stato.

Necessarie azioni congiunte e sensazionali da parte degli Amministratori

I sindaci dovrebbero alzare la voce: rappresentare le istanze delle relative Popolazioni e far valere i loro diritti di cittadinanza. Non è pensabile che, a fronte di una notizia del genere, tranne qualche composto dissenso a mezzo social, nessuno abbia avviato la benché minima azione dimostrativa per rispedire al mittente romano tale sciagurata ipotesi. Una soluzione, tra l’altro, che fa a pugni con azioni governative volte a favorire processi di unioni e fusioni delle Comunità al fine di ricreare servizi comuni e condivisi. Salvo poi, lasciar presagire che il termine servizio sparirà dalle prerogative di chi vive le Località d’area interna.

L’utilizzo, nell’attuazione del piano, da parte dello Stato, di criteri tecnici, tempi di percorrenza, densità, indicatori statistici che ignorano la realtà sociale e culturale dei luoghi, è un’offesa ai diritti universali costituzionalmente garantiti. Si dimentica, in verità, che molte fragilità, oggi imputate a Centri montani, sono state indotte da sconsiderate scelte politiche di tipo aziendalista e da tagli strutturali operati dai Governi della Seconda Repubblica.

La vitalità dei Borghi non può essere misurata solo con i numeri registrati alle rispettive anagrafi. Le implicazioni economiche sono enormi. Questa iattura annunciata genererà una polarizzazione tra grandi Città sempre più affollate e contesti marginali che diventeranno lande desolate.

Eppure, le opportunità per disegnare un futuro promettente non mancherebbero. Energie rinnovabili, difesa idrogeologica, agricoltura sostenibile e turismo lento sono solo alcuni dei settori su cui si potrebbe intervenire per cambiare la narrazione delle aree interne. Per declinare una rinnovata prospettiva di sviluppo e di crescita.

Non serve compassione. Sono necessarie giustizia e visione. Ancora, strumenti e possibilità. Ma per farlo, lo Stato, deve fornire investimenti e infrastrutture materiali e immateriali; non assistenzialismi spicci. Il nuovo PSNAI, purtroppo, ignora quanto poc’anzi dichiarato. Necessità, allora, una presa di coscienza da parte di tutti quegli Amministratori interessati a difendere con i denti le rispettive Comunità.

I sindaci smettano di essere burocrati. Inizino, piuttosto, a inverare realmente il ruolo che ricoprono per lo status rivestito nei rispettivi sistemi sociali. Le aree interne non rappresentano un problema da contenere. Piuttosto, sono scrigni d’opportunità da liberare dal tanfo del centralismo che ha asfissiato i territori negli ultimi 30 anni. C’è bisogno di coesione amministrativa, istituzionale e interdisciplinare. È necessario ritornare a fare politica, ma per davvero. Al bando i tentativi dello Stato centrale volti alla rassegnazione, alla dimenticanza, all’oblio e all’antistoria. (dm)

[Domenico Mazza, Comitato Magna Graecia]

IL CASO DELLE OPERE INFRASTRUTTURALI
AL SUD È SEMPRE UNA BATTAGLIA PERSA

di MASSIMO MASTRUZZOQuando si tratta di grandi opere infrastrutturali nel Sud Italia, improvvisamente la macchina burocratica e politica sembra diventare iper attenta, quasi ossessiva, nel cercare il proverbiale pelo nell’uovo. Norme, vincoli, ricorsi, opposizioni: tutto si complica. Al contrario, nel Nord del Paese, si costruisce prima e si discute – eventualmente – dopo.

È questo il paradosso che emerge con chiarezza anche in merito al ponte sullo Stretto di Messina. Il segretario confederale della Cgil, Pino Gesmundo, ha espresso forte contrarietà agli emendamenti 1.46 e 3.038, presentati in Parlamento, definendoli un attacco alla trasparenza, alla legalità e alla partecipazione democratica. Si teme, legittimamente, un’accelerazione forzata nella realizzazione dell’opera. Tuttavia, colpisce la differenza di tono rispetto a interventi analoghi nel resto d’Italia, dove simili procedure sono già state adottate – e senza clamore – per eventi come le Olimpiadi Milano–Cortina 2026 o il Giubileo 2025, con la creazione di società speciali come stazioni appaltanti.

Perché tanto clamore proprio adesso? Perché ci si “sveglia” con il ponte? E dove sono finite le lezioni del cosiddetto “modello Genova”, osannato per l’efficienza nella ricostruzione del ponte Morandi?

Il Mezzogiorno italiano da decenni attende opere strategiche che altrove sembrano addirittura in eccesso. A Genova si realizzano la Gronda autostradale, il Terzo Valico ferroviario, la Diga foranea. In Veneto si investe sulla Pedemontana. Nel Sud, invece, si litiga ancora sul raddoppio della linea ferroviaria fra Termoli e Lesina, bloccato da oltre vent’anni per presunte incompatibilità ambientali legate alla nidificazione del fratino, un piccolo uccello. Un caso emblematico di paralisi che diventa freno allo sviluppo.

Eppure, gli investimenti in infrastrutture hanno un impatto economico diretto e documentato. Creano occupazione nel breve periodo, stimolano l’indotto e, nel lungo termine, rafforzano la competitività del Paese intero. Gli economisti parlano di “effetto moltiplicatore”: ogni euro speso in infrastrutture genera una crescita del PIL superiore al valore iniziale dell’investimento. E questo effetto è ancora più forte nei territori che partono da una situazione di carenza.

Lo spiegano bene anche Alberto Quadrio Curzio e Marco Fortis nel loro libro L’economia reale del Mezzogiorno: un’Italia che punta sullo sviluppo industriale e infrastrutturale del Sud diventerebbe più competitiva persino di Francia e Germania. Portare il Sud ai livelli delle regioni più avanzate del Nord sarebbe, in questa prospettiva, la vera “operazione Paese”, con benefici diffusi per l’intera nazione.

Dimostrare che un’autostrada o una ferrovia è più utile lì dove mancano – e non dove già abbondano – non dovrebbe essere un’impresa difficile. Lo stesso articolo 3 della nostra Costituzione, che sancisce l’uguaglianza dei cittadini, dovrebbe guidare le scelte politiche e progettuali.

E invece, in Italia, ogni infrastruttura al Sud sembra dover superare un processo a ostacoli. Non per mancanza di fondi, non per carenza di progetti, ma per una sistematica mancanza di volontà. (mm)

[Massimo Mastruzzo, direttivo nazionale Met – Movimento Equità Territoriale]

 

IL “RITORNO DEI “CERVELLI” È CRUCIALE
PER FUTURO E RINASCITA DELLA CALABRIA

di MARIAELENA SENESELa Calabria, da decenni, è teatro di un preoccupante esodo giovanile: negli ultimi vent’anni, circa 162.000 giovani hanno abbandonato la regione, alla ricerca di opportunità lavorative e formative assenti sul territorio. Questo fenomeno, spesso definito “fuga dei cervelli”, rappresenta non solo una perdita demografica, ma soprattutto un impoverimento in termini di capitale umano, ricchezza economica, dinamismo sociale e vitalità culturale.

Eppure, la Calabria dispone di risorse ambientali, culturali, imprenditoriali e umane che, se opportunamente valorizzate, possono diventare leve potenti di sviluppo sostenibile e inclusivo. La sfida oggi non è soltanto fermare l’emorragia giovanile, ma piuttosto creare le condizioni per attrarre e trattenere talenti, offrendo concrete possibilità di crescita professionale e personale. 

 Il Fondo proposto dalla Uil  prevede un pacchetto integrato di misure economiche, fiscali e sociali che mirano a creare le condizioni affinché i giovani calabresi possano progettare e costruire un futuro nella loro terra.

Sebbene il Programma Regionale Calabria Fesr-Fse 2021-2027 non preveda esplicitamente il finanziamento diretto per l’acquisto della prima casa, è strategicamente possibile inserire tale misura all’interno dell’Obiettivo di Policy OP4 – “Una Calabria più sociale e inclusiva”, in particolare nell’Obiettivo Specifico OS 3 Azione 4.3.1, che dispone di oltre 56 milioni di euro per infrastrutture abitative e interventi di housing sociale.

Perché il “ritorno” diventi permanente e produttivo, è indispensabile creare un contesto favorevole all’imprenditorialità giovanile, con particolare attenzione a settori strategici come: Energia rinnovabile/Turismo sostenibile/Blue economy/Digitalizzazione e industria 4.0.

A tal fine, il progetto si inserisce in piena coerenza con l’Obiettivo di Policy OP1 – “Una Calabria più competitiva e intelligente”, e in particolare con l’Azione 1.1.2 dell’OS1.1, che sostiene: La creazione e il consolidamento di start-up innovative, spin-off universitari e PMI ad alto contenuto tecnologico; Programmi integrati di formazione, orientamento, tutoraggio e incentivazione; Investimenti iniziali e di espansione, nonché la realizzazione di hub e acceleratori d’impresa.

A queste misure si aggiungono le opportunità offerte dall’Obiettivo di Policy OP4, tramite: L’Azione 4.aa.1 (oltre 31 milioni di euro), dedicata a migliorare l’accesso al lavoro e promuovere l’occupazione giovanile; L’Azione 4.a.2 (quasi 11 milioni di euro), rivolta alla promozione del lavoro autonomo e dell’economia sociale.

Il rilancio del territorio passa anche da un deciso investimento sul capitale umano. Il progetto prevede, infatti, lo sviluppo di percorsi formativi avanzati, costruiti in stretta collaborazione tra università, centri di ricerca e imprese locali, per generare figure professionali altamente qualificate, in grado di guidare la transizione ecologica e digitale della regione nonché capace di attrarre ulteriori investimenti pubblici e privati. L’obiettivo è trasformare la Calabria da terra di emigrazione a laboratorio di innovazione e crescita sostenibile.

“Il progetto “Ritorno dei Cervelli” non è soltanto un insieme di misure tecniche, ma un vero e proprio investimento strategico sul futuro della Calabria. È molto più di un piano di rientro: è un atto d’amore verso una terra che ha bisogno dei suoi figli migliori per rinascere. È un impegno concreto per dare voce e spazio ai sogni di migliaia di giovani che, pur lontani, non hanno mai smesso di portare la Calabria nel cuore.

I giovani non sono solo il futuro: sono il presente che dobbiamo sostenere, l’energia viva che può trasformare questa regione in un luogo dove valga la pena restare, tornare, costruire. Offrire loro le condizioni per farlo significa scegliere di credere nella Calabria e nella sua capacità di cambiare. (ms)

[Mariaelena Senese, segretaria generale Uil Calabria]

LE NUOVE OPPORTUNITÀ E LE NUOVE SFIDE
L’ECONOMIA REGGINA INTENDE CRESCERE

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Le imprese reggine sono resilienti, ma serve servono strategie condivise per lo sviluppo. È questa la fotografia emersa dal report “Osservatorio economico della Città metropolitana di Reggio Calabria. Due decenni di evoluzioni e mutamenti del sistema socioeconomico reggino”, presentato nei giorni scorsi dalla Camera di Commercio di Reggio Calabria.

Lo studio, promosso dall’Ente camerale e realizzato con la collaborazione del Centro studi delle Camere di commercio, G. Tagliacarne, analizza le dinamiche dei principali indicatori economici negli ultimi 20 anni, con approfondimenti sui cambiamenti occorsi sul territorio, sull’evoluzione dei principali divari, dei fattori di benessere e degli elementi di competitività, senza tralasciare gli effetti generati da importanti situazioni di crisi, per ultima quella originata dal Covid, di intensità mai sperimentata dal dopoguerra.

Ne esce, così, una fotografia con alti e bassi che da un lato evidenzia la resilienza del sistema imprenditoriale e la capacità di rispondere a nuove sfide, come quella rappresentata dai nuovi mercati internazionali o dall’innovazione e, dall’altro, la necessità da parte del sistema pubblico di mettere in campo strategie e politiche capaci di sostenere investimenti, innovazione, sviluppo delle filiere, favorendo le connessioni ed aggregazioni produttive, per incidere in modo significativo sullo sviluppo economico del territorio. 

«A partire dagli anni 2000 la Camera di Commercio si è dotata di un Osservatorio dell’economia – ha dichiarato il presidente dell’Ente Camerale, Antonino Tramontana –. Un sistema di monitoraggio e divulgazione sul sistema produttivo locale e su tutti i principali fattori economici, con approfondimenti annuali su alcuni aspetti, quali il credito, le aggregazioni produttive, le infrastrutture, l’internazionalizzazione, il mercato del lavoro, non tralasciando elementi imprescindibili per lo sviluppo, come il tema dell’innovazione, ma anche quello  dell’illegalità economica che altera in modo significativo le regole di mercato».

«Proprio in ragione del ruolo istituzionale di informazione economica a supporto dello sviluppo del territorio – ha proseguito Tramontana – abbiamo voluto mettere a sistema il nostro patrimonio informativo pluriennale sull’economia reggina,  per avviare una discussione con le altre istituzioni e con le realtà civili e sociali (certamente le Associazioni di Categoria, che rappresentano le istanze delle imprese), per riflettere insieme sulle sfide ed opportunità  che ci vedranno impegnati nei prossimi anni».

«A partire dai dati emersi dallo studio – ha concluso Tramontana –, è auspicabile la costituzione di un tavolo di confronto che possa contribuire alla definizione delle strategie per lo sviluppo locale in modo sinergico, per dare risposte alle imprese e generare un effetto moltiplicatore per le risorse impegnate».

Dopo i saluti iniziali del Presidente Tramontana e di Marco Oteri, Capo Gabinetto del Prefetto,  la presentazione dei dati è stata curata da Gaetano Fausto Esposito, direttore generale del Centro studi delle Camere di commercio G.Tagliacarne,  il quale ha evidenziato in modo articolato le dinamiche che hanno caratterizzato i trend del territorio metropolitano di Reggio Calabria nel ventennio 2003 – 2023, periodo caratterizzato da importanti crisi, da quella del credito del 2008 al Covid, una recessione di intensità mai sperimentata dal dopoguerra, con proiezioni anche dei dati dell’anno appena trascorso.

Nel corso dell’evento sono intervenuti il Vice Sindaco del Comune di Reggio Calabria, Paolo Brunetti che ha confermato l’impegno dell’amministrazione comunale a lavorare in maniera sinergica per lo sviluppo locale e Giuseppe Zimbalatti, Magnifico Rettore dell’Università Mediterranea, che si è soffermato sull’impegno che l’Università reggina sta portando avanti per offrire al territorio ed al sistema imprenditoriale figure professionali e qualificate, coerenti con  i fabbisogni delle imprese e capaci di contribuire al rendere l’economia reggina più produttiva.

I principali risultati

A partire dagli anni 2000 il sistema imprenditoriale, sia a livello nazionale che locale, ha avviato processi di adeguamento rispetto alle esigenze del mercato in termini di addetti, ma anche di modelli organizzativi sempre più strutturati in società di capitali. Fattori che, se da un lato hanno consolidato il sistema imprenditoriale, dall’altro hanno determinato una riduzione della propensione all’imprenditorialità individuale e familiare, soprattutto per le iniziative di autoimpiego, caratterizzate da modesta capitalizzazione e a basso contenuto di fattori qualificanti. 

L’imprenditoria reggina, ci dicono i dati, è stata più resiliente: nella Città metropolitana di Reggio Calabria, a partire dal 2013, quando la numerosità imprenditoriale si è sfoltita su base nazionale è invece cresciuta vivacemente a Reggio Calabria. 

La struttura delle imprese reggine è diventata più solida (la quota di società di capitali si è triplicata, attestandosi al 15%) e capace di rispondere alle sfide della sostenibilità e dell’innovazione: La Città metropolitana di Reggio Calabria è quarta in Italia per quota di imprese che riducono l’impatto ambientale delle proprie attività ed è 21esima per quota di imprese che investono in progetti di innovazione.

È incoraggiante anche la capacità delle imprese di Reggio Calabria ad aprirsi ai mercati internazionali, con valori dell’export triplicati nel ventennio, dati nettamente superiori a quelli del resto del Mezzogiorno e del Paese. Permane però un forte gap nel rapporto tra esportazioni e valore aggiunto (4,2% Reggio Calabria, 32,8% nazionale, 16% meridionale). 

È interessante anche evidenziare la capacità del sistema imprenditoriale reggino a rispondere alle sfide della sostenibilità e dell’innovazione: La Città metropolitana di Reggio Calabria è quarta in Italia per quota di imprese che riducono l’impatto ambientale delle proprie attività ed è 21esima per quota di imprese che investono in progetti di innovazione.

Passando invece ad un’analisi settoriale del sistema imprenditoriale, i dati non sono altrettanto incoraggianti;  si registra infatti una contrazione del sistema manifatturiero a favore del sistema dei servizi. A crescere però sono stati soprattutto i numerosi servizi di base, che non riescono ad incidere in modo significativo sullo sviluppo economico del territorio. 

Un ulteriore aspetto che desta attenzione è legato al potenziale imprenditoriale nascosto; dal nostro Registro Imprese, infatti, è possibile capire anche che i reggini che fanno impresa in altri territori sono oltre il 43%, sottraendo importanti risorse al tessuto produttivo della Città metropolitana.

Anche le dinamiche sul valore aggiunto prodotto confermano questa tendenza. 

Il trend del Valore aggiunto seppur positivo, evidenzia una crescita della ricchezza prodotta inferiore a quanto registrato nel resto del Paese: reso pari a 100 il suo valore nel 2003, il valore aggiunto reggino aumenta di 30,2 punti nel ventennio fino al 2023, al di sotto dei 51,4 punti nazionali, dei 40,9 meridionali ma persino al di sotto dei 34,1 punti della regione Calabria. 

A Reggio Calabria il valore aggiunto è prodotto per circa il 76% nei comuni litoranei.

L’analisi disaggregata per settore evidenzia che anche in termini di valore aggiunto a crescere sono i servizi poco innovativi e con limitato contenuto di competenze che passano, in termini di incidenza sul totale, dal 27,8% al 30,4%, a fronte di una media nazionale del 18,8%. 

Il valore aggiunto pro-capite cresce, però in misura ridotta rispetto al resto del Paese; se nel 2003 la Città metropolitana era collocata all’88o posto fra le 103 province italiane, nel 2023 tale ranking scende al 97o posto.

Il report evidenzia anche alcune dinamiche settoriali di lungo periodo. Osservando come è cambiato il settore del commercio, emerge un incremento delle superfici di vendita trascinato perlopiù da piccoli esercizi commerciali a gestione familiare, piuttosto che, come avvenuto altrove, mediante l’espansione della Gdo. Il proliferare dei piccoli esercizi a gestione familiare spiega una crescita di addetti inferiore alla media regionale e meridionale. 

I dati sul comparto agricolo reggino, (dati dei Censimenti 2000, 2010 e 2020), evidenziano una profonda ristrutturazione. Diminuiscono le aziende e le superfici agricole, ma in termini di dimensione media aziendale si registra una tendenza a crescere, come spinta fisiologica verso una maggiore efficienza e possibilità di meccanizzazione delle attività produttive, che solo una più ampia superficie può garantire. 

In particolare, la Sau per azienda cresce dai 2,4 ai 4,1 ettari, un dato che, comunque, rimane incomparabile con gli 11 ettari medi nazionali, e che disegna un panorama agrario ancora dominato da una parcellizzazione in microaziende (legato anche all’orografia del territorio), con tutti i risvolti che questo carattere può avere in termini di produttività. Persino il Mezzogiorno, con i suoi 9,1 ettari medi per azienda, rimane superiore ai dati reggini. 

Anche il turismo, che potrebbe rappresentare un volano di sviluppo per l’economia del territorio, presenta risultati altalenanti.  Si tratta di uno dei settori che sul territorio cresce più vivacemente in termini di imprese e di addetti, ma nonostante ciò, la dinamica degli arrivi totali (italiani e stranieri) non ha ancora consentito di recuperare del tutto i livelli di arrivi del 2008 e pre covid, al contrario di quanto registrato nel resto del Paese.

Un ultimo dato su quale richiamare l’attenzione è quello legato alle dinamiche demografiche. Dall’analisi presentata, emerge che la popolazione della provincia di Reggio Calabria è in calo dal 2003 ad oggi, con un’accelerazione nel periodo 2013-2023; il declino purtroppo riguarda anche la fascia di giovani. In altre parole, si sta esaurendo negli anni, una peculiarità del nostro territorio, che consisteva nell’essere dotati di una popolazione relativamente giovane, avvicinandoci alla struttura anagrafica media italiana. (ams)

DEPURAZIONE ACQUE: IN CALABRIA SONO
188 IMPIANTI FUORI NORMA DA ADEGUARE

di BRUNO GUALTIERIC’è una Calabria che ogni giorno fa i conti con l’inerzia amministrativa, i progetti bloccati e le procedure europee ancora tutte aperte. E poi c’è la Calabria di Letizia Varano: un luogo fiabesco, dove il Dipartimento Ambiente e Territorio agisce come un mago buono, trasformando infrazioni in successi, fognature in fontane, inquinamento in turismo balneare. Peccato che questa visione idilliaca assomigli più a una saga fantasy che a un rapporto dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale).

Nel suo recente articolo, la Varano ci presenta un Dipartimento che, a suon di “somme urgenze”, ordinanze estive e tavoli permanenti, starebbe riportando ordine là dove regnava il caos, evocando milioni di euro spesi, database all’avanguardia, progetti integrati, monitoraggi, controlli remoti, digitalizzazione gestionale. Tutto molto moderno, tutto molto rassicurante. Ma qualcosa non torna.

Come ho documentato negli articoli Calabria e depurazione: una battaglia da vincere, oggi e Infrazioni europee senza fine, il quadro è ben diverso. La Calabria conta ancora 188 agglomerati fuori norma, un dato che ci colloca al secondo posto in Italia per infrazioni nel trattamento delle acque reflue. La procedura d’infrazione 2017/2181 è tutt’altro che risolta. E gli obblighi europei – quelli veri, non quelli annunciati nei comunicati stampa – restano disattesi: mancano i controlli automatizzati, la validazione indipendente dei dati, un catasto degli impianti completo. L’audit di conformità – condizione indispensabile per uscire dall’infrazione – non è mai stato nemmeno avviato.

Di fronte a questi fatti, i racconti entusiasti sui “successi balneari” ricordano più un volantino elettorale che un’analisi tecnica. L’abuso delle “somme urgenze” genera solo l’illusione di un dinamismo amministrativo che non esiste, alimentando una gestione emergenziale ciclica: ordinanze dell’ultima ora, fondi di salvataggio, interventi-tampone. E poi, puntualmente, acque inquinate, turisti delusi e cittadini infuriati.

A tutto questo si aggiungono pratiche quantomeno discutibili nella gestione delle risorse pubbliche: ogni anno vengono spesi circa 15 milioni di euro per interventi estivi su depuratori già affidati, per contratto, alla gestione dei Comuni. Il risultato? Erogazioni che si sommano agli affidamenti esistenti, acquisti in somma urgenza di prodotti spesso irreperibili sul mercato e consegnati quando la stagione balneare è ormai conclusa, con costi che in alcuni casi raddoppiano rispetto ai prezzi di mercato. In altre parole, una gestione che fatica a reggere alla prova della logica, prima ancora che a quella della trasparenza.

Nel frattempo, il Piano d’Ambito approvato da ArriCal nel settembre 2024 – lo strumento tecnico che dovrebbe guidare con razionalità gli investimenti, basandosi su carichi inquinanti e obblighi normativi – resta bloccato proprio dal Dipartimento, che continua ad agire come se detenesse competenze operative ormai superate dalla riforma. Ne derivano ritardi, convenzioni non firmate, risorse non trasferite. Un cortocircuito istituzionale che paralizza il sistema, in barba alla legge e al buon senso.

Eppure, nella narrazione parallela della Varano, tutto sembra procedere a meraviglia: bastano una manciata di ordinanze, qualche tavolo permanente e un’app di monitoraggio per restituire limpidezza al mare e credibilità alla Calabria. Peccato che, mentre si esalta il “Progetto CEWS” e si elogia la “reingegnerizzazione del comparto depurativo”, le stesse criticità denunciate nel 2012 siano ancora tutte lì. Alcune peggiorate, altre semplicemente camuffate con titoli nuovi.

Il rischio è che l’obiettivo “mare pulito” si trasformi in una scenografia stagionale, utile solo a superare indenne il mese di agosto, senza toccare le cause profonde del problema.

Ancora più grave è la gestione delle risorse disponibili: i progetti già finanziati da anni restano lettera morta, in parte ostacolati dal Dipartimento, in parte duplicati dalla delibera Cipess n. 79/2021, che ha generato una sovrapposizione tra interventi vecchi e nuovi. Non è difficile intuire che il Dipartimento intenda riproporre proprio quei progetti “a scorrimento” – spesso dubbiosi per genesi e modalità di finanziamento – nel tentativo di rimetterli in gioco. Tentativo sinora respinto, poiché tali interventi non rientrano tra le priorità del Piano d’Ambito, costruito sulla base di criteri oggettivi, come le infrazioni europee e i carichi inquinanti. Così il Dipartimento resta in attesa: paziente, certo, ma anche in cerca di compiacenze che consentano di far avanzare interventi redatti dagli amici, al di fuori di ogni logica trasparente e meritocratica.

Forse è anche per questo che, da oltre un anno, il Dipartimento si sottrae alla firma della convenzione con ArriCal, necessaria per trasferire competenze e fascicoli utili all’attuazione degli interventi programmati. E, così, mentre si parla di “standardizzazione dei processi gestionali”, si bloccano i cantieri proprio nei territori più colpiti dalle infrazioni comunitarie, oltre a lasciare in sospeso numerosi interventi già finanziati e fermi da anni, molti dei quali risalenti al periodo pre-Covid e oggi in attesa di adeguamento dei prezzi.

Una contraddizione evidente, che finisce per tutelare interessi estranei a quelli della collettività calabrese.

La Calabria resta impantanata in un sistema che confonde l’eccezione con la regola, la comunicazione con la soluzione. A pagare il conto sono sempre i cittadini: servizi inadeguati, sanzioni europee, perdita di credibilità istituzionale. E mentre per chiudere una procedura d’infrazione servirebbero due anni di conformità documentata, o sei mesi per i casi meno complessi, non si muove foglia. Anzi, si continua a ostacolare proprio quegli interventi che il Piano – redatto sulla base dei dati del Dipartimento stesso – aveva chiaramente indicato come prioritari.

È tempo che la realtà si riprenda il suo posto nel dibattito pubblico. Perché l’acqua, come il futuro, non può restare un miraggio mediatico. Servono trasparenza, competenza, coraggio. Non bastano più gli slogan.

La verità non ha bisogno di effetti speciali. Ha bisogno di fatti. E in Calabria, purtroppo, i fatti sono ancora tutti da realizzare.

Con la speranza che la politica si affidi agli atti – quelli veri – e non alle mezze verità della burocrazia. E che finalmente faccia piazza pulita.

[Bruno Gualtieri, già Commissario Straordinario dell’Autorità Rifiuti e Risorse Idriche della Calabria (ARRICal)]

 

LA DECONTAMINAZIONE DEL SIN CROTONE
BISOGNA SALVARE IL “SOLDATO” ERRIGO

di SANTO STRATI – Nella nostra terra è molto facile, ahimè, passare dalla parte del torto pur avendo ragione, ma anche nel resto del Paese. Nel caso di Crotone e dei veleni che una folle e indisturbata industrializzazione altamente inquinante ha lasciato, nell’indifferenza e nel colpevole silenzio di tanti, c’è una vittima sacrificale che non merita tutto questo. Anzi le vittime sono due: una è il commissario del Sin di Crotone, Cassano e Cerchiara, il generale della GdF Emilio Errigo che si trova tutti contro, l’altra è la popolazione della bella Crotone che subisce una nuova ferita difficilmente curabile.

Il commissario Errigo ha dato un’accelerata agli interventi di bonifica dei terreni avvelenati dei tre Sin (siti di interesse nazionale) guardando esclusivamente agli interessi dei cittadini e del territorio, ma continua a trovare un inspiegabile muro di gomma che non solo vanifica ogni pur lodevole iniziativa, presa esclusivamente nell’unico interesse delle città contaminate e dei suoi cittadini, ma addirittura prova a minare autorevolezza e credibilità. E questo, ci sia consentito di affermarlo a gran voce, non è accettabile.

I trascorsi del generale della Finanza Errigo che ha combattuto in prima persona contro la mafia nel Palermitano, fianco a fianco con Giovanni Falcone, e rischiando più volte la propria vita, non consentono alcuna indulgenza alle ostilità che il Commissario Straordinario continua a trovare sul suo percorso di risanamento. Tanto da venire additato come nemico dei crotonesi, in un ossimoro di gratuite valutazioni che capovolgono la realtà, quando è sotto gli occhi di tutti il costante impegno dell’alto ufficiale per risanare le contaminazioni e ridare speranza di vita a una popolazione che, d’improvviso, si è scoperta debole e indifesa contro i veleni che l’ex Stalingrado del Sud ha prodotto negli anni.

Errigo, generale in riserva della Finanza, docente universitario di Diritto Internazionale e del Mare, quando venne nominato qualche anno fa dal Presidente Occhiuto commissario all’Arpacal (la società in house regionale per la difesa ambientale) mostrò subito determinazione e assoluta risolutezza nell’affrontare anni di trascuratezze e inefficienze. I risultati sono sotto gli occhi di tutti e oggi l’Arpacal continua a seguire, con eccellenti risultati, il percorso avviato dal gen. Errigo.

Chiamato e nominato dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, con Dpcm del 14 settembre 2023, a Errigo è stato chiesto di coordinare, accelerare e promuovere gli interventi di bonifica del Sin di Crotone-Cassano e Cerchiara di Calabria, tre territori che, a norma delle attuali leggi, sono stati considerati “siti contaminati” di interesse nazional (Sin). L’impegno e la serietà con cui il gen. Errigo ha affrontato tale impegno gli hanno creato non pochi nemici, anche a livello istituzionale. Nonostante il rigore e la passione profusi (Errigo è profondamente innamorato della sua terra) il suo “decisionismo” (dopo anni di colpevole inerzia) ha cominciato a dare fastidio. Eppure, basterebbe solo considerare come, dopo silenzi e abbandono, il caso di Crotone sia esploso grazie al suo lavoro, dove emergono la competenza ambientale e il rigore militare, uniti a una straordinaria attenzione e sensibilità ai valori umani. I cittadini prima di tutto e la loro salute e quella delle generazioni che verranno su cui pesano preoccupanti timori di contaminazione ambientale.

La scelta di “mandare fuori” della Regione i rifiuti tossici (ma solo una minima parte è stata fino a oggi considerata) appare più un’operazione di immagine che produce consenso, piuttosto che una vera soluzione al problema della contaminazione, spaventosamente grande, del territorio. Le indicazioni del generale Errigo di voler trattare i rifiuti nel territorio stesso rispondono proprio alla necessità di esporre la popolazione a nuovi disagi e rischi di ulteriore contaminazione derivanti da un trasporto su gomma e un trasbordo su navi decisamente pericolosi. Sarebbero migliaia i tir impegnati a riempire navi-spazzatura destinate a sversare i rifiuti tossici in Svezia o altrove per il loro smaltimento

Di fatto, c’è una incontrovertibile verità: dopo oltre  25 anni di sostanziale inerzia amministrativa, pur volendo riconoscere meriti a tutti i soggetti politici e amministrativi cooperanti, il Commissario Errigo, ha avviato serie proposte di bonifica del territorio, forte della sua determinazione e altissimo senso del dovere istituzionale. Un’operazione all’inizio della tanto attesa bonifica delle discariche fronte mare di Crotone, contenenti rifiuti pericolosi e non pericolosi, per un totale stimato di oltre un milione di tonnellate. Rimangono ancora giacenti e ci auguriamo non dormienti ancora per altri 25 anni, le altre rimanenti diverse centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti e sedimenti, sversati in mare e sotterrati ovunque si siano trovati spazi idonei al fine dello smaltimento, nella città e provincia di Crotone e in diversi altri luoghi della Calabria (come Cassano allo Ionio e Cerchiara di Calabria).

Rimane da sottolineare il prezioso e insostituibile apporto concreto assicurato da tutti i Comandi territoriali e Reparti Specializzati Ambientali e Forestali dall’Arma dei Carabinieri, per individuare le soluzioni più idonee allo smaltimento, in totale sicurezza, dei rifiuti tossici. Ma il gen. Errigo non può essere messo da parte, né lasciato in solitudine a combattere i mulini a vento della burocrazia regionale. Dalla sua, Errigo, pur avendo trovato sponda presso il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica (Mase) Gilberto Pichetto Fratin che ha posto la massima attenzione ai tre Sin calabresi, non può essere il bersaglio di un inspiegabile “fuoco amico”. Crotone e il suo territorio chiedono soluzioni rapide ed efficaci: per il bene della Calabria, “salviamo il soldato” Errigo! (s)

L’INFERNO DELL’ARCO JONICO: LA SS 106
CORIGLIANO ROSSANO-CROTONE

di DOMENICO MAZZAUna nuova vittima. L’ennesima. Uno score impietoso nel tratto più vergognoso della innominabile statale 106. Lungo la stretta lingua d’asfalto compresa tra Corigliano-Rossano e Crotone si continua a morire, mentre chi di dovere si gira dall’altra parte. È toccato a un ragazzo. Una vita spezzata ancor prima di raggiungere la maggiore età. In questi casi, bisognerebbe tacere; rispettare il dolore di famiglie straziate. Ma la indignazione verso lo stato delle cose è così accentuata da non riuscire a contenere il mio impeto.

Non è la prima volta che scrivo della statale 106. Probabilmente, se ricucissi le mie note sul tema, ne ricaverei un libro. Un abecedario di infamie inaudite che sugellano il necrologio di Stato scritto per l’Arco Jonico. Un elogio funebre, ormai, supinamente accettato dalle Popolazioni coinvolte lungo il tracciato della vergogna.

Non ricerco colpevoli, sia chiaro. Non sto sulle tracce di un capro espiatorio cui attribuire responsabilità. Sarebbe troppo semplice, finanche banale. Le mancanze sono in capo a tutti noi. La Politica è un palliativo inflazionato per un Popolo, quello jonico, troppo avvezzo all’arte della delega. Un popolo che ha smesso di protestare da tempo e che pensa di recriminare diritti ossequiando Amministratori e Delegati alla Rappresentanza istituzionale. Gli stessi Soggetti che, nella stragrande maggioranza dei casi, non hanno la benché minima percezione del dramma della mobilità jonica.

Da Corigliano-Rossano a Crotone: una vergogna senza fine

E mentre si programmano ammodernamenti europei di alcuni segmenti della strada (varianti KR-CZ e Sibari-CoRo), tra il Crotonese e la Sibaritide ci hanno infarcito di rotonde, cunette, tutor e guardrail. La Politica ha parlato di elevazione degli standard di sicurezza lungo la tratta. Tuttavia – ritengo – abbia la piena consapevolezza di aver reso la lingua d’asfalto ancor più pericolosa di quanto non fosse un ventennio fa. È stata trasformata in una gimkana, in una corsa ad ostacoli. È diventata una processione di dolore, un martirio di flagellazione degno del rito dei Battienti. Ormai, rappresenta un cimitero senza nome, un olocausto di Stato. 

Il giovane malcapitato è la decima vittima dall’inizio dell’anno. Il terzo ad aver perso la vita nello stesso punto che, meno di un anno, fa aveva visto perire altre due persone. Vieppiù, l’intera arteria è stata teatro di circa 800 sinistri negli ultimi 25 anni, con oltre 1000 vittime. È come se la statale jonica avesse cancellato dalle mappe un borgo calabrese. Altrove, invece, sull’A2, il dato relativo gli incidenti, nello stesso periodo, scende a meno di 100. Chiaramente, il rapporto tra standard di sicurezza e sinistri è inversamente proporzionale: all’aumentare del primo, diminuisce drasticamente l’altro. Evidentemente, la vita degli abitanti dell’Arco Jonico vale meno di quella delle Popolazioni ricadenti nelle aree del centralismo. Altrimenti, non si spiegherebbe perché uno Stato, distratto ed assente, e un codazzo di accolti politici, accondiscendenti ai desiderata dei centri del potere, abbiano fatto di tutto per non fare niente. E il risultato è che, oggi, l’area compresa tra Sibari e Crotone è niente. È polvere! Nella più completa e totale ignavia dei più. Nel menefreghismo delle Élites multi-casacca. Le stesse Élites che hanno tutelato il proprio piccolo particulare guicciardiniano, dimenticando che il benessere della cosa pubblica è, di riflesso, il benessere di tutti. Anche di Costoro. 

La scusa dei nuovi investimenti e la mancanza di una visione complessiva

Si è optato, lungo la SS106, di intervenire a macchia di leopardo. Contrariamente a ogni logica di buon senso, si è preferito investire su alcune tratte, lasciando all’oblio altri segmenti. Si sta completando l’anello stradale che congiungerà tre mari. Con la conclusione del terzo megalotto si realizzerà, nei fatti, l’autostrada Firmo-Sibari-Taranto. Una volta realizzate, poi, le traverse KR-CZ e Corigliano-Rossano/Sibari, le due Città joniche saranno connesse ai rispettivi sistemi centralisti e non dialogheranno mai. Nel frattempo, tutta l’area compresa tra Corigliano-Rossano e Crotone continuerà a vivere nel neolitico infrastrutturale. 

I parolai cronici insisteranno nell’ubriacare quelle Popolazioni con la scusa della realizzazione dei nuovi progetti. La Politica, invece, continuerà a costruire campagne elettorali sulle promesse da marinai. Salvo poi, fare marcia indietro sulla realizzazione delle opere per mancanza di fondi. E, nel frattempo, la Popolazione diminuirà sempre più. A quel punto, i flebili flussi non giustificheranno più investimenti a categoria B (2 carreggiate e 4 corsie)

Come se le vite umane fossero la merce di scambio sull’altare dei poteri economici. Gli stessi poteri che stabiliscono quale segmento della statale debba avere prelazione rispetto ad altri. E, intanto, si preferisce dimenticare che, negli ultimi 70 anni, l’autostrada del Mediterraneo è stata realizzata interamente due volte. E, sono in corso, le pratiche di espletamento della nuova variante tra gli svincoli di Cosenza e Altilia-Grimaldi. E si continua, quindi, a trattare i due lembi della Calabria con la solita dinamica dei due pesi e due misure. In barba a qualsivoglia diritto di equità territoriale. Il tutto mentre un esercito di Amministratori resta muto e inginocchiato al volere dei diktat centralisti. 

Dibattiti tematici e manifestazioni cadute nel vuoto. Alla Politica compete metà del problema. L’altra metà è del popolo

Come Comitato Magna Graecia, insieme agli amici delle associazioni Basta Vittime sulla SS106 e Ferrovie in Calabria, da anni organizziamo manifestazioni allo scopo di sensibilizzare Popolazioni e Istituzioni. Continueremo a discutere annualmente del dramma della mobilità lungo lo Jonio. Tuttavia, ahinoi, parleremo a platee che continueranno a rimanere sorde e a Establishment colpevoli di ignavia. 

Non serve attaccare Anas, la politica, i gruppi di pressione. A ferire di più sono indolenza, apatia, rassegnazione divenuta abitudine. La colpa è in capo a noi tutti. Si è preferito parlare della Statale 106, come se fosse sufficiente nominarla per risolvere il problema. Non basta! C’è molto altro. Ci sono chilometri di strada insicura, attraversamenti urbani pericolosi, accessi e svincoli abusivi, carreggiata stretta, segnaletica scarsa, illuminazione inesistente e raggi di curvatura degni de la Rumorosa in Messico. 

Il segmento Corigliano-Rossano-Crotone avrebbe dovuto essere una priorità. La priorità assoluta. Ormai, al posto dei vecchi indicatori riportanti la progressiva stradale, campeggiano croci e altarini votivi a ricordo delle vittime sterminate negli anni dall’infrastruttura. Ogni defunto lungo questa tratta, pesa su coscienze ben precise. È una responsabilità morale, tecnica e politica. E lo è da tempo. E, poi, c’è l’altra metà del problema: la nostra. Quella delle Comunità sibarite e crotoniati che hanno smesso di guardarsi attorno. Classi Dirigenti incapaci di fare squadra, divise, miopi. La Città sibarita e quella pitagotica si ignorano. Non esistono progetti comuni. Non si intravede la benché minima idea condivisa di futuro. 

Così, mentre si continua a discutere di varianti e si ricorre alla carta bollata per impedire espropri, qualcuno continua a morire. Pochi giorni fa è toccato al giovane Gaetano. Ai suoi congiunti esterno tutta la mia solidarietà. 

E dopo Gaetano? Quanti altri ancora dovranno perire prima che nasca un sentimento di rivalsa e un Popolo possa riacquisire la percezione del significato di dignità? Inutile, se non dannoso, soffermarsi sulle responsabilità umane quando parliamo di sinistri mortali. Una strada più sicura, rispettosa delle prescrizioni europee e fedele ai dettami della corretta circolazione veicolare, riduce, notevolmente, i margini di mortalità. La A2 è il plastico esempio di quanto riferito. 

Bisogna capire se vogliamo attenzionare il valore della vita umana o se preferiamo ossequiare le dinamiche del centralismo economico. Smettiamola con i populismi spicci che stagliano il linguaggio social: “Tutta colpa della velocità…”, “Mettiamo i tutor sulla statale…“.

Per carità, la prudenza dovrebbe essere l’imperativo categorico. Ma, qualcuno è convinto che sulle altre strade si proceda a passo d’uomo? 

È la mancanza dei basilari standard di sicurezza che rendono la 106 una trappola per topi. Poi, se il termine di paragone alla statale jonica deve essere la Via degli Yungas in Bolivia, allora possiamo considerare la 106 un corridoio transeuropeo degno di tale nome. 

Leggere che il problema non sia la strada, ma l’incedere a velocità sostenuta, significa non avere percezione della vergognosa condizione infrastrutturale lungo la costa jonica. 

Il Popolo si svegli, esca dal torpore. Inizi, soprattutto, a partorire pensieri degni di una mente come quella dell’uomo. Solo allora, forse, i Referenti politici si ravvedranno. Probabilmente, ripensando talune scelte discutibili che hanno posposto le necessità dei territori a quelle economiche. Iniziando, magari, ad adempiere con coscienza  agli incarichi derivanti dallo status, sociale e istituzionale, rivestito. (dm)

[Domenico Mazza, Comitato Magna Graecia]

LA CALABRIA BRUCIA, È EMERGENZA
107 INCENDI BOSCHIVI IN UN GIORNO

di ANTONIETTA MARIA STRATI – La Calabria brucia, di nuovo. Con le prime ondate di caldo, infatti, l’emergenza incendi è tornata a colpire la nostra regione ma, come sottolinea Legambiente Calabria, «non è solo colpa del caldo. È spesso l’alibi degli ecocriminali che approfittano dei mesi estivi per mettere in atto i loro affari».

«Nella sola giornata del 29 giugno 2025, si sono registrati 107 incendi boschivi in tutta la regione. Colpita anche la Locride con un vasto rogo che ha interessato le colline fra Roccella Jonica e Caulonia», ha denunciato Legambiente, che pone, nuovamente, l’attenzione su  un’emergenza «che si ripete ogni estate e che trova la Calabria ancora impreparata sul fronte della prevenzione, nonostante gli sforzi messi in campo», ha detto l’Associazione, ricordando come la Regione ha recentemente avviato il nuovo Piano AIB 2025, annunciando una politica di “tolleranza zero” con l’utilizzo di droni e satelliti per il monitoraggio del territorio».

«Strumenti tecnologici che, negli anni passati – ha detto l’Associazione – hanno effettivamente portato all’identificazione di diversi piromani, ma che non hanno ancora determinato una riduzione significativa del fenomeno perché è ancora insufficiente la gestione forestale e la manutenzione ordinaria del territorio dedicata alla prevenzione del rischio incendi».

Un concetto ribadito dal Partito Democratico Calabria, che ha sottolineato come «non basta affidarsi a droni e satelliti se mancano manutenzione ordinaria, gestione forestale e risorse umane. La tecnologia non può sostituire un piano organico di prevenzione, come ripetiamo da tempo».

Servono, infatti, come anche ribadito da Anna Parretta, presidente di Legambiente Calabria e di Antonio Nicoletti, responsabile nazionale Aree protette di Legambiente, un cambio di rotta per un fenomeno «aggravato dalla crisi climatica, con ondate di calore sempre più intense e periodi di siccità prolungata, ma anche da scelte politiche inadeguate, ritardi e assenza di prevenzione strutturata».

La Calabria – ha ricordato l’Associazione – «è al terzo posto in Italia per reati legati agli incendi boschivi e di vegetazione, con: 445 reati accertati, 369 incendi registrati, 13 persone denunciate, 4 sequestri, 335 illeciti amministrativi e 371 sanzioni. Fra le province, Cosenza svetta a livello nazionale con 257 reati e 108 illeciti amministrativi, seguita da Crotone (13° posto) e Catanzaro (17° posto)».

Ad aggravare un quadro già preoccupante, i dati riportati dal PD, basandosi sui dati Ispra: «nel 2025 il 70% delle foreste italiane bruciate è nella nostra regione».

«Non si può più puntare solo sulla gestione dell’emergenza – hanno detto Parretta e Nicoletti –. Servono politiche di buona gestione forestale, mappatura delle aree percorse dal fuoco e imposizione dei vincoli previsti dalla legge quadro sugli incendi boschivi, presidio del territorio e rafforzamento della sicurezza per le comunità nelle aree interne e montane».

«La tecnologia, da sola, non basta – hanno continuato Parretta e Nicoletti – se non è accompagnata da investimenti strutturali, responsabilizzazione dei cittadini, controlli efficaci, repressione severa dei reati e una regia politica forte. Troppo spesso, inoltre, gli incendi sono legati a interessi criminali, come ha evidenziato la magistratura, che ha documentato il coinvolgimento della ‘ndrangheta nel business illecito della gestione dei boschi e dei pascoli abusivi».

«Ormai, da mesi – continua Legambiente – è incessante il lavoro dei vigili del fuoco. Preoccupante l’episodio avvenuto a Cassano allo Ionio, dove le fiamme si sono propagate pericolosamente nei pressi di una RSA, costringendo all’evacuazione preventiva di 10 persone. Interventi anche lungo l’autostrada A2 del Mediterraneo, in particolare a Tarsia (CS), dove incendi di arbusti e macchia mediterranea hanno causato disagi alla viabilità. Ma il fenomeno in queste ultime ore sta interessando tutta la Calabria. Ad Amendolara, nello Ionio Cosentino, un vasto incendio ha circondato il paese per ore».

Come far fronte a questa emergenza? Legambiente Calabria ha rilanciato le 10 proposte operative già presentate lo scorso anno, che vanno dalla gestione integrata del rischio incendio alla pianificazione forestale e urbanistica, fino al rafforzamento delle pene, al pascolo controllato come misura preventiva e alla ricostituzione ecologica post-incendio.

«La Calabria – conclude Legambiente – non può e non deve farsi trovare impreparata. Occorre una visione lungimirante, risorse adeguate e volontà politica per scongiurare i disastri a cui stiamo assistendo e che rischiano di diventare strutturali con l’aggravarsi della crisi climatica».

A fare eco all’Associazione è il PD, che chiede affinché la «maggioranza accetti la realtà e ascolti le proposte formulate da Legambiente e quelle che il Pd ha più volte sottoposto all’attenzione del governo regionale, anche con il progetto “TerraFerma Montagna Solidale”».

«Il gruppo Pd — conclude la nota — continuerà a incalzare la giunta affinché abbandoni la propaganda e dia finalmente priorità a un piano serio, concreto e immediato, con risorse certe, personale adeguato e un controllo costante».

«Suscita sconcerto leggere le dichiarazioni del gruppo Pd, che offre un quadro distorto della situazione incendi in Calabria, citando numeri in modo fuorviante e operando paragoni privi di fondamento oggettivo», ha detto l’assessore regionale alla Forestazione, Gianluca Gallo, rispondendo ai dem. (ams)

EMIGRAZIONE, È RECORD: IN DUE ANNI SONO
PARTITI IN OLTRE 241 MILA DAL MERIDIONE

di MASSIMO MASTRUZZONel biennio 2023-2024, oltre 241.000 cittadini del Mezzogiorno si sono trasferiti nelle regioni del Centro-Nord, contro appena 125.000 nella direzione opposta. Lo segnala l’Istat nel rapporto “Migrazioni interne e internazionali della popolazione residente”, tracciando un quadro ormai strutturale dello spopolamento del Sud Italia.

Il saldo negativo è preoccupante: 116.000 persone in meno in due anni. Una vera e propria emorragia demografica, che però ha anche impatti economici rilevanti e spesso sottovalutati, soprattutto dal punto di vista fiscale.

Lombardia prima destinazione: un terzo dei pugliesi e lucani migranti finisce qui

Secondo l’Istat, tra le mete più scelte spicca la Lombardia, che da sola accoglie circa il 30% dei migranti interni dalla Puglia e dalla Basilicata. Province come Milano, Bergamo e Brescia attraggono forza lavoro giovane e qualificata che spesso non trova adeguate opportunità nel Sud d’origine.

Il peso delle tasse locali: un trasferimento che vale milioni per il Nord

L’aspetto meno discusso ma estremamente rilevante riguarda la redistribuzione delle entrate tributarie locali, legate in particolare all’Irpef regionale e comunale. Prendendo come esempio reale una busta paga di un lavoratore residente in provincia di Brescia: 41 euro al mese vanno alla Regione Lombardia; 21 euro al mese vanno al Comune di residenza

In totale, 62 euro al mese solo in tributi locali, ovvero 744 euro l’anno per contribuente.

Applicando questo dato medio ai 241.000 nuovi residenti al Nord: 241.000 x 744 € = circa 179 milioni di euro all’anno versati in imposte locali a favore delle regioni e comuni ospitanti.

Al contrario, si tratta di 179 milioni in meno che le regioni del Sud perdono annualmente, aggravando ulteriormente la debolezza dei bilanci pubblici locali.

Le regioni meridionali in perdita doppia: persone e risorse

Il trasferimento di popolazione non è solo una questione numerica. Ogni residente che parte porta con sé: Reddito da lavoro; Contributi previdenziali; Consumi locali (commercio, servizi) e, soprattutto, entrate fiscali che finanziano sanità, trasporti, istruzione e servizi sociali.

Se consideriamo una permanenza media di 10 anni al Nord, la perdita potenziale per il Sud potrebbe arrivare a quasi 2 miliardi di euro di mancate entrate locali in un solo decennio.

Non è solo fuga di cervelli, ma un “trasferimento fiscale” strutturale

Il rapporto Istat fotografa una tendenza consolidata e profonda: l’Italia continua a muoversi, ma in una sola direzione. E mentre il Sud si svuota, il Nord non solo guadagna in forza lavoro, ma incassa ogni anno centinaia di milioni di euro grazie a queste migrazioni.

L’emigrazione interna, da questo punto di vista, non è più solo una questione sociale o demografica, ma un meccanismo di redistribuzione fiscale silenzioso e progressivo.

Chi governa sa, ma non agisce

L’Istat informa la politica italiana da sempre, ma questo governo e quelli precedenti non hanno mai voluto cambiare rotta. Il Sud resta, nei fatti, un bacino di voti da gestire, ma non un territorio da sviluppare. Le segreterie dei partiti, quasi tutte localizzate al Nord, continuano a sfruttare questa disomogeneità territoriale.

Una situazione in aperto contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, che sancisce l’uguaglianza sostanziale tra i cittadini e l’impegno della Repubblica a rimuovere gli ostacoli economici e sociali.

In questo contesto, il Movimento Equità Territoriale si batte per invertire questa tendenza, denunciando l’abbandono istituzionale del Mezzogiorno e proponendo un nuovo modello di sviluppo realmente equilibrato tra Nord e Sud.

 

[Massimo Mastruzzo, direttivo nazionale MET – Movimento Equità Territoriale]

BALNEAZIONE, IN CALABRIA C’È CARENZA
DI INFORMAZIONE SULL’INQUINAMENTO

di MARIO PILEGGIMentre sui social si rileva il proliferare di commenti, proteste e pareri di “esperti tuttologi” dei mari della Calabria, si continua ad ignorare la necessità di informarsi e di essere informati sulla qualità delle acque marine di balneazione in ogni punto delle coste dell’Unione Europea per come imposto alle istituzioni locali e nazionali dalla normativa vigente.

In particolare, per garantire la tutela della salute pubblica, non può essere ignorato che il tratto costiero, segnalato da Arpacal al Sindaco di Lamezia per la presenza di Escherichia coli in quantità superiore ai limiti imposti dalla normativa vigente per la idoneità alla balneazione, è localizzato fuori del territorio comunale di Lamezia Terme.

Com’è noto il Sindaco di Lamezia Terme, “ravvisata l’inderogabile esigenza di tutelare la salute pubblica” ha emesso l’Ordinanza N. 29 del 25/06/2025 avente per oggetto il Divieto temporaneo di balneazione nel  tratto costiero “Lido Marinella – ID 16001”.

In realtà, sul Portale delle acque di balneazione del Ministero della Salute, lo stesso tratto costiero è localizzato con dettagliate coordinate geografiche all’interno del comune di Gizzeria ma non risulta nell’elenco delle “Aree adibite alla balneazione” dello stesso comune.

Per come ripetutamente evidenziato dagli Amici della Terra e da questo quotidiano, lo stesso tratto  “Lido Marinella” IT018079160001, ubicato nel territorio comunale di Gizzeria, compare invece nell’elenco delle “Aree adibite alla balneazione del comune di Lamezia Terme.

Ma c’è di più: nel mentre era in vigore l’Ordinanza di divieto di balneazione per inquinamento, lo stesso tratto di spiaggia “Lido Marinella” nelle mappe del Ministero della salute e dell’Unione Europea, veniva indicato balneabile e con acque di qualità eccellenti.

Questo guazzabuglio derivante dalle imprecisioni da parte dei comuni, della Regione, dell’Arpacal e del Ministero della Salute sulla localizzazione delle aree di balneazione, oltre a non garantire la tutela della salute dei bagnanti, ha suscitato allarme e preoccupazioni nei cittadini del comune di Lamezia Terme in realtà non interessato dal divieto. 

Preoccupazioni particolarmente avvertite e pubblicamente manifestate dal Presidente del “Consorzio Marinella” con 600 unità abitative nel quartiere residence Marinella di Lamezia Terme. Preoccupazione, nei giorni scorsi non fondata perché il tratto di spiaggia utilizzato dai residenti del Consorzio “Marinella” come quello del lungomare di Lamezia Terme, ricadono nell’Area adibita alla balneazione denominata “Località Cafaroneche dal primo maggio risulta, senza soluzione di continuità, balneabile e di qualità eccellente.

In pratica, il divieto di balneazione posto in corrispondenza dei 1.167 metri di spiaggia del comune di Gizzeria, invece di essere percepito dai bagnanti del comune interessato, ha determinato preoccupazioni e allarme nei cittadini del comune di Lamezia Terme.

Imprecisioni, incongruenze e carenze sono presenti in altri tratti di costa dei comuni bagnati dal Tirreno e dallo Jonio calabrese.

D’altra parte, anche in piena stagione balneare lungo i 670 chilometri di costa adibita alla balneazione non è per niente facile individuare dove sono localizzati i 649 punti di prelievo di ogni tratto costiero della Regione. Come risulta difficile individuare dove inizia e dove termina il divieto permanente di balneazione per inquinamento esistente su numerosi tratti di spiaggia che complessivamente raggiungono varie decine di chilometri.

Va ribadito che per ogni singolo tratto, adibito e non adibito alla balneazione c’è l’obbligo di garantire la tempestiva informazione sulla condizione del litorale, delle acque marine e di ogni altro dato, aspetto e fenomeno che può incidere sulla stessa condizione. Informazione necessaria sia per evitare rischi alla salute dei bagnanti sia per garantire la diffusione delle conoscenze su dinamiche e cause dell’inquinamento e consentire ai cittadini di pretendere i necessari interventi di risanamento da parte degli Enti preposti. Informazione che deve essere assicurata, con modalità indicate da precise norme e dettagliate direttive dell’Unione europea. Modalità che, tra l’altro, prevedono specifica cartellonistica da esporre come si fa in molte regioni dotate anche di specifici siti web aggiornati in tempo reale. 

In Calabria si continua con le “carenze informative” denunciate nelle Relazioni sull’inquinamento delle acque di balneazione della Corte dei Conti e in tutti i Rapporti sullo Stato di Salute dei Mari degli Amici della Terra. (mp)

[Mario Pileggi, geologo del Consiglio nazionale Amici della Terra]