PIANO REGOLATORE PER LE AREE URBANE
STRUMENTO PER RIDISEGNARE LE CITTÀ

di ERCOLE INCALZA – Da molto tempo, in modo sistematico, ho ricordato che con il mese di settembre ha inizio il triennio finale dell’attuale Governo. Un triennio in cui sarà necessario cominciare a predisporre i possibili bilanci sia di quello che si è fatto finora, sia di quello che in questi tre anni si sarà in grado di fare.

Ritengo da sempre che i prossimi tre anni saranno ricchi di sorprese molto più imprevedibili di quelle che hanno caratterizzato i primi due anni ed in cui il riferimento più nuovo e proprio quello legato alla carenza di risorse pubbliche.

Ho già in varie mie note che dovremo necessariamente fare ricorso a nuove procedure in grado anche di coinvolgere il privato, di coinvolgere capitali privati attraverso forme innovative di Partenariato Pubblico Privato e, al tempo stesso, per ridimensionare in modo sostanziale la disponibilità immediata di risorse, utilizzare lo strumento del “canone di disponibilità”. Tutto questo però impone una nuova impostazione programmatica, cioè non ha più senso elencare opere già inserite in Contratti di programma delle Ferrovie dello Stato o dell’Anas o interventi inseriti nel Pnrr o in atti pianificatori supportati dai Fondi comunitari come il Fondo di Sviluppo e Coesione (FSC) o il Repower o dal Piano definito dalle Reti Ten – T. Bisognerebbe avere il coraggio di dare mandato ad un organismo, magari ad un Commissario, il compito di portare a conclusione la miriade di attività approvate, in corso di realizzazione e, in alcuni casi già in fase manutentiva. Dovremmo cioè avere il coraggio di delegare ad un altro soggetto il compito di portare a compimento scelte e decisioni che sono ormai il passato.

Sicuramente sarà necessario rileggere e reinventare l’approccio finora seguito nei confronti delle seguenti sette macro aree strategiche: una nuova strategia per la città; Una nuova politica gestionale degli Hub logistici; Una rivisitazione delle competenze dell’organo centrale e dell’organo locale. Una nuova strategia per il Mezzogiorno; Una uscita, nel rispetto dell’ultimo Patto di Stabilità comunitario, dal debito pubblico delle opere ubicate sulle Reti Ten – T; Una nuova strategia mirata al contenimento dei consumi energetici; Una rilettura organica degli invasi e delle reti idriche del Sud.

Comincio affrontando la prima delle sette aree, cioè “la città”.

Senza dubbio dopo oltre un secolo e mezzo rimane invariata la definizione data da Max Weber e cioè “ambito territoriale caratterizzato dalla presenza di un complesso di funzioni e di attività integrate e complementari, organizzato in modo da garantire elevati livelli di efficienza e da determinare condizioni ottimali di sviluppo delle strutture socio-economiche”, tuttavia si sono modificati in modo sostanziale delle categorie e delle funzioni che una volta caratterizzavano le abitudini dei fruitori della “città”.

Fermo restando che già quasi un terzo della popolazione del Paese vive in realtà urbane ubicate sulla rete ferroviaria ad alta velocità e quindi ormai anno dopo anno sta leggendo ed interpretando il suo luogo urbano in modo tutto nuovo e particolare in quanto fruitore per una parte del giorno di una realtà urbana e per un’altra parte del giorno di un’altra, anche le città ubicate in territori o non serviti o lontani dalla rete ad alta velocità hanno subito, negli ultimi anni, delle evoluzioni o delle involuzioni che, a mio avviso, hanno reso l’urbano sempre meno adatto a rispondere alle esigenze dei suoi fruitori diretti o indiretti.

Le cause di questa crisi sono tantissime, la principale è senza dubbio la stasi sui processi di pianificazione della città ho, a tale proposito, poche settimane fa  ricordato che abbiamo ancora come riferimento normativo nella pianificazione delle città la Legge 1150 del 1942, cioè una Legge varata più di ottanta anni fa al cui interno l’elemento più innovativo era ed è il Ptc (Piano Territoriale di Coordinamento) cioè un atto pianificatorio che affrontava ed affronta in modo organico non solo il  limitato contesto urbano ma l’intero sistema territoriale in cui è ubicato una determinata realtà comunale. Solo come precisazione storica ricordo che  la legge 1150/1942 prevedeva che il soggetto competente per i piani territoriali fosse lo Stato, con il Dpr 8/1972 tale competenza è passata alla Regione che ha provveduto a predisporre tali strumenti, ciascuna per il proprio ambito territoriale.

Addirittura, il Decreto legislativo 267/2000 “Testo Unico delle Leggi sull’Ordinamento degli Enti Locali” ha definito i ruoli e le competenze degli Enti locali, riservando competenze di pianificazione territoriale alle Province, attraverso i piani di coordinamento provinciali (articolo 20). Per il resto il PRG (Piano Regolatore Generale) o altri strumenti come il Putt/p (Piano Urbanistico Territoriale Tematico/Paesaggio) o il Put (Piano Urbano del Traffico) o i Piani particolareggiati, sono e rimangono strumenti utili solo al disegno del “costruito”, utili alla articolazione delle cubature, mentre oggi penso che la città abbia bisogno di un Piano dei servizi della città, cioè di un Piano che cadenzi i rapporti sistematici tra la residenza, tra l’ambito dell’abitare ed i luoghi che forniscono servizi come quelli legati alla sanità, alla scuola, al commercio, al terziario in genere. In fondo vorremmo attrezzare la città di un atto che risponde in modo coerente alla volontà weberiana prima riportata.

Molti diranno che in fondo sono alla ricerca di qualcosa già detto in merito alla cosiddetta “città di 15 minuti”, cioè di ambiente urbano in cui il cittadino è in grado di raggiungere la maggior parte dei luoghi di suo interesse (lavoro, scuola, negozi e altri servizi) nel giro di un quarto d’ora, migliorando così la sua qualità della vita; invece no, non intendevo assolutamente inseguire una teoria senza dubbio interessante ma la città non la si rende vivibile ridimensionando la distanza dei collegamenti ma ottimizzando la offerta dei servizi.

Carlo Tognoli è stato un grande sindaco di Milano ed è stato anche il Ministro delle aree urbane, sì di un Dicastero che poi è stato, insieme al Ministero dei Lavori Pubblici, della Marina Mercantile e del Ministro dei Trasporti, inserito nel dicembre del 2001nel Dicastero unico Infrastrutture e Trasporti; quindi è stato solo trasferito all’interno di un unico organismo ma le sue finalità non sono state annullate; ebbene, Carlo Tognoli diceva che le aree urbane dovevano disporre essenzialmente di un quadro chiaro, programmato ed attuato di servizi. Tutti ricordano il Piano parcheggi e la relativa (Legge 122/89), in realtà quel provvedimento era proprio una tessera chiave della famiglia dei servizi. Aggiungo un’altra considerazione: le Ferrovie dello Stato ultimamente hanno offerto al Paese la fruizione di una serie di stazioni (ricordo che vi sono 1200 stazioni a servizio di comuni sotto i 15.000 abitanti) in cui inserire una serie di servizi, una serie di esigenze avanzate proprio dai singoli Enti locali.

Voglio inoltre aggiungere che due aree fondamentali nell’offerta dei servizi è rappresentata dalla “sanità” e dalla “scuola”; la qualità di tali servizi, la loro ubicazione nel territorio, la corretta gestione di tale offerta di servizi, non può essere non omogeneo sull’intero territorio nazionale, cioè senza invocare il tema legato ai Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep), non è pensabile che esista tra il Sud ed il Nord un indicatore quale quello relativo ai servizi socio – assistenziali dove si passa da 22 euro pro capite in Calabria ai 540 euro nella Provincia di Bolzano o dove la spesa sociale del Sud è di 58 euro pro capite, mentre la media nazionale è di 124 euro, tutti indicatori che denunciano che siamo lontani da un obbligato diritto dei cittadini di essere fruitori di servizi omogenei.

Potrei continuare nella descrizione dei fattori che ci portano da uno strumento pianificatorio quale è il Piano Regolatore Generale a qualcosa che si basa essenzialmente sulla costruzione di una offerta organica di servizi e di funzioni che diventa il nuovo motore di ciò che necessariamente è diventato ciò che oggi chiamiamo “città”. (ei)

LA CALABRIA E I DATI IMPIETOSI NEI REATI
CONTRO IL SUO MARE: È QUARTA IN ITALIA

di ANTONIETTA MARIA STRATI – In Calabria il mare è sempre più violato: la regione, infatti, si classica quarta con 2.371 reati a fronte di 103.778 controlli pari al 10,3% del totale nazionale. Sono i «dati impietosi» emersi dal Report Mare Mostrum di Legambiente Calabria, in cui viene rilevato che le persone denunciate sono 2.629, 14 quelle arrestate. Sono 579 i sequestri effettuati, 3151 gli illeciti amministrativi e 3498 le sanzioni amministrative con un valore delle sanzioni erogate di 14.466.423 euro.

Il dato “migliora” se si considera il numero di infrazioni per km di costa, dato che la Calabria scende all’undicesimo posto.

Continuano a crescere i reati nel ciclo del cemento, dall’abusivismo edilizio alle occupazioni del demanio marittimo: 1.046 reati in Calabria con un incremento del 20,1% che porta la nostra regione al quarto posto. La Calabria è al terzo posto nella classifica del mare inquinato con 828 reati, il 13% del totale, e 675 illeciti amministrativi. La Calabria è quarta nella classifica della pesca illegale con 336 reati e 461 illeciti amministrativi e settima per violazioni del codice della navigazione e nautica da diporto, anche in aree protette, con 161 reati e 400 illeciti amministrativi.

Dati «impietosi» li ha definiti Anna Parretta, presidente di Legambiente Calabria «e ci dimostrano che soprattutto riguardo al ciclo illegale del cemento ed alla mala depurazione, occorre invertire velocemente la rotta. Le cronache giudiziarie continuano a rivelarci gravi problematiche a carico di decine di depuratori in tutte le province calabresi, confermando le attività di monitoraggio effettuate da Legambiente attraverso la campagna Goletta Verde, per come rilevato dall’inchiesta denominata “Scirocco”».

«Il mare continua a subire minacce insostenibili – ha proseguito – nonostante sia tra le risorse naturali più belle ed importanti della regione e costituisca un volano essenziale anche per l’economia calabrese. Occorre una presa di coscienza profonda da parte di tutti i cittadini e di tutte le amministrazioni per fermare le illegalità e tutelare l’ambiente e la salute perché il mare ed i territori costieri in Calabria sono di vitale importanza».

Ma i reati ambientali non sono solo un problema calabrese: gli illeciti, purtroppo, aumentano ogni anno a un ritmo sempre più intenso: 25.545 le persone denunciate nel 2023 in Italia, in aumento del 43% rispetto al 2022. Cresce, però, l’efficacia dell’azione repressiva, come dimostra il numero di persone arrestate (204, +98,1% rispetto al 2022) e quello dei sequestri, pari a 4.026, in crescita del 22,8% sul 2022. Un reato su due (50,3%) si concentra nelle 4 regioni a tradizionale presenza mafiosa,Campania (3.095 illeciti penali), Sicilia (3.061), Puglia (3.016) e Calabria (2.371)che guidano nell’ordine, come numeri assoluti, la classifica regionale, seguite dal Lazio (1.529 reati) e dalla Toscana (1.516). Nelle prime dieci regioni figurano anche Sardegna, Veneto, Liguria e Marche.

Insieme alle violazioni amministrative, la media è di 8,4 illeciti per km di costa, uno ogni 119 metri. Ciclo illegale del cemento (10.257 reati, +11,2% rispetto al 2022), ciclo illegale dei rifiuti e mare inquinato (6.372, +59,3%), pesca illegale (4.268 illeciti penali, +11,3%) si confermano i reati più diffusi. Preoccupa anche la violazione delle normative che regolano la nautica da diporto:2.059 illeciti penali accertati nel 2023, + 230% rispetto al 2022.

Cosa fare, allora, per contrastare i danni dell’illegalità ambientali? A tal proposito, l’Associazione ha lanciato un pacchetto di 10 proposte che hanno al centro quattro macro temi: la lotta all’abusivismo edilizio, su cui l’Associazione ambientalista «chiede, ad esempio, di velocizzare l’abbattimento degli immobili abusivi, anche prevedendo finanziamenti a favore dei Comuni che eseguono le ordinanze di demolizione e alle procure della Repubblica, alle procure Generali e alle Prefetture per l’esecuzione delle sentenze di condanna in materia di abusivismo edilizio; la lotta alla maladepurazione, per uscire dalle onerose procedure d’infrazione dell’Unione europea, investendo sulla realizzazione e/o sull’adeguamento dei sistemi fognari e di depurazione, migliorando in generale l’intero sistema di gestione, efficientando il trattamento delle acque reflue».

E ancora, «il tema dei rifiuti – si legge – dando, ad esempio, piena attuazione alla normativa di recepimento della Direttiva 2019/883 relativa agli impianti portuali di raccolta per il conferimento dei rifiuti delle navi e regolamentare in maniera stringente lo scarico in mare dei rifiuti liquidi (acque nere ed acque grigie, acque di sentina, ecc.), istituendo, per esempio, delle zone speciali di divieto di qualsiasi tipo di scarico, anche oltre le 12 miglia dalla costa;  promuovendo politiche attive e misure per la prevenzione nella produzione e per la lotta all’abbandono e la dispersione dei rifiuti; il contrasto della pesca illegale, con adeguati interventi normativi e sanzioni davvero efficaci».

«Anche quest’anno, a fronte dell’impegno quotidiano delle Capitanerie di porto e delle forze dell’ordine contro l’aggressione alle coste e al mare del nostro Paese, con il nostro report Mare mostrum– ha dichiarato Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente –ribadiamo l’esigenza di rafforzare il ruolo e le attività di competenza di tutte le istituzioni coinvolte, dai singoli Comuni alle Regioni e alle Arpa».

«La nostra Associazione – ha aggiunto – da sempre impegnata in attività di monitoraggio e di volontariato, come quelle svolte grazie a Goletta verde, alle indagini Beach litter e alla campagna “Spiagge e fondali puliti”, avanza dieci proposte a Parlamento e Governo per tutelare in maniera più efficace lo straordinario patrimonio ambientale marino del Belpaese. Bisogna potenziare l’attività di demolizione degli immobili abusivi, e non prevedendo nuovi condoni, ammodernare e completare il sistema di fognature e depuratori, potenziare l’economia circolare e prevedere sanzioni più severe per la pesca illegale».

 «Il ciclo illegale del cemento – ha commentato Enrico Fontana, responsabile Osservatorio ambiente e legalità di Legambiente – rappresenta la quota più significativa dei reati ambientali analizzati anche in questa edizione di Mare Monstrum, a causa, principalmente, della miriade di abusi edilizi che continuano a sfregiare l’Italia».

«Un fenomeno devastante per lo sviluppo sociale, ambientale ed economico dell’intero Paese – ha aggiunto – che colpisce principalmente il Sud, in particolare le regioni a tradizionale insediamento mafioso, e le aree costiere, le perle estive del Belpaese e su cui bisogna intervenire con una mano decisa e con abbattimenti non più rimandabili. L’abusivismo edilizio lungo le coste, inoltre, fa da moltiplicatore dei fenomeni d’inquinamento, a causa degli scarichi diretti in mare degli immobili costruiti illegalmente». (ams)

 

SCUOLE DISEGUALI, CALABRIA PRIMEGGIA
CON DIFFICOLTÀ NEI PERCORSI EDUCATIVI

di ANTONIETTA MARIA STRATI – In Calabria solo un bambino su quattro della scuola primaria ha accesso al tempo pieno, mentre solo il 20,8% degli alunni della primaria e secondaria di primo grado fruisce di una mensa e solo il 25,9% delle scuole ha una palestra, la percentuale più bassa in Italia. È il quadro sconcertante emerso dal Rapporto “Scuole Diseguali. Gli interventi del Pnrr su mese, tempo piene e palestre” di Save the Children, realizzato in occasione della ripresa dell’anno scolastico.

In Calabria, infatti, il tasso di dispersione scolastico è sopra la media nazionale: è dell’11,8% rispetto al 10,5%. Un dato che dimostra, ancora una volta, il divario e le diseguaglianze nell’offerta dei servizi educativi, che compromettono i percorsi di crescita di bambini, bambine e adolescenti, soprattutto nelle regioni del Sud e delle Isole, dove si continuano a registrare, nonostante i miglioramenti, livelli di dispersione scolastica tra i più alti in Europa.

«La scuola rappresenta uno spazio essenziale in cui dare a bambini, bambine e adolescenti uguali opportunità di crescita, contrastando la povertà educativa che oggi rappresenta più che mai un’emergenza», ha sottolineato Giorgia D’Errico, direttrice Affari Pubblici e Relazioni Istituzionali di Save the Children Italia.

«Eppure esistono ancora profondi divari territoriali nell’accesso ai servizi e alle infrastrutture educative – ha concluso – che gli investimenti e gli interventi del Pnrr fino ad ora attivati non sono riusciti a colmare totalmente. Ed è per questo che stiamo attivamente collaborando con la Regione Calabria per la definizione di un quadro organico di azioni volte alla prevenzione e al contrasto della povertà educativa, nell’augurio che questo diventi un pilastro fondamentale della programmazione e degli investimenti regionale».

La Regione, infatti, dispone di quasi 57,5 milioni di euro del Pnrr per 136 interventi interventi per mense, tempo pieno e palestre – di cui 89 per la costruzione, ristrutturazione o riqualificazione di spazi mensa e 47 per il potenziamento delle strutture sportive – per un valore complessivo di circa 57,5 milioni di euro. La provincia che ha avviato il maggior numero di interventi è di gran lunga Cosenza, con 51 progetti del valore di quasi 20,8 milioni di euro. Seguono Crotone (28 interventi per quasi 13,2 milioni) e Reggio Calabria, con 24 progetti per un valore di 8,4 milioni. Catanzaro ha ricevuto 11,4 milioni per 19 progetti, mentre Vibo Valentia attiva 14 progetti con 3,59 milioni di euro. Crotone e Vibo Valentia sono le province che hanno attivato il maggior numero di interventi per le mense rispetto al numero di studenti (rispettivamente 11 e 8,6 interventi ogni 10mila studenti), mentre Crotone e Cosenza quelle che registrano il maggior numero di interventi per il potenziamento delle infrastrutture sportive rispetto al numero di scuole (rispettivamente 7,8 e 5,1 interventi ogni 100 scuole).

Ma, nonostante questa importante somma, dal rapporto è emerso che anche tra le stesse province più svantaggiate – perfino nella stessa Regione – la distribuzione degli interventi per l’accesso al servizio mensa è disomogenea. Ad esempio, la provincia di Reggio Calabria, che ha il numero minore di studenti che accedono alla mensa nella Regione (soltanto l’11,9%) ha ricevuto 5,27 milioni per 16 progetti, ovvero 4,2 ogni 10mila studenti, mentre Cosenza, che ha una percentuale più alta (19,4%) ha ricevuto 12,28 milioni per 37 progetti, ovvero 8,2 ogni 10mila studenti. Le province di Catanzaro (29,3%) e Crotone (22,1%) hanno ricevuto finanziamenti simili, poco più di 6,4 milioni, per attivare rispettivamente 13 e 14 progetti, che però significano per Crotone un’attivazione di 11 progetti ogni 10mila studenti, la metà (5,5) per Catanzaro. Vibo Valentia (30,9% la percentuale di accesso alla mensa più alta a livello regionale) ha ottenuto il finanziamento più basso, 1,98 milioni con i quali attiva 9 progetti, ovvero 8,6 ogni 10mila studenti.

La mensa scolastica è fondamentale per garantire a studentesse e studenti, soprattutto quelli in condizioni di maggior bisogno, il consumo di almeno un pasto sano ed equilibrato al giorno. È, inoltre, un servizio indispensabile nell’ottica di incentivare l’estensione del tempo pieno e quindi di potenziare l’offerta formativa, con benefici sia per i ragazzi, , sia per le famiglie con effetti positivi in particolare per l’occupazione femminile. Eppure solo due alunni della scuola primaria su cinque beneficiano del tempo pieno – con le percentuali più basse in Molise (9,4%), Sicilia (11,1%) e Puglia (18,4%), le più alte nel Lazio (58,4%), in Toscana (55,5%) e in Lombardia (55,1%) – e solo poco più di un quarto delle scuole (il 28,1% delle classi della primaria e secondaria di I grado) offrono il tempo prolungato.

Anche la possibilità di praticare attività sportiva a scuola in una palestra rappresenta una grande opportunità per la crescita di bambine, bambini e adolescenti. Ma, ad oggi, meno della metà (il 46,4%) delle scuole statali primarie e secondarie (I o II grado) hanno una palestra. La Calabria è la Regione con la percentuale più bassa di scuole con una palestra: solo il 25,9% delle scuole (poco più di una su 4) contro il dato nazionale del 46,4%.

La regione ha ricevuto quasi 25 milioni di euro per 47 progetti di potenziamento delle strutture sportive a scuola. La provincia di Vibo Valentia, che il numero più basso di scuole con palestre nella regione (22,4%) ha attivato 5 progetti con un finanziamento di 1,6 milioni, pari a 3,1 interventi ogni 100 scuole, mentre Cosenza – che ha una percentuale leggermente superiore di scuole dotate di strutture sportive, il 23,4% – attiva ben 14 progetti per un valore di 8,5 milioni, pari a 5,1 interventi ogni 100 scuole. 14 progetti anche per la provincia di Crotone (26,8% di scuole con palestra), per un valore di 6,7 milioni e una densità progettuale di 7,8 interventi ogni 100 scuole. Soltanto 6 i progetti attivati a Catanzaro con 4,9 milioni (1,2 interventi ogni 100 scuole), mentre per Reggio Calabria i progetti attivi sono 8 per un valore di 3,16 milioni (2,2 interventi ogni 100 scuole) e una presenza di strutture sportive attualmente in un terzo degli istituti (33,3%).

In generale – si legge nel rapporto – i 433 interventi sulle strutture sportive scolastiche avviati con il Pnrr – sebbene rappresentino un passo importante per promuovere l’educazione motoria a scuola – sono insufficienti a garantire la copertura di palestre su tutto il territorio nazionale e a ridurre i divari tra le province, soprattutto nei territori dove la scuola spesso rappresenta l’unica opportunità per bambini e adolescenti di praticare attività sportiva. In Italia, un minorenne su tre (31,5%) che proviene da famiglie con scarse o insufficienti risorse economiche non pratica attività sportive e tra gli adolescenti di 15-16 anni il 16,2% rinuncia a fare sport perché troppo costoso.

Ciò che emerge, prendendo in considerazione anche i dati delle altre regioni, è una distribuzione disomogenea degli interventi tra le province più svantaggiate e la necessità di integrare le risorse del Pnrr con altri investimenti per garantire livelli essenziali delle prestazioni per l’accesso alle mense scolastiche, e così al tempo pieno, nelle scuole primarie e secondarie di I grado, nonché la presenza di palestre scolastiche su tutto il territorio nazionale, a partire dalle aree del Paese dove la scuola rappresenta spesso l’unica opportunità per bambini, bambine e adolescenti di praticare attività sportiva.

Con il Pnrr, le regioni del Mezzogiorno hanno avviato 767 progetti interventi del valore di 381 milioni e 932 mila euro, il Centro 213 del valore di 139 milioni e 340 mila euro e il Nord 428 del valore di 345 milioni e 650 mila euro. Con un investimento complessivo di oltre 17 miliardi di euro destinati al Ministero dell’Istruzione e del Merito, il Pnrr rappresenta un’occasione unica per garantire uguali opportunità a tutti i bambini, le bambine e gli adolescenti, soprattutto in territori dove la povertà minorile è più accentuata e le famiglie affrontano maggiori difficoltà economiche.

A partire dalla mensa e dal tempo pieno o prolungato, servizi essenziali di contrasto alla povertà educativa e alla dispersione scolastica: ad oggi, poco più di un bambino su due della scuola statale primaria ha accesso alla mensa (55,2%) e solo il 10,5% nella secondaria di I grado, con profonde differenze territoriali. Se nelle regioni del Centro e del Nord si concentrano le province con oltre il 50% di accesso al servizio da parte degli alunni della scuola primaria e secondaria di I grado– con punte del 70% e oltre a Biella e Monza e della Brianza, fino al 91,3% della Provincia Autonoma di Trento – gran parte delle province del Sud sono sotto la media nazionale (che è del 36,9%, considerando sia scuole primarie che secondarie di I grado).

Per Raffaela Milano, direttrice Ricerca di Save the Children Italia, «il problema che abbiamo davanti come Paese non è solo riuscire a garantire la tabella di marcia della spesa, ma fare in modo che le risorse del Pnrr raggiungano effettivamente i territori dove i bambini e le bambine scontano le maggiori difficoltà nel percorso educativo. Il PNRR rappresenta un’occasione unica per superare le disuguaglianze di offerta educativa tra nord e sud, tra centri urbani e aree interne. Ma dall’analisi della distribuzione delle risorse e degli interventi ad oggi avviati, l’obiettivo di riequilibrio sembra raggiunto solo parzialmente».

«È un campanello di allarme – ha proseguito – che deve spingere a realizzare al più presto un’analisi di impatto sulla povertà educativa di tutti gli investimenti della missione 4 del Pnrr, dedicati all’istruzione, in corso ed in programma. Nei territori più svantaggiati, è necessario integrare le risorse del Pnrr con altri fondi disponibili, per garantire un’offerta di servizi educativi a tutti i minori. Allo stesso tempo, giunti a questa fase del percorso, le istituzioni tutte, per i diversi livelli di responsabilità, devono attrezzarsi per garantire la copertura dei costi di funzionamento dei nuovi servizi in via di attivazione grazie al Pnrr – le mense così come gli asili nido – senza che l’aggravio di spesa corrente vada a ricadere solo sui comuni più virtuosi o sulle famiglie, e senza correre il rischio che i nuovi spazi, una volta pronti, restino chiusi per mancanza di risorse umane ed economiche, come purtroppo già tante volte è accaduto in passato». (ams)

IL VERO PROBLEMA NON È IL RANDAGISMO
MA L’ABBANDONO: SI FACCIA PREVENZIONE

di ANTONIO LOIACONOIl randagismo in Calabria è una piaga sociale complessa, e nessuno lo sa meglio di Caterina Semerano, presidentessa e fondatrice dell’Associazione Adozione “Oasi Argo” di Cirò Marina, la quale insieme ai soci del sodalizio si occupa di recuperare ed accudire i cani randagi e quelli abbandonati dagli esseri umani!

Nella nostra intervista, Semerano ha affrontato con passione e fermezza la questione, denunciando le gravi carenze istituzionali e proponendo soluzioni concrete per un problema che affonda le radici non solo nell’abbandono degli animali, ma in una cultura ed in un sistema di gestione che necessitano di un cambiamento radicale.

Il randagismo in Calabria rappresenta una delle emergenze sociali più critiche della regione, ma viene sistematicamente trascurato dalle istituzioni. La discrepanza tra i dati ufficiali e quelli reali è solo la punta dell’iceberg di una gestione inefficace e disorganizzata. Secondo i dati ufficiali del Ministero della Salute, nei canili e nei rifugi calabresi sarebbero presenti solo 1.096 cani, ma i numeri reali raccontano una storia diversa: sono almeno 17 mila i cani che popolano le strutture della regione. Questo scarto allarmante indica non solo una mancata comunicazione, ma anche un problema di monitoraggio che ha avuto conseguenze significative sulla gestione delle risorse e sull’efficacia delle politiche di prevenzione del randagismo.

Secondo Semerano, parlare di randagismo è riduttivo.

«Molti dei cani che vediamo vagare per le strade calabresi non sono randagi, ma animali abbandonati dai loro proprietari», ci dice Caterina. Questa distinzione è fondamentale, perché trasforma il problema da una questione di gestione di animali selvatici ad una questione di responsabilità umana e civica. «Il vero problema non è il randagismo, ma l’abbandono», afferma Semerano, ponendo l’accento su come l’incuria e la mancanza di responsabilità da parte dei proprietari generino non solo sofferenza per gli animali, ma anche costi sociali ed economici rilevanti.

Caterina difende con forza l’operato dei volontari, spesso ingiustamente criticati o sottovalutati. «Alle volontarie ed ai volontari – secondo la fondatrice dell’Oasi Argo – dovrebbero essere “baciati i piedi” per il lavoro che svolgono. Essi non solo salvano vite animali, ma alleggeriscono il peso economico sui Comuni, che altrimenti sarebbero obbligati a gestire in prima persona il problema. I volontari aiutano i Comuni a non spendere soldi», spiega Semerano, ribadendo come il loro impegno sia un servizio indispensabile per la comunità.

Il costo della gestione dei canili in Calabria è significativo: circa 17.000 cani sono ospitati nei rifugi ad un costo medio di 2-2,50 euro al giorno per animale! Semerano evidenzia come questo rappresenti un danno erariale evitabile. «Se si investisse in prevenzione, in particolare attraverso campagne di sterilizzazione obbligatorie e gratuite, il numero di cani abbandonati diminuirebbe drasticamente, riducendo così i costi per i Comuni e migliorando la qualità della vita degli animali».

«Investire nella prevenzione, invece che nel pagamento dei canili, è la chiave per risolvere il problema – afferma Caterina Semerano – proponendo un approccio a lungo termine che possa finalmente spezzare il ciclo di abbandono e sofferenza».

Uno dei problemi principali, secondo Caterina, è la mancanza di una cultura che veda il cane come un vero e proprio membro della famiglia. Troppo spesso, i cani sono considerati “semplici animali,” e vengono abbandonati al primo segno di difficoltà. Questa mentalità porta inevitabilmente ad un aumento del numero di animali abbandonati e, di conseguenza, ad un aggravarsi del problema del randagismo.

Semerano non risparmia critiche alle istituzioni locali e regionali, che accusa di non aver rispettato la legge del 1991, la n. 281, che regolamenta la gestione degli animali d’affezione e la prevenzione del randagismo.

«La mancanza di azioni concrete da parte dei sindaci, delle Asl e delle regioni ha portato a un perpetuarsi del problema, senza che nessuno sia stato chiamato a rispondere per i danni causati. Perché nessuno è stato denunciato? Perché nessuno paga per questo danno?», si chiede Semerano, facendo appello ai cittadini affinché prendano coscienza dell’importanza di una gestione responsabile ed attiva del problema.

«L’inadeguatezza nel fornire dati aggiornati da parte della Regione Calabria dal 2018 – ha proseguito la responsabile dell’Oasi Argo – ha comportato la perdita di fondi essenziali, che avrebbero potuto essere utilizzati per arginare il fenomeno. La Regione aveva a disposizione 1,2 milioni di euro per la costruzione di canili sanitari, ma nessun Comune ha presentato richiesta per utilizzarli, preferendo invece convenzioni con strutture private. Questa scelta è indicativa di una mancanza di programmazione o, peggio ancora, un disinteresse verso una soluzione strutturale del problema».

L’intervista a Caterina Semerano non è solo una denuncia, ma un richiamo all’azione. La fondatrice dell’Associazione Argo offre una visione chiara e concreta di come affrontare il randagismo, mettendo al centro la prevenzione, la responsabilità istituzionale e la valorizzazione del volontariato. In un contesto come quello calabrese, dove il problema del randagismo è particolarmente acuto, le sue parole rappresentano una speranza ed una guida per un cambiamento necessario ed urgente.

Il randagismo in Calabria è un problema complesso che richiede un approccio sistematico e coordinato. Attraverso una gestione trasparente, l’utilizzo efficace dei fondi disponibili ed il rafforzamento del coordinamento interistituzionale sarà possibile affrontare questa emergenza in modo efficace e duraturo. Il tempo delle soluzioni tampone è finito; è ora di adottare strategie lungimiranti che mettano fine a questa piaga sociale. (al)

IN CALABRIA È URGENTE REALIZZARE L’AV
MA IMPIEGANDO TECNOLOGIE INNOVATIVE

di GIOVANNI MACCARRONENegli ultimi giorni è circolata sulle testate giornalistiche la notizia del via libera della Commissione Tecnica Pniec-Pnrr del Mase (Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica) al progetto di Fattibilità Tecnica ed Economica relativo alla realizzazione dell’Alta velocità sulla linea ferroviaria Salerno-Reggio Calabria; Sulla base dell’approvazione del citato progetto (di cui agli articoli 44 e 48 del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, convertito nella legge 29 luglio 2021, n. 108) è ora in facoltà per la stazione appaltante (Rfi Rete Ferroviaria Italiana S.p.A) di affidare congiuntamente la progettazione ed esecuzione dei relativi lavori in relazione alle procedure di affidamento a valere sui fondi stanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e dal Piano nazionale per gli investimenti complementari (Pnc) concernenti alcuni tratti della AV citata.

In particolare, il progetto di Fattibilità Tecnica ed Economica proposto da Rfi riguarda il Lotto funzionale 1b Romagnano – Buonabitacolo, comprensivo dell’interconnessione pari con la linea Battipaglia-Potenza, e il Lotto funzionale 1c Buonabitacolo – Praia della nuova linea AV Salerno-Reggio Calabria. 

Come molti sapranno, inizialmente la predetta linea AV era lunga 445 chilometri ed era suddivisa da Rfi in nove lotti, con le seguenti denominazioni: Lotto 0: Salerno-Battipaglia 40 km costo 2,5 miliardi (non finanziato) Lotto 1.1: Battipaglia-Romagnano 33 km costo 1,8 miliardi finanziato Pnrr Lotto 1.2: Romagnano-Praia Lotto 2: Praia-Tarsia Lotto 3: Tarsia-Cosenza 94 km costo 4,3 miliardi; Nuova Galleria Santomarco Paola-Cosenza 15 km costo 1,2 mld; Lotto 4: Cosenza-Lamezia; Lotto 5: Lamezia-Gioia Tauro; Lotto 6: Gioia Tauro-Reggio Calabria.

Successivamente, in data 19 dicembre 2022, è stato sottoscritto il nuovo Contratto di Programma 2022-2026, parte investimenti, tra Mit e Rfi Spa Nella tabella “A” -Portafoglio investimenti in corso e programmatici – Classe b – interventi in esecuzione è riportato l’intervento “AV-AC Salerno – Reggio Calabria” articolato solo in quattro sub interventi – Lotto 1 Sub lotto Battipaglia – Romagnano, Lotto 1 Sub lotti Romagnano – Praia e progettazione di fattibilità tecnico-economia intero itinerario, Lotto 2 Praia – Paola e raddoppio galleria Santomarco con classe DPP “intervento invariante”.

In considerazione della complessità dell’intero intervento, quindi, il progetto dell’Alta velocità è stato definitivamente sviluppato sostituendo il Lotto 3 Praia-Tarsia con il Lotto 2 Praia – Paola. A seguito di quanto sopra, la Commissione presieduta da Germana Panzironi giorno 29 agosto 2024 ha espresso – come si è già potuto notare – parere favorevole, all’unanimità, all’intervento di Rfi su due parti della nuova linea dell’Alta Velocità Salerno-Reggio Calabria.

La qual cosa non ci lascia perplessi. E non ci lascia nemmeno perplessi il fatto che sia stato approvato la parte della linea citata Buonabitacolo – Praia, mentre nulla è stato previsto per la tratta Praia – Paola.

A tal proposito abbiamo la sensazione che in questo momento nessuno degli interlocutori vuole prendere posizione sull’accantonamento dell’ipotesi del lotto Praia-Tarsia, giudicato da molti irrealizzabile (per difficoltà di costruzione) e diretto ad aumentare notevolmente i tempi di viaggio, nonché dei costi (che diventerebbero veramente eccessivi).

Sta di fatto, però, che così facendo si allungano di parecchio i tempi di realizzazione dell’intero intervento. Doveva essere pronto prima del 30 giugno 2026 (data di scadenza del Pnrr), ma invece andando avanti con questa velocità, con molta probabilità, si supererà questa data. Da quanto è dato sapere, questo non è sicuramente un problema visto che il copioso e articolato materiale esibito in rete asserisce che quasi certamente il nuovo tracciato ferroviario tra Campania e Calabria potrà essere realizzato con i Fondi di Sviluppo e Coesione che hanno un vincolo di destinazione al Sud pari all’80 per cento (contro il 40 per cento del Pnrr) del totale.

A ben vedere, però, non si tratta solo di risolvere un problema legato alla ricerca della  finanziarie da investire nella realizzazione degli interventi, ma anche e soprattutto quello – già evidenziato in altro articolo – di “produttivizzare” il territorio calabrese in senso logistico per promuovere un aumento dell’occupazione e delle esportazioni.

Non è dubbio, infatti, che investire anche nell’alta velocità significa sfruttare meglio la posizione poco privilegiata del nostro territorio.

Senza dimenticare, poi, che la realizzazione dell’Alta velocità ferroviaria Salerno-Reggio Calabria, è in grado di contribuire al raggiungimento dei target europei di riduzione delle emissioni e di progressiva decarbonizzazione della mobilità.

Si consideri, infatti, che attualmente il 90% del traffico di passeggeri in Italia avviene su strada, mentre sulle ferrovie viaggia solo il 6% dei passeggeri (rispetto al 7,9% in Europa), con la conseguenza che il settore del trasporto risulta tra quelli maggiormente responsabili delle emissioni climalteranti, con un contributo pari al 23,3% delle emissioni totali di gas serra (è stato evidenziato che “i principali scali italiani, e quindi quello di Gioia Tauro, sono collegati a una rete ferroviaria con caratteristiche P/C 80 (autostrada viaggiante) ovvero con la possibilità di caricare direttamente i Tir con container sul treno merci, in modo da combinare nave per i collegamenti transoceanici, treno per quelli continentali e Tir per l’ultimo miglio, con un drastico abbattimento delle emissioni inquinanti rispetto al trasporto su gomma lungo le arterie stradali”.

Quindi, ai fini della transizione energetica e dell’efficientamento logistico della nostra regione, è indispensabile che l’Alta velocità ferroviaria Salerno-Reggio Calabria venga realizzata il prima possibile. Non abbiamo molto tempo, non possiamo più aspettare. È veramente urgente.

Solo che a questo punto viene spontaneo porsi una domanda: insistere nella costruzione delle linee ferroviarie ad alta velocità senza utilizzare la tecnologia molto innovativa che è stata da tempo studiata e realizzata in altre parti del mondo non doterà il Mezzogiorno e il resto d’Italia di una rete di trasporto che, nonostante l’impiego di rilevanti risorse finanziarie, nasce già superata e obsoleta?

È un dato oramai acquisito, infatti, che, per consentire ai convogli velocità elevate, occorre che le linee ferroviarie abbiano un tracciato plano-altimetrico estremamente regolare, cioè dovrebbero svilupparsi su territori pianeggianti. Considerato, però, che la stragrande maggioranza della penisola, come delle due grandi isole, ha una conformazione molto irregolare e che, per giunta, la natura geologica dei terreni è normalmente poco favorevole ai fini della stabilità dei manufatti, è ovvio che l’adeguamento delle linee costruite a suo tempo per i convogli non può assolutamente avvenire con qualche intervento localizzato, ma richiede estesi o completi rifacimenti ex novo. In territori come quelli della nostra regione (collinosi, e peggio ancora montuosi) le problematiche esecutive diventano vieppiù complesse e onerose.

Stando a quanto sopra, sarà quindi necessario ristrutturare le vecchie linee per adattarle alle esigenze dell’Alta Velocità. Il che, come è evidente, equivale alla costruzione di nuove.

Ma se la ristrutturazione delle vecchie linee per adattarle alle esigenze dell’Alta Velocità equivale alla costruzione di nuove, sembra razionale chiedersi se per ottenere economie nella costruzione della linea ferroviaria Av sia già il caso di utilizzare le qualità positive del tipo di trazione impiegato nel treno a lievitazione magnetica denominato “Maglev”.

Questo treno, già utilizzato da diverso tempo sulla rete ferroviaria giapponese di treni ad alta velocità (la Shinkansen) è un treno che viaggia su monorotaia, sospeso a pochi centimetri dal binario grazie a un campo magnetico (uno simile è stato di recente sperimentato dall’azienda hitech di Treviso IronLev).

Esso, sostanzialmente, «elimina la resistenza di rotolamento delle ruote e permette di superare pendenza di una certa entità nella scelta dei tracciati; inoltre la uniformazione dei diagrammi di velocità dei convogli lungo le linee consentirebbe di adottare nelle curve inclinazioni trasversali della sede maggiori di quelle usate nelle ferrovie e quindi di contenere la ampiezza dei loro raggi. In pratica i criteri di progettazione di questo tipo di linee godono di un maggior margine di scelta rispetto alle linee ferroviarie AV».

Pertanto, non credo sia proprio opportuno, visto anche i tempi ristretti di realizzazione dell’investimento di cui sopra, di proseguire nella trasformazione delle linee principali della rete ferroviaria italiana in linee idonee a essere percorse da convogli capaci di raggiungere velocità dell’ordine di 250-300km/h (Treni ad Alta Velocità), mentre altrove si stanno già utilizzando sistemi di trasporto, molto più evoluti, che utilizzano una sede e tecniche di sostentamento e di trazione diversi da quello ferroviario, e consentono ai nuovi tipi di convogli di viaggiare a velocità sino a 600 km/h.

Invece, a nostro modesto avviso, appare più razionale sotto ogni aspetto e, quanto meno, conveniente prendersi una breve pausa di riflessione per poter valutare con piena consapevolezza e con ponderatezza quale sia la tecnologia da adottare nel futuro per evitare di impegnare cospicue risorse nella esecuzione di opere oramai già ampiamente superate.

Ma bisogna darsi da fare, perché – come disse Charles Darwin – «il lavoro nobilita l’uomo».

Speriamo bene. (gm)

LAVORO, VALORE A QUALITÀ E COMPETENZE
PER IMPEDIRE L’EMIGRAZIONE DEI GIOVANI

di FRANCESCO RAOSecondo uno studio condotto a livello nazionale, il valore del tempo e della vita sta superando quello per il lavoro.  I giovani, muniti di elevate competenze, hanno ben compreso che la loro professionalità può essere espressa in modo circostanziato anche attraverso il lavoro da remoto. Inoltre, l’esperienza acquisita nel breve periodo può generare alti redditi e quindi rimanere chiusi in ufficio per intere giornate per ricevere uno stipendio elevato è un fatto passato. La priorità, per moltissimi giovani, appare indirizzata verso un maggiore controllo del tempo e una migliore qualità della vita. Da queste considerazioni è emerso in un recente studio che nel 70% dei colloqui, sono i giovani a dire “le farò sapere” e non più i datori di lavoro. 

Il paradigma è cambiato: prima viene la soddisfazione del vivere, poi il lavoro dal quale trarre la giusta remunerazione per affrontare la quotidianità e la realizzazione personale e familiare. Molti datori di lavoro iniziano a comprendere tale evidenza a loro spese. Ma la tipologia di risposta, attuata da molti per affrontare questo tipo di criticità, non punta alle competenze e quindi alla qualità, ma è tesa a risolvere la criticità abbassando il livello di competenze e, al contempo, illudendosi di poter competere con i più moderni e avanzati sistemi di produzione, si ricorre a collaborazioni non qualificate e quindi inadatte a processi di lavoro complessi nei quali, il primo requisito per mantenere le tendenze di produzione e consumo è la competenza.

Nel seguire la regola del momento, oltre alla crescente diffusione dell’intelligenza artificiale, la penuria di competenze, tanto nel settore pubblico quanto nel privato, si finisce per proporzionare il risultato finale ponendo in rapporto alla retribuzione e non alla qualità senza considerare che oggi, la qualità la si acquista sulla rete tramite internet. Questa dinamica, naturalmente registrata dagli osservatori già da tanto tempo e puntualmente non accolta dai decisori politici, ha contribuito a generare sia l’acuirsi dell’attuale crisi demografica sia la forte propensione alla mobilità del posto di lavoro, fatto inedito per quanti in passato, ottenuto il posto di lavoro lo abbandonavano soltanto per quiescenza oppure per crisi specifica del settore produttivo. I giovani, attualmente, hanno molte più competenze rispetto ai loro coetanei del secolo scorso e le dinamiche produttive, nel loro complesso, sono sempre più ostaggio non solo dai parametri dettati da un mercato del consumo, fortemente dinamico, ma anche da una tassazione asfissiante.

Tutto ciò non consente ai nostri sistemi produttivi di reggere il rapporto domanda-offerta, sempre più condizionato dall’insieme delle scelte praticate da un mercato fluente, veloce e simmetrico al desiderio cangiante del consumatore, divenuto ormai parte attiva e quindi individuabile come consumAttore, ossia colui che scegliendo nella quotidianità uno o più prodotti, veicolandone le immagini e diffondendo attraverso i social emozioni e stili di vita ad esso riconducibili, riesce a determinare direttamente la visibilità, la pervasività e la diffusione delle mode e quindi dei consumi, divenute ormai non più fasi stagionali, ma circostanze temporanee, attraverso le quali si può stare soltanto dentro o fuori dal circuito e quanti cercano l’alternativa fuori da tali ambiti divengono gli esclusi della situazione. Credo sia evidente la linearità con la quale si stia materializzando la privazione della libertà di scelta.

Quasi tutto è riconducibile alle logiche dettate dal consumismo. Quanti tentando di evitare il sistema prevalente sarà escluso in quanto oggi inizia a venir meno l’identità delle persone in quanto prevale la logica dei numeri.  In questo scenario, contrariamente al passato, le aree demograficamente meno popolate divengono una centrifuga che spinge fuori le giovani generazioni, vittime della disoccupazione e dei consumi ma al contempo in possesso di una cultura medio-alta non esprimibile nel territorio di appartenenza. Oggi non si parte perché manca il pane sulla tavola oppure perché si è tanti in famiglia e il raccolto non basta per soddisfare le esigenze di tutto il nucleo familiare. Si parte per mettere in pratica le proprie competenze in quei luoghi dinamici, veloci e famelici di competenze e voglia di guadagnare in proporzione alla capacità di essere innovatori. Questa è una tra le narrazioni poco affrontate dai decisori politici. L’acuirsi di questa dinamica, forse nei prossimi dieci anni, diverrà uno tra i motivi mediante la quale si determinerà una ulteriore decrescita per il nostro Meridione, sempre più lontano dalla capacità di immaginare il futuro e sempre meno popolato da persone impegnate ad anticiparne le soluzioni, per contenere il divario Nord-Sud e azionare segnali di ripresa.  

Naturalmente, alla crescita della disoccupazione, le località più esposte a tali fenomeni scelgono di far fronte alle necessità delle popolazioni ricorrendo al minor prezzo di beni e servizi, i primi provenienti da mercati esteri nei quali il basso costo della manodopera e l’alta capacità produttiva rende possibili forniture senza limiti, i secondi, ricorrendo a personale con minori competenze e quindi pronte ad accontentarsi di poco. Nell’insieme, inconsapevolmente, si alimentano ulteriori opportunità di malessere e voglia di emigrare. In questo ultimo passaggio, si cristallizza con puntualità quanto previsto da Pier Paolo Pasolini nel secolo scorso attraverso la lungimirante previsione delle nuove instabilità sociali dettate non più dalla sopraffazione, come avvenne nel corso del Ventennio, ma dalla privazione, fenomeno per il quale, parimenti alla dipendenza da sostanze stupefacenti, l’essere umano vive l’astinenza con forte senso di malessere e per potersi liberare da ciò, in assenza di altri rimedi, non sono escluse le devianze e soprattutto non sono esclusi i casi di suicidio e il ritorno alle divisioni sociali, circostanze per le quali verrà generato il miglior territorio utile all’affermazione dell’anomia, già oggetto di studio da parte di uno dei padri della sociologia e oggi poco considerato quale utile lettura in chiave epistemologica di una realtà propensa alla degenerazione.

Ancora una volta, sarà possibile individuare le risposte alla criticità future attraverso la lettura della storia e considerando l’attuale periodizzazione come naturale evoluzione del tempo preso in esame riconducendolo nell’alveo di una società liquida, incessantemente stimolata dal consumismo e dalla crescente mancanza di quel senso della misura donatoci dall’antica civiltà greca, dalla quale noi Calabresi custodiamo ampie risorse individuabili come virtù. (fr)

[Francesco Rao è docente a contratto cattedra di sociologia generale Università “Tor Vergata” – Roma]

PARCHI EOLICI, IN CALABRIA È PROTESTA
SENZA POLITICHE SERIE È UN SACCHEGGIO

Di VINCENZO IMPERITURA – Se non è (ancora) muro contro muro, poco ci manca. Da una parte, la possibile trasformazione della Calabria in uno degli hub energetici dell’intero Paese – in compagnia di Sardegna, Sicilia e Puglia – inizia  a diventare concreta, con alcuni dei progetti di parchi eolici avanzati dai colossi delle rinnovabili in rampa di lancio per conquistare le caselle rimaste libere sul territorio regionale. Dall’altra, sempre più comitati spontanei a difesa dei boschi e dei mari calabresi si stanno rimboccando le maniche con ferme e pacifiche iniziative di protesta per bloccare i temuti cantieri.

Una presa di posizione netta che ha preso piede in tutte le aree dove sono previsti i nuovi, giganteschi, parchi e che, forse come mai prima in passato, ha visto anche sindaci e amministratori schierarsi decisamente a difesa del territorio. Una protesta compatta che viaggia veloce dal Pollino allo Stretto e che, alle temute speculazioni delle multinazionali americane e nord europee innescate dal decreto energia del ministro Pichetto Fratin e facilitate dal “piano integrato energia e clima” approvato dalla Regione nel luglio dello scorso anno, dice si all’energia pulita e rilancia con la richiesta per le istituzioni delle “comunità energetiche” che, seppur contemplate nel documento rilasciato dalla Giunta regionale, non hanno trovato finora la sponda giusta.

A rinverdire le polemiche legate ai nuovi parchi eolici in attesa di realizzazione è arrivata, storia di una manciata di giorni fa, il primo Sì ministeriale – ma i tempi del progetto sono ancora lunghi – per l’allestimento del gigantesco parco eolico galleggiante che “Acciona” vorrebbe costruire al largo della costa: l’ipotesi presentata dalla multinazionale spagnola prevede un parco galleggiante di 37 turbine per 555 MW di potenza stimata da collegare a terra con un cavidotto sottomarino fino a Scandale. Il nuovo parco dovrebbe sorgere proprio accanto ad un altro parco dalle medesime dimensioni, che la stessa Acciona vorrebbe realizzare poco più sud.
Anche in questo caso le turbine sarebbero 37 per una potenza di 555 MW e sarebbero collegate attraverso un cavidotto sottomarino di 51 km fino a Roccelletta, per poi collegarsi alla rete nazionale a Maida attraverso un nuovo cavidotto di 17 chilometri. Secondo il progetto, la costruzione delle gigantesche turbine è prevista nel porto di Augusta, in provincia di Siracusa. E ancora, i due progetti “Fortevento” che la “Ocean Winds” vorrebbe allestire sempre nel golfo di Squillace per un totale di 78 torri e più di 1000 MW di energia da collegare direttamente all’interno del porto di Crotone, il “Krimisa Floating Wind” (62 torri alte 286 metri da allestire al largo di Isola Capo Rizzuto) a cui si aggiunge un altro parco galleggiante (28 turbine alte più di 300 metri) da realizzare al largo di Corigliano-Rossano.

«L’ipotesi di fare della nostra regione un hub energetico – scrive in una nota Gianmichele Bosco, presidente di quel consiglio comunale di Catanzaro che nei mesi scorsi aveva manifestato il suo convinto No all’opera  –  si è trasformata, in assenza di politiche serie a difesa degli interessi collettivi, in un saccheggio indiscriminato del territorio nell’interesse privato di pochi, che ora guardano anche allo sfruttamento della risorsa mare. Come al solito, chi sa fiutare il business è venuto qui, sapendo anche di poter trovare terreno favorevole per fare e disfare a suo piacimento, come è sempre accaduto in passato. Ma questo non è più accettabile ed è opportuno che si sappia».

Finora, i No di sindaci e amministratori hanno potuto ben poco (in sede di conferenza dei servizi il parere delle amministrazioni comunale non è comunque vincolante a causa delle semplificazioni amministrative dettate dal decreto che regola la transizione energetica) contro l’assalto dei colossi delle rinnovabili al territorio e al mare calabrese, ma la “grana” eolico è già esplosa e i comitati contrari alla costruzione delle gigantesche pale che già soffocano l’intero territorio regionale, promettono un autunno caldo. (vi)

[Courtesy LaCNews24]

SANT’AGATA DEL BIANCO, UN MODELLO PER
LA RIGENERAZIONE URBANA DEI BORGHI

di SANTO STRATI – Sant’Agata del Bianco non è soltanto il paese aspromontano che ha dato i natali allo scrittore Saverio Strati, ma, oggi, è un esempio riuscito di rigenerazione urbana. Un modello che dovrebbero imitare e mettere in pratica il Presidente della Regione e il sindaco Metropolitano di Reggio contro lo spopolamento dei borghi e la valorizzazione del capitale umano che essi conservano.

Non so se Roberto Occhiuto e Giuseppe Falcomatà siano andati negli ultimi anni a Sant’Agata del Bianco, nel caso rimedino al più presto e si facciano guidare dal giovane e intrepido sindaco Domenico Stranieri: è un “cicerone” straordinario, appassionatamente convinto della necessità di ridare ai cittadini lo spazio vitale della sua città, utilizzando – ahimè – solo valentissimi ed eccezionali volontari non pagati ma non per questo meno prodighi di attenzioni e impegno verso un territorio, che, a ben ragione, appartiene a loro.

Ero stato a Sant’Agata più di 50 anni fa, giovane cronista, di ritorno da San Luca dove una terribile alluvione aveva completamente devastato il paese di Corrado Alvaro. Ero curioso di vedere questo piccolo angolo d’Aspromonte, stuzzicato dall’idea di uno scrittore in ascesa che portava il mio stesso cognome (ma nessun legame di parentela) che sapevo nato lì e andato via molti anni prima. M’incuriosiva il fatto che in un così piccolo spazio di territorio (San Luca – Bianco – Bovalino) ci potesse essere una così ampia presenza “letteraria”. Era il 1972, Saverio Strati aveva pubblicato già diversi libri che mi avevano intrigato (soprattutto Tibi e Tascia) e stava lavorando a Noi Lazzaroni. A San Luca c’era la meravigliosa “presenza” di Alvaro e a Bovalino Mario La Cava “marcava” il territorio con una prosa efficace, avendo già delineato i Caratteri dei calabresi. A vent’anni mi era difficile non restare affascinato dall’idea di tre scrittori nati in Aspromonte di cui due in corsa verso il successo nazionale (Alvaro aveva già raggiunto l’apice del successo).

Sant’Agata – nei ricordi che sono ritornati limpidi appena ho rimesso piede nel borgo – mi era apparsa come tanti altri paesi abbandonati (nel senso della trascuranza da parte degli amministratori): strade acciottolate, rotte, mura scrostate, le immancabili pareti esterne con mattoni a vista (in Calabria mancano sempre i soldi per l’intonaco esterno), un paese di anziani. Chiesi di Saverio Strati, ma solo qualche maturo contadino ricordava vagamente che era nato lì uno che scriveva libri ma viveva da tanto tempo al Nord. Erano altri tempi, sia chiaro, le notizie avevano un loro lento percorso, c’era un solo canale televisivo e di Calabria non parlava mai nessuno se non in occasione di morti ammazzati di mafia o di tragedie naturali come l’alluvione. Terra di fiumare e di devastazioni, di fiumi che facilmente rompevano gli argini e allagavano le campagne. Ma quella di San Luca nella memoria storica superava tante altre alluvioni e devastazioni.

Il ritorno a Sant’Agata, però, mi riserva una sorpresa straordinaria: non ci sono più le polverose strade di ciottoli e l’antico borgo, il centro cittadino, intorno alla casa natale di Saverio Strati, è un meraviglioso museo all’aperto, con tanti murales e una quantità incredibile di sculture di metallo realizzate da un artista autodidatta, Antonio Scarfone, che raccoglie i rottami di ferro e dà loro una intensa ed eccezionale dignità artistica. Scarfone, peraltro, è anche l’ideatore, di fronte alla casa natale di Strati, di un “Museo delle cose perdute” che raccoglie testimonianze di vita, segni di una civiltà contadina che suggeriscono al visitatore un percorso di grande suggestione. Ma è tutto il paese che è un museo all’aperto, dove la rigenerazione urbana (pur in assenza totale di fondi  e basterebbero appena poche decine di migliaia di euro) compie un miracolo che deve divenire un modello per tanti altri borghi.

C’è voluta la testardaggine del sindaco Stranieri per ridare vita a un paese dimenticato e abbandonato, creando un’atmosfera di luce e di colore che da sola esprime il senso della gioia di vivere, soprattutto in un piccolo borgo. E attraversando i viottoli del centro storico si è affascinati dalla ricchezza di vitalità che muri un tempo scrostati oggi promanano, si è ammaliati dalle “porte pinte” che sono chiuse ma esprimono il grande senso di libertà che l’arte, un disegno, una scultura riescono a infondere nel visitatore. Non è turismo di massa, ma diviene passione e attenzione per un territorio rigenerato, dove i giovani artisti del luogo (quasi tutti autodidatti) hanno potuto far sgorgare il loro talento e raccontare con una narrazione pittorica il sentiment che accompagna le suggestioni del cuore.

Non bisogna aver letto Saverio Strati per appropriarsi, con autentica gioia, della ricchezza di queste case, di queste mura, di queste stradine dove il colore ha dato una dimensione nuova e unica. Ma poi, naturalmente, viene da sé il bisogno di cercare (e trovare) nelle pagine di Saverio Strati le emozioni e le suggestioni appena vissute.

Sant’Agata del Bianco domina la fiumara La Verde e le montagne all’orizzonte sembrano colorate di blu: è una sensazione di grande respiro quella che prende il visitatore, che non può fare a meno di innamorarsi di questo borgo, dove il tempo sembra essersi fermato per creare uno spazio infinito dove dimenticare i quotidiani affanni. Certo, la visita guidata dal sindaco o da uno dei tanti volontari diventa un elemento essenziale per gustare e poter raccogliere il messaggio che è ancora possibile una qualità della vita lontana dal logorio di corse infinite. Corriamo tutti, senza una vera e propria ragione, corrono tutti, corriamo anche noi, trascurando la bellezza della natura che in luoghi come Sant’Agata sono a portata di tutti: non ci accorgiamo di come sprechiamo gran parte della nostra vita trascurando quanto di bello e vitale abbiamo intorno.

Il miracolo di Domenico Stranieri – perché, sia chiaro, di miracolo si tratta – di far rinascere senza risorse il centro storico di Sant’Agata è qui davanti agli occhi di chiunque voglia avventurarsi a scoprirlo: ci son voluti la passione, l’ostinazione, l’entusiasmo di un giovane sindaco a compiere quella rigenerazione urbana di cui tutti amano oggi parlare, senza poi far seguire le azioni concrete, le realizzazioni.

Ecco la ragione per la quale Sant’Agata deve diventare un punto di riferimento essenziale per chiunque abbia voglia di far rinascere e prosperare un territorio: la Regione deve finanziare le opere necessarie per rendere stabile il precario, per dare ossigeno a un paese che merita di farsi scoprire. E il pretesto dell’aver dato i natali a uno dei più grandi autori del Novecento (la rivalutazione di Saverio Strati, grazie al cielo, è già partita) non sarà solo un elemento di orgoglio, ma un modello di trasformazione del modo di sostenere iniziative di cultura nel e del territorio. Non sono i murales a fare di Sant’Agata un borgo di straordinaria bellezza (ce ne sono a Diamante e in molti altri centri della Calabria che hanno fatto della street art un itinerario narrativo per il territorio) ma è l’idea che sta alla base che è vincente.

Domenico Stranieri ha coltivato il talento dei giovani locali, ha motivato cantastorie (uno di essi, Romano Scarfone, straordinario cantore, ha accompagnato con la sua chitarra e la sua musica la mia visita), ispirato iniziative, ha reso fruibile un territorio abbandonato: è questa la scelta vincente. Il borgo diventa centro di attrazione, per i giovani opportunità di lavoro e di crescita, per i bambini un segnale, un’indicazione-promemoria per non dimenticare le tradizioni, per gli anziani rivivere nelle strade e per le vie l’orgoglio dell’appartenenza e la sensazione di avere vissuto un sogno che si chiama vita, tra le mura di casa e gli odori, i profumi, i colori del cielo. Sant’Agata esprime tutto questo e merita la massima attenzione perché il suo modello – lo ripeto – è decisamente vincente.

Questo è il percorso intelligente per la rigenerazione della Calabria e dei suoi tantissimi, meravigliosi, borghi. Riscoprirne l’essenza vitale, valorizzare case, strade, angoli di suggestione unica. Un obiettivo neanche tanto difficile da raggiungere: le migliaia di bambini che le scuole della zona fanno arrivare in gita a Sant’Agata del Bianco sono il punto di partenza di un itinerario che fa scoprire la cultura dei borghi, ma esalta, allo stesso tempo, la cultura, la voglia di conoscenza che le nuove generazioni non nascondono. La scuola è determinante nella formazione dei nostri futuri concittadini, che si sentiranno, anche loro, figli di una terra meravigliosa ma un po’ matrigna (perché fa scappare i suoi figli), con l’orgoglio  di quella calabresità che Corrado Alvaro prima, Saverio Strati poi e insieme tanti altri autori nati in Calabria hanno saputo trasmettere. (s)

LA STRAGE CONTINUA SULLA STATALE 106
BASTA VITTIME: ANAS DEVE PROVVEDERE

di ANTONIETTA MARIA STRATI – La Strada della morte continua a mietere delle vittime: è urgentissimo prendere provvedimenti perché non è possibile che la Calabria paghi un così alto tributo di vittime per mancanza di manutenzione e una viabilità su cui si continua a rinviare per i provvedimenti necessari.

Sono stati, per fortuna, appaltati diversi blocchi della SS 106, ma è evidente che tutto questo non è sufficiente: occorre individuare le aree di estremo pericolo e intervenire con provvedimenti ad hoc in grado di mettere in sicurezza questa vitale arteria della jonica.

Occorre un giusto forte segnale di discontinuità», poiché la Statale 106 versa in uno stato vergognoso ha chiesto l’Odv Basta Vittime sulla Strada Statale 106 alla direzione Generale di Anas Spa, alla Segreteria del ministro alle Infrastrutture e dei Trasporti, al presidente della Regione Calabria, al Dipartimento Infrastrutture e Lavori Pubblici ed a tutti i parlamentari eletti in Calabria alla Camera dei Deputati ed al Senato della Repubblica.

Una situazione insostenibile, in cui Anas «deve intervenire urgentemente», in quanto «la 106 versa in uno stato comatoso», aveva detto Fabio Pugliese, presidente dell’Odv nel corso della conferenza stampa dello scorso luglio in cui si è fatto il punto sulla Sibari-Corigliano e Crotone-Catanzaro.

Dall’incontro, infatti, è emerso che dal quadro economico stimato dal Consiglio Superiore dei Lavori pubblici, i 3 miliardi stanziati per i due lotti Sibari-Corigliano Rossano e Crotone-Catanzaro della nuova Statale 106 non basteranno, anzi: ne serviranno 5 miliardi.

E «l’Anas è consapevole di tutto questo, tanto è vero che ha parcellizzato questi interventi», ha detto Pugliese, ribadendo che «la politica deve prendere una decisione. Se le risorse restano tre miliardi e non saranno implementate o si fa la Crotone Catanzaro o la Corigliano-Rossano Sibari perché non ha senso iniziare frammenti di queste opere che rischiano di essere incompiute».

L’Odv, infatti, ha stimato che serviranno 3 miliardi e 36 milioni solo per la Catanzaro-Crotone, mentre per la Corigliano Rossano-Sibari ne servono 1 miliardo, ma con possibili incrementi.

Nel documento divulgato da Basta Vittime, si legge che «il progetto esaminato non risulta corredato da valutazioni approfondite ed è caratterizzato da una serie di carenze rilevanti dal punto di vista impiantistico, geotecnico, di sicurezza delle gallerie che non giustificano né la scelta tecnica operata che potrebbe essere ulteriormente ottimizzata per conseguire risparmi, né il dimensionamento corretto dei costi» e che «non si intende impedire lo sviluppo infrastrutturale dell’Italia – si legge sempre nel parere – e comprende la necessità di accelerare i procedimenti ma non può non sottolineare che i Pfte non possono basarsi su dichiarazioni generiche o puramente apodittiche ma devono contenere descrizioni dettagliate in coerenza con il livello progettuale considerato, degli interventi selezionati che consenta di pervenire ad una corretta valutazione dei costi».

È stato, poi, evidenziato il mancato vincolo imposto ai fondi stanziati per la realizzazione dei due tratti della statale 106 che, secondo quanto riferito, sarebbero inclusi nel contratto di programma di Anas e non in una delibera Cipess. Inoltre, l’Associazione ha denunciato l’eventuale revoca dei finanziamenti nel decreto varato dal Mit, «nell’ipotesi di mancato rispetto dei termini previsti dei cronoprogrammi o di omessa alimentazione del sistema di monitoraggio».

E, in tutto questo, la strada della morte continua a mietere vittime. Da inizio anno a luglio, sono state 19 le persone che hanno perso la vita sulla Statale 106. Un numero che a oggi, 30 agosto, è aumentato. E il rischio che aumentino sono altre. Basta vedere le condizioni in cui versa la Strada, in particolare sulla chilometrica 316 nel Comune di Calopezzati, dove non sono stati ancora installati i guardrail.

Nel tratto, infatti, sei anni fa vi fu un incidente stradale e, da allora, l’Anas Spa ha collocato dei New Jersey in plastica vuoti senza mai intervenire per circa 2 anni, salvo poi sostituire i New Jersey in plastica con quelli in cemento che peraltro risultano mal segnalati.

«Alle suddette problematiche l’Anas Spa – ha riferito l’Odv – non ha mai risposto né tanto meno è mai intervenuta al fine di garantire sicurezza per tutti i cittadini automobilisti. In più, da circa 10 giorni, le condizioni di pericolo alla chilometrica 316 sono peggiorate poiché il guardrail lato monte è stato divelto e l’Anas Spa ha ben pensato di collocare i soliti New Jersey in plastica vuoti che non impediscono, ad un qualsiasi mezzo che percorre la Statale 106, di precipitare sul letto del torrente posto al di sotto e che, inoltre, può colpire uno dei tanti pedoni che utilizza un percorso pedonale attiguo per recarsi al mare».

Questo è solo uno dei tanti episodi di immobilismo da parte di Anas, che è stata denunciata dall’Organizzazione per omicidio stradale colposo», a seguito dello scontro mortale avvenuto lo scorso 21 agosto a Sant’Andrea Apostolo dello Ionio.

«La denuncia del 24 agosto nasce da una circoscritta testimonianza dalla quale si evince che l’Anas Spa era stata informata della presenza del problema ben 12 giorni prima che accadesse lo scontro mortale», ha spiegato Basta Vittime, illustrando lo stato vergognoso vergognoso in cui versa oggi la strada Statale 106: vegetazione che invade la carreggiata e copre la visuale degli automobilisti; manto stradale fortemente deteriorato; mancanza di guardrail a ridosso di dirupi; avvallamenti sulla sede viaria; parti di carreggiata su cui insistono lavori non completati da anni; gallerie non illuminate; fari sulle rotatorie periodicamente sempre spenti; ecc. ecc.».

«Ciò che stupisce è che ancora oggi – ha concluso l’Odv – a 18 giorni da quando l’Anas Spa è stata correttamente informata della problematica ed a 6 giorni dalla morte di un ragazzo di 28 anni, lo stato dei luoghi al chilometro 157+200 è rimasto pressoché inalterato con il rischio concreto che quanto accaduto possa addirittura ripetersi». (ams)

 

SUD, LA VERGOGNA DELLA SPESA STORICA
E I LIVELLI DI PRESTAZIONE MAI UNIFORMI

di PIETRO MASSIMO BUSETTAL’acronimo Lep è ormai noto a tutti. I Livelli Essenziali delle Prestazioni sono quei livelli minimi che devono esistere in tutte le aree del Paese. È che condizionano qualunque forma di concessione di qualunque altra forma di autonomia delle Regioni che dovessero richiederla, in base alla legge recentemente voluta fortemente dalla Lega Nord e approvata dalla maggioranza di Governo. 

Forza Italia ne ha fatto un suo manifesto: starà attenta che le autonomie ulteriori alle Regioni non siano concesse se prima non si realizzino i Lep.  E non lo dice soltanto il Governatore della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, ma anche il Presidente del Partito Antonio Tajani

In realtà recentemente anche Fratelli d’Italia si è schierata e afferma l’esigenza che si realizzino i livelli essenziali in tutto il Paese prima di procedere ad ulteriori concessioni di autonomia alle Regioni richiedenti. 

Sarà questa presa di distanza dalla posizione della Lega dei due grandi partiti della maggioranza di Governo, saranno le grandi quantità di firme raccolte dal raggruppamento delle sinistre, dai sindacati Cgil e Uil, anche nel Nord del Paese, che i maggiori sostenitori dell’autonomia sembrano pervasi da una crisi di nervi. 

Che li porta a un diluvio di interviste, ma anche a dichiarazioni risibili, che tentano di ribaltare responsabilità di una situazione che sta compattando il Sud, spaccando la maggioranza e, cosa più importante, consapevolizzando tanti di una condizione di minorità esistente, prevalentemente nelle aree meridionali del Paese.      

 Tale condizione è talmente radicata nella mente dei meridionali da far accettare qualcosa che non è stato particolarmente rilevato dalla politica, ma neanche dai maggiori opinionisti. È cioè che già nell’ accettare che nella legge sia previsto che alcune materie possano essere devolute solo in presenza in tutte le Regioni dei livelli essenziali delle prestazioni c’è un’accettazione del principio di essere figli di un dio minore.  

Perché la domanda che sorge spontanea è perché i meridionali chiedono, e non otterranno mai, visto che la legge non prevede quegli stanziamenti necessari, ma assolutamente improbabili e insostenibili, per attuarli di avere solo i livelli essenziali, invece di pretendere  che si abbiano i Lup? Cioè i livelli uniformi di prestazioni in tutto il Paese, da Bolzano a Lampedusa?

Qualcuno potrà dire che sarebbe già un miracolo riuscire ad ottenere che si abbiano i livelli essenziali. E ciò è certamente vero. Ma è proprio come principio che bisogna far capire, prima di tutto al Sud, che siccome non ha un livello di  tassazione diversa da quella che si applica al Nord, per un principio di uguaglianza sancito dalla nostra Costituzione, deve pretendere, ma perlomeno richiedere, livelli uniformi. 

Stesso trattamento da parte di uno Stato che si è dimostrato per una parte del Paese patrigno, e che ha permesso che per anni le risorse siano state distribuite secondo il principio della spesa storica. 

Il Dipartimento per le Politiche di coesione, contestato da alcuni centri di ricerca di vocazione nordista, fino a quando non è stato smantellato, calcolava in 60 miliardi la somma  sottratta al Sud se fosse stato adottato il principio della spesa pro capite uguale. 

Certo ci possono essere in Stati così grandi, come la Germania, la Francia e quindi anche l’Italia delle differenze tra le varie parti, ma l’obiettivo di rimuovere le differenze deve essere la stella polare che guida le azioni di tutti i Governi. Accettare invece che nella legislazione venga accettato che ad alcuni possano essere garantiti solo quelli essenziali é già una sconfitta. 

E tale accettazione riguarda anche i Livelli essenziali di assistenza (Lea), che sono le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale (SSN) è tenuto a fornire a tutti i cittadini. 

Ovviamente la conseguenza di tale condizione sono poi i viaggi della speranza, il trasferimento di risorse dalle regioni più povere a quelle più ricche, ma anche una vita media minore anche di tre anni rispetto alle realtà più ricche. Per cui lo Stato diventa anche “ladro di vita”. 

Obiettivo della legge sull’autonomia differenziata é mantenere invariata tale situazione, altro che costringere ad essere più efficienti le Regioni meridionali. Perché se è vero che vi possono essere forme di spreco, e certamente sacche, anche importanti, ce ne saranno, é anche vero che é difficile fare un matrimonio con i fichi secchi. 

L’autogol incredibile che ha messo a segno Roberto Calderoli con l’approvazione, di notte e in fretta, come dichiara Roberto Occhiuto «Mi sembra che per il modo in cui si è proceduto all’approvazione di questa riforma – di notte e di fretta – sia sempre più una bandierina da dare ad una forza politica che invece è una riforma capace di superare anche il divario fra le regioni del Sud e le regioni del Nord», è quello di aver aiutato l’accelerazione della consapevolezza. Finora la vulgata che è passata, diffusa dai media più titolati, è stata che la colpa del mancato sviluppo del Sud sia da ricercare nell’incapacità dei meridionali di utilizzare le enormi risorse destinata dal Paese. 

Mano mano ci si rende conto, analizzando in modo approfondito i dati, che il re è nudo. E che se il Mezzogiorno é rimasto indietro non serve domandare alla zingara, ma é scritto nelle politiche adottate fin dal 1860. Che plasticamente sono racchiuse nell’ aver fatto fermare l’Autostrada del Sole a Napoli e l’Alta Velocità Ferroviaria a Salerno. 

Qualcuno era così stupido da poter  pensare che il Sud potesse svilupparsi senza infrastrutture o invece si è pensato di tagliare lo Stivale e farlo affondare da solo? Che in molti si comincino a porre domande scomode é un risultato per il quale dobbiamo ringraziare Zaia e Calderoli. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]