ADOZIONE, MILLE CRITICITÀ IN CALABRIA
SI DEVE APRIRE A SINGLE E COPPIE DI FATTO

di ANNA COMI – Nel mio ruolo di Coordinatrice delle Pari Opportunità della Uil Calabria, e in quello di mamma di due bambini nati fuori dal nostro Paese, mi preme ringraziare e nel contempo rispondere, con alcune precisazioni, all’assessora Caterina Capponi in merito alla riflessione pubblicata sul suo giornale, dal titolo “Cari cittadini calabresi parlate di adozione”.

Parlo innanzitutto in prima persona, in nome di chi i fatti li ha vissuti e può raccontarli davvero dal di dentro.
L’esistenza e la funzionalità dell’ente regionale per le adozioni è di fondamentale importanza per chi vorrebbe adottare un bambino seguendo il percorso dell’adozione internazionale e per questo deve essere potenziato e il suo finanziamento reso strutturale. L’ente regionale infatti si occupa di adozioni internazionali, mentre sono i tribunali per minorenni ad occuparsi delle adozioni nazionali.

A differenza di queste ultime, le adozioni internazionali seguono un iter particolare per cui è necessario dare mandato ad un ente riconosciuto dalla commissione adozioni Internazionali per poter procedere. Uno di questi enti è proprio quello regionale a cui la nostra assessora fa riferimento nel testo. E’ da precisare che solo le coppie sposate, e purtroppo non i single, possono accedervi. Sarebbe buona cosa però se la nostra Regione iniziasse a pensare di farsi promotrice di un’azione forte nei confronti del Governo, affinché single e coppie di fatto tutte, possano avere l’opportunità di accogliere un bambino.

C’è da specificare che le coppie, prima di arrivare a dare mandato ad un ente devono essere in possesso di una idoneità derivante da una serie di relazioni attitudinali e quindi, dopo aver presentato domanda presso il Tribunale per i Minorenni, si devono rivolgere ai servizi sociali del territorio di appartenenza.

Ed è già qui che sorgono le prime difficoltà: in Calabria la rete welfare legata agli enti locali è pari a zero, aggravata dai continui tagli alle risorse. Unico supporto potrebbero essere i consultori ma, come evidenziato da un report presentato proprio dal coordinamento Pari Opportunità della Uil Calabria, a causa di poco personale, tendono a limitare le attività provenienti sia da enti locali che da tribunali per i minorenni cercando di attenersi strettamente alle loro competenze specifiche. La conseguenza è un serio rallentamento di una procedura già difficile di suo e che porta sconforto e frustrazione alla coppia stessa. Pertanto, se realmente stanno a cuore le adozioni, il primo passo per migliorare il sistema è proprio quello di rendere più operativi i consultori attraverso l’assunzione di assistenti sociali e psicologi, figure professionali queste carenti ovunque nella nostra regione.

Un altro punto è quello di dare strutturalità al finanziamento destinato alla operatività di questo servizio. Non di meno deve essere presa in seria considerazione la necessità di un potenziamento di organico per renderlo stabile e sempre più efficiente.
Il servizio delle adozioni, nato qualche anno fa e legato alla regione Piemonte, fino a questo momento ha fatto fatica a decollare. Purtroppo la sua esistenza è legata al mandato politico pertanto funziona a singhiozzo e, come successo già in passato, potrebbe ritrovarsi senza personale lasciando le coppie in balia delle onde. Nè tantomeno è possibile pensare che le coppie possano rivolgersi, per le loro stringenti necessità legate all’iter adottivo e post adottivo, ad operatori che fisicamente si trovano a Torino!

Pertanto, nel ringraziare l’assessora, ci auguriamo che la nostra riflessione venga presa in considerazione rendendo quindi più efficienti i consultori e stabilizzando una volta per tutte il servizio dell’ente regionale che attualmente procede con una programmazione proiettata in avanti soltanto di due anni.

La Uil, inoltre, è da sempre favorevole a incentivare misure a sostegno della genitorialità. (ac)

[Anna Comi è Coordinatrice Pari Opportunità Uil Calabria]

CON L’AUTONOMIA IN CALABRIA SI RISCHIA
STOP ALL’EXPORT: È UN SETTORE CRUCIALE

di MASSIMO CLAUSI – La frenata decisiva all’applicazione dell’autonomia differenziata, Antonio Tajani l’ha impressa quando si è reso conto che fra le materie che potevano essere trasferite subito alle Regioni c’era il commercio estero, di sua stretta competenza. È stato allora che il segretario nazionale di Forza Italia, nonché ministro degli Esteri e vicepremier, ha intimato l’altolà.

«Bisogna vigilare affinché l’Autonomia differenziata venga ben applicata – ha detto –. Anche oggi se ne parlerà in Consiglio dei ministri, io ribadirò che, per quanto riguarda il commercio estero, c’è una competenza unitaria nazionale: non si può pensare che le Regioni sostituiscano lo Stato».

Non sappiamo bene cosa vuol dire “vigilare” visto che la legge è chiarissima. Il commercio estero è fra le materie non soggette all’individuazione dei Lep, quindi le regioni potrebbero chiedere immediatamente il trasferimento di funzioni e al massimo il ministro degli Esteri potrebbe fare solo melina per ritardare il trasferimento. Di più non potrebbe fare a norma di legge.

La questione non è di poco conto perché l’export rappresenta per l’Italia, come ha detto lo stesso Tajani, il 40% del nostro Pil. Il problema è che Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto sono le regioni che, quantomeno in valore assoluto, contribuiscono maggiormente all’export nazionale. Cumulativamente le tre regioni sopra citate nel 2022 hanno realizzato il 53,5 per cento delle esportazioni italiane per un volume d’affari prossimo ai 329 miliardi di euro. Se queste regioni dovessero gestire in autonomia l’export e i suoi proventi, facendo un po’ i conti della serva, il Pil del Paese potrebbe avere una contrazione del 20% circa.

Ma cosa succederebbe alla Calabria? Certamente una brusca frenata all’impennata che sta conoscendo in questi anni nell’export. Il dato assoluto è tutto fuorché positivo. Siamo la regione che pesa di meno sull’export del Paese. In valore assoluto rappresentiamo uno scarso 1%. C’è da dire però che negli ultimi anni le nostre esportazioni stanno crescendo. Il valore totale è passato infatti, secondo i calcoli della Sace, da 411,42 milioni del 2020 agli 879,38 del 2023.Quindi un raddoppio in pochi anni.

Come prevedibile la parte del leone la fanno i prodotti agroalimentari che rappresentano il 33% delle merci esportate per un controvalore nel 2023 pari ad oltre 220 milioni. Seguono i prodotti chimici (26%), tessile e abbigliamento (9%); meccanica strumentale (9%) e a seguire il resto. I principali Paesi verso cui esportiamo sono, per quanto riguarda l’Europa, Germania, Francia e Repubblica Ceca. Extra Ue invece esportiamo soprattutto in Usa, Inghilterra e, a sorpresa, in Iraq (4%). La provincia più dinamica in questo settore è quella di Reggio Calabria che rappresenta il 48% delle nostre esportazioni, seguono Catanzaro (21%); Cosenza (17%); Crotone (8%) e Vibo (6%). Abbiamo messo in fila questi numeri per dire che la Calabria in questi anni ha dimostrato una sua vitalità sull’export. Una spinta che ha, o dovrebbe avere, il suo centro propulsivo in una infrastruttura strategica come il porto di Gioia Tauro. Il problema è che questa vitalità rischia una brusca frenata con l’autonomia differenziata.

I principali fattori di crescita dell’export non risiedono tanto nella qualità dei prodotti, che comunque è importante, ma in due fattori che sonole strutture e il capitale relazionale. Se ogni regione dovesse fare da sé verrebbero meno strutture importanti come ad esempio l’Ice (Istituto per il commercio estero) che aiuta le imprese ad entrare nei mercati come quello statunitense che ha regole sui prodotti agroalimentari molto particolari e molto rigide. Ma anche le varie Camere di commercio estere non si capisce bene che fine faranno. E per assurdo anche la Farnesina verrebbe in parte svuotata del suo ruolo. Come farebbe la Calabria con i pochi mezzi economici che gli derivano dall’export ad arrivare sui mercati esteri? È illusorio pensare che basti partecipare a qualche fiera internazionale.

Infine c’è quello che abbiamo definito il capitale relazionale ovvero i contatti con i buyer interessati al Made in Italy. Su questo ci sono strutture e persone specializzate che favoriscono la domanda e l’offerta. Persone che ovviamente in caso di autonomia differenziata si orienterebbero sulle regioni più forti e con margini di guadagno maggiori. Insomma Tajani se n’è accorto un po’ tardi ma l’autonomia differenziata sarebbe nociva per le regioni più deboli e per tutto il Paese. (mc)

[Courtesy LaCNews24]

ANCHE IN CALABRIA SUONA LA CAMPANELLA
LA SCUOLA TRA EMERGENZE E CRITICITÀ

di FRANCESCO RAOA distanza di poche ore dall’avvio del nuovo Anno Scolastico, con l’emozione di chi si appresta a varcare le porte di un mondo infinito chiamato scuola per la prima volta, credo sia opportuno porgere un caloroso augurio a tutta la Comunità scolastica calabrese, anteponendo per una volta le opportunità alle criticità, con il chiaro intento di valorizzare la narrazione qualitativa della nostra terra e della sua gente, da sempre impegnata in un percorso di forte riscatto sociale e culturale praticato soprattutto attraverso lo studio.

La strada da percorrere è lunga ma sotto i nostri occhi, contrariamente al passato, è presente molto più entusiasmo e voglia di essere protagonisti di un futuro considerato non più lontano e irraggiungibile, ma realtà nella quale la cultura e il sapere potranno generare coesione, crescita e sviluppo nonché dare vita al superamento emergenziale dell’emigrazione. 

La Calabria ed i calabresi, per superare il divario Nord-Sud, hanno bisogno di culture capaci di creare opportunità positive, da sempre individuate altrove come fatto naturale ma puntualmente irrealizzabili a casa nostra per motivi poco noti. Ebbene, affermare che la Calabria e altre regioni del Meridione possano diventare in un prossimo futuro la “Silicon Valley” dell’Europa, oggi credo non sia più una blasfemia ma può essere un auspicio reale al quale il mondo della scuola non dovrà sottrarsi ma al contrario dovrà considerarlo uno tra i propri obiettivi prioritari. Oggi i nostri studenti hanno una marcia in più. Apprendono velocemente e, da nativi digitali, hanno un approccio naturale con la tecnologia e l’informatica, ricorrono con facilità all’approccio offertoci dall’intelligenza artificiale e assorbono in un modo incredibile i linguaggi del mondo che li circonda.

Queste importantissime caratteristiche, considerabili parte di un capitale invisibile da valorizzare, impongono una particolare attenzione tesa a coinvolgere in un progetto comune, oltre ai docenti e alle famiglie, le realtà territoriali che rappresentano il tessuto socioeconomico e produttivo del territorio. In tal senso, grazie all’autonomia scolastica e alla particolare professionalità dei docenti, si potranno inserire nei rispettivi curricula delle scuole curvature specifiche tese a far conoscere agli studenti la realtà locale storica ed economica con l’intento di superare il pericoloso paradosso del disimpegno scolastico e della noia, potenzialmente individuabili quali cause principali della dispersione scolastica. 

Intere Comunità potrebbero formare i nostri giovani, fornendo loro maggiori conoscenze e soprattutto intravedendo nella storia la chiave di lettura utile per scrivere un futuro nel quale il Meridione, in concorso al Settentrione, possa essere a pari dignità motore di crescita e sviluppo per l’intero Paese. Ai nostri giovani dovremo chiedere anche soluzioni innovative per risolvere annose questioni che in futuro li riguarderanno in prima persona. Penso alle criticità strutturali quali l’organizzazione dei trasporti, alla distribuzione di centri sportivi, alle opportunità d’inserimento nel mondo del lavoro e alla partecipazione politica.

Per esempio, attraverso sessioni di “debate”, sarà possibile far apprendere e migliorare le tecniche di confronto con quanti la pensano in modo differente, lavoro indispensabile da svolgere tanto in classe quanto all’aperto insieme ai docenti e con l’intento di trasmettere agli studenti l’importanza della non violenza da praticare come metodo di vita per tutelare la vita. Infine, la Scuola è chiamata a mettere in campo tutti gli strumenti utili per affrontare l’incombente pericolo dell’analfabetismo funzionale, fatto che ostacola la corretta comunicazione e rischia di minare la tenuta sociale e democratica del Paese a seguito del crescente atteggiamento relativistico praticato da tutte le generazioni con epiloghi sempre più tristi e violenti. 

Dalla nostra parte, questa volta, non ci sono più le solite stime o le previsioni ma dati concreti da considerare come un incoraggiante punto di partenza. La Calabria in particolare ha registrato una crescita nell’esportazione, manifestando una chiara inversione di tendenza del Sud rispetto al Nord; cresce la presenza turistica nazionale e internazionale; le nostre Scuole, il sistema ITS e in modo particolare le nostre Università, rappresentano un validissimo sistema formativo, capace di attrarre studenti e docenti non solo da altre regioni ma anche da altri stati. 

Insomma, l’arduo lavoro svolto nel corso di questa fase post-pandemica ha aperto un nuovo scenario nel quale le giovani generazioni, insieme ai loro docenti e alle rispettive famiglie, dovranno essere accompagnati per toccare con mano una realtà in costante evoluzione dalla quale si potranno trarre nel medio periodo importanti segnali occupazionali e di sviluppo socioculturale da considerare elementi indispensabili per mantenere il passo con la velocissima evoluzione tecnologica e superare la desertificazione sociale ed economica del Mezzogiorno, paragonabile ad una spada di Damocle pronta ad infierire sulla nostra testa.

Ecco perché lo studio va considerato dagli studenti come una missione sociale e gli insegnanti dovranno ricordare ogni giorno il valore del loro delicatissimo ruolo, seppur poco retribuito ma ancora tra le professioni più belle al mondo perché attraverso la trasmissione del sapere, l’approfondimento critico e la bellezza delle scoperte, sarà possibile consentire ai nostri giovani di potersi presentare all’appuntamento dell’inserimento occupazionale con le giuste competenze, con la propensione di mantenere vivo per tutta la vita il desiderio di imparare e la curiosità di scoprire sempre nuove mete, alimentando sentimenti di cooperazione a sommatoria positiva tesi a generare pace tra i Popoli. 

Con questi presupposti e con la fiducia di chi ha iniziato la scuola da quasi 50 anni, senza esserne più uscito, auguro buon Anno Scolastico a tutta la Comunità scolastica calabrese. (fr)

[Francesco Rao è docente a contratto, cattedra di sociologia generale, presso l’Università “Tor Vergata” di Roma]

ALLA BELLA CROTONE DIVENTATA UN SITO
DI (DIS)INTERESSE NAZIONALE SERVE AIUTO

di EMILIO ERRIGOConoscevo la città di Crotone da ragazzo, perché trascorrevo qui un periodo delle mie vacanze estive fino gli inizi anni ’70; già allora, tra un tuffo e le tante risate con gli amici della città, era impossibile non notare la zona industriale, portatrice a quei tempi, di benessere sociale e positività.

La successiva cronistoria dei disastri ambientali e le conseguenze dannose e pericolose per la salute dei cittadini dovute alle nocive attività industriali metallurgiche e chimiche di Crotone, sono oggi tristemente famose in tutto il Paese: nessuno può permettersi di avere il coraggio di dire di non sapere cosa sia accaduto e cosa accade a Crotone, facendo finta di non capire, sapere, vedere e sentire.

Un dramma umano e ambientale di vastissime dimensioni, consistenza e ambiti territoriali. 

Molte sono state le Commissioni Parlamentari di inchiesta e tante altre le puntuali inchieste della magistratura che, a seguito di approfondite indagini di polizia giudiziaria ambientale e mirate perizie tecnico giudiziarie, eseguite da consulenti tecnici d’ufficio di indubbia professionalità, hanno fatto emergere danni e responsabilità soggettive e oggettive, per i danni causati all’ambiente e alla salute pubblica dei lavoratori delle ex Fabbriche (c.d. dei Veleni) e dei loro familiari. Le politiche di sicurezza sociale, le azioni di bonifica ambientale e sanitaria, purtroppo, nel tempo, non sono state tutte attuate e alcune, si sono rivelate a posteriori, poco idonee e incomplete.

Il caso ha voluto, dopo un lungo arco temporale di oltre  45 anni, il mio ritorno in Calabria, per volontà del Presidente della Regione, Roberto Occhiuto, prima come Commissario Straordinario dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Calabria, (Arpacal) e poi, su incarico della Presidenza del Consiglio dei Ministri, quale Commissario Straordinario di Governo con i precisi compiti di “coordinare, accelerare e promuovere”, la realizzazione degli interventi di bonifica e riparazione del danno ambientale nel Sito contaminato di interesse nazionale (Sin) di Crotone – Cassano e Cerchiara di Calabria. 

Sono passati dodici mesi, un anno della mia vita in cui mi considero come ancora in missione (una delle più difficili professionalmente in termini di impegno psicofisico) tra la meravigliosa Gente di Calabria, insieme ad intraprendenti e capaci industriali, imprenditori coraggiosi e cari cittadini di Crotone. 

In questo anno, come ricordavo, ho potuto ritrovare in città, quella umanità solidale e accogliente; voglio sottolineare ad esempio, la reale disponibilità e attenzione avuta nei confronti della Struttura Commissariale, dal Presidente della Provincia di Crotone, il dott. Sergio Ferrari che, insieme al vice Presidente dott. Fabio Manica, ai dirigenti e ai funzionari, mi hanno consentito di allocare all’interno dell’immobile sede della Provincia il mio ufficio operativo.

Purtroppo, questa umanità genuina, si scontra e si combina con un velato pessimismo, alla voglia di scappare via, di trovare altrove quel futuro che si pensa di non poter trovare in Calabria e a Crotone; ne ho avuto conferma alcuni giorni addietro quando sono stato invitato all’Istituto d’Istruzione Superiore “Ciliberto-Lucifero” di Crotone, diretto dal dirigente scolastico dott. Girolamo Arcuri, per la presentazione di una opera letteraria collettiva, dal titolo emblematico e molto significativo, “Crotone un sito di di(s)interesse Nazionale”, una reale esperienza partecipata di scrittura collettiva.

Ascoltando i giovani studenti intervenuti nel dibattito, sono rimasto colpito dal loro orgoglio di essere Crotonesi, dal loro intenso impegno scolastico e politico ma ho potuto toccare con mano la loro disillusione, la loro sicurezza nel non intravedere a breve termine, un futuro ricco di speranza per la loro città e la quasi totale certezza di dover andare via dal loro luogo del cuore, per poter vivere una vita felice.

Nel testo del libro emerge in modo netto, preciso e chiaro, uno spaccato della realtà umana, sociale e ambientale di Crotone, il cui territorio, è stato individuato e dichiarato per legge, Sito contaminato di Interesse Nazionale dal 2001; si afferma che fino ad oggi, Crotone, è stata privata dalla necessaria attenzione istituzionale, (un inaccettabile dis-interesse nazionale) riguardante un contesto territoriale e ambientale considerato senza futuro, proprio dalla forza migliore della società civile, le nuove generazioni.

Prima della cerimonia, in cui era presente il sindaco, ing. Vincenzo Voce, uno degli eccellenti autori del libro e testimonianza diretta dei fatti crotonesi e di quella voglia di cambiamento, mi sono intrattenuto a dialogare con i genitori e gli amici, dei compianti, Dodò Gabriele, Arturo Caputo e Gianluca Canonico, tre giovanissime vittime innocenti della criminalità organizzata, che non avevano e non potevano aver fatto del male ad alcuno. 

Questi pensieri del tutto comprensibili, si scontrano con il mio innato ottimismo; non mi trovo d’accordo con coloro che non credono che la città di Crotone, nel prossimo futuro, sarà migliore, più giusta e produttiva di benessere collettivo in tutti i sensi.

Il passato, quello più triste e inquinante per il territorio, è un giorno che non torna e non dovrà più ritornare.

Il presente e futuro della comunità che fu di Pitagora, sarà in un prossimo breve futuro sicuramente più denso di opportunità di lavoro qualificato, specializzato appagante generalizzato e ben retribuito.

La realtà economica, la logistica intermodale sostenibile, portuale, aeroportuale, ferroviaria, registra molte crescenti presenze operative nell’area industriale ed imprenditoriale, registrando, se pur con le molte difficoltà e criticità ambientali, redditi d’impresa e bilanci in attivo. 

Il previsto e decretato completamento degli interventi di bonifica e riparazione del danno ambientale, deve riaccendere la speranza!

A tal proposito voglio ribadire, in questo anniversario, che non mi considerino di parte i cittadini, le istituzioni e le altre componenti del tessuto imprenditoriale e sociale crotonese; non lo sono affatto e non è mio intendimento esserlo in futuro, sono e rimarrò per sempre, dalla parte della legge, a difesa e protezione dei cittadini e città di Crotone.

Per far chiarezza del mio pensiero costruttivo di cui sono fermamente convinto posso affermare, che Eni Rewind S.p.A., nel corso di questo anno coincidente con la mia presenza a Crotone, ha manifestato molta fattiva, leale e concreta cooperazione a favore del completamento delle opere già iniziate e che, per vari motivi, non sono ancora stati completati.

Leggendo con attenzione la mole imponente di documentazione, posso affermare che le risultanze investigative, presenti in atti di inchiesta e indagini dell’Autorità Giudiziaria, hanno escluso sino ad oggi la responsabilità penale personale storica del danno da parte del Management di Eni Rewind S.p.A. ed Edison S.p.A.

Allo stato degli accertamenti e delle perizie eseguite su delega dell’Autorità Giudiziaria competente, le aree Sin non sono risultate inquinate e contaminate da parte di Eni Rewind S.p.A. né da Edison S.p.A., perché subentrati nella proprietà in tempi in cui le fabbriche e la loro attività produttive erano già state già fermate e gli impianti dismessi definitivamente. 

I cittadini di Crotone, hanno diritto di conoscere la verità derivante dagli atti ed essere informati compiutamente e correttamente senza forzature psicologiche o ideologiche di alcun genere.

Per maggiore e completa chiarezza espositiva della realtà giudiziaria, la sentenza emessa dal Tribunale Civile di Milano e datata 2012, ha ritenuto responsabile in diritto e perciò condannato, quale proprietaria delle aree risultate contaminate, la Società Eni Syndial S.p.A., obbligandola al risarcimento monetario, calcolato per equivalente e rapportato al danno ambientale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 18, della legge n.349 datata 8 luglio 1986, istitutiva del Ministero dell’Ambiente e alle norme sul danno ambientale.

Occorre credere alla buona volontà della vera politica del bene comune, il governo e il parlamento hanno già deciso di aiutare e sostenere la crescita di Crotone, della Calabria.

I chiari, decretati intenti delle politiche nazionali e attività ambientali che si andranno ad attuare, nel corso dei pianificati e approvati progetti ed interventi di bonifica e riparazione del danno ambientale, saranno tutti finalizzati a rigenerare e rilanciare la vita economica e sociale della bella e antica Città della Magna Grecia e di tutta la Provincia di Crotone

Questo crescente impegno a favore di Crotone e dei Crotonesi, consentirà ai giovani di essere più consapevoli e ottimisti; si stanno creando le giuste e tanto attese condizioni complessive per poter fare libera impresa sul territorio. 

Questo mio pensiero, è già stato esposto durante la mia audizione in IV Commissione Ambiente del Consiglio Regionale della Calabria; anche in quella occasione, non c’è stato un solo Consigliere Regionale appartenente ad ogni ideologia partitica e politica, che abbia manifestato contrarietà rispetto le attività della Struttura Commissariale; li ringrazio per la loro continua presenza, vicinanza, attenzione e sensibilità verso la necessaria e urgente attività di bonifica ambientale delle aree inquinate e contaminate di Crotone e Provincia.

Già in quella occasione, ed ancor di più oggi, è convinzione dello scrivente, che sia necessario progettare ed istituire, per ogni Sin regionale, un impianto di conferimento e trattamento, a gestione pubblica e con eventuale partecipazione nella fase realizzativa di capitali privati, esclusivamente dedicata ai rifiuti delle tipologie prodotte e presenti all’interno dei Siti contaminati di Interesse Nazionale.

Ai cari industriali, imprenditori e agli operatori economici presenti e operanti sul territorio provinciale di Crotone e a quelli che decideranno di insediarsi nelle aree Zes e industriali di Crotone e Provincia, lancio un invito: siate più fiduciosi di questa nuova Calabria che vuole crescere, sempre di più e in meglio, giorno dopo giorno. Questa parte sana, migliore e produttiva che già si afferma con forza in tutti i più importanti eventi nazionali ed incontri internazionali.

Il deciso concreto riposizionamento strategico della Calabria in tutti i mercati e settori della New Economy, in quegli ambiti produttivi e settori dei servizi di altissima specializzazione e qualità, saranno i modelli ideali per poter investire in sicurezza il capitale di rischio nei processi di riorganizzazione industriale e imprenditoriale, nelle attività industriali e d’impresa, che devono essere oggi, sostenibili sia economicamente che dal punto di vista ambientale.

La tutela, la rigenerazione urbanistica, la valorizzazione e la protezione dell’Ambiente, della Salute e del diritto al lavoro, saranno la vera forza economica trainante e fondante di questa rivoluzione economica della terra di Calabria.  (ee)

(Emilio Errigo è il Commissario Straordinario di Governo del Sito contaminato di Interesse Nazionale (SIN) di Crotone-Cassano allo Ionio e Cerchiara di Calabria) 

NUOVA PROVINCIA, OPPORTUNITÀ O CAOS?
SERVE UNA MAGGIORE MATURITÀ POLITICA

di MATTEO LAURIA – La questione della nuova provincia in terra jonica è emblematica del caos e dell’approssimazione che spesso dominano la scena politica e amministrativa comprensoriale. Due proposte, al momento, si contendono la scena: quella della Magna Graecia, che prevede un doppio capoluogo distribuito tra Crotone e Corigliano Rossano, basata su criteri di omogeneità territoriale e conforme alla legge Delrio (che stabilisce un minimo di 350mila abitanti per le nuove province); e quella della Sibaritide-Pollino, una proposta politica, non conforme a questa legge, che appare più come una mossa tattica in prospettiva di lotte di capoluogo.

Il punto cruciale della questione non è tanto la bontà o meno delle proposte, ma il clima di confusione e cambiamento di posizioni che sembra regnare sovrano. Ogni giorno vediamo sindaci, movimenti e rappresentanti della società civile cambiare opinione, apparentemente senza avere un’idea chiara del quadro complessivo o delle implicazioni normative delle loro scelte.

Le proposte vengono avanzate senza un confronto serio e approfondito, e spesso manca il necessario rigore per orientare le decisioni verso il miglior interesse delle comunità coinvolte. L’apparenza è che si navighi a vista, rincorrendo opportunismi locali e convenienze politiche più che una visione di lungo termine.

Preoccupante, inoltre, è la debolezza di una parte della stampa, che dovrebbe svolgere un ruolo fondamentale di informazione e vigilanza, ma che invece spesso si allinea a posizioni di parte, sacrificando l’analisi critica e l’approfondimento in favore di simpatie politiche o, peggio, legami personali e familiari. Un tale comportamento, quando non si basa su una solida comprensione del quadro normativo e territoriale, tradisce la funzione stessa della stampa e contribuisce a mantenere il dibattito a livelli superficiali.

L’amministrazione comunale di Corigliano Rossano, che rivendica il capoluogo, ad esempio, ha preso una posizione chiara a favore della proposta Sibaritide-Pollino, ma altre amministrazioni, come quelle di Cassano e Castrovillari, restano in un silenzio preoccupante sulla questione della individuazione del capoluogo. Questo silenzio, anziché essere interpretato come una forma di prudenza, sembra essere più il segno di una mancanza di strategia e visione condivisa.  

La speranza è che questo clima di approssimazione lasci spazio a una stagione di maggiore maturità politica. Le decisioni sulle nuove province dovrebbero essere prese con cognizione di causa, basate su dati concreti e nel rispetto delle normative vigenti, non su tatticismi elettorali o ambizioni personali.
Oggi, però, siamo immersi in una società liquida, dove si rincorrono slogan e titoli sensazionalistici, in cui la riflessione profonda e l’informazione dettagliata sono spesso sacrificati in nome della velocità e della superficialità.

E su questa superficialità si fonda il potere di chi fa politica.
Riusciremo, un giorno, a superare questa fase? O continueremo a prendere decisioni fondamentali con la stessa leggerezza con cui si sfoglia un social network?

La risposta, purtroppo, appare ancora lontana.

Nel frattempo, si auspica che i sindaci, i movimenti e le varie componenti della società civile comprendano l’importanza di una visione responsabile, che metta al primo posto il benessere collettivo e non gli interessi di parte. Solo così si potrà davvero avviare una nuova fase di sviluppo per i territori interessati, restituendo dignità e prospettiva a una Calabria che merita molto di più di questa perenne incertezza. (ml)

[Matteo Lauria è del Comitato Magna Graecia]

ALLA CALABRIA SERVONO 62 MILIARDI
PER REALIZZARE LE OPERE STRATEGICHE

di ERCOLE INCALZA La Regione Calabria è una delle Regioni del nostro Paese in cui è davvero difficile anticipare interventi che non trovano, nel tempo, una misurabile e concreta realizzazione. È una Regione che per molti anni ha ricevuto assicurazioni nella realizzazione di un centro siderurgico a Gioia Tauro, dopo il fallimento di tale ipotesi ne ha vissuto un altro con l’impegno del Governo a realizzare una centrale a carbone per lEnel.

Fortunatamente, grazie alla intuizione dell’architetto della Cassa del Mezzogiorno Alessandro Di Loreto e del fondatore del Gruppo Contship Italia Angelo Ravano, si trasformarono le finalità del nodo in un impianto logistico portuale. Ma accanto a questo esempio ce ne sono altri che sono rimasti o veri fallimenti programmatici o hanno accumulato, nel tempo, ritardi davvero inimmaginabili. Cerco di ricordarne alcuni solo a titolo di esempio: Il caso della Liquichimica a Saline Jonica. Una illusione programmatica davvero incomprensibile con investimenti realizzati, con forze lavoro coinvolte e tutto finito nel nulla; Il caso della Strada Statale 106 Jonica. Il progetto di adeguamento dell’asse viario nasce intorno agli anni ’60 e prevedeva una rilettura integrale dei circa 500 km di tracciato. Dopo praticamente oltre sessanta anni si sono completati solo alcuni segmenti. Grazie alla Legge Obiettivo sono in coso i lavori del Terzo Megalotto (Roseto – Capo Spulico) di circa 38 km per un importo di 1,3 miliardi di euro e, grazie all’intervento del Presidente della Regione Occhiuto, si sono ottenuti ulteriori 3 miliardi di euro per realizzare un altro lotto. Per completare l’intero percorso occorrono circa 9 miliardi di euro. Un asse che attualmente ricopre i primi posti nella classifica nazionale della incidentalità stradale.

Il porto di Corigliano è rimasto per ora solo l’unico porto peschereccio-commerciale dell’alto Ionio cosentino pur disponendo di due darsene, di una superficie del bacino portuale di 1,3 milioni di metri quadrati, con piazzali di 270.000 metri quadrati e con una profondità dei fondali di 12 metri. In realtà gli investimenti erano stati fatti per offrire alla Regione la possibilità di un suo ruolo strategico nell’affaccio sullo Jonio ed ora il Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale dei Mari Tirreno Meridionale e Ionio Ammiraglio Agostinelli sta cercando di costruire le condizioni per un rilancio adeguato di tale impianto portuale congeniale con le sue reali potenzialità; L’asse ferroviario Jonico Reggio Calabria – Taranto lungo 472 km è a semplice binario. Il 30 agosto 2018 iniziarono i lavori di elettrificazione della linea, a partire da Sibari in direzione di Melito di Porto Salvo, con la previsione di concluderli nel 2023: in seguito tale data è stata posticipata al 2026. Mi fermo qui perché penso sia sufficiente per descrivere la limitatezza della offerta ferroviaria su un’area così vasta del territorio calabro; Il completamento dell’autostrada Salerno – Reggio Calabria avvenuto solo grazie alla Legge Obiettivo dopo oltre trenta anni di ritardi nell’avanzamento dei lavori e con un susseguirsi di blocchi sostanziali nelle coperture finanziarie.

In realtà questi esempi da soli (ne potrei aggiungere tanti altri) portano ad una conclusione: la Regione Calabria non può, in alcun modo, cascare nel triste equivoco di credere in annunci e in promesse non supportate da fatti e da riferimenti oggettivi.

Ho voluto fare questa lunga premessa per tentare di chiarire quali siano le reali certezze sulla realizzazione dell’asse ferroviario ad alta velocità – alta capacità Salerno – Reggio Calabria.

Appena diventato Presidente della Regione Roberto Occhiuto ha chiesto ed ottenuto: Una accelerazione dei lavori della prima richiamata strada statale 106 ed una copertura di un altro lotto del valore di circa 3 miliardi di euro; piene garanzie sul mantenimento dei 10 miliardi di euro inseriti nel Piano Nazionale Complementare al Pnrr; L’avvio dei lavori del primo lotto Battipaglia – Romagnano dell’asse AV – AC Salerno – Reggio Calabria per un valore di circa 2,2 miliardi di euro.

Ebbene, pochi giorni fa abbiamo potuto leggere il seguente comunicato stampa: «La Commissione Via del Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica ha dato disco verde alla realizzazione di due lotti del progetto ferroviario AV – AC Salerno – Reggio Calabria per un importo di 9 miliardi di euro».

Senza dubbio il lavoro della Commissione Via è stato non solo encomiabile ma è avvenuto in un arco temporale davvero ristretto. Fin qui quindi tutto positivo; ora però dovremmo avere delle certezze su una serie di altri elementi che allo stato ci vedono ancora lontani da un reale avvio dei lavori. Intanto occorrerà ancora ricevere il previsto Parere del Ministero dei Beni Culturali e poi dovranno prendere corpo le fasi legate alla gara di appalto. Ma proprio questa fase necessita di un chiarimento; occorre conoscere in modo dettagliato: Quanto consta l’intera opera da Salerno a Reggio Calabria: la stima attuale è circa 30 miliardi di euro; Quanto è il valore del lotto Battipaglia – Romagnano i cui lavori sono già partiti: 2,2 miliardi di euro con Fondi Pnrr; Quanto è il costo della tratta approvata dalla Commissione Via: la stima oggi è di circa 9 miliardi di euro.

Questo chiarimento penso sia obbligato perché del valore globale di circa 30 miliardi di euro la copertura ormai garantita è quella legata ai fondi del Pnrr pari, come detto prima a circa 2,2 miliardi di euro, mentre gli interventi relativi ai 9 miliardi di euro ultimamente approvati dovrebbero essere garantiti dalle risorse inserite nel Piano Nazionale Complementare al Pnrr. In tale Piano infatti erano previsti, per tale finalità, 10 miliardi di euro, un importo questo che è stato oggetto di una riformulazione in quanto il Pnc aveva gli stessi vincoli temporali del PNRR e quindi essendo l’intervento ancora in fase istruttoria avremmo rischiato di perdere le risorse. È proprio questa rivisitazione va chiarita per poter, davvero, contare su una reale disponibilità, sin dal prossimo anno, quando cioè disporremo di tutte le autorizzazioni nell’avvio concreto delle opere.

Poche settimane fa ho elencato sinteticamente il quadro degli interventi che dovrebbero essere realizzati in Calabria nel prossimo quinquennio; riporto di seguito tale quadro: Il completamento e la messa in esercizio delle dighe presenti nella Regione (in Calabria ci sono 24 grandi dighe, alcune non completate altre non sono adeguatamente utilizzate); La realizzazione dell’asse ferroviario ad AV – AC Battipaglia – Reggio Calabria; La riqualificazione funzionale dell’asse ferroviario jonico per renderlo omogeneo alla rete nazionale (le caratteristiche attuali sono davvero pessime); La realizzazione del Ponte sullo Stretto; La realizzazione del completamento integrale della strada statale 106 Jonica; La realizzazione di un impianto retroportuale del porto di Gioia Tauro; La realizzazione di un sistema integrato di impianti interportuali con nodi chiave a Corigliano e Castrovillari; La riqualificazione funzionale degli aeroporti di Crotone, Lamezia e Reggio Calabria; La rivisitazione, di intesa con la Regione Basilicata, delle via di accesso e degli impianti interni al Parco nazionale del Pollino

Di questo rilevante elenco di interventi allo stato sono disponibili solo le risorse destinate alla realizzazione del Ponte sullo Stretto, una quota di 2,2 miliardi per un tratto, non in Calabria, della Battipaglia – Reggio (la tratta Battipaglia – Romagnano) e 3 miliardi per un ulteriore tratto della Strada Statale 106 Jonica. Invece, effettuando un’analisi dettagliata delle reali esigenze legate ai nove atti strategici prima riportati scopriamo che il valore globale si attesta su un importo di circa 62 miliardi di euro; occorrono, ripeto, 62 miliardi di euro altrimenti continuiamo ad inseguire disegni teorici che, al massimo, arricchiranno i programmi dell’attuale e delle prossime Legislature.

Lo so non è facile assicurare un volano così rilevante di risorse ma è necessario, da subito, disporre di un Piano Fonti – Impieghi, articolato e garantito nel tempo, da cui si evinca, chiaramente, che ci sono tutte le condizioni per evitare un ulteriore tradimento delle aspettative di questa Regione chiave del Paese.

Il Presidente della Regione Occhiuto, a mio avviso, non solo è convinto di un simile approccio metodologico ma finora ha fatto sempre valere la logica della trasparenza e della ricerca sistematica di tutte le possibili coperture finanziarie (Fondi privati, Fondi europei, ecc.) per offrire un impianto pianificatorio coerente alle esigenze di una realtà territoriale ricca, da sempre, di potenzialità e priva, da sempre, di una adeguata e funzionale offerta infrastrutturale. (ei)

INTEGRAZIONE E INCLUSIONE SCOLASTICA
QUANTI RITARDI ANCORA NELLA REGIONE

di GUIDO LEONENei giorni scorsi il ministero dell’Istruzione ha presentato il focus dell’ultima indagine sugli alunni con cittadinanza non italiana  nelle scuole di ogni ordine e grado del nostro Paese relativi all’anno scolastico 2018-2019. Gli esiti confermano che  la multietnicità è divenuta una realtà significativa anche della scuola calabrese e, comunque, un elemento strutturale del nostro sistema scolastico. Dall’espansione delle consistenze e delle nazionalità degli alunni stranieri consegue che un numero sempre più crescente di operatori e famiglie è coinvolto nelle problematiche di accoglienza e di integrazione di questi bambini e ragazzi. 

È importante, quindi, approfondire il fenomeno che di seguito analizzeremo nelle sue particolarità.

Costante crescita degli alunni stranieri

Le prime rilevazioni di alunni non italiani nelle scuole italiane risalgono all’83/’84, quando ne furono contati 6.104. In tutti questi anni anni gli alunni non italiani sono aumentati passando a 914.860, come da ultimo censimento ministeriale, con un incremento di ben 42.500 unità (+4,9%) rispetto all’anno precedente, che aveva subito, dopo la diminuzione del 2020/2021, un nuovo, seppur lieve, aumento.

Anche in termini percentuali si registra un maggior aumento della presenza degli alunni con cittadinanza non italiana rispetto all’anno precedente (11,2% contro 10,6%). Diminuisce tuttavia il totale degli studenti di quasi 103 mila unità (pari a -1,2%) a causa del calo degli studenti italiani (oltre -145.000 unità) che supera ampiamente l’aumento degli studenti con cittadinanza non italiana.

I dati 2022/2023 confermano una maggior concentrazione nelle regioni settentrionali (65,2%), a seguire nelle regioni del Centro (23,3%) e infine del Mezzogiorno (11,5%).

In rapporto alla popolazione scolastica totale, l’Emilia-Romagna registra il valore più elevato di studenti con cittadinanza non italiana, seguono  Lombardia, Liguria, Veneto. La Calabria si colloca al sedicesimo posto tra le regioni italiane con 13.065 allievi stranieri. Un incremento di 1090 studenti rispetto all’anno precedente.

La presenza nelle scuole calabresi

La scolarizzazione di stranieri tenderà a consolidarsi. Gli alunni non italiani ora alla scuola dell’infanzia e alla primaria elementare – le nuove leve scolastiche – rappresentano quasi i due terzi del totale di alunni stranieri. Il futuro inter-etnico siede già sui banchi di scuola. Ed anche sui banchi delle scuole calabresi.

Infatti le scuole di ogni ordine e grado della nostra regione sono state frequentate nello scorso anno scolastico da 13.065 allievi, di cui 2.326  nella scuola dell’infanzia, 4.029 nella scuola primaria, 2.643, nella scuola secondaria di 1° grado e 3.887 nella scuola secondaria di secondo grado.

La provincia di Cosenza è questa volta tra le consorelle calabresi quella a maggior incidenza del fenomeno. Infatti, le scuole di ogni ordine e grado della provincia cosentina  sono state  frequentate   da 4.663 allievi con cittadinanza non italiana, così distribuiti per ordine di scuola:infanzia 867, primaria 1504, I grado 933, II grado 1359.

A seguire Reggio Calabria  con 4.015 allievi, di cui nelle scuole dell’infanzia 617, nella primaria 1246, al I grado 790, al II grado 1362. Poi, Catanzaro con 2497, di cui 499 infanzia, 822 primaria, 532  I grado, e 644 II grado. Quindi, Crotone con 968, distribuiti come segue 183 infanzia, 325 primaria, 215 I grado e 245 II grado. Infine, Vibo Valentia  con 922 allievi, di cui 160 infanzia,312 primaria,173 I grado e 277 II grado.

Nel dettaglio, la distribuzione degli studenti in base al voto conseguito evidenzia che, tra gli studenti con cittadinanza non italiana diplomati con la sufficienza, il 43,5% si iscrive agli istituti tecnici, il 37,2% agli istituti professionali, un altro 3,0% ai corsi regionali di istruzione e formazione professionale e il rimanente 16,3% ai licei. Inoltre, optano per l’istruzione e formazione regionale in numero maggiore gli studenti maschi (3,4%) rispetto alle studentesse (2,3%).

In ogni caso, gli alunni diplomati con sufficienza scelgono soprattutto gli istituti tecnici (50,5%), mentre per le ragazze la distribuzione tra i diversi percorsi è più equilibrata (28,1% licei, 31,3% istituti tecnici e 38,2% istituti professionali).

Al crescere della votazione, aumenta la percentuale di studenti che si orienta verso gli istituti tecnici e i licei. Tra gli elementi che incidono sulla prosecuzione degli studi il risultato conseguito all’esame di licenza media appare decisivo. In generale, gli studenti con cittadinanza non italiana sembrano comportarsi in modo simile agli studenti italiani. In ambo i gruppi l’opzione per gli istituti professionali è tanto più frequente quanto più bassa è la votazione conseguita, viceversa quanto più alta è la votazione, tanto più frequente è l’orientamento verso i licei.

Una vera e propria Onu nelle scuole

Il quadro ricavabile dai dati dell’indagine riflette una vera e propria Onu disseminata nelle aule scolastiche del Paese. Sono circa 200 i Paesi di cui sono originari gli studenti con cittadinanza non italiana. Una varietà di lingua, culture, etnie, razze.

I dati suddivisi per continente evidenziano che la maggior parte degli studenti, ovvero il 44,42%, come in passato ed in lieve aumento, sono di origine europea; seguono gli studenti di provenienza africana (27,25%) ed asiatica (20,27%).

Assai più contenuta ma in lieve aumento è la quota degli studenti provenienti dall’America (8,02%) mentre rimane stabile quella degli studenti provenienti dall’Oceania (0,03%).

Alcune comunità sono di gran lunga più rappresentate rispetto ad altre. Tra i Paesi europei la cittadinanza più rappresentata si conferma quella Rumena. Nell’insieme, gli studenti di origine rumena e albanese rappresentano quasi un terzo degli alunni stranieri in Italia .

I minori stranieri in Calabria provengono per lo più dall’Europa, dall’Africa e dall’Asia  Sono in tutto 80 le cittadinanze rappresentate nella nostra regione, tra queste primeggia quella romena e a seguire quella albanese, marocchina, cinese, ucraina, egiziana e indiana. 

Alunni con cittadinanza non italiana nati in Calabria e a Reggio

Nell’a.s. 2022/2023, per la prima volta, si registra una diminuzione della percentuale di presenze di seconda generazione, la cui crescita costante fino all’anno precedente aveva caratterizzato nel tempo l’evolversi della presenza degli studenti con retroterra migratorio.

Nel quinquennio 2018/2019-2022/2023 il numero degli studenti con cittadinanza non italiana nati in Italia è tuttavia stato significativo passando da 553.176 a 598.745 unità registrando così un incremento di oltre 45 mila unità, mentre la variazione percentuale è stata del +8,2% contro il 10,8% del quinquennio 20217/2028 – 2021/2022.

Nell’ultimo anno invece, la crescita dei nati in Italia in valore assoluto è stata di 9.759 unità in totale (+1,7%), mentre la quota sul totale degli studenti di origine migratoria è arrivata al 65,4%, registrando oltre due punti percentuali in meno rispetto al 2021/2022 (67,5%).

I minori stranieri nati in Italia sono in Calabria 5.499 così distribuiti: infanzia 1.316, primaria 2.049, media inferiore 1095, superiore 1039. Nell’a.s. 2022/2023 aumentano anche gli studenti che frequentano per la prima volta una scuola italiana. Sono stati 29.186.

Nella nostra regione l’anno scorso il totale è stato di 434, di cui a Reggio Calabria 135, a Vibo Valentia 22, a Catanzaro di 63, a Crotone di 12 e a Cosenza di 102. Gli studenti con cittadinanza non italiana nati in Italia sono più orientati verso gli istituti tecnici e a seguire i licei, invece, gli studenti nati all’estero dopo gli istituti tecnici scelgono gli istituti professionali.

In particolare, nell’a.s. 2022/2023 il 40,3% degli studenti nati in Italia frequenta  gli istituti tecnici, il 36,7% i licei, il rimanente 23,0% gli istituti professionali o i percorsi IeFP. Per gli studenti nati all’estero, la distribuzione presenta un andamento diverso: al primo posto resta la scelta dell’istituto tecnico con il 38,0%, a seguire i percorsi professionali con il 33,6%, e al terzo posto i licei con il 28,3%.

Le distanze tra gli studenti italiani e quelli di origine migratoria rimangono sempre notevoli. Nell’a.s. 2022/2023 gli studenti italiani in ritardo sono il 7,9% contro il 26,4% degli studenti con cittadinanza non italiana. Il massimo divario si riscontra nella scuola secondaria di II grado dove le percentuali dei ritardi diventano rispettivamente 16,0% e 48,0%.

Problemi aperti

Resta fondamentale  per la scuola la disponibilità di mediatori linguistici e culturali, di facilitatori didattici, con i corsi di appoggio e di tutoring per gli alunni stranieri, col sostegno economico più allargato per le scuole che ospitano numeri alti di immigrati.

Anche le nostre scuole reggine e calabresi in questi anni hanno sperimentato modelli organizzativi diversi, pratiche per l’accoglienza, azioni di approccio al processo di integrazione. Insomma, sia pure con fatica le istituzioni scolastiche si sono caratterizzate per una pedagogia dell’accoglienza e dell’integrazione. Ma non ci nascondiamo che, tra le difficoltà che determinano l’insuccesso scolastico, la barriera linguistica e culturale è quella più rilevante, primo anello di una catena di esclusioni che si amplificano via via che si sale nel grado di istruzione. 

Ecco perché non si può pensare ad una azione educativa della scuola che sia avulsa dal contesto educativo delle città e, viceversa, le azioni delle amministrazioni comunali sarebbero velleitarie se non sono coordinate con le azioni di tutti gli altri soggetti, di cui la scuola è uno dei più importanti. Occorre affrontare il problema con un rafforzamento della cooperazione tra scuola e città e nell’attuazione di politiche efficaci di integrazione sociale .Intanto va sottolineata una misura significativa, voluta dal Ministero e contenuta in un decreto recentemente approvato per ora solo  dalla Camera dei Deputati riguardante, appunto, i minori stranieri  che dovranno acquisire una conoscenza adeguata dell’italiano con corsi obbligatori e docenti dedicati. La misura prevede l’introduzione di insegnanti di italiano L2 che dovrebbe entrare in vigore a partire dall’anno scolastico 2025-26.

Diritti di cittadinanza

Si tratta delle seconde generazioni, un segmento particolare della popolazione scolastica di origine straniera, con esigenze e bisogni educativi diversi da quelli degli allievi di recente immigrazione. Hanno in comune con i ragazzi italiani la stessa scolarizzazione, parlano quasi sempre la nostra lingua, hanno gusti e interessi uguali o simili ai coetanei italiani. Non presentano in genere criticità scolastiche particolari. Li rende diversi solo la pelle, la religione, l’origine.

Insomma, la cosiddetta seconda generazione ha un altro tipo di impatto sul sistema scolastico italiano in quanto l’ostacolo non è la lingua, problema maggiori per un ragazzo immigrato. Il nascere e crescere nel Paese ospitante può fungere già come una sorta di ammortizzatore sociale. Ma non basta. Giustamente con sempre maggiore consapevolezza e determinazione reclamano la revisione della normativa in materia di cittadinanza.

È quanto mai opportuno rimuovere ogni inutile incertezza o ingiustificata difficoltà burocratica nei percorsi di acquisizione della cittadinanza italiana, in particolare per gli stranieri nati in Italia che desiderano scommettere sul nostro paese. Rendere meno vago il loro futuro, dando loro quella fiducia che fino a oggi è stata loro negata da un codice della cittadinanza anacronisticamente difensivo, ci pare un modo sensato per aiutarli  a investire nella propria istruzione. (gl)

[Guido Leone è già ispettore tecnico Usr Calabria]

AL SUD NON SERVE ASSISTENZA, MA CREARE
VERA OCCUPAZIONE PER FERMARE LA FUGA

Di PIETRO MASSIMO BUSETTA – «No all assistenzialismo, noi vogliamo creare posti di lavoro veri». Questo è il mantra che viene ripetuto dal Centrodestra ogni volta che vi sono dei dati positivi riguardanti la crescita del reddito, oppure quella dei posti di lavoro. 

Un modo diverso di dire la stessa cosa sarebbe non vogliamo dare ogni giorno un pesce ma insegnare a pescare. È difficile non essere d’accordo con questo principio. Rendere autonomo ciascuno, consentendogli di avere una occupazione, non è importante soltanto per consentire la sopravvivenza individuale  e un progetto di futuro, ma anche per rendere ciascuno libero dal bisogno, lontano dalla tentazione di scambiare il proprio voto per un diritto mancato, che viene presentato dalla classe dominante estrattiva di torno come una cortesia o un favore concesso. 

L’opposizione di questo Governo al reddito di cittadinanza in realtà deriva da questa convinzione: bisogna evitare che la gente non  studi come sbarcare il lunario ma si abbandoni a una inedia che non aiuta certamente il Paese ma che fa male anche al singolo individuo che, non cercando più una occupazione, entra in quella categoria maledetta che viene definita dall’acronimo Neet, né al lavoro, né in formazione, né in training. Nullafacenti per vocazione o per mancanza di lavoro, che si abbandonano al non dolce ma amaro far niente.  

In realtà il provvedimento confusionario del Reddito di Cittadinanza nei suoi scopi voleva raggiungere obiettivi diversi, come quello di assistere coloro che erano in situazioni di bisogno, ma anche di trovare con i cosiddetti navigator un posto di lavoro e per questo era destinato al fallimento. 

Il problema infatti non era quello  di far incontrare la domanda con l’offerta di lavoro, situazione che caratterizzava soltanto alcune situazioni, ma di sopperire a una mancanza assoluta di posti di lavoro che avessero una richiesta di skill di un certo tipo, in genere anche medio alti, considerato che come è noto il mercato del lavoro è segmentato e la possibilità di passare da un settore all’altro non è sempre facile né, spesso, opportuna. Portare  un ingegnere a raccogliere pomodori, se anche fosse disponibile a farlo, sarebbe uno spreco dell’investimento fatto dal Paese per farlo arrivare a quel grado di preparazione. 

Lo strumento nasceva con un limite che era quello di adottare un assistenzialismo diffuso, senza quei controlli necessari per evitare che i furbetti potessero accedervi senza alcun timore di essere scovati.      

Adesso con lo strumento istituito dall’Inps coloro che ne usufruiscono sono molto meno. Infatti l’Istituto comunica che al 30 giugno 2024 sono state accolte quasi 700 mila domande relative all’Assegno di inclusione (Adi), domande che fanno riferimento ad altrettanti nuclei familiari e che coinvolgono circa 1,7 milioni di cittadini. 

L’Assegno d’Inclusione (Adi), come sottolinea l’Inps, «è una misura nazionale di contrasto alla povertà, alla fragilità all’esclusione sociale delle fasce deboli attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro condizionata al possesso di requisiti di residenza, cittadinanza e soggiorno, alla prova dei mezzi sulla base dell’Isee, alla situazione reddituale del beneficiario e del suo nucleo familiare e all’adesione a un percorso personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa». 

Se si pensa che con il reddito di cittadinanza nella sola Campania vi era un parco di fruitori che arrivava ad oltre 600.000 persone  ed in Sicilia ad oltre 500.000, si capisce come vi sia stato un taglio molto pesante. 

Se questo riguarda coloro che in effetti non avevano diritto il risultato non può che essere apprezzabile, ma se invece il taglio riguarda nuclei familiari indigenti, che in tal modo non hanno nessuna forma di protezione, residenti prevalentemente nel Mezzogiorno d’Italia, allora il risparmio avviene sulla pelle dei più poveri ed emarginati.  

È interessante per sciogliere tale dubbio confrontare  questi dati con quelli relativi alla povertà assoluta. Si tratta di oltre 2 milioni 234 mila famiglie povere, per un totale di circa 5 milioni 752 mila individui in povertà assoluta. L’incidenza maggiore, anche se pressapoco stabile, si registra nel Mezzogiorno. Record dei minori dove l’incidenza della povertà è pari al 14%, il valore più alto dal 2014. 

Le famiglie in povertà assoluta si attestano all’8,5% del totale delle famiglie residenti (erano l’8,3% nel 2022). Si tratta di oltre 2 milioni 234 mila famiglie, per un totale di circa 5 milioni 752 mila individui in povertà assoluta. È quanto rileva l’Istat. Sono indicate come assolutamente povere le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore a una soglia minima corrispondente all’acquisto di un paniere di beni e servizi considerato essenziale a garantire uno standard di vita minimamente accettabile e a evitare gravi forme di esclusione sociale. 

L’incidenza di povertà assoluta familiare per ripartizione, spiega  l’Istituto, mostra nel 2023 il valore più elevato nel Mezzogiorno (10,3%, coinvolgendo 866mila famiglie), seguito dal Nord (8,0%, un milione di famiglie) e dal Centro (6,8%, 365mila famiglie). L’incidenza individuale conferma il quadro tratteggiato, con il Mezzogiorno che mostra i valori più elevati (12,1%).

Questi dati dimostrano che la dieta dimagrante dell’assistenza ha coinvolto anche famiglie che ne avrebbero avuto diritto. Se non siamo alla macelleria sociale bisogna stare attenti a non esservi vicino. 

Certamente l’eliminazione del reddito di cittadinanza o di qualunque altra forma di assistenza costringe molta gente ad accettare ogni  forma di lavoro, spesso al limite dello sfruttamento, o anche a trasferirsi dal Sud  a centinaia di chilometri di distanza pur di conseguire un reddito. Spero che non fosse questo l’obiettivo non dichiarato della riforma che partiva dal concetto sbagliato di occupabile, che  presupponeva  che il mercato del lavoro non fosse segmentato, come in effetti è. 

Siamo tutti d’accordo che bisogna limitare per quanto possibile le forme di assistenza per evitare che gli individui si  adagino e pensino di potersi farsi mantenere a vita da uno Stato troppo buono, ma allora il vero sistema è quello di creare veri posti di lavoro, e nelle realtà in cui servono. Perché altrimenti si rischia come sta avvenendo un continuo processo migratorio che certamente non fa bene al Paese. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud  – L’Altravoce dell’Italia]

SVIMEZ: “IUS SCHOLAE” ATTO NECESSARIO
DI UGUAGLIANZA SOCIALE E INCLUSIONE

Lo Ius scholae di cui si sta parlando in quetsi giorni rappresenta, senza ombra di dubbio, uno strumento di coesione sociale e valorizzazione dell’integrazione di minori provenienti da Paesi extracomunitari (o molto spesso nati in Italia).

A questo proposito è di particolare rilievo lo studio realizzato dalla Svimez (l’Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno) che mette in evidenza il diritto alla cittadinanza dei bambini che studiano in Italia. C’è da sottolineare che nel Mezzogiorno la percentuale è abbastanza contenuta (in Calabria appena il 5,5 % contro il 23% della Lombardia), ma il problema riguarda tutto il Paese e il suo futuro.

Lo Ius Scholae – pensato per conferire la cittadinanza ai minori stranieri, nati in Italia o arrivati prima dei 12 anni, che hanno frequentato regolarmente almeno cinque anni di studio in Italia – rappresenta un atto necessario di uguaglianza sociale nei confronti di bambini e ragazzi ai quali non è riconosciuto lo status giuridico di cittadini italiani pur condividendone cultura, educazione e appartenenza.

La riforma – emerge dalla Ricerca Svimez –  è anche un’opportunità concreta per costruire una società più inclusiva e coesa, che investe sull’accoglienza per il futuro del Paese. Legare l’acquisizione dei diritti di cittadinanza al completamento di un ciclo di studi potrebbe incentivare la permanenza in Italia dei giovani con background migratorio e delle loro famiglie, contribuendo a ringiovanire la popolazione, contenere la riduzione delle iscrizioni nelle scuole e la conseguente chiusura dei presidi scolastici.

I NUMERI. Considerando il solo ciclo della primaria, sulla base dell’attuale testo dello Ius Scholae, rientrerebbero a pieno titolo tra gli aventi diritto alla cittadinanza italiana i bambini stranieri di età compresa tra i 6 e i 10 anni che completano con successo l’intero percorso di studi nel Paese, iscrivendosi quindi al primo anno della secondaria di primo grado. Ma quanti sono i minori stranieri che studiano nelle scuole italiane della primaria? Gli ultimi dati del Ministero dell’Istruzione e del Merito (MIM) indicano un totale di 315.906, pari al 14% degli iscritti (i dati si riferiscono alla primaria statale e non includono la Valle d’Aosta e le Province Autonome di Trento e Bolzano). Di questi, 4 su 5 provengono da un paese extracomunitario.

LA GEOGRAFIA. La distribuzione di bambini stranieri nella fascia di età 6-10 anni non è uniforme sul territorio nazionale mostrando una maggiore concentrazione nelle aree del Nord Italia, più attrattive in termini di opportunità occupazionali e retributive per i genitori ma anche di accessibilità e qualità dei diritti essenziali per le famiglie. L’incidenza di stranieri sugli alunni della scuola primaria varia dal massimo del 23,2% dell’Emilia-Romagna al minimo del 3,2% della Sardegna. Tra le prime due regioni per numero assoluto di alunni della primaria, Lombardia (oltre 392mila) e Campania (228mila), la differenza è di circa 17 punti percentuali: 22% contro il 4,5%.

Le differenze si ampliano considerando le 14 città metropolitane, dove lo stacco tra Nord e Sud è ancora più evidente. Milano registra una percentuale del 24,5%, oltre 6 volte maggiore della città metropolitana di Napoli che si attesta a poco più del 3,6%. In generale, nessuna città metropolitana del Mezzogiorno supera la soglia del 6%, con valori compresi tra 3% (Palermo) e 5,7% (Reggio Calabria).

A livello comunale, il gradiente territoriale nell’incidenza di stranieri che frequentano la scuola primaria conferma la sostanziale spaccatura Nord/Sud, ma fa anche emergere profonde differenze nell’attrazione di popolazione immigrata all’interno delle diverse aree. Anche al Nord, la presenza di bambini stranieri si concentra, infatti, nelle città metropolitane e nelle aree a maggiore densità produttiva mentre tende a ridursi significativamente nei comuni delle aree interne (soprattutto in Piemonte e Liguria). Nelle regioni meridionali, caratterizzate mediamente da una bassa presenza di bambini stranieri, fanno eccezione alcuni comuni dell’entroterra calabrese e della provincia siciliana di Ragusa. In generale, i comuni delle regioni del Nord mostrano una presenza di bambini stranieri mediamente compresa tra il 10 e il 20%, mentre nei comuni del Centro e del Sud la percentuale non supera il 9%, risultando inferiore al 5% nelle maggior parte dei casi.

I COMUNI CON MENO DI 125 BAMBINI.

Nella Fig. 4 è riportata l’incidenza di bambini stranieri sugli alunni della primaria nei comuni con una sola “piccola scuola” (comuni con meno di  125 alunni) , dove l’unico presidio scolastico attivo rischia nei prossimi anni di chiudere per un numero insufficiente di iscritti. Si tratta di circa 3 mila comuni italiani, il 38% del totale (con quote che oscillano tra il 27% del Nord-Est e il 46% del Mezzogiorno), localizzati nella maggior parte dei casi nelle aree interne delle diverse regioni.

Complessivamente, i bambini stranieri che frequentano l’unica piccola scuola del proprio comune sono circa 20.000, il 10,6% degli alunni (6-10 anni) residenti. Le differenze territoriali si confermano anche in questa tipologia di comuni: tutte le regioni del Centro-Nord presentano una quota di alunni stranieri superiore al 10% (unica eccezione il Friuli-Venezia Giulia). Nel Mezzogiorno, il dato cala in media a 5 bambini stranieri su 100 alunni, in Sardegna a 2,5.

Sulla base di queste evidenze emerge il ruolo rilevante della partecipazione dei bambini stranieri alla scuola primaria anche nei comuni a maggior rischio di “degiovanimento”. L’attrazione di famiglie straniere già oggi rappresenta per molte aree del Paese una leva di contrasto al calo delle iscrizioni e al conseguente rischio di chiusura dei presidi scolastici. L’adozione dello Ius Scholae potrebbe rafforzare tale tendenza.

L’incentivo alla frequenza regolare e quindi alla permanenza dei bambini stranieri interesserebbe, ad oggi, una platea di beneficiari sensibilmente più ampia nei comuni del Centro-Nord, in particolare nei casi di Emilia-Romagna e Toscana, dove l’incidenza di stranieri si avvicina al 20%.

In altre parole, lo Ius Scholae potrebbe contribuire a scongiurare la chiusura di molte piccole scuole, assicurando continuità a un presidio culturale primario che, oltre a sviluppare le opportunità formative di bambini e giovani, consente di arginare i processi di spopolamento e invecchiamento. L’istruzione rappresenta un servizio essenziale la cui qualità e capillarità sono condizioni imprescindibili per uno sviluppo socialmente e territorialmente inclusivo, specialmente per le aree più deboli e remote. La granularità territoriale dell’offerta scolastica contribuisce a neutralizzare la condizione di svantaggio delle «periferie», salvaguardando le comunità che le abitano.

LE PROSPETTIVE DEMOGRAFICHE.

Garantire i diritti di cittadinanza ai bambini stranieri, oltre a costituire un fondamentale strumento di inclusione, permette di migliorare le prospettive demografiche dei prossimi anni. Le previsioni demografiche dell’ISTAT delineano un quadro in complessivo peggioramento per l’intera struttura demografica del Paese, con una riduzione importante della platea di giovani e un contestuale ampliamento delle fasce più anziane. Questi cambiamenti, senza correttivi immediati e scelte politiche ambiziose, produrranno effetti dirompenti sui sistemi sociali e sanitari di tutti i territori, anche all’interno di orizzonti temporali relativamente stretti.

Stando alle proiezioni al 2035, la popolazione di bambini di età compresa tra 5 e i 9 anni – fascia d’età che sostanzialmente corrisponde a quella dei bambini che frequentano la primaria – dovrebbe diminuire del 18,6%, passando dagli attuali 2,5 a poco più di 2 milioni. Le variazioni saranno più marcate nel Centro e nel Mezzogiorno, con la Sardegna che potrebbe subire perdite del 34%, seguita da Lazio e Abruzzo con valori rispettivamente del 24,8% e 24,4%. A registrare le variazioni più contenute dovrebbero essere Liguria (-9,7%) e Trentino Alto Adige (-11%), mentre in tutte le altre regioni settentrionali le perdite potrebbero superare il 13%.

IL QUADRO D’INSIEME. Sulla base delle statistiche illustrate, è possibile stimare il numero di bambini stranieri iscritti alla primaria che, con l’approvazione della riforma, avrebbero diritto alla cittadinanza italiana. Nel 2023 erano 60.000 gli alunni stranieri iscritti all’ultimo anno della primaria. Una stima prudenziale dei potenziali beneficiari dello Ius Scholae include: tutti i bambini stranieri nati in Italia (42.000), che verosimilmente hanno completato nel Paese l’intero percorso di studio; circa un terzo di quelli nati all’estero (6.000), ipotizzando che gli altri abbiano iniziato il percorso scolastico fuori dai confini nazionali, senza maturare il requisito richiesto dalla riforma.

Questa la ripartizione regionale dei 48.000 beneficiari così identificati: oltre 1 su 4 risiede in Lombardia, il 12,8% in Emilia-Romagna, l’11,6% in Veneto e solo il 12,5% in tutto il Sud, area del Paese in cui è presente il 35,3% degli alunni della primaria.

Dallo Ius Scholae possono quindi derivare rilevanti effetti positivi di giustizia e coesione sociale, tenuta del sistema scolastico, e, più in generale, sulle prospettive demografiche del prossimo futuro. L’efficacia della riforma dipende dalla volontà di inserire lo strumento in un più ampio programma di rafforzamento del welfare territoriale e sostegni effettivi ai redditi e alla genitorialità.

Da un lato, è necessario perseguire gli obiettivi di coesione territoriale che consentono di offrire pari opportunità lavorative e retributive, rendendo nella stessa misura attrattive tutte le aree del Paese e scongiurando il rischio di un ulteriore ampliamento dei divari sociali e economici, dei quali le differenze territoriali documentate nella distribuzione dei bambini stranieri sono solamente una delle tante manifestazioni.

In questo quadro, occorre ribaltare la percezione comune di un pericolo immigrazione, inserendo a pieno titolo le politiche di inclusione come parte integrante di un progetto che, attraverso il miglioramento dei servizi pubblici e l’accompagnamento alla localizzazione di attività produttive, riduca l’emigrazione dei giovani e favorisca l’attrazione di nuove famiglie. È proprio la presenza di questi nuclei che consente di contrastare le dinamiche demografiche avverse e di spezzare il circolo vizioso tra spopolamento e rarefazione dei servizi pubblici essenziali.

Per il direttore generale della Svimez, Luca Bianchi: «Lo Ius Scholae – pensato per conferire la cittadinanza ai minori stranieri, nati in Italia o arrivati prima dei 12 anni, che hanno frequentato regolarmente almeno cinque anni di studio in Italia – rappresenta un atto necessario di uguaglianza sociale nei confronti di bambini e ragazzi ai quali non è riconosciuto lo status giuridico di cittadini italiani pur condividendone cultura, educazione e appartenenza.

«La riforma è anche un’opportunità concreta per costruire una società più inclusiva e coesa, che investe sull’accoglienza per il futuro del Paese. Legare l’acquisizione dei diritti di cittadinanza al completamento di un ciclo di studi potrebbe incentivare la permanenza in Italia dei giovani con background migratorio e delle loro famiglie, contribuendo a ringiovanire la popolazione, contenere la riduzione delle iscrizioni nelle scuole e la conseguente chiusura dei presidii scolastici”, conclude. (rrm)

IL BASSO JONIO TRA OCCASIONI MANCATE
E I SILENZI ASSORDANTI DELLA POLITICA

di MATTEO LAURIA – Che ci sia stata una cabina di regia, una mano invisibile, ma potente, che nella storia abbia deliberatamente penalizzato l’area che dalla Sibaritide si estende fino al Crotonese, è una verità innegabile. I fatti e la storia parlano chiaro, a partire dalla ipotesi storica che l’autostrada Salerno-Reggio Calabria avrebbe dovuto attraversare la tratta jonica, evitando così uno sperpero di risorse tra viadotti e inutili deviazioni montane. Ma il centralismo, con la sua insaziabile fame di controllo, non si è mai fermato. Quel poco che è stato fatto in questa Regione, purtroppo, ha sempre seguito una logica distorta, volta a dirottare il traffico e lo sviluppo verso la direttrice tirrenica, sacrificando la costa jonica sull’altare dell’invisibilità.

Un’autostrada mai realizzata e una ferrovia dimenticata

Il caso dell’autostrada è emblematico. La scelta di far passare la SA-RC attraverso il versante tirrenico, anziché lungo la costa jonica, ha di fatto condannato quest’ultima a un isolamento infrastrutturale. A nulla è valso il grido di allarme di chi, allora, vedeva nella tratta jonica un’opportunità per connettere più agevolmente il Sud d’Italia con l’Adriatico e l’Est Europa. L’unica risposta che è arrivata è stata una ragnatela di progetti infiniti, in cui si è privilegiata sempre e comunque la direttrice tirrenica.

Lo stesso destino è toccato alla ferrovia. L’elettrificazione della linea ferrata si è fermata a Sibari, per poi deviare verso Cosenza e lasciare fuori tutta la parte che conduce a Corigliano-Rossano e Crotone. È solo negli ultimi anni che ci si è accorti che anche il basso Jonio esiste e che forse meriterebbe un’infrastruttura adeguata, ma si tratta di un riconoscimento tardivo, minimale e incompleto. Si continua a parlare di grandi investimenti ferroviari per il collegamento tirrenico, ma la costa jonica resta ancora la “tratta dimenticata”, quel pezzo di territorio che, pur avendo potenzialità enormi, viene ignorato.

Una viabilità su gomma che continua a essere un pericolo

Non va meglio per la viabilità su gomma. Si stanno finalmente realizzando alcuni interventi, come la tratta Roseto-Sibari e le finanziate CZ-KR e Sibari-Rossano, ma la parte più pericolosa e necessaria – quella che collega Corigliano-Rossano a Crotone – rimane relegata ai margini, considerata solo a livello progettuale. Si parla di una strada a due corsie, una mini-careggiata che definirla “europea” sarebbe un insulto all’intelligenza e alla dignità dei cittadini. Eppure, nessuno sembra indignarsi abbastanza per questa situazione paradossale.

Chi sono questi “progettisti” che non vedono come prioritaria la tratta Corigliano-Rossano-Crotone? Che logica c’è dietro il continuo rinvio di un’opera tanto necessaria quanto ignorata? Domande che, puntualmente, non trovano risposta. Il silenzio avvolge questa porzione di Calabria come una cappa soffocante, una cappa che sembra essere voluta, accettata, persino applaudita da chi dovrebbe alzare la voce e difendere il proprio territorio.

Il silenzio complice degli Amministratori e delle Comunità locali

Ma quello che sorprende di più non è tanto l’arretratezza culturale e infrastrutturale imposta da un centralismo cieco e ottuso. No, quello che lascia sbalorditi è il silenzio complice degli Amministratori locali e delle comunità del basso Jonio. Una rassegnazione diffusa, che spesso si trasforma in accondiscendenza, se non in vera e propria adulazione dei poteri centrali. È come se ci fosse una tacita accettazione dell’abbandono, una rassegnazione all’idea che questo territorio debba restare per sempre ai margini, invisibile, inascoltato.

E qui sta il paradosso più grande. Nonostante le penalizzazioni evidenti, nonostante l’abbandono sistematico, ci sono Amministratori locali che addirittura osannano il centralismo, che applaudono ogni minima concessione, che accettano passivamente l’idea di essere cittadini di seconda classe. Le poche voci critiche sono isolate, zittite da un coro di obbedienza acritica. Un’obbedienza che si manifesta anche in vicende cruciali come la costituzione di una nuova Provincia.

La questione della Provincia: un’occasione sprecata

La questione della Provincia jonica, una delle più grandi battaglie politiche degli ultimi decenni, è l’ennesima dimostrazione di come il basso Jonio venga sistematicamente sabotato. Ci sono centri strategici, situati tra Crotone e Corigliano-Rossano, che potrebbero costituire il cuore pulsante di una nuova Provincia, a saldo zero per lo Stato, in grado di rappresentare oltre 410mila abitanti. Una Provincia jonica che finalmente metterebbe al centro il basso Jonio, dando voce e visibilità a una parte della Calabria da troppo tempo emarginata.

Eppure, anche su questo fronte, assistiamo a un teatrino desolante. Anziché promuovere con forza questa nuova Provincia, ci sono soggetti locali che, inspiegabilmente, guardano altrove. Si parla di Castrovillari, di Cosenza, come se il basso Jonio non avesse il diritto di essere protagonista del proprio destino. Ancora una volta, prevale l’obbedienza ai diktat dei poteri centrali, l’incapacità di alzare la testa e rivendicare un ruolo centrale nello sviluppo della Regione.

La democrazia in Calabria: una parola svuotata di significato

In Calabria, la democrazia sembra essere una parola svuotata di significato. Basta una direttiva del Presidente di turno, e tutti si affrettano a eseguire. Non c’è dibattito, non c’è dissenso, non c’è una vera partecipazione democratica. E questo atteggiamento remissivo non fa altro che perpetuare l’arretratezza della regione, condannandola a un immobilismo che sembra ineluttabile.

Il problema non è solo infrastrutturale. È un problema culturale, sociale, politico. Finché le Comunità locali e i loro Rappresentanti continueranno a chinare il capo di fronte al centralismo, a elemosinare briciole anziché pretendere diritti, il basso Jonio e l’intera Calabria resteranno prigionieri di un sistema che li relega ai margini. È una questione di dignità, prima ancora che di sviluppo. Una dignità che sembra essere stata smarrita, sepolta sotto anni di silenzio e complicità.

Una chiamata all’azione: spezzare il silenzio e rivendicare il futuro

Difficile spezzare questo silenzio, troppi compromessi che di politico hanno ben poco. E sono anche inutili gli appelli rivolti alle  comunità del basso Jonio di ritrovare la voce  e rivendicare il loro diritto a essere protagoniste del proprio futuro. Non si tratta solo di chiedere nuove infrastrutture o di rivendicare una Provincia. Si tratta di riappropriarsi del proprio destino, di dire basta a decenni di abbandono e di marginalizzazione. La storia non si scrive da sola. È tempo di iniziare a scriverla noi. (ml)

[Matteo Lauria è del Comitato Magna Graecia]