IL MODELLO DI LICEO BIOMEDICO DI RC
È ORA REALTÀ DIFFUSA IN TUTTA L’ITALIA

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Da sperimentazione a modello nazionale. È il brillante traguardo di “Biologia con curvatura biomedica”, il percorso di studi ideato nel 2011 da Giusi Princi, eurodeputata e già dirigente scolastico, e Pasquale Veneziano, presidente Ordine dei Medici di Reggio Calabria, che è stata estesa su scala nazionale e inserita tra le poche autorizzate dal Ministero dell’Istruzione e del Merito, guidato dal ministro Giuseppe Valditara.

Ora l’esempio calabrese è esteso su tutto il territorio nazionale e la sperimentazione è autorizzata dal Ministero già dall’anno scolastico 2024/2025.

L’iniziativa è stata presentata nel corso di una conferenza stampa che si è svolta nella sede dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Reggio Calabria. Moderata dal giornalista Piero Gaeta, capo servizio Gazzetta del Sud, sono intervenuti anche Filippo Anelli, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici e Chirurghi, in videocollegamento, e Francesca Torretta, referente nazionale per la componente docente. Insieme al dirigente della scuola capofila, Antonella Borrello, del Liceo Scientifico “Leonardo da Vinci” di Reggio Calabria, erano presenti tutti i dirigenti scolastici dei licei italiani e gli Ordini dei Medici coinvolti nella sperimentazione.

«È motivo di orgoglio che un’idea partita dalla nostra terra cammini, e si implementi giornalmente, attraverso le gambe di centinaia di scuole (300), migliaia e migliaia di studenti (41.000), tutti gli Ordini dei Medici d’Italia (104) – ha dichiarato Princi, componente cabina nazionale della sperimentazione –. Con Decreto numero 189 del 5 settembre 2024, a firma del Ministro Valditara, viene assunto a sperimentazione nazionale il percorso biomedico partito da Reggio Calabria, da me ideato nel lontano 2011 insieme a Pasquale Veneziano, presidente dell’Ordine dei Medici di Reggio Calabria, per contrastare, attraverso un servizio pubblico di potenziamento sanitario, il business delle scuole di preparazione ai test in medicina. La Calabria fa scuola all’Italia».

La sperimentazione nazionale coinvolge in totale quasi 41 mila studenti in circa 300 licei scientifici e classici, 104 Ordini provinciali dei Medici, 1.300 docenti e 5.000 medici.

Il decreto, quindi, considera i risultati raggiunti nel primo periodo di sperimentazione del percorso di orientamento-potenziamento ed evidenzia «l’efficacia scientifica del progetto – si legge nel documento ministeriale – quale metodo di orientamento per l’accesso alla facoltà di Medicina e Chirurgia».

«Il percorso biomedico – ha spiegato l’eurodeputata Princi – è in linea con la riforma nazionale che rivede le modalità di accesso ai corsi di laurea in medicina, includendo anche iniziative di orientamento durante gli ultimi anni di scuola secondaria. Il progetto nato in Calabria è stato, infatti, pensato proprio per offrire una formazione mirata agli studenti che intendono proseguire gli studi in campo biomedico».

«Sono felicissimo per questa giornata – ha detto Pasquale Veneziano, presidente dell’Ordine dei Medici della provincia di Reggio Calabria –. Ringrazio tutti gli artefici di questo progetto, in particolare l’onorevole Princi e il dottor Roberto Monaco, segretario generale FNOMCeO che ha dato un contributo essenziale».

«Dobbiamo anche ricordare un’altra persona, Roberto Stella – ha aggiunto – presidente dell’Ordine dei Medici di Varese, il primo medico italiano scomparso a seguito del Covid, che ha creduto in questo progetto presentandolo al comitato centrale rendendolo poi nazionale. Sono orgoglioso perché il progetto è partito da Reggio Calabria con una classe di trenta alunni e poi ha avuto tale successo».

«Sono sempre più orgoglioso – ha affermato Domenico Tromba, consigliere dell’Ordine, coordinatore della commissione Rapporti Scuola – Università e referente nazionale medico del Corso di Biologia con curvatura biomedica –. L’orgoglio non è quello personale di averci creduto fin dall’inizio ma piuttosto di vedere oggi la Calabria, e Reggio in particolare, considerate come modello dalle scuole di tutto il Paese. Il corso di biomedicina con D.M. numero 180 del 5 settembre 2024 viene autorizzato tra i pochi corsi sperimentali ministeriali e tale percorso spero sia la strada di nascita del liceo biomedico».

Per Roberto Monaco, segretario generale della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici (FNOMCeO) e componente cabina di regia del percorso nazionale, si tratta di «un evento importante perché segna il riconoscimento all’Ordine dei Medici di Reggio Calabria, che è stato il primo a portare avanti questo progetto insieme all’onorevole Princi». (ams)

CITTÀ UNICA, L’INCOGNITA DEL CONSENSO
CONTROVERSIA SUL NUOVO CENTRALISMO

di ORLANDINO GRECO  – Il recente dibattito sulla fusione dei comuni in Calabria, in particolare il progetto che coinvolge Cosenza, Rende e Castrolibero, ha sollevato serie preoccupazioni sul rischio di un ritorno a forme di centralismo regionale. La regione, infatti, ha deciso di procedere con il progetto senza tenere in considerazione le opposizioni espresse dai consigli comunali e dai cittadini, “un’ingiuria istituzionale” che potrebbe costituire un pericoloso precedente nel panorama italiano.

Il ruolo delle Regioni nelle fusioni comunali

Le regioni italiane, ai sensi della normativa vigente, possono intervenire nella modifica dei confini comunali, sentendo le popolazioni interessate. Tale potere è stato finora esercitato nel rispetto delle autonomie locali e delle volontà espresse dai consigli comunali democraticamente eletti. Dal 1945 a oggi, non ci sono stati casi in Italia in cui una regione abbia estinto municipi senza che vi fosse il consenso formale da parte dei singoli consigli comunali coinvolti nella fusione.

Le recenti fusioni avvenute in Calabria, Corigliano Rossano e Casali del Manco, sebbene con una serie di forzature normative, sono nate nel rispetto formale della legge e della volontà dei Consigli comunali. L’imposizione di una maldestra fusione come quella che riguarda i comuni dell’area urbana cosentina, rappresenta un primo caso di intervento autoritario, con la Regione che decide senza l’impulso né la delibera delle amministrazioni locali.

La controversia calabrese: un nuovo centralismo?

Il caso della fusione tra Cosenza, Rende e Castrolibero ha attirato critiche da vari fronti. Secondo l’Associazione Nazionale per le Fusioni tra Comuni, l’approccio calabrese rappresenta un “pericoloso precedente” che potrebbe rendere le fusioni future ancora più complesse da realizzare. Questa fusione viene vista come un’operazione azzardata, portata avanti senza un confronto adeguato con i cittadini e le istituzioni locali.

Uno degli aspetti più controversi è stata la mancata approvazione di studi di fattibilità, che avrebbero dovuto analizzare le conseguenze economiche, finanziarie e urbanistiche della fusione. Inoltre, la Regione Calabria non ha fornito ai cittadini uno strumento partecipativo come il referendum, o perlomeno, non lo ha reso vincolante, come fatto da altre regioni. Questo ha portato alcuni a definire il referendum una “presa in giro”, con i cittadini privati del loro potere decisionale.

La necessità di un processo trasparente e partecipato

Le fusioni tra comuni, per quanto possano rappresentare una via per ottimizzare i servizi e migliorare le condizioni di vita dei cittadini, sono temi delicati che richiedono un approccio inclusivo e ponderato. Le regioni dovrebbero muoversi predisponendo un piano regionale delle fusioni e delle gestioni associate di funzioni e servizi in ragione delle peculiarità e delle esigenze dei territori per evitare che si renda discrezionale un atto così importante avviando sin da subito un dialogo costante e rispettoso con le istituzioni locali democraticamente elette.

È cruciale che, prima di avanzare una proposta di fusione, si studino attentamente le criticità del territorio e si elaborino piani strategici fondati su dati scientifici e obiettivi misurabili.

Nel caso della fusione tra Cosenza, Rende e Castrolibero, invece, si è assistito a un’azione unilaterale da parte della Regione Calabria, che ha proceduto senza coinvolgere le amministrazioni comunali e senza predisporre gli strumenti necessari per garantire una partecipazione consapevole dei cittadini. Questo atteggiamento autoritario non solo mette in discussione la legittimità del processo di fusione, ma solleva anche interrogativi sul rispetto dei principi democratici.

Un appello al buon senso

Di fronte a una situazione così critica, è necessario che la Regione Calabria interrompa l’iter di fusione e avvii un vero confronto con tutte le parti coinvolte eliminando la norma che ha svuotato di significato il referendum, restituendo così ai cittadini la possibilità di esprimersi realmente sul proprio futuro anche attraverso un dettagliato e approfondito studio di fattibilità che esamini attentamente tutti gli aspetti legati alla fusione.

Conclusioni

Il progetto di fusione tra Cosenza, Rende e Castrolibero si configura come un banco di prova per la Calabria e per il futuro delle autonomie locali in Italia. La decisione della Regione di procedere senza consultare adeguatamente le comunità locali rappresenta un grave precedente, che potrebbe influenzare negativamente la realizzazione di altre fusioni nel Paese.

In un contesto così delicato, è fondamentale che prevalga il buon senso e che le istituzioni si impegnino a garantire trasparenza, dialogo e rispetto per la volontà dei cittadini. Solo attraverso un processo partecipato e condiviso sarà possibile realizzare fusioni che migliorino realmente la qualità della vita delle comunità coinvolte. (og)

[Orlandino Greco è sindaco di Castrolibero]

LA RIFORMA DEI PICCOLI COMUNI CALABRI
LA FUSIONE POTREBBE ESSERE UN’OPZIONE

di FRANCESCO AIELLO – Nell’incontro del 23 settembre scorso a Catanzaro sull’ordinamento degli enti locali, il Presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, ha sottolineato l’urgenza di riformare l’assetto istituzionale e amministrativo dei comuni calabresi, evidenziando come la frammentazione degli enti locali limiti l’efficacia nell’offerta dei servizi pubblici (“in Calabria troppi Sindaci, serve una riforma sui Comuni con pochi abitanti”).

La presenza del Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha sottolineato ulteriormente l’importanza di affrontare queste problematiche, aprendo a discussioni su come promuovere il miglioramento della capacità amministrativa degli enti locali. Gli interventi di Occhiuto e del Ministro Piantedosi si inseriscono nell’ampio dibattito sull’efficacia e l’efficienza dei servizi pubblici offerti dai comuni.

Questi temi hanno ottenuto crescente attenzione tra i ricercatori e le istituzioni. Limitatamente al caso della Calabria, si è rilevato che ben 258 comuni, più del 60% del totale, sono classificabili come “sotto livello”, poiché registrano un’offerta di servizi e una spesa effettiva inferiori alle soglie standard. Questi comuni hanno una dimensione media di circa 39 km² e assorbono il 67% del territorio regionale. Inoltre, la popolazione media di questi comuni è inferiore a 5.000 residenti, il che significa che il 64% della popolazione calabrese vive in aree in cui gli enti locali spendono poco e offrono servizi al di sotto degli standard.

Pochissimi comuni calabresi mostrano un potenziale comportamento virtuoso, offrendo più servizi e spendendo meno dello standard. L’inefficienza sistemica nell’offerta di servizi riguarda tutti i territori della Calabria, sebbene sia relativamente più marcata nelle province di Reggio Calabria e Crotone.

All’interno di questo quadro generale, particolare attenzione meritano i comuni piccoli e di montagna, poiché affrontano difficoltà aggiuntive nella gestione delle risorse e nell’erogazione di servizi. La causa è l’impossibilità di sfruttare le economie di scala, che, insieme alle risorse umane e finanziarie insufficienti, incidono sul progressivo indebolimento del ruolo degli enti comunali.

È per tali ragioni che, per ottimizzare l’uso delle risorse e migliorare l’efficienza dei servizi, è essenziale promuovere fusioni tra comuni di ridotte dimensioni. Peraltro, l’analisi delle distanze tra i comuni calabresi indica che 131 coppie di comuni (232 unità amministrative!) sono distanti meno di 5 chilometri. Questa prossimità geografica offre un’opportunità unica per rivedere l’assetto amministrativo, facilitando la gestione dei servizi senza la necessità di investire in nuove infrastrutture di collegamento tra i centri urbani. In questo contesto, le fusioni potrebbero preservare le identità locali e le specificità culturali, contribuendo a costruire una governance più robusta. Un esempio emblematico è quello di Casali del Manco, un nuovo comune nato dalla fusione di cinque piccoli comuni vicini, che dimostra come, nel medio periodo, queste iniziative possano generare risultati positivi.

Sulla base di queste considerazioni, appare chiaro che non ci sono ragioni economiche che ostacolino le fusioni tra piccoli comuni. Infatti, la teoria economica e l’analisi dei dati suggeriscono che aggregare i comuni di dimensioni ridotte, creando nuovi enti con una popolazione di circa 12.000 abitanti, sarebbe molto vantaggioso.

Questa ristrutturazione è necessaria, poiché il territorio della Calabria non può più essere gestito da comuni con capacità amministrativa limitata. Tuttavia, gli ostacoli alle fusioni provengono spesso dalle popolazioni locali, che temono di perdere la propria identità, sebbene questo timore sia infondato, poiché si tratta solo di cambiare il modello organizzativo delle comunità. È, altresì, importante notare che le resistenze alle fusioni derivano anche da dinamiche politiche locali. L’esperienza dimostra che gli attori politici tendono di fatto a opporsi alle fusioni, temendo una perdita di potere dovuta alla riduzione delle cariche per sindaci e assessori.

In questo contesto, l’istituzione di un osservatorio permanente presso la Regione Calabria potrebbe offrire assistenza tecnica ai piccoli comuni, favorendo così la consapevolezza degli effetti potenziali delle fusioni. È, inoltre, fondamentale che la riforma degli enti locali sia facilitata dalla Regione Calabria con una chiara regolamentazione legislativa e con fondi regionali aggiuntivi rispetto a quelli nazionali, come già avviene in altre regioni italiane.

L’invito al Presidente Occhiuto è di fare proprie queste proposte, rendendo disponibili nel bilancio regionale risorse dedicate alle fusioni e promuovendo attivamente l’osservatorio permanente. Questi interventi sarebbero cruciali per garantire un’amministrazione efficace e reattiva alle esigenze delle comunità locali.

Riconsiderare gli assetti istituzionali è, quindi, cruciale. Il numero elevato di sindaci e comuni porta a una gestione inefficace delle risorse, evidenziando l’urgenza di ristrutturare il sistema di gestione e amministrazione del territorio.

In linea con le dichiarazioni di Occhiuto, è necessario affrontare la frammentazione amministrativa e migliorare la governance locale come passi necessari per adottare nuovi modelli organizzativi delle comunità e dei territori estremi della Calabria. Solo un impegno concertato e una visione a lungo termine possono contribuire a superare le attuali difficoltà dello spopolamento che impera in Calabria. (fa)

[Francesco Aiello è professore ordinario di Politica Economica all’Unical]

EUROPA E PORTI, AL PROGETTO FATTIBILITÀ
SERVE IMMEDIATA AZIONE RIFORMATRICE

di ERCOLE INCALZA – Stimo ed apprezzo l’operato del Vice Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Rixi per questo motivo le considerazioni che farò hanno solo una finalità: superare un momento critico della nostra offerta portuale ed interportuale. In realtà stiamo vivendo una sommatoria di emergenze che rischia di compromettere la intera logistica che caratterizza tutte le attività presenti nel nostro Paese.

Elenco di seguito, in modo sintetico, alcune preoccupanti criticità.

Nelle riforme della Unione Europea che sicuramente saranno varate nel prossimo autunno vi è l’annullamento del ricorso al “diritto di veto” da parte dei singoli Stati. Una proposta che senza dubbio è condivisibile perché solo in tal modo sarà possibile evitare la stasi decisionale della Comunità su scelte strategiche essenziali, tuttavia l’annullamento del ricorso al “veto” dovrà imporci un codice comportamentale adeguato nella definizione delle nostre linee strategiche, dei nostri programmi. Infatti ritengo utile ricordare che nel 1986 il Belgio propose una rivisitazione gestionale del porto di Ostenda con dei particolari abbattimenti dei costi per gli attracchi e per gli stoccaggi e noi imponemmo il veto perché dannoso per la offerta portuale del Mediterraneo; nel 1992 l’Olanda, la Danimarca e la Germania presentarono una proposta di gestione autonoma dei loro porti con sostanziale abbattimento dei costi logistici e noi ponemmo il veto, nel 1996 la Francia propose un rilancio funzionale del Porto di Le Havre inserendo appositi sconti per il containers con dimensioni da 40 piedi e, insieme ad altri Paesi, ponemmo il veto ad una simile proposta.

Tutto questo, quindi, ci impone una immediata azione programmatica e riformatrice che ci consenta di essere competitivi in caso in cui alcuni Paesi della Unione Europea dovessero attuare scelte davvero preoccupanti antitetiche alla nostra offerta portuale ed interportuale. Oltre ai Paesi del Nord Europa prima indicati non sottovalutiamo la Polonia, la Lituania, la Estonia e la Lituania.

È vero che il settore della cosiddetta “economia del mare” o “blue economy” oggi vale il 9,1% del Pil, cioè circa 160 miliardi di euro ma è anche vero che stiamo assistendo all’abbandono della bandiera italiana da parte degli armatori ed i dati parlano chiaro: nel 2012 la flotta italiana aveva una capacità di 18 milioni di tonnellate di stazza lorda, dal 2022 al 2023 abbiamo assistito ad una riduzione dell’8%; questo calo, come ha detto il Presidente di Confitarma, testimonia che per una serie di motivi il commercio e lo shipping italiani non è competitivo.

Dal 2024, la direttiva Ue 2023/959 estenderà l’Eu Ets (European Union Emissions Trading System – Eu Ets) al trasporto marittimo, imponendo limiti alle emissioni di CO2. Questa mossa, che mira a ridurre del 43% le emissioni entro il 2030, presenta sfide tecniche e logistiche per gli armatori, richiedendo innovazioni nel tipo di combustibile e nelle infrastrutture portuali, in un settore cruciale per il commercio globale. Ma l’impatto sarà davvero rilevante: nel 2024 avrà sul settore shipping un impatto di 6 – 7 miliardi di euro e, addirittura dopo il 2026, di 15 – 18 miliardi di euro l’anno.

La crisi nel Mar Rosso; una crisi che si pensava durasse poche settimane e che invece ormai ha portato ad una rivisitazione sostanziale dell’uso del Canale di Suez creando problemi sostanziali per la portualità del Mediterraneo e per l’articolata evoluzione delle politiche e delle strategie di altri Paesi interni ed esterni all’Unione Europea nel costruire nuovi assetti programmatici nella gestione dei propri impianti portuali.

Il ruolo del Mar Nero nel sistema internazionale della portualità mediterranea. A tale proposito non posso non ricordare due distinte scelte: Quella di Erdogan relativa alla realizzazione di un Canale parallelo al Bosforo (Canale Istambul) lungo 45 Km per aumentare la fluidità dei transiti tra il Mar Nero e il Mediterraneo; La proposta varata dal nostro Paese nel 2003 in occasione del Piano dei Trasporti irakeno (redatto sempre dal nostro Paese) di un Corridoio terrestre che dal porto di Bassora avrebbe raggiunto Bagdad – Mossul – Ankara ed il porto di Anaklia sul Mar Nero (proposta poi supportata da un Consorzio di imprese italiane nel 2012). Tale corridoio terrestre era a tutti gli effetti un’alternativa al canale di Suez. Un mese fa la Cina ha avviato i lavori del porto di Anaklia in Georgia (valore 2,6 miliardi di euro) e quanto prima avvierà il progetto dell’asse terrestre Bassora – Mossul – Ankara – Anaklia.

E noi siamo fermi con una offerta dei nostri porti e dei nostri interporti che non è in grado di affrontare, in modo organico, queste emergenze che, nell’arco di pochi anni, rischiano di mettere in crisi un indicatore già preoccupante quale quello che da almeno dieci anni caratterizza la movimentazione dei nostri porti: 450 milioni di tonnellate di merci e 10 milioni di Teu (container lungo 6 piedi). A tale proposito io ricordo sempre che tre porti quello di Algeciras, quello di Valentia e quello del Pireo, nello stesso periodo, sono passati da una soglia di 2 milioni di Teu ad oltre 5 – 6 milioni di Teu.

Occorre, quindi, con la massima urgenza, dare vita ad una riforma del nostro impianto logistico e ritengo che un simile processo riformatore dovrà rispettare il seguente codice comportamentale: Una organica azione riformatrice mirata sia alla portualità che alla interportualità; una motivata e responsabile identificazione dell’autonomia finanziaria degli organismi preposti alla gestione sia dei porti che degli interporti; una riaggregazione delle Autorità di Sistema portuale ed interportuale. Il Mezzogiorno, ad esempio, dovrebbe avere solo tre Autorità di Sistema Portuale ed Interportuale strettamente fra loro interagenti; riporto solo una possibile articolazione con i possibili Hub; sistema basso Adriatico e Jonio comprensivo degli impianti di Bari, Taranto, Brindisi e interagenti con gli Hub interportuali di Cerignola, di Bari Lamasinata, di Tito, di Francavilla; sistema basso Tirreno e Jonio comprensivo degli impianti di Napoli, Salerno, Gioia Tauro, Reggio Calabria, Crotone e Corigliano interagenti con gli Hub interportuali di Nona Marcianise, di Battipaglia, di Benevento, di Castrovillari e del retroporto di Gioia Tauro; sistema delle due isole Sicilia e Sardegna comprensivo degli impianti portuali di Cagliari, Olbia, Palermo, Termini Imerese, Catania, Gela, Siracusa e Trapani e interagente con gli Hub interportuali di Catania, Termini Imerese, Vittoria, Nuoro.

– Il Governo dovrebbe prevedere sin dalla prossima Legge di Stabilità un apposito Fondo mirato a ridimensionare il danno creato dalla direttiva comunitaria Eu Ets; il Governo dovrebbe prevedere sin dalla prossima Legge di Stabilita un apposito capitolo finanziario mirato a ridimensionare i costi della movimentazione dei container provenienti dall’Asia in modo da evitare un forte crollo della movimentazione nei nostri porti, Un capitolo di spesa che dovrebbe essere supportato anche dalla Unione Europea.

Senza dubbio sono solo ipotesi ma è bene che con la massima urgenza il Governo affronti questa preoccupante crisi; se ritardiamo anche solo di un mese rischiamo di rendere irreversibile questa grave crisi.

Ultimamente il Vice Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Edoardo Rixi ha dichiarato: «In autunno il Governo affronterà il tema della riforma portuale; chiederò un’accelerazione perché dobbiamo intervenire sul tema delle concessioni, sulla digitalizzazione, irrobustendo la governance; in realtà cercando di avere una governance centrale per indirizzare uno sviluppo armonico del sistema logistico nazionale».

Parole sacrosante ma già dette nel novembre del 2022, ripetute nel maggio del 2023, nel luglio del 2023, nell’autunno del 2023, nell’aprile del 2024.

Ora spero che il prossimo autunno questo impegno diventi concreto. (ei)

OCCUPAZIONE REALE, STABILE E DI QUALITÀ
IL LAVORO IN CALABRIA RIPARTE DA QUI

di ANTONIETTA MARIA STRATI – È con “Padel”, il Piano delle Politiche attive del lavoro, che il presidente della Regione, Roberto Occhiuto e l’assessore regionale al Lavoro, Giovanni Calabrese rispondono «a tutte le incertezze» in un territorio in cui «il lavoro per poter vivere in una regione come la nostra è fondamentale e importante».

Un programma, quello di Padel, stilato con grande anticipo – ha spiegato Calabrese nel corso della conferenza stampa – «attraverso una serie di avvisi importanti che metteremo in campo entro il prossimo anno», ha detto Calabrese, sottolineando il cambio di passo da parte del Governo regionale, «un approccio culturale diverso nell’affrontare queste problematiche».

Sono 13, infatti, gli interventi in programma per l’occupazione, per un totale di 183 milioni di euro.

«Il nostro obiettivo – ha sottolineato l’assessore Calabrese – è quello di raggiungere 10 mila persone con le misure di politica attiva del lavoro: questo sarebbe un grande segnale di cambiamento per far restare i nostri giovani in Calabria».

Ma un primo cambiamento c’è già stato, per il presidente Occhiuto: «credo che questo governo regionale sia l’unico nella storia degli ultimi 30 anni a non aver ampliato il bacino dei precari, anzi ad aver lavorato per contenerlo, per assorbirlo con iniziative rivolte alla stabilizzazione».

«Con questo Piano – ha aggiunto Occhiuto – abbiamo voluto programmare, con fondi PR Calabria Fesr-Fse+ 2021 – 2027, nuovi interventi, 13 per la precisione, raggruppati in quattro tipologie con interventi rivolti all’autoimprenditorialità, all’occupazione, formazione e competenze, servizi per il lavoro, la maggior parte dei quali in avvio entro fine 2024 e alcuni nei primi 6 mesi del 2025».

«Mi piace che una parte di queste risorse – ha aggiunto – siano state destinate a sviluppare percorsi per incentivare il lavoro da remoto, che diventa anche un modo per rigenerare i nostri borghi che rischiano di morire perché non c’è più la presenza dei giovani».

Padel, infatti, è uno strumento, nuovo e strategico, concepito in sinergia tra Dipartimenti Lavoro e Programmazione Unitaria della Regione, con l’obiettivo di garantire nuove forme di lavoro in Calabria, ma non solo: è «un Piano pensato per i giovani, le donne e i lavoratori svantaggiati con una serie di importanti misure dirette a migliorare l’inserimento e il reinserimento nel mondo del lavoro, a promuovere un lavoro di qualità, a potenziare l’integrazione pubblico-privato e le competenze digitali e verdi», ha ribadito Occhiuto.

«Un altro nostro obiettivo di cui si tiene conto in questo Piano – ha proseguito il Governatore – è quello di far diventare l’immigrazione una circostanza, un’occasione, per creare un tessuto di lavoro diffuso sul territorio, attraverso lo stimolo verso iniziative di cooperazione per i tanti migranti che la Calabria accoglie».

Ma non solo: «La nostra priorità – ha evidenziato Calabrese – è quella di fare in modo che i calabresi possano rimanere in Calabria attraverso un lavoro vero, attraverso una formazione di qualità andando a risolvere le problematiche serie che vengono dal passato e soprattutto programmando in base alle esigenze delle aziende calabresi».

Occhiuto, concludendo il suo intervento, ha ringraziato l’assessore Calabrese e i dipartimenti regionali Lavoro e Programmazione, con i dirigenti generali, Fortunato Varone, Maurizio Nicolai – presenti alla conferenza stampa – «per il lavoro svolto, per la stesura di un Piano che prevede incentivi anche per l’auto-imprenditoria femminile e per l’economia sociale». Dello stesso parare Calabrese che, ringraziando Nicolai e Varone, ha ribadito come «insieme si sta portando avanti l’indirizzo politico del presidente Occhiuto e del governo regionale».

«È un momento importante e di grande soddisfazione», ha sottolineato Calabrese, spiegando l’iter di Padel, «frutto di uno studio approfondito della situazione economica calabrese».

«Finalmente  – ha aggiunto – si inizia a programmare e non più a lasciare al caso avvisi sporadici. Siamo di fronte ad una programmazione importante che nasce anche dal confronto con le associazioni di categoria e con i sindacati, dalla concertazione al Tavolo per il lavoro».

«Siamo partiti da zero – ha continuato – da un momento in cui non c’era nulla, mancava anche una norma di riferimento e con l’approvazione della legge sulle politiche del lavoro, con la costituzione del Tavolo, con l’agenzia per il lavoro, oggi siamo arrivati a presentare questo Piano che prevede risorse importanti per 183 milioni di euro attraverso una serie di misure che siamo certi e convinti porteranno occupazione seria, reale e di qualità in Calabria».

«Abbiamo anche previsto – ha spiegato – misure per il lavoro in smart working con l’obiettivo di ripopolare le aree interne, abbiamo una gamma di strumenti importanti a 360 gradi che possono rappresentare le esigenze di tutte le aziende».

I 13 interventi sono stati illustrati da Varone, sottolineando come «per la prima volta si realizza un Piano che prevede una pianificazione di numerosi interventi con una tempistica certa e con la maggior parte degli avvisi a sportello, per dare la possibilità a tutti di partecipare e di trovare sempre uno strumento utile per lavoratori e imprese».

Tra questi, spicca “Lavoro Giovani Calabria”, con cui si punta al miglioramento dell’accesso al mercato del lavoro dei giovani calabresi under 35 e a contrastare la fuga dei talenti.

«L’intervento – si legge nel bando – finanzia tirocini formativi e di orientamento nei settori dell’S3, in particolare: tecnologie Digitali, terziario innovativo; ambiente, economia circolare e biodiversità; edilizia ecosostenibile, energia e clima; blue economy; turismo e cultura; scienza della vita. I tirocini hanno una durata minima di 6 mesi e massima di 12 mesi; nel caso di destinatario giovane con disabilità, la durata complessiva arriva fino a 24 mesi. A conclusione del tirocinio, l’impresa ospitante potrà beneficiare di un incentivo una tantum per ogni assunzione a tempo determinato o indeterminato».

Interessante, poi, la Certificazione della Parità di Genere, che vuole sostenere le micro, piccole e medie imprese calabresi nel conseguimento della Certificazione di Parità di genere, disciplinata dalla legge 162/2021 e dalla legge 234/2021, che accompagna e incentiva nel promuovere percorsi finalizzati a ridurre il divario di genere e garantire pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo.

«La procedura – si legge nel bando – prevede l’erogazione di voucher per le imprese che si doteranno della certificazione di genere e l’erogazione di un voucher per il mantenimento della certificazione per ulteriori tre anni, per le imprese già in possesso della certificazione».

Spazio, anche, alla formazione continua per le aziende, concedendo incentivi per le attività di formazione dei propri dipendenti, anche neoassunti, per cui sono stati stanziati 5 mln di euro. Nel bando, poi, è stata data attenzione anche al verde e alla transizione digitale, per cui sono stati stanziati 4 mln e che promuove l’offerta di formazione permanente per gli adulti, finalizzata all’aggiornamento/acquisizione delle competenze chiave, in particolare quelle verdi e digitali.

Tra gli interventi, 4.5 milioni sono stati stanziati per il recupero delle tradizioni artigianali, al trasferimento delle competenze tra generazioni e all’incremento del livello occupazionale; così come sono previsti tirocini Ue realizzati mediante il supporto specialistico della rete Eures presente nei CPI, prevede: promozione del tirocinio; orientamento professionale; assistenza e accompagnamento nella definizione del progetto formativo legato all’attivazione dei percorsi di tirocinio; erogazione di un contributo per la partecipazione al percorso di tirocinio in mobilità; validazione e certificazione delle competenze acquisite. (ams)

COSENZA CITTÀ UNICA: È UN GRAVE ERRORE
NON AVER INCLUSO MONTALTO UFFUGO

di DOMENICO MAZZA – La Regione Calabria ha fissato la data del referendum consultivo per saggiare il volere popolare sulla fusione amministrativa di Cosenza, Rende e Castrolibero.

Negli intenti, la volontà di creare una Città demograficamente importante e che acquisisca un ruolo ancor più centrale nei processi regionali e negli assetti del Mezzogiorno d’Italia. Personalmente, ho sempre accolto di buon grado i concept amministrativi forieri di migliorie per gli ambiti a cui rivolti. Non ho mai nascosto, tra l’altro, simpatie verso quei processi a cui, giocoforza, le realtà del Sud Italia e in generale del nostro Paese, dovranno adeguarsi per vincere le sfide che l’Europa metterà in campo nei prossimi anni.

Amalgama amministrativa in val di Crati: il preambolo a nuovi assetti di governance regionali 

La Città bruzia, caratterizzata negli anni da un fenomeno politico che affonda radici nei principi cardine del centralismo storico, potrebbe finalmente aprirsi, almeno alle Comunità contermini, a una visione inclusiva e non più schiacciata su sé stessa. Nel corso degli ultimi decenni, infatti, nel succinto perimetro civico, è stato accentrato l’inverosimile. Tale dissennata operazione, purtroppo, ha reso sterili i territori dirimpettai e fatto terra bruciata degli ambiti lontani dal baricentro bruzio.

Il progetto di fusione amministrativa a Cosenza, in funzione di una razionalizzazione del numero dei Comuni e nell’ambito di una prospettiva che renda la Calabria una Regione coerentemente europea, potrebbe diventare volano di svolta se accompagnato da una nuova governance del territorio regionale. I processi di tale natura, infatti, concorrono a realizzare un nuovo modello di sviluppo sostenibile e compatibile con le uniche risorse certe della programmazione europea e di quella emergenziale del Recovery. La rinnovata funzione che il ridefinito perimetro urbano acquisirebbe, a seguito della sintesi civica, potrebbe modificare la geografia dei luoghi.

I vantaggi dell’operazione avrebbero ricadute positive non solo per l’ambito strettamente cosentino, quanto per tutta l’area del Pollino-vallivo e della striscia alto-tirrenica. Potrebbe cambiare, anche, la narrazione degli equilibri politici tra il contesto vallivo del Crati e quello istimico, soprattutto se dovessero concretizzarsi le prove tecniche di nuovo ambiente metropolitano tra Catanzaro e Lamezia.

Esclusione di Montalto Uffugo dal progetto: un grave errore di valutazione

Spiace, tuttavia, prendere atto della mancata lungimiranza politica nell’aver escluso la comunità di Montalto Uffugo dalla partita amministrativa. Non aver compreso, altresì, la valenza degli investimenti che nei prossimi anni si riverseranno sulla richiamata realtà, dimostra poca visione d’insieme. Vieppiù, rischia di far passare il processo in evoluzione come la mera sommatoria di Enti finalizzata a fare cassa. Dalle nuove disposizioni in materia d’amalgama amministrativa, infatti, si evince che al superamento del tetto demografico dei 100mila ab. al nuovo Comune sarà riconosciuto, in dilazione nei dieci anni successivi alla costituzione del nuovo Ente, un bonus di 150milioni.

Inoltre, in ottica di futura realizzazione della Città Metropolitana di Cosenza (reale obiettivo sotteso alla fusione dei tre Comuni), presentare una città di 130mila ab. avrebbe avuto un appeal maggiore rispetto ad una Città di appena qualche migliaio d’ab oltre soglia 100mila. Del resto, circoscrivere la fusione cosentina al solo riassunto amministrativo di tre Comunità, ovvero pensare ad una realtà che uscirebbe consolidata demograficamente dal processo senza immaginare un suo ricollocamento nello scacchiere della interterritorialità, non sarebbe esplicativo della prospettiva più ampia.

La fusione bruzia: il processo prodromico a una nuova riforma sistemica degli Enti intermedi 

I reali desiderata che si celano dietro il progetto di fusione e che gemmeranno all’indomani della sua realizzazione, altro non sono se non il preambolo alla costituzione di una nuova Città Metropolitana. Qualora poi il disegno in atto tra Catanzaro e Lamezia dovesse concretizzarsi, la nuova governance della Regione tornerebbe ad essere quella precedente al 1992. Chiaramente, le descritte eventualità renderebbero totalmente vane le flebili narrazioni che sullo Jonio, nei primi anni ’90, hanno visto la creazione della Provincia di Crotone e più recentemente, nel contesto sibarita, la nascita della nuova Città di Corigliano-Rossano. Quanto detto, tuttavia, non deve spaventare l’Arco Jonico e le sue classi dirigenti. Al contrario, dovrebbe motivarle! Fermo restando le opportunità che, per l’ambito di riferimento, potrebbero derivare dalla fusione di Cosenza, è tempo che la Sibaritide e il Crotonese si interroghino sul fatto di imbastire la nascita di due grandi Città in riva allo Jonio.

Basterebbe, infatti, un’apertura da parte di Corigliano-Rossano e Crotone alle rispettive Comunità dirimpettaie per avviare la nuova costituzione di due realtà urbane da 100mila abitanti. Di sicuro, le descritte operazioni non avrebbero senso se inquadrate negli attuali contesti perimetrali amministrativi. Piuttosto, andrebbero avviate operazioni di ricollocazione delle due Città joniche in un unico ambito omogeneo che faccia da minimo denominatore tra aree a interesse comune.

Pertanto, lungo l’Arco Jonico, sarebbe il caso di ammainare la sciabola dell’impalpabilità politica che vede tanto Crotone quanto Corigliano-Rossano distinguersi per operazioni inconsistenti e inefficaci. Dovrebbe essere un imperativo, quindi, avviare tutte le interlocuzioni possibili per finalizzare la costituzione di un’area, demograficamente importante e politicamente rilevante, lungo gli ambiti del Crotonese e della Sibaritide.

La Grande Cosenza: modello ispiratore alla Grande Sybaris e alla Grande Kroton, per una nuova narrazione della Calabria 

In un periodo caratterizzato da processi geo-politici di grande mutamento, all’Establischment jonico corre l’obbligo di studiare soluzioni ottimali affinché il proprio ambiente non continui a essere fagocitato dai rispettivi centralismi storici. Due Città da 100mila abitanti ciascuna, inquadrate in una area vasta di oltre 400mila abitanti, avrebbero tutte le carte in regola per sedere al tavolo delle geometrie politiche regionali.

Crotone e Corigliano-Rossano hanno il dovere di fornire alle rispettive popolazioni un ragionevole tasso d’interesse che possa rappresentare il deterrente al dramma dell’emorragia demografica verso altre realtà. Continuare a perseguire strade bocciate dalla storia e dai fatti non aiuterà lo Jonio a diventare un luogo migliore. Fossilizzarsi su proposte come la Provincia della Sibaritide-Pollino per Corigliano-Rossano o, nel caso crotonese, anelare di far parte dell’area centrale della Calabria, significherebbe proseguire in azioni politiche masochistiche, condannando i territori alla soccombenza e all’impalpabilità. Mentre Cosenza, legittimamente, mira a costruire una realtà urbana che guarderà al domani con ambizione e progettualità, Corigliano-Rossano e Crotone non possono continuare a indugiare sul loro necessario futuro comune.

Vieppiù, baloccandosi in rabberciati progetti con quelle realtà che da sempre hanno agito come aguzzini nei rispettivi riguardi.

È tempo di avviare una rivisitazione degli Ambiti Territoriali Ottimali che costituiscono l’hub per la gestione dei servizi economici principali ai cittadini, ma anche centro di crescita, innovazione e sviluppo.

È tempo di aprirsi ai progetti di coesione territoriale con ingegno, visione e prospettiva.

È tempo per la Grande Cosenza, ma anche per la Grande Kroton e la Grande Sybaris.

È tempo, soprattutto, per Magna Graecia. (dm)

[Domenico Mazza è del Comitato Magna Graecia]

EXPORT, IL GRANDE PARADOSSO DI UN SUD
PRODUTTIVO CON IL PIL PRO-CAPITE BASSO

di ERCOLE INCALZA – Senza dubbio il G7 di Villa San Giovanni in Calabria ha messo in evidenza un dato importante e sicuramente sconosciuto, a mio avviso, dalla maggior parte della intellighenzia economica del Paese; mi riferisco ai dati prodotti dall’ICE (Istituto Commercio Estero) e che riporto di nuovo sinteticamente di seguito: nel 2023 l’export italiano ha raggiunto la quota di 626 miliardi di euro, un dato che ha consentito al nostro Paese di salire al sesto posto dei principali esportatori mondiali e, sempre dal rapporto, emerge che l’export dei prodotti italiani è cresciuto del 30,4% rispetto al 2019 e del 60,5% in confronto al 2012.

Del rilevante valore di 626 miliardi di euro, valore che rappresenta la nostra forza produttiva e commerciale, quasi il 30% proviene dal Sud; su questo dato è opportuno fare una precisazione infatti il rapporto dell’Ice precisa: «La provenienza territoriale delle vendite sui mercati esteri si conferma fortemente concentrata nelle Regioni del Centro-nord, da cui proviene l’87,7% dell’export nazionale, mentre il Mezzogiorno ne attiva il 10,9%».

In realtà si dimentica che una rilevante quota di produzione agricola del Sud viene acquistata “alla pianta”, cioè alcuni mesi prima del raccolto operatori del Centro Nord scendono nel Mezzogiorno e acquistano vari prodotti che poi trasformano ed esportano; ma molta quantità di olio, di vino viene acquistata nel Mezzogiorno e messa sul mercato; analogo discorso va fatto per il comparto degli agrumi, per il comparto dei latticini. In realtà trattasi di prodotti il cui packaging viene fatto in aree del Nord e poi esportato. Ci sono vari Istituti di ricerca che hanno approfondito un simile fenomeno che, alla fine di questo mio articolo, ho definito una vera dicotomia tra la capacità di produrre e la capacità di mantenere il valore aggiunto della produzione nel territorio di origine. Lo scorso anno l’Istituto di ricerca della Coldiretti “Divulga” pubblicò un interessante lavoro sul danno causato ai processi logistici del settore agrario dall’assenza di una adeguata offerta infrastrutturale soprattutto nei collegamenti Sud – Nord e dimostrò che il danno era stato nel 2022 pari a 93 miliardi di euro. Spero che quanto prima la Coldiretti possa approfondire ulteriormente il reale contributo del Sud nell’export italiano, sono sicuro che la previsione del 30%, anche alla luce delle quantità movimentate, sarà ampiamente confermata.

Ma il Mezzogiorno oltre alla rilevanza dell’attività produttiva contiene delle condizioni legate alla componente logistica che superano la dimensione nazionale e diventano riferimento portante dell’intero impianto mediterraneo. Vengono in realtà meno le logiche localistiche delle singole realtà regionali e, nel caso specifico, diventano riferimento portante, ad esempio, i tre ambiti territoriali della Campania, della Basilicata e della Calabria.

Ma tutto questo stranamente non è congeniale con quello indicatore che vede il Pil pro capite medio delle Regioni del Sud fermo ad una soglia di 21.000 euro contro i 36.000 del Nord con punte addirittura superiori ai 42.000 euro.

Ed allora sorge spontaneo un interrogativo, o meglio una serie di interrogativi: Ma la produzione del Mezzogiorno, soprattutto quell’agroalimentare è gestita da società del Sud o esistono realtà produttive del Nord o, addirittura di altri Paesi che svolgono tali attività e assicurano non un PIL per le realtà locali ma un Pel (Prodotto Esterno Lordo)? Questo approfondimento, insisto, forse farebbe bene a farlo la Coldiretti perché deve essere un lavoro capillare; Ma la logistica delle merci prodotte al Sud è assicurata da operatori del Mezzogiorno o anche in questo caso sono determinanti le società del Nord del Paese o della Unione Europea? Esistono in questo caso dati che vanno solo aggiornati ma che portano già ad una prima conclusione: l’intero Mezzogiorno, comprensivo anche delle isole, movimenta annualmente circa 160 milioni di tonnellate; ogni tonnellata movimentata produce un valore aggiunto per le attività logistiche di circa 12 euro, cioè circa 2 miliardi di euro; di tale valore nel Sud rimane appena il 7%.

Questi due indicatori trovano anche una chiara e motivata presa d’atto: nel Sud, dei quattro impianti portuali transhipment di Cagliari, Augusta, Gioia Tauro e Taranto, svolge una attività adeguata e rilevante solo Gioia Tauro; nel Nord ci sono 8 impianti portuali attrezzati per il transhipment e per attività terminali non di transhipment; nel Sud esiste solo uno impianto interportuale organico quello di Nola Marcianise, nel Nord ne esistono, ormai adeguatamente strutturati, circa 9 ed inoltre, sempre nel Sud, pur esistendo grandi aree della produzione non esistono adeguate aree mercato.

Il sistema finanziario non agevola, o meglio, non supporta iniziative portate avanti da realtà produttive del Sud e non esistono forme di Partenariato Pubblico Privato (PPP) capaci di costruire le condizioni per creare autonomie gestionali locali. Le logiche con cui vengono definiti gli incentivi legati al Fondo di Sviluppo e Coesione vanno integralmente rivisti perché in realtà dopo oltre venti anni non hanno modificato le condizioni che hanno mantenuto inalterata la presenza delle otto Regioni del Sud nell’Obiettivo Uno, cioè tutte hanno un PIL pro capite inferiore al 75% della media europea.

Questo paradosso spero emerga in un incontro internazionale come il G7 di Villa San Giovanni ed è bene che il Governo italiano comprenda che un simile paradosso non può rimanere a lungo un semplice dato statistico, una semplice conferma dell’assenza di un processo programmatico capace di ribaltare, una volta per tutte, una consolidata volontà a mantenere inalterata una dicotomia tra capacità di produrre e capacità di trasferire i vantaggi ottenuti nelle realtà territoriali generatori dei processi produttivi, logistici e commerciali.

In fondo basterebbe rispettare le regole del mercato, basterebbe rispettare le regole di una sana logistica per incrementare il dato sconcertante del PIL pro capite dell’intero Mezzogiorno. (ei)

TURISMO, SERVE UNA NUOVA STRATEGIA
CON RISORSE, STRUTTURE, INVESTIMENTI

di FRANCESCO NAPOLI – La Calabria, con il suo patrimonio naturale e culturale, ha un potenziale turistico enorme. Tuttavia, la recente stagione estiva ha messo in evidenza alcune criticità, in particolare la carenza di strutture ricettive di alta qualità e problemi legati alla gestione dei rifiuti. Per rilanciare il turismo nella regione, è fondamentale affrontare questi aspetti con una strategia ben definita.

Sviluppo di Strutture di Alta Qualità

Uno degli obiettivi principali per attrarre turisti è l’ampliamento dell’offerta di strutture ricettive a cinque stelle superior.

Investire in hotel di lusso e resort esclusivi non solo migliora l’immagine della Calabria, ma attira una clientela disposta a spendere di più per esperienze di alta gamma. Questo richiede incentivi per gli investitori, la promozione di partnership pubblico-private e una maggiore attenzione alla formazione del personale per garantire standard elevati di servizio.

Impianti di Depurazione e Gestione dei Rifiuti

Un altro aspetto cruciale è la gestione dei rifiuti e la depurazione delle acque. L’estate ha evidenziato l’importanza di impianti efficienti per garantire una pulizia adeguata delle spiagge e dei centri abitati. È fondamentale investire in infrastrutture per il trattamento delle acque reflue e promuovere la raccolta differenziata. La chiusura delle strutture non collegate al servizio di depurazione è una necessità per tutelare l’ambiente e la salute dei cittadini, ma deve essere accompagnata da un piano di comunicazione per spiegare l’importanza di tali misure.

Sviluppo del Turismo Congressuale

Un settore spesso trascurato, ma con un enorme potenziale, è il turismo congressuale. Attualmente, la Calabria manca di un centro fieristico adeguato in grado di ospitare eventi, conferenze internazionali e fiere dedicate. Investire nella creazione di spazi moderni e funzionali non solo attrarrebbe aziende e professionisti, ma darebbe anche visibilità ai prodotti e ai servizi calabresi. Questo tipo di turismo può contribuire a una maggiore destagionalizzazione, portando visitatori durante tutto l’anno e stimolando l’economia locale.

Promozione del Turismo Sostenibile

Rilanciare il turismo in Calabria non significa solo aumentare il numero di visitatori, ma farlo in modo sostenibile. Promuovere il turismo ecologico, l’agriturismo e le esperienze legate alla cultura locale può attrarre visitatori consapevoli e interessati. Inoltre, valorizzare i prodotti tipici calabresi e l’artigianato locale contribuirà a creare un’offerta turistica unica e autentica.

Collaborazione e Marketing Territoriale

Infine, è essenziale una strategia di marketing territoriale coordinata che coinvolga tutte le parti interessate: istituzioni, operatori turistici e comunità locali. Campagne di promozione mirate, sia a livello nazionale che internazionale, possono mettere in luce le bellezze della Calabria e le sue potenzialità turistiche.

Conclusione

Rilanciare il turismo in Calabria richiede un approccio integrato e strategico, che combini investimenti in strutture di alta qualità con una gestione responsabile dell’ambiente e lo sviluppo del turismo congressuale.

Attirare investimenti richiede un approccio radicalmente diverso da quello visto con Baker Hughes. È fondamentale costruire una burocrazia regionale all’altezza della sfida, che promuova efficienza e rapidità nelle decisioni. Investire nella digitalizzazione, semplificare le procedure e garantire trasparenza sono passi cruciali. Solo così si potrà creare un ambiente favorevole che attragga capitali e supporti la crescita economica. (fna)

(Francesco Napoli è Presidente di Confapi Calabria)

LEGA, IL PROGETTO DELLA MACROREGIONE
È UNA SERIA MINACCIA PER IL MERIDIONE

di PIETRO MASSIMO BUSETTAIl retro pensiero era “tanto poi di fronte ai Lep si fermerà tutto”. Ma con leggerezza avevano sottovalutato il tema e soprattutto la determinazione e la forza di impatto di Roberto Calderoli. Mi riferisco a Fratelli D’Italia, a Forza Italia e anche a Noi Moderati di Lupi. D’altra parte la conoscenza della legge era stata sempre molto approssimativa.

In realtà qualcuno lo aveva cominciato a dire in tempi non sospetti che il vero obiettivo erano le materie dove non erano previsti i Lep. Ma è rimasto un profeta inascoltato. Parlo di Adriano Giannola che da tempo sostiene che il vero disegno della Lega Nord, ma in realtà anche di un’aggregazione più ampia, anche di ricercatori e studiosi del Nord, appartenenti anche ad altri partiti, era quello di arrivare ad una macro regione del Nord, che in qualche modo sostituisse, peraltro con il vantaggio di continuare ad avere una colonia interna, che è il Mezzogiorno, il progetto iniziale che vedeva nella secessione il raggiungimento dell’obiettivo bossiano. 

Adesso che il disegno comincia ad essere chiaro, anche a chi riteneva che si chiudesse  la partita dando il contentino alla Lega, in modo da tenere unita e coesa la maggioranza, le preoccupazioni cominciano a nascere. Perché il contentino si sta rivelando estremamente pericoloso  per la coesione nazionale e, si teme, molto costoso per il consenso nei territori meridionali.

Sopratutto per i tre partiti della maggioranza che continuano ad avere lì una base elettorale importante. Inizialmente le voci contrarie del Centrodestra sono state molto isolate. Si pensi che solo tre deputati vicini a Roberto Occhiuto si sono rifiutati di votare a favore del ddl Calderoli. Cannizzaro,  Mangialavori e Arruzzolo.

E il Presidente della regione Calabria si trovava solo, anche all’interno del Partito, sulla posizione critica rispetto all’Autonomia che, dichiarava, sarebbe potuta  andare avanti solo quando i Lep sarebbero stati individuati e finanziati. 

Cosa estremamente difficile considerato che il costo dell’equità territoriale nei diritti di cittadinanza di base, come sanità, scuola infrastrutturazione è molto elevato.

Poi in un secondo momento fece  propria la posizione di Occhiuto anche il Segretario del Partito Antonio Tajani, che insediò un comitato per monitorare l’andamento di tale legge e non perdere di vista le problematiche che essa faceva sorgere.      

Ma approvata la legge, che in molti consideravano fosse solo una bandierina da sventolare per accontentare i leghisti più duri e puri, ci si rese conto invece che Zaia, Fontana, Cirio, insomma tutto il Nord di destra, facevano sul serio. Ed erano pronti a intavolare le trattative per alcuni temi che sembravano irrilevanti, ma che si sta vedendo che sono estremamente importanti. 

E allora vengono fuori i distinguo: Tajani che afferma che il commercio estero non può essere parcellizzato e gestito da 20 regioni. Ieri Musumeci che in una intervista, poi in parte sconfessata, evidenziava che la protezione civile ha esigenze di interventi che solo il Governo Centrale può consentirsi in termini di risorse ma anche organizzativi. 

Si potrebbe dire che i nodi vengono al pettine e che lo stupore di chi non capiva come mai Partiti come Fratelli D’Italia e Forza Italia, con un consenso  raccolto a livello nazionale e con una mission che valorizzava l’idea di Paese unito,  potessero accettare una legge che invece andava in una  direzione che molti hanno chiamata Spacca Italia,  era dovuto alla convinzione che in realtà si stesse facendo il gioco delle parti. 

 Da un lato la Lega aveva il suo contentino e la sua bandierina da sventolare sui campi di Pontida, a due passi da Bergamo, dall’altro rimaneva tutto invariato e quindi nessuno avrebbe disturbato il manovratore. 

Ora che gli inviti a stare calmi e ad aspettare vengono rinviati al mittente, in particolare dal gruppo Veneto con Zaia in testa, con una determinazione inaspettata, solo da alcuni, e con la motivazione che c’è una legge che va applicata, ci si trova davanti a difficoltà non previste e si invocano tavoli diversi da quelli previsti dalla legge, per fare in modo che i passaggi successivi non diventino quasi automatici. 

Ma l’affermazione di Salvini che dice: «indietro non si torna» evidenzia la volontà precisa di non interrompere il processo. Quindi intanto si va avanti con le materie dove non sono previsti i Lep. E per le altre si trova un sistema per cui il livello di tali servizi “essenziali” sia tale da essere compatibile  con la legge che prevede che avvenga tutto a costo zero per il bilancio dello Stato. 

L’obiettivo è quello che si dia valenza e importanza a un concetto assolutamente anticostituzionale, che è quello del residuo fiscale, unico modo per mantenere quella spesa storica che ha consentito finora l’esistenza di cittadini di serie A e di serie B, con spesa pro capite per ciascuno di loro, nella sanità, nella formazione, nella infrastrutturazione, diversa, e alcune volte dimezzata, rispetto alle Regioni più favorite.

È evidente che per avere gli stessi livelli di prestazione, meglio sarebbe livelli uniformi, che sono alla base di uno Stato unitario, nel quale l’equità territoriale è la base da cui partire, come quella della progressività del prelievo fiscale, che prescinde dal territorio in cui si nasce e e si lavora, sono necessarie risorse che questo Paese non ha e che non riuscirà ad avere se i tassi di crescita continuano ad essere di zero virgola qualcosa e si vorrà tenere il 40% del territorio ed il 33% della popolazione in una posizione ancillare rispetto alla cosiddetta locomotiva, che a stento trascina se stessa. 

D’altra parte impegnarsi per far crescere veramente quella che alcuni con molta enfasi chiamano la seconda locomotiva, ma che in realtà rimane soltanto una un’area a sviluppo ritardato, dove lavora soltanto una persona su quattro, caratterizzata dai processi migratori tipici delle realtà sottosviluppate, è estremamente impegnativo. 

Perché bisogna infrastruttura bene il territorio, lottare la criminalità organizzata per evitare che sia di impedimento all’insediamento di nuove aziende, dare vantaggi fiscali assolutamente consistenti tali da far scegliere alla impresa che arriva dall’esterno, come Microsoft,  invece che Milano magari Cosenza, e  un cuneo fiscale da azzerare, che pesa  sul bilancio dello Stato in modo rilevante. 

Per far questo bisogna sottrarre risorse alle esigenze di un Nord industrializzato che, correttamente, vuole competere con la Baviera, con il Giappone, con la Cina, che oggi non ha più bisogno dell’alta velocità, già esistente, ma di un treno supersonico con tecnologia Hyperloop, del tubo che faccia spostare  a 1200 km orari. 

 E allora la via di fuga è quella di fissare i Lep  a un livello talmente basso da consentire l’attuazione del progetto, magari inventandosi un diverso costo  della vita tra Sud e Nord. Dimenticando che esso non passa attraverso una differenza tra  territori, quanto molto più probabilmente tra aree metropolitane e interne, aree agricole e turistiche. E non tenendo presente che alcune carenze di servizi di alcune aree anche se non entrano nel costo  della vita Istat appesantiscono i bilanci familiari in modo notevole. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

L’EOLICO NON FARÀ BENE ALLA CALABRIA
SARÀ UN DISASTRO A LIVELLO AMBIENTALE

di GIOVANNI MACCARRONEChe la Calabria sia la meta preferita per l’installazione degli impianti eolici non è dubbio. Nel novembre 2023, infatti, risultavano già attivi nella nostra regione 440 impianti eolici – il 70% si trova nelle province di Crotone e Catanzaro e sono pure in aumento le richieste di concessioni (attualmente 157 sono in corso di valutazione).

Risultano in aumento anche le richieste di installazione di impianti eolici off-shore. Di recente, in particolare, è venuta alla luce l’ipotesi di costruzione ed esercizio di un parco eolico off-shore di tipo galleggiante denominato “Enotria” nello specchio acqueo del Golfo di Squillace, a largo di Punta Stilo, nel mare Ionio.

Si tratta di un impianto eolico off-shore di tipo galleggiante composto da 37 aerogeneratori con una potenza complessiva di 555 mw posti tra circa 22 e 33 kilometri al largo della costa orientale della Calabria. Ciascun aerogeneratore di potenza unitaria di 15 mw avrà un’altezza massima complessiva di 355 m.s.l.m.

Questo ha creato un grande scompiglio. Sono diversi giorni che se ne parla. Comunque sia, “Nel bene e nel male basta che se ne parli” (lo diceva un certo Oscar Wilde).

È evidente, infatti, che in una regione come la Calabria (nota come la “terra tra due mari”), dove la principale attrazione è rappresentata appunto dal mare, è veramente devastante pensare che tra qualche anno ci troveremo a dover fare i conti con un paesaggio arricchito (si fa per dire) di strutture dotate di pale, turbine e generatori collocati in mare aperto al largo delle nostre coste.

Qualcuno dice che bisogna farsene una ragione. L’obiettivo è quello di realizzare una nuova politica energetica che assicuri la piena sostenibilità ambientale, sociale ed economica del territorio nazionale. Per cui, per realizzare questo obiettivo, è necessario sfruttare al meglio l’enorme potenziale energetico del vento. Costi quel che costi (locuzione che Mario Draghi pronunciò il 26 luglio 2012, nell’ambito della crisi del debito europeo). Insomma siamo messi proprio male. 

Il Meridione e la Calabria in particolare devono pagare il fatto che il territorio ha una maggiore disponibilità del vento, esiste una certa profondità dell’acqua e le proprietà geotecniche del fondale marino e tale da consentire l’ancoraggio a catene delle predette strutture.

Forse è stato anche questo il motivo che di recente ha spinto il legislatore a prevede nel D.L. n. 181/2023 (“Decreto Energia”) l’introduzione di un’importante novità in materia di sviluppo della filiera dell’industria dell’eolico off-shore.

Per installare un impianto eolico di questo tipo sono necessarie grandi infrastrutture e logistica, Servono, quindi, strutture per costruire e montare le torri e i galleggianti a partire da enormi tubi di acciaio, banchine esclusive nel porto, depositi per una grande quantità di materiale, e così via, oltre all’affitto di navi specializzate, prenotate con mesi o anni di anticipo.

Consapevoli di quanto sopra è stato perciò previsto nel decreto citato (DL 9 dicembre 2023, n. 181 convertito in legge 2 febbraio 2024, n. 11) un articolo (l’art. 8) che prevede al comma 1 la pubblicazione, entro il 9 gennaio 2024, da parte del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, di un avviso volto alla acquisizione di manifestazioni di interesse per la individuazione, in almeno due porti del Mezzogiorno rientranti nelle Autorità di sistema portuale o in aree portuali limitrofe ad aree in phase out dal carbone, di aree demaniali marittime con relativi specchi acquei esterni alle difese foranee, da destinare, attraverso gli strumenti di pianificazione in ambito portuale, alla realizzazione di infrastrutture idonee a garantire lo sviluppo degli investimenti del settore della cantieristica navale per la produzione, l’assemblaggio e il varo di piattaforme galleggianti e delle infrastrutture elettriche funzionali allo sviluppo della cantieristica navale per la produzione di energia eolica in mare. 

Quindi, stando a quanto sopra riportato, non solo il nostro territorio rischia di essere invaso da strutture dotate di pale, turbine e generatori da realizzarsi sulla terraferma (impianti onshore) su autorizzazione della Regione (o delle province delegate) oppure  da posizionarsi a mare (impianti offshore), dietro autorizzazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ma dovremmo assistere anche alla creazione nelle aree del Mezzogiorno di un polo strategico nazionale nel settore della progettazione, della produzione e dell’assemblaggio di piattaforme galleggianti e delle infrastrutture elettriche funzionali allo sviluppo della cantieristica navale per la produzione di energia eolica in mare.

I più attenti avranno notato che il testo originario del decreto-legge prevedeva l’individuazione di due soli porti (anziché “almeno” due porti) del Mezzogiorno di aree demaniali marittime da destinare alla realizzazione di un polo strategico nazionale per l’eolico off-shore.

Come è facile intuire, tutto questo consentirà la realizzazione di più aree – che dovranno necessariamente essere aree portuali del Sud Italia – destinate alla realizzazione di “infrastrutture idonee a garantire lo sviluppo degli investimenti del settore della cantieristica navale per la produzione, l’assemblaggio e il varo di piattaforme galleggianti e delle infrastrutture elettriche funzionali allo sviluppo della cantieristica navale per la produzione di energia eolica in mare”.

Il che, come è evidente, significa che di questo passo il nostro mare e le nostre coste saranno invase da enormi strutture metalliche.

Siamo alla fine (almeno per ora…) di un percorso, come si è visto, a dir poco sconvolgente.

Ma a livello ambientale quale futuro ci aspetta? Un vero e proprio disastro. È importante notare sul punto che, per la realizzazione e l’esercizio dei vari progetti, sarà necessario immettere in mare materiale derivante da attività di escavo e di posa in opera di cavi e condotte, con grave inquinamento dell’acqua marina e riduzione della biodiversità.

Inoltre, le strutture off-shore – come si è sopra detto – utilizzano un sistema di ancoraggio a catene. L’ormeggio “a catenaria” utilizza delle catene lunghissime che tengono ancorata la struttura galleggiante sovrastante, anche grazie alle ancore terminali. Tuttavia, c’è un problema: i galleggianti, e di conseguenza le catene, tendono a muoversi, sotto la spinta delle onde e delle maree, determinando notevoli problemi alla flora e alla fauna ittica (si pensi alle praterie di Posidonia Oceanica).

A tal proposito bisogna prendere in considerazione anche il rumore emesso dagli impianti che provoca un vero e proprio inquinamento acustico che, a sua volta, incide fortemente sull’ecosistema del nostro mare.

Non bisogna trascurare, poi, che gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili entrano sicuramente in collisione con la tutela del paesaggio. Non è chi non veda, infatti, che spesso gli impianti off-shore risultano visibili dall’occhio umano dalla costa o unitamente alla costa. Essi, quindi, incidono negativamente sui valori paesaggistici. Ma anche quando gli impianti in questione non dovessero risultare visibile all’occhio umano (in quanto posti a circa 22 o 32 Km dalla costa), il risultato non cambierebbe, dato che essi possono tranquillamente incidere negativamente sui valori paesaggistici anche se poste a notevole distanza dai territori costieri.

In tal senso è, del resto, la Corte Costituzionale, secondo cui il paesaggio deve essere considerato «l’ambiente nel suo aspetto visivo», e che l’art. 9, secondo comma, Cost. sancisce un principio fondamentale, che vale sia per lo Stato che per le Regioni, ordinarie e speciali, con la precisazione che il riferimento testuale della norma costituzionale è alla «Repubblica», con ciò affermandosi la natura di valore costituzionale in sé e per sé del valore del paesaggio. 

Pertanto, se da una parte siamo d’accordo con chi giustamente sostiene che l’uscita dalle fonti fossili è necessaria per fermare la crisi climatica, dall’altra parte riteniamo tuttavia molto importante valutare con una certa attenzione l’eventuale pregiudizio al paesaggio derivante da un impianto eolico off-shore. Non c’è dubbio, in sostanza, che «all’interesse alla tutela del paesaggio debba essere riconosciuto, nel bilanciamento con gli altri interessi potenzialmente antagonistici (primi fra tutti quello alla tutela dell’ambiente e quello allo sviluppo delle fonti rinnovabili a copertura del fabbisogno energetico), un peso specifico particolarmente elevato, fino a giustificare, in determinate e motivate ipotesi di compromissione irreversibile di aspetti e caratteri identitari del territorio ritenuti irrinunciabili ed in assenza di alternative (quale potrebbe essere in ipotesi, l’arretramento verso il mare aperto degli impianti o l’adozione di misure di mitigazione), anche un divieto di installazione».

È del resto chiaro, in conclusione, che, siccome si è comunque in presenza di un interesse costituzionale gerarchicamente superiore, sarebbe il caso di trovare strade alternative per ridurre le emissioni di gas serra a livello globale.

Si pensi che solo nel 2020, per quanto riguarda l’Europa, è stata registrata una riduzione delle emissioni di gas serra pari al 7,6%. Le ragioni sono state direttamente collegate a un grande cambiamento delle abitudini lavorative e di vita: con lo smart working, la riduzione dei viaggi d’affari e turistici, l’intera industria dei trasporti ha visto un calo nell’uso, e di conseguenza, un crollo nelle emissioni.

Forse sarebbe il caso di ripartire da qui e crederci

Speriamo bene. (gm)