Easyjet connette la Calabria con la Costa Azzurra: C’è il volo Lamezia-Nizza

Grazie a Easyjet ci sarà un collegamento diretto tra la Calabria e la Costa Azzurra, con il volo diretto Lamezia-Nizza.

Questa nuova rotta sarà disponibile dal 2025, con due voli settimanali.

Un «risultato storico», per l’ex sindaco di Tropea, Giovanni Macrì, ricordando come «era solo un’idea, forse per alcuni un sogno ambizioso, quando nel 2022, l’Esecutivo cittadino che guidavo si candidava ad entrare nel Progetto 10 Comuni della Camera di Commercio Italiana a Nizza e Costa Azzurra».

«Era, quella – ha spiegato – un’iniziativa che mirava a costruire legami concreti tra la nostra amata Calabria e la Francia, con particolare attenzione alla Costa Azzurra: una delle destinazioni più prestigiose e cosmopolite al mondo. Oggi, quell’idea si è trasformata in realtà: il nostro territorio avrà finalmente un collegamento diretto con uno dei principali hub europei, l’aeroporto internazionale di Nizza, grazie all’impegno di EasyJet e alla straordinaria collaborazione tra istituzioni e partner strategici».

«Dietro questo storico risultato – ha continuato Macrì – si cela una visione chiara e condivisa, realizzata grazie al lavoro instancabile di chi ha creduto nella capacità della Calabria di posizionarsi come protagonista sulla scena internazionale».

«Tra i principali artefici di questo successo – ha aggiunto – un nome spicca per la determinazione e l’abilità nel costruire ponti tra realtà apparentemente distanti: Agostino Pesce, direttore della Camera di Commercio Italiana di Nizza».

«Sin dall’inizio – ha proseguito Macrì – il Progetto 10 Comuni si è posto obiettivi ambiziosi: promuovere le eccellenze calabresi, valorizzare le relazioni con la Costa Azzurra e, soprattutto, creare opportunità di sviluppo economico e turistico attraverso una connessione diretta. La visione era chiara: fare della Calabria non solo una meta turistica, ma un partner riconosciuto per la qualità delle sue proposte e per la capacità di accogliere un pubblico internazionale».

«In questo contesto – ha sottolineato Macrì – Agostino Pesce ha voluto e saputo interpretare un ruolo fondamentale. Grazie alla sua profonda conoscenza del territorio francese e delle sue dinamiche economiche, il Direttore della Camera di Commercio Italiana a Nizza, infatti, ha saputo creare le condizioni per instaurare un dialogo costruttivo tra le istituzioni calabresi ed i principali attori della Costa Azzurra».

«La sua azione – ha detto – è stata determinante nel far sì che la Calabria fosse percepita non solo come una destinazione affascinante, ma anche come un partner affidabile, capace di dialogare con realtà di grande prestigio come l’aeroporto di Nizza e EasyJet».

«Uno dei primi passi concreti verso questo risultato – ha chiarito – è stato l’incontro istituzionale con i vertici dell’aeroporto di Nizza, un appuntamento che ha gettato le basi per il progetto attuale. Questo dialogo, reso possibile anche grazie alla determinazione dell’assessore Greta Trecate che  ha gettato le basi, è stato seguito da una rete di collaborazioni che ha visto coinvolti, oltre alla Città di Tropea, che ne è stata l’artefice, la Camera di Commercio Italiana di Nizza, quella francese e la nostra, la Regione Calabria, il CDA dell’aeroporto di Nizza e il management di EasyJet».

«Determinate è stata la condivisione del progetto da parte del Presidente della nostra Regione, Roberto Occhiuto – ha spiegato ancora l’ex sindaco – che ne ha subito colto il significato ed il valore di lungo periodo. L’impegno di Pesce è stato fondamentale nel coordinare questi attori, garantendo che le esigenze della Calabria trovassero ascolto e riscontro».

«La sua capacità di mediazione – ha spiegato ancora – ha permesso di superare gli ostacoli iniziali e di trasformare un’idea in un progetto concreto, che prenderà il via il prossimo 23 giugno 2025, con due voli settimanali diretti tra Lamezia Terme e Nizza, operati da EasyJet».

«Questo collegamento – ha detto Macrì – rappresenta molto più di una nuova rotta aerea: è una vera e propria occasione di rilancio per il turismo e l’economia locale. Con la sua utenza internazionale e il suo ruolo di attrattore per viaggiatori facoltosi, la Costa Azzurra diventa ora una porta d’accesso privilegiata per la Calabria. Al tempo stesso, la nostra regione si prepara a mostrarsi al mondo, accogliendo visitatori esigenti con il calore e la professionalità che ci contraddistinguono. Il test di EasyJet, che proseguirà fino al 29 agosto 2025, rappresenta un primo passo importante. Sarà compito del nostro territorio dimostrare di essere all’altezza delle aspettative, offrendo esperienze uniche, infrastrutture efficienti e servizi di qualità».

L’ex sindaco di Tropea ha ringraziato, anche, tutte le istituzioni che hanno reso possibile questo risultato: il Presidente della Regione Calabria, il CDA dell’aeroporto di Nizza, la Camera di Commercio di Nizza e quella di Catanzaro Crotone e Vibo Valentia, presieduta da Pietro Falbo.

«L’apertura della rotta EasyJet tra Lamezia Terme e Nizza – conclude Macrì – è la dimostrazione che, con il lavoro di squadra, la visione e la perseveranza, anche gli obiettivi più ambiziosi possono essere raggiunti. Oggi celebriamo un successo che appartiene a tutti noi, ma che deve essere solo il punto di partenza per un futuro ancora più ricco di opportunità. La Calabria è pronta ad accogliere il mondo. E questa volta, lo farà con un collegamento diretto con il cuore pulsante dell’Europa». (rvv)

DUE CALABRIE CHE SI FRONTEGGIANO ALLA PARI: UNA BENESTANTE, L’ALTRA POVERA

di DOMENICO CERSOSIMO E ROSANNA NISTICÒ – I più recenti dati medi nazionali segnalano, pur in un quadro di sostanziale stabilità della povertà assoluta, un’incoraggiante riduzione dell’incidenza degli italiani a rischio di povertà o di esclusione sociale (Istat 2024).

Questa brezza congiunturale positiva, tuttavia, non rinfresca in modo uniforme il paese: alcune aree, segnatamente diverse regioni del Nord, beneficiano di correnti comparativamente più favorevoli; altrove, la situazione è stagnante o addirittura in peggioramento. La media, come spesso accade, spiega poco: nasconde le differenze tra i territori dove la povertà è un fenomeno fisiologico, contenuto, e quelli in cui invece assume caratteri acuti e persistenti.

La Calabria è l’estremo: una regione nel vortice di un processo di polarizzazione e sfaldamento sociale, con una popolazione spaccata in due metà quantitativamente equivalenti, per metà benestanti e metà poveri o a rischio di povertà-esclusione; due realtà scollate tra loro che tendono a configurare una non-società.

Guardando all’insieme delle regioni d’Europa, nelle prime 50 posizioni della graduatoria ordinata in senso decrescente per incidenza del rischio povertà-esclusione sociale, si collocano, ad eccezione della Basilicata, tutte le regioni meridionali, e di contro, nelle ultime 50 posizioni tutte le regioni del Nord, ad eccezione della Liguria: un’asimmetria acuta che fa dell’Italia il paese Eu con le disparità interne più pronunciate (Eurostat 2024).

La Calabria è la regione europea, ad esclusione delle “ultraperiferiche”, con la più alta quota di poveri-vulnerabili sulla popolazione complessiva (48,6%), a fronte di valori pari a poco più di un quinto nella media italiana, del 5,8% nella provincia di Bolzano e del 7,4% in Emilia-Romagna. Anche all’interno del Mezzogiorno, il gap è notevole: addirittura 24 punti in più in Calabria rispetto al Molise e oltre 21 nei confronti della Basilicata.

Allarmante è il trend recente: tra il 2022 e il 2023, il rischio povertà-esclusione sociale dei calabresi subisce una drastica impennata, dal 42,8 al 48,6%, a fronte di un calo generalizzato nelle altre regioni, anche meridionali.

Anche con riferimento al sub-indicatore “rischio di povertà”, il picco calabrese è elevatissimo: 41 calabresi su 100 vivono in famiglie con un reddito netto equivalente inferiore al 60% di quello mediano, un’incidenza più che doppia rispetto a quella nazionale, dieci volte superiore a quella della Provincia di Bolzano e sette volte più alta di quella dell’Emilia-Romagna.

Allargando lo sguardo all’Europa, la Calabria raggiunge il tetto più elevato, seguita dalla Sicilia (38%) e dalla Campania (36,1%); al lato opposto della distribuzione, solo 9 regioni hanno un’incidenza delle persone a rischio di povertà più bassa o uguale al 7,5%, tra cui tre italiane: la provincia Autonoma di Trento, quella di Bolzano e l’Emilia-Romagna. Ne segue che il divario interregionale dell’Italia risulta il più ampio, segnando 35 punti percentuali di differenza tra la Calabria e la Provincia autonoma di Bolzano.

Rispetto agli altri due sotto-indicatori che concorrono a definire la popolazione a rischio di povertà ed esclusione sociale, la quota di calabresi che deve fronteggiare una “grave deprivazione materiale e sociale” (20,7%) è pressoché uguale e quella dei soggetti caratterizzati da “bassa intensità lavorativa” (20,9%).

Dunque, più di un quinto della popolazione regionale, tra 350 mila e 400 mila persone (circa il 15% del totale nazionale), è costretto a fare i conti con severe e plurime privazioni materiali e sociali: essere in arretrato con il pagamento di bollette, affitti, mutui; non poter sostenere spese impreviste; riscaldare adeguatamente la casa; sostituire mobili danneggiati o abiti consumati; non potersi permettere un pasto adeguato almeno a giorni alterni, due paia di scarpe in buone condizioni per tutti i giorni, una piccola somma di denaro settimanale per le proprie esigenze personali, una connessione internet utilizzabile a casa, un’automobile, di incontrare familiari o amici per mangiare insieme almeno una volta al mese. Nella media nazionale, gli italiani costretti a così gravi deprivazioni sono il 4,7% ma in Emilia-Romagna sono meno dell’1%.

Più di un quinto sono anche i calabresi tra 18 e 64 anni che vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro (soprattutto quelle più numerose e con più figli), ossia che hanno lavorato meno del 20% del loro tempo potenziale, e che conseguentemente percepiscono retribuzioni insufficienti per uscire dal rischio povertà.

Ancora. La Calabria è l’unica regione italiana a subire, nel biennio 2022-23, un incremento-peggioramento di tutti e tre i sub-indicatori. Peggiora poco l’indicatore “bassa densità lavorativa”, che passa dal 19,6 al 20,9% (dal 9,8 all’8,9% in Italia), ma che tuttavia segnala che è in aumento la frazione, già elevata, di famiglie con forme estese di sottooccupazione, a testimonianza tanto del deficit strutturale della domanda di lavoro locale quanto del fatto che il lavoro di per sé non è in grado di tutelare da situazioni di grave difficoltà economica, soprattutto nel caso dei lavoratori dipendenti a tempo parziale e con basse retribuzioni.

Ben più consistente è l’incremento dei calabresi a “rischio di povertà”, che passa dal 34,5 al 40,6% e di quelli con “grave deprivazione materiale e sociale”, che nel giro di un solo anno quasi raddoppiano (dall’11,8 al 20,7%), contro una sostanziale stabilità nella media nazionale (dal 4,5 al 4,7%), e di una leggera flessione in oltre la metà delle regioni, anche in tutte quelle del Sud, ad eccezione della Puglia.

Insomma, come in nessuna altra regione italiana, i dati configurano in modo evidente due società, due Calabrie, due gruppi di cittadini profondamente dissimili e slegati tra loro. Da un lato, ci sono i calabresi che godono di redditi, patrimoni, consumi, stili di vita analoghi a quelli medi nazionali. Singoli e famiglie a cui fa capo la quasi totalità della ricchezza netta regionale, reale e finanziaria.

Appartengono a questa “prima” Calabria anche i calabresi, per lo più dipendenti della pubblica amministrazione, con redditi medi ma sufficienti per condurre una vita decorosa, e che, seppure a fatica, riescono a districarsi nelle maglie sconnesse dei servizi pubblici essenziali e ad evitarne gli effetti perversi ricorrendo al proprio bagaglio di amicizie e conoscenze personali. Accanto a questi, si ritrovano anche i calabresi, inquilini del privilegio, che possono permettersi consumi opulenti, dalle auto alla cosmesi, come qualunque altro ricco di qualunque società urbana d’Europa, e che possono influenzare le politiche pubbliche a loro favore.

Nell’insieme, sono calabresi che si sostengono tra loro attraverso reti relazionali sia di natura interpersonale che associativa, come, ad esempio, i club Lyons o Rotary, gli Ordini professionali, le Associazioni di commercianti, industriali, agricoltori, artigiani, i circoli massonici palesi e occulti, le reti informali di comparatico, le aggregazioni politico-elettorali strumentali, temporanee, trasversali. In aggiunta, non va trascurata l’incidenza dell’estremo del capitale sociale “cattivo”, ovvero quei circuiti di ‘ndranghetisti e di soggetti criminali che costruiscono il loro benessere distruggendo quello di cittadini e imprenditori, consumando futuro all’intera comunità regionale.

Pur prescindendo dalle derive delinquenziali di questi ultimi e di coloro che vivono nell’illegalità perenne dell’evasione fiscale e dello sfruttamento dei lavoratori, si percepisce l’esistenza nella sfera dei benestanti di una Calabria della densità orizzontale, delle cooptazioni, delle arene a geometria variabile dello scambio e della reciprocità particolaristica, clientelare, professionale, e che può aspirare, individualmente, a qualche forma di mobilità sociale ascendente.

Sono i calabresi “estrattivi”, che traggono benefici dallo status quo, dalla politica come “motore primo” degli standard di vita, dai bonus pubblici, dalla dipendenza macroeconomica della regione dal respiratore artificiale della spesa pubblica, che intercetta e beneficia della quasi totalità dei trasferimenti pubblici nazionali ed europei e dei grandi programmi di intervento pubblico destinati allo sviluppo locale. Cittadini che hanno sviluppato speciali abilità di torsione dei provvedimenti pubblici, centrali e locali, alle logiche di riproduzione dei propri benefici, anche degli interventi che astrattamente avrebbero potuto destabilizzare la legittimazione delle loro rendite di posizione; che diffidano dei progetti di trasformazione sociale in nome di una sorta di “apologia del quietismo”.

Cittadini concentrati, nelle parole di Mauro Magatti, soprattutto a “consumare benessere” piuttosto che a creare sviluppo e ad affrontare le sfide strutturali (organizzative, produttive, innovative) che esso comporta. Ottimati della rendita e della disuguaglianza polarizzata, tesi a mantenere o catturare nuovi vantaggi individuali e non interessati al bene comune. A prendere piuttosto che a contribuire al benessere della collettività.

Poi c’è la “seconda” Calabria, di dimensioni simili alla prima ma radicalmente diversa: quella dei sommersi, dei rimossi, dei precari, degli occultati che, in quanto tali, non disturbano l’estetica della “prima” Calabria.

Poveri con deprivazioni materiali estreme, con disagi quotidiani e persistenti, con difficoltà ad alimentarsi con pasti adeguati, a vestirsi in modo decoroso, a dormire sotto un tetto sicuro. Sono tantissimi e in crescita: poveri di “partenza”, ascritti dalla nascita. Anche questo gruppo è fortemente composito. Si tratta di anziani soli con pensioni sociali al minimo; lavoratori occasionali e per lo più sommersi, riders, camerieri a ore, operatori di call center, che contribuiscono alla tenuta e alla riproduzione di un’economia locale minuta, informale, e con salari così bassi da non consentire l’uscita dalla trappola della povertà assoluta; giovani, spesso descolarizzati, che perseguono l’autonomia familiare ma che sono imprigionati in lavoretti dequalificati e con salari striminziti; disabili rimasti senza famiglia, con sostegni pubblici assenti o inadeguati; disoccupati scoraggiati che hanno rinunciato a cercare un’occupazione perché hanno perso la speranza di trovarlo; immigrati con difficoltà di integrazione che riescono a racimolare pochi euro al giorno con lavoretti in nero o con espedienti vari; giovani imprigionati nell’eterno limbo del non lavoro, non studio, non formazione. Un catalogo infinito di soggetti, ad evidenza che, parafrasando Lev Tostoj in “Anna Karenina”, ogni povero è povero a modo suo.

Un altro buon quinto di calabresi è, come si è detto, a rischio povertà per la bassa intensità occupazionale: singoli e famiglie spesso alle prese con lavori precari, a tempo, con contratti di part-time involontario, e, di conseguenza, con redditi ben al di sotto della soglia media di un lavoratore a tempo pieno. Sovente, poveri di “arrivo”, “risultato” di politiche assenti o controproducenti.

Ne fanno parte famiglie numerose con occupati per poche ore alla settimana che racimolano un reddito monetario complessivo al di sotto della soglia per soddisfare i consumi essenziali; famiglie di immigrati con difficoltà di integrazione e con percettori di reddito di pochi euro all’ora, soprattutto in agricoltura, in edilizia e nel multiforme e crescente “proletariato dei servizi” a bassa qualificazione.

Sono singoli e famiglie che rischiano un ulteriore impoverimento quando la congiuntura diventa avversa per la perdita dell’occupazione oppure per la contrazione dei trasferimenti pubblici alle famiglie e ai singoli in difficoltà, come l’abolizione del reddito di cittadinanza, favorendo ulteriormente lo scivolamento verso la condizione di grave depauperazione materiale.

A differenza della prima, questa seconda Calabria è atomizzata, sbriciolata; più fragile e indifesa, composta da calabresi isolati gli uni dagli altri, senza legami né rappresentanza né voce, senza sovrastrutture. Scie disperse e spesso divergenti, senza sciame. Calabresi che praticano, quando possono, relazioni “verticali” individuali: con la Caritas, con la parrocchia, con i servizi comunali di welfare, con il gruppo di volontariato, con l’impresa di terzo settore, con la mensa sociale. Calabresi silenziati, privi di mezzi e strumenti, senza occasioni per parlare di sé.

A questa Calabria sembra non pensare nessuno. Non solo perché sommersa e difficile da incrociare se non si hanno sguardi sensibili, adeguati, interessati, ma anche perché è la Calabria degli outsider, del non-voto, che non protesta, che non fa rumore, che non urla, che non ha né trattori né vernici né gilets jaunes né protettori; che non minaccia l’ordine dominante.

I partiti-residui continuano a guardare alla prima Calabria, a quella dei garantiti, degli insider, delle rare imprese di “successo”, delle micro-esperienze socio-produttive locali puntiformi, spesso “cartolinizzate”; a vagheggiare su una mai definita altra Calabria e su narrazioni aneddotiche consolatorie; dimenticando che la somma di micro-esperienze positive disperse, seppure importanti di per sé, non è sufficiente per determinare un cambiamento di sistema; che non basta guardare “dall’alto” per decifrare le sofferenze e il declassamento sociale della Calabria praticata “dal basso”. (dn e rn)

[Courtesy Etica ed Economia]

L’OPINIONE / Lenin Montesanto: Quella Calabria e Albania che il mondo non si aspetta

di LENIN MONTESANTO – Calabria e Albania, con i rispettivi Marcatori Identitari Distintivi (MID) e grazie al valore aggiunto del patrimonio e dell’eredità arbëreshë, potrebbero fare squadra per costruire una forte e più competitiva destinazione turistico-esperienziale nel Mediterraneo.

L’ho ribadito questa mattina (mercoledì 20 novembre), intervistato da Maria Teresa Santaguida, ospite di Buongiorno Regione, la rubrica del TGR Calabria, su Rai Tre.

Così come spiegato e confermato anche nel proficuo colloquio svoltosi nelle scorse settimane a Tirana, sia col Premier Edi Rama che col Ministro del Turismo Mirela Kumbaro Furxhi, con la Strategia nazionale del turismo 2024-2030, il Governo albanese punta a destagionalizzare e ad internazionalizzare l’Albania come destinazione esperienziale, oltre il balneare.

Così come la Calabria, terra (tra gli altri Mid) del Teorema di Pitagora, ambisce ad essere – ripeto il claim del presidente Roberto Occhiuto – quella straordinaria che l’Italia ed il mondo non si aspettano, allo stesso modo l’Albania dell’ultimo fiume selvaggio ed incontaminato d’Europa (Vjosa), di Skanderbeg e della coesistenza pacifica delle principali religioni monoteiste, vuole riscrivere, spiegare, comunicare e dimostrare al mondo una diversa narrazione di se stessa e, quindi, una diversa capacità di accoglienza.

Ed in questo impegno strategico chiaro, finalizzato a superare un’immagine e percezione negative consolidatesi in passato e per motivi diversi, se l’Albania di fatto mutua oggi l’analisi e le prospettive dell’innovativo metodo regionale calabrese dei Marcatori Identitari Distintivi (Mid), in Calabria ci si potrebbe ispirare al coraggio ed alla determinazione (da sopravvissuti, per usare le parole del Ministro del turismo albanese) che il Governo Rama sta dimostrando per diversificare, oltre il cliché non più competitivo della sola narrazione paesaggistica, la propria proposta turistico-esperienziale su mercati globali. (lm)

[Lenin Montesanto è program manager della Cabina di regia regionale Mid]

SENZA LAVORO E SERVIZI LA CALABRIA SI
SPOPOLA: FERMARE L’ESODO DEI GIOVANI

di VITTORIO DANIELE – Nonostante il tasso di natalità tra i più bassi in Europa, tra il 2001 e il 2022, la popolazione italiana è aumentata di circa due milioni. La crescita demografica ha, però, riguardato solo il Nord del paese. La popolazione del Mezzogiorno è, di contro, diminuita di 698.000 abitanti. Queste differenti dinamiche demografiche sono spiegate soprattutto dall’emigrazione. Pur registrando una significativa emigrazione di giovani verso l’estero, le regioni settentrionali hanno attratto gran parte dei flussi migratori in ingresso nel nostro paese e, soprattutto, quelli interni, provenienti dal Sud.

Tra il 2002 e il 2021 hanno lasciato il Mezzogiorno oltre 2,5 milioni di persone, in prevalenza verso il Centro-Nord (81%). Al netto dei rientri, il Mezzogiorno ha perso 1,1 milioni di residenti, di questi 808.000 con meno di 35 anni, di cui 263.000 laureati.

Più di altre regioni, la Calabria soffre di queste dinamiche. Nel periodo 2001- 2022, la popolazione calabrese è diminuita di quasi 165.000 residenti. Per avere un termine di paragone è come se la regione avesse perso, all’incirca, gli abitanti delle città di Catanzaro e di Lamezia Terme sommati. Nell’ultimo ventennio, il saldo migratorio della Calabria verso le altre regioni è stato mediamente del -5,2 per mille abitanti. Un valore nettamente maggiore di quello del Mezzogiorno (-2,7 per mille), che la modesta immigrazione da altri paesi – soprattutto della sponda sud del Mediterraneo – non può compensare. A partire sono, ovviamente, i giovani. La Calabria, insieme con la Basilicata, è la regione con più elevato tasso migratorio.

È quasi superfluo ricordarlo: il fattore di spinta di questa dinamica migratoria è la carenza di opportunità di lavoro qualificato. La domanda di lavoro da parte delle imprese è insufficiente; spesso i lavori disponibili sono precari, stagionali e sottopagati. Come risultato, molti giovani, soprattutto quelli più qualificati, giustamente, fuggono.

La marginalità delle aree interne

Le aree interne sono quelle che più soffrono delle dinamiche demografiche avverse, perché più acuti si presentano i problemi economici e sociali che caratterizzano la regione, cui si sommano le carenze nei servizi pubblici.

La Calabria è una penisola montuosa. Secondo le classificazioni statistiche, ben il 22% della popolazione vive in aree di montagna, una percentuale nettamente maggiore di quella media italiana (12%). Il 66% della popolazione è, poi, residente in aree collinari, mentre solo il 15% dei calabresi vive in aree di pianura, a fronte del 49% dell’Italia.

Tra il 2001 e il 2022, i comuni della montagna calabrese hanno perso quasi 58.000 abitanti. Si tratta di un calo del 12,3%. Nello stesso periodo, la popolazione nelle aree collinari calabresi è diminuita del 7,7%. Sono percentuali nettamente maggiori di quelle, pur elevate, che caratterizzano il Mezzogiorno. Le aree interne della Calabria si spopolano. Con lo spopolamento, vengono meno attività economiche e vengono soppressi servizi pubblici e privati (come asili, scuole, uffici postali, sportelli bancari) per mancanza di utenti e per ragioni di convenienza economica.

Quali politiche?

La Strategia per le Aree Interne (Snai), avviata a livello nazionale nell’ambito della programmazione 2014-2020, ha l’obiettivo di intervenire sui comuni “interni” con difficoltà di accesso ai servizi essenziali e, pertanto, a forte rischio di spopolamento. La Sna della Calabria cui si affianca una Strategia regionale, dovrebbe intervenire attraverso azioni sui servizi (mobilità, sanità, istruzione) e per lo sviluppo locale in sette aree: Reventino-Savuto; Grecanica; Sila-Presila crotonese e cosentina; Versante ionico Serre; Alto Jonio Cosentino; Versante Tirrenico Aspromonte; Alto Tirreno-Pollino. Si affianca una Strategia regionale che dovrebbe intervenire nelle altre porzioni del territorio regionale, ovvero in altri 266 comuni, inclusi, paradossalmente, quelli che ricadono in aree costiere.

Le risorse complessive destinate ai programmi ammontano a 136.696.000 euro. I soggetti attuatori (Comuni, Gal, Asp… e in alcuni casi direttamente la Regione) hanno l’onere di realizzare gli interventi. La Regione svolge comunque un compito di coordinamento.

Al momento, l’attuazione dei programmi delle Strategie per le aree interne scontano notevoli ritardi. Dal portale Open Coesione della Presidenza del Consiglio, per la Snai Calabria risulta, alla data attuale, un costo pubblico monitorato di appena 4,1 milioni, per 7 progetti monitorati, con zero progetti conclusi, il 13% dei progetti in corso e l’87% dei progetti non avviati. Per confronto, nello stesso portale, per la Basilicata risultano 88,1 milioni di costo pubblico monitorato, il 27% dei progetti conclusi, il 62% dei progetti in corso e il 9% non avviati. Non è dato sapere se tali informazioni siano aggiornate.

Servizi pubblici e prospettive occupazionali

Le strategie citate – se compiutamente attuate – potrebbero avere utili ricadute per i comuni interessati. Come altri interventi finanziati da fondi europei o nazionali non sono, però, in grado di contrastare la dinamica strutturale che investe le aree interne e il resto del territorio calabrese (e meridionale). Dinamiche che, come accennato, sono alimentate dalle forze della demografia e dell’economia e che, all’origine, hanno come causa l’ineguale distribuzione dello sviluppo economico nel territorio nazionale e, dunque, delle opportunità di lavoro che si offrono alle giovani generazioni.

Per contrastare lo spopolamento delle aree interne è certamente necessario assicurare – o potenziare ove carenti – i servizi essenziali: sanità, mobilità, istruzione. I vincoli di bilancio – e i continui tagli alla spesa pubblica – rendono estremamente difficile, però, che, nei prossimi anni, in aree in corso di spopolamento si possano potenziare i servizi pubblici, anche se ciò dovrebbe essere un obiettivo politico da perseguire, fosse anche solo per evitare disuguaglianze e sperequazioni tra cittadini e territori. È, poi, necessario e fattibile rendere più efficienti i servizi esistenti e accelerare i tempi di realizzazione delle opere pubbliche. Non sono pochi i casi, infatti, in cui le risorse disponibili rimangono parzialmente inutilizzate o vengono spese in progetti di dubbia utilità.

Assicurare i servizi essenziali è indispensabile, ma non sufficiente. Può apparire banale sottolinearlo, ma il contrasto allo spopolamento, alla desertificazione demografica ed economica consiste principalmente – direi fondamentalmente – nella creazione di opportunità di lavoro. Il finanziamento di attività imprenditoriali avviate da giovani nell’agricoltura, nell’agroindustria, nell’artigianato, nel turismo può aiutare. Come pure la realizzazione di un piano straordinario di forestazione, in linea con gli obiettivi europei e nazionali per lo sviluppo sostenibile e che compensi il disboscamento che riguarda parte del territorio regionale; come pure misure di riqualificazione e messa in sicurezza del territorio.

Sarebbe assurdo – e, se fosse possibile, sarebbe anche ingiusto – pensare di far rimanere i giovani in territori in cui mancano prospettive occupazionali. (vd)

[Courtesy OpenCalabria]

Alla Borsa del Turismo Archeologico di Paestum messe in risalto le potenzialità della Calabria e della Locride

di ARISTIDE BAVAAlla Borsa del Turismo Archeologico di Paestum, conclusasi domenica, dopo alcuni giorni di massiccia presenza di pubblico, sono state ampiamente messe in risalto le potenzialità della Calabria, e della Locride in particolare, in questo particolare settore che meriterebbe, soprattutto nel territorio Locrideo maggiore attenzione.

A mettere a fuoco il grande patrimonio archeologico locrideo è stato, in particolare, Guido Mignolli, direttore del Gal Terre Locridee che, peraltro, nel parlare di innovazione, ha presentato un nuovo itinerario turistico che invita alla scoperta della nostra area ricca di storia e tesori archeologici con un obiettivo preciso: promuovere e far meglio conoscere le bellezze della Magna Grecia in uno con le testimonianze romane, per stimolare i turisti a venire a vedere le preziose tracce storiche del territorio e ricordare che Locri e la Locride ospitano siti archeologici di grande rilievo.

Una proposta, quella di Mignolli, non certamente campata in aria e probabilmente anche scontata ma che, in questa occasione è suffragata da quel qualcosa in più che forse è mancato nel passato e che potrebbe d’ora innanzi fare la differenza. Ovvero il fatto che questa promozione di questo grande patrimonio esistente nella Locride può, e deve, trovare più forza per la loro valorizzazione attraverso un discorso “unitario” che interessi tutto il territorio.

La proposta progettuale presentata dal sirettore del Gal, infatti, ha incluso visite guidate ai principali siti archeologici della zona e percorsi tematici pensati per coinvolgere turisti e cittadini. I “tesori” d’altra parte non mancano , dalla Villa Romana di Casignana al Naniglio di Gioiosa Jonica, agli scavi di Locri all’anfiteatro di Portigliola o allo stesso Museo di Monasterace, luoghi principali d’interesse più conosciuti ma non i soli presenti sul territorio perché in effetti la Locride può offrire un’offerta integrata di grande respiro che faccia vivere ai turisti  un percorso generalizzato che non si limiti ad un singolo luogo ma offra una visione d’insieme del suo patrimonio storico.

Lo ha ben spiegato Guido Mignolli e lo ha anche affermato l’ex senatore Franco Crinò, oggi vicesindaco di Casignana, da tempo impegnato per la valorizzazione della Villa Romana che, tra l’altro, ha annunciato prossimi interventi per unire in un “Percorso Romano” i siti di Casignana, Gioiosa Ionica e Sant’Ilario nella convinzione, ampiamente giustificata, a nostro avviso, che si può attirare un turismo sempre più ampio e diversificato, per fare della Locride una destinazione culturale di riferimento e nello stesso tempo-altro particolare da non sottovalutare-  coinvolgere i cittadini, soprattutto i più giovani, «a sviluppare una maggiore consapevolezza del proprio patrimonio culturale, coltivando così le radici di una crescita turistica che possa durare nel tempo».

D’altra parte Archeologia e turismo, da sempre costituiscono per molte zone del nostro Paese un importante binomio e un autentico toccasana per produrre economia in un settore, forse l’unico, che è rimasto trainante in un momento in cui la crisi è latente in molti altri settori.  Ci siamo chiesti più volte perché in confronto ad altre Regioni e in altre zone dove le due cose hanno portato economia, lavoro e ricchezza, nella Locride questo binomio ancora non funziona per come dovrebbe.

Il territorio, è innegabile, annovera al suo interno siti di straordinario interesse, due Musei, quello di Locri e di Monasterace che contengono reperti di indubbia importanza storica, resti antichi sparsi in molti angoli, il Musaba, struttura artistica all’avanguardia ed ancora una miriade di strutture di notevole pregio sparpagliate nei suoi tanti borghi antichi. Un patrimonio immenso che, però, non riesce ad assolvere quello che dovrebbe essere il suo compito principale, ovvero richiamare flussi continui di turisti.

Quelli veri, per intenderci. Ecco, allora, che da Paestum arriva questa proposta, e questa possibilità, da non sottovalutare. Vedremo se sarà attentamente recepita sul territorio e dagli organismi istituzionali. (ab)

Pd: Calabria tra le regioni Ue col più alto rischio di povertà

La Calabria – assieme alla Campania e alla Sicilia – è tra le regioni Europee col più alto tasso di persone a rischio povertà o esclusione sociale. È quanto ha denunciato il Partito Democratico Calabria, commentando il rapporto sulle condizioni di vita in Europa nel 2024 dell’Eurostat, in cui è emerso che la nostra regione è al oenultimo posto col 48,6%, preceduta solo dal Dipartimento d’Oltremare francese della Guyana, in Sud America.

Dati che, per i dem, inchiodano «ancora una volta il governatore Occhiuto e il centrodestra», oltre che destare preoccupazione: «la situazione calabrese è in netto peggioramento rispetto al 2022 con un calo del 42,8%. Praticamente negli anni di governo del centrodestra le condizioni di vita in Calabria sono peggiorate secondo tutti gli indicatori europei».

«Segno evidente – hanno proseguito – che la rivoluzione e il progresso di cui parla Occhiuto esistono soltanto nella sua testa. Siamo davanti al fallimento dei governi di centrodestra a tutti i livelli che, non paghi di quanto fatto fin qui, vogliono sferrare il colpo finale al Sud del Paese con l’autonomia differenziata. Invece di provvedere, con urgenza – hanno concluso – a stanziare risorse e programmare investimenti realmente in grado di far recuperare questo profondo gap rispetto al resto dell’Italia e dell’Europa».

L’EOLICO NON FARÀ BENE ALLA CALABRIA
SARÀ UN DISASTRO A LIVELLO AMBIENTALE

di GIOVANNI MACCARRONEChe la Calabria sia la meta preferita per l’installazione degli impianti eolici non è dubbio. Nel novembre 2023, infatti, risultavano già attivi nella nostra regione 440 impianti eolici – il 70% si trova nelle province di Crotone e Catanzaro e sono pure in aumento le richieste di concessioni (attualmente 157 sono in corso di valutazione).

Risultano in aumento anche le richieste di installazione di impianti eolici off-shore. Di recente, in particolare, è venuta alla luce l’ipotesi di costruzione ed esercizio di un parco eolico off-shore di tipo galleggiante denominato “Enotria” nello specchio acqueo del Golfo di Squillace, a largo di Punta Stilo, nel mare Ionio.

Si tratta di un impianto eolico off-shore di tipo galleggiante composto da 37 aerogeneratori con una potenza complessiva di 555 mw posti tra circa 22 e 33 kilometri al largo della costa orientale della Calabria. Ciascun aerogeneratore di potenza unitaria di 15 mw avrà un’altezza massima complessiva di 355 m.s.l.m.

Questo ha creato un grande scompiglio. Sono diversi giorni che se ne parla. Comunque sia, “Nel bene e nel male basta che se ne parli” (lo diceva un certo Oscar Wilde).

È evidente, infatti, che in una regione come la Calabria (nota come la “terra tra due mari”), dove la principale attrazione è rappresentata appunto dal mare, è veramente devastante pensare che tra qualche anno ci troveremo a dover fare i conti con un paesaggio arricchito (si fa per dire) di strutture dotate di pale, turbine e generatori collocati in mare aperto al largo delle nostre coste.

Qualcuno dice che bisogna farsene una ragione. L’obiettivo è quello di realizzare una nuova politica energetica che assicuri la piena sostenibilità ambientale, sociale ed economica del territorio nazionale. Per cui, per realizzare questo obiettivo, è necessario sfruttare al meglio l’enorme potenziale energetico del vento. Costi quel che costi (locuzione che Mario Draghi pronunciò il 26 luglio 2012, nell’ambito della crisi del debito europeo). Insomma siamo messi proprio male. 

Il Meridione e la Calabria in particolare devono pagare il fatto che il territorio ha una maggiore disponibilità del vento, esiste una certa profondità dell’acqua e le proprietà geotecniche del fondale marino e tale da consentire l’ancoraggio a catene delle predette strutture.

Forse è stato anche questo il motivo che di recente ha spinto il legislatore a prevede nel D.L. n. 181/2023 (“Decreto Energia”) l’introduzione di un’importante novità in materia di sviluppo della filiera dell’industria dell’eolico off-shore.

Per installare un impianto eolico di questo tipo sono necessarie grandi infrastrutture e logistica, Servono, quindi, strutture per costruire e montare le torri e i galleggianti a partire da enormi tubi di acciaio, banchine esclusive nel porto, depositi per una grande quantità di materiale, e così via, oltre all’affitto di navi specializzate, prenotate con mesi o anni di anticipo.

Consapevoli di quanto sopra è stato perciò previsto nel decreto citato (DL 9 dicembre 2023, n. 181 convertito in legge 2 febbraio 2024, n. 11) un articolo (l’art. 8) che prevede al comma 1 la pubblicazione, entro il 9 gennaio 2024, da parte del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, di un avviso volto alla acquisizione di manifestazioni di interesse per la individuazione, in almeno due porti del Mezzogiorno rientranti nelle Autorità di sistema portuale o in aree portuali limitrofe ad aree in phase out dal carbone, di aree demaniali marittime con relativi specchi acquei esterni alle difese foranee, da destinare, attraverso gli strumenti di pianificazione in ambito portuale, alla realizzazione di infrastrutture idonee a garantire lo sviluppo degli investimenti del settore della cantieristica navale per la produzione, l’assemblaggio e il varo di piattaforme galleggianti e delle infrastrutture elettriche funzionali allo sviluppo della cantieristica navale per la produzione di energia eolica in mare. 

Quindi, stando a quanto sopra riportato, non solo il nostro territorio rischia di essere invaso da strutture dotate di pale, turbine e generatori da realizzarsi sulla terraferma (impianti onshore) su autorizzazione della Regione (o delle province delegate) oppure  da posizionarsi a mare (impianti offshore), dietro autorizzazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ma dovremmo assistere anche alla creazione nelle aree del Mezzogiorno di un polo strategico nazionale nel settore della progettazione, della produzione e dell’assemblaggio di piattaforme galleggianti e delle infrastrutture elettriche funzionali allo sviluppo della cantieristica navale per la produzione di energia eolica in mare.

I più attenti avranno notato che il testo originario del decreto-legge prevedeva l’individuazione di due soli porti (anziché “almeno” due porti) del Mezzogiorno di aree demaniali marittime da destinare alla realizzazione di un polo strategico nazionale per l’eolico off-shore.

Come è facile intuire, tutto questo consentirà la realizzazione di più aree – che dovranno necessariamente essere aree portuali del Sud Italia – destinate alla realizzazione di “infrastrutture idonee a garantire lo sviluppo degli investimenti del settore della cantieristica navale per la produzione, l’assemblaggio e il varo di piattaforme galleggianti e delle infrastrutture elettriche funzionali allo sviluppo della cantieristica navale per la produzione di energia eolica in mare”.

Il che, come è evidente, significa che di questo passo il nostro mare e le nostre coste saranno invase da enormi strutture metalliche.

Siamo alla fine (almeno per ora…) di un percorso, come si è visto, a dir poco sconvolgente.

Ma a livello ambientale quale futuro ci aspetta? Un vero e proprio disastro. È importante notare sul punto che, per la realizzazione e l’esercizio dei vari progetti, sarà necessario immettere in mare materiale derivante da attività di escavo e di posa in opera di cavi e condotte, con grave inquinamento dell’acqua marina e riduzione della biodiversità.

Inoltre, le strutture off-shore – come si è sopra detto – utilizzano un sistema di ancoraggio a catene. L’ormeggio “a catenaria” utilizza delle catene lunghissime che tengono ancorata la struttura galleggiante sovrastante, anche grazie alle ancore terminali. Tuttavia, c’è un problema: i galleggianti, e di conseguenza le catene, tendono a muoversi, sotto la spinta delle onde e delle maree, determinando notevoli problemi alla flora e alla fauna ittica (si pensi alle praterie di Posidonia Oceanica).

A tal proposito bisogna prendere in considerazione anche il rumore emesso dagli impianti che provoca un vero e proprio inquinamento acustico che, a sua volta, incide fortemente sull’ecosistema del nostro mare.

Non bisogna trascurare, poi, che gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili entrano sicuramente in collisione con la tutela del paesaggio. Non è chi non veda, infatti, che spesso gli impianti off-shore risultano visibili dall’occhio umano dalla costa o unitamente alla costa. Essi, quindi, incidono negativamente sui valori paesaggistici. Ma anche quando gli impianti in questione non dovessero risultare visibile all’occhio umano (in quanto posti a circa 22 o 32 Km dalla costa), il risultato non cambierebbe, dato che essi possono tranquillamente incidere negativamente sui valori paesaggistici anche se poste a notevole distanza dai territori costieri.

In tal senso è, del resto, la Corte Costituzionale, secondo cui il paesaggio deve essere considerato «l’ambiente nel suo aspetto visivo», e che l’art. 9, secondo comma, Cost. sancisce un principio fondamentale, che vale sia per lo Stato che per le Regioni, ordinarie e speciali, con la precisazione che il riferimento testuale della norma costituzionale è alla «Repubblica», con ciò affermandosi la natura di valore costituzionale in sé e per sé del valore del paesaggio. 

Pertanto, se da una parte siamo d’accordo con chi giustamente sostiene che l’uscita dalle fonti fossili è necessaria per fermare la crisi climatica, dall’altra parte riteniamo tuttavia molto importante valutare con una certa attenzione l’eventuale pregiudizio al paesaggio derivante da un impianto eolico off-shore. Non c’è dubbio, in sostanza, che «all’interesse alla tutela del paesaggio debba essere riconosciuto, nel bilanciamento con gli altri interessi potenzialmente antagonistici (primi fra tutti quello alla tutela dell’ambiente e quello allo sviluppo delle fonti rinnovabili a copertura del fabbisogno energetico), un peso specifico particolarmente elevato, fino a giustificare, in determinate e motivate ipotesi di compromissione irreversibile di aspetti e caratteri identitari del territorio ritenuti irrinunciabili ed in assenza di alternative (quale potrebbe essere in ipotesi, l’arretramento verso il mare aperto degli impianti o l’adozione di misure di mitigazione), anche un divieto di installazione».

È del resto chiaro, in conclusione, che, siccome si è comunque in presenza di un interesse costituzionale gerarchicamente superiore, sarebbe il caso di trovare strade alternative per ridurre le emissioni di gas serra a livello globale.

Si pensi che solo nel 2020, per quanto riguarda l’Europa, è stata registrata una riduzione delle emissioni di gas serra pari al 7,6%. Le ragioni sono state direttamente collegate a un grande cambiamento delle abitudini lavorative e di vita: con lo smart working, la riduzione dei viaggi d’affari e turistici, l’intera industria dei trasporti ha visto un calo nell’uso, e di conseguenza, un crollo nelle emissioni.

Forse sarebbe il caso di ripartire da qui e crederci

Speriamo bene. (gm)

CALABRESI E CALABRIA DEI TANTI PERCHÉ
E LO SMISURATO SENSO DI APPARTENENZA

di ORLANDINO GRECO – «Il calabrese è educato e sempre disponile. Chi altro parte dalla propria Terra per realizzarsi altrove, ed è pronto ad una nuova vita portandosi dietro l’educazione sempre presente dei propri genitori?»

È stata questa una delle frasi che ho sentito  con più vigore durante un incontro con alcuni importanti imprenditori milanesi e romani. Una sorta di mantra sulla Calabria e su i suoi figli che partono per il mondo e si realizzano.

Le nostre individualità inserite in contesti diversi diventano un’epifania di competenza e professionalità, a prescindere dai settori nei quali sono inseriti.

In fondo, siamo pur sempre la Terra dove la storia ha fatto il suo cammino, sempre immersa negli splendori della Magna Grecia con la scuola pitagorica che è diventata un’istituzione in tutto il globo. La Terra di Telesio; di filosofi e grandi personaggi storici.

Ma siamo anche la Calabria dei tanti perché, suddivisa in tempi antichi in Ulteriore e Citeriore, una divisione non solo geografica ma anche di usi, costumi, linguaggio e tradizione. Una regione così grande che ha in sé, un caleidoscopio di ricchezze e tesoro inestimabile.

E, proprio grazie a questa sua estensione territoriale, la Calabria e i calabresi hanno difficoltà ad essere un tutt’uno solido perché troppo distanti da essere popolo, nonostante ci sia un calabrese a rappresentarci in ogni angolo del mondo. E lo fa in ragione della sua forza, del suo smisurato senso di appartenenza ad una Terra bella e misteriosa ma capace di creare un legame forte ed indissolubile con le proprie radici e la propria storia millenaria.

Il calabrese è educato, lavoratore instancabile e persona perbene che riesce ad essere un valore aggiunto ovunque vada, tra un legame  forte alla famiglia e un alto senso del dovere. Rispetto per l’amicizia e per l’ospite, comunità inclusiva ed accogliente, comunità di persone generose che molte volte peccano per un pernicioso individualismo.

È l’essenza del nostro dna che diventa patrimonio collettivo di un popolo ancora in divenire e sempre con le radici ben piantate sulla propria Terra: Mamma Calabria e i suoi figli educati e perbene.  (og)

GIUBILEO, UN’OCCASIONE PER LA CALABRIA
BRAND PER VALORIZZARE IL TERRITORIO

di FRANCESCO NAPOLI – Il Giubileo 2025 è un evento religioso di portata mondiale che, secondo le ultime stime, porterà a Roma, la città eterna, il cuore della Chiesa cattolica, circa 30 milioni di pellegrini Un’occasione per l’intero sistema Paese e anche la Calabria non può farsi trovare impreparata. L’avviso della regione Calabria va nella direzione di quanto detto fine giugno.

Ad oggi mancano dati esatti sulla stagione turistica in corso, ma è certo che dopo il boom del 2023 l’industria delle vacanze comincia a mostrare i primi segni di frenata. Si spera nelle prenotazioni last minute e nella scelta di periodi diversi. Sono venuti meno soprattutto i turisti italiani, in parte perché colpiti dalla onda lunga della inflazione. Soffre la classe media che riduce la permanenza in vacanza.
Diventa dunque fondamentale lavorare per la valorizzazione di tanti siti turistici così come la creazione di nuove destinazioni. Il recupero, la tutela, la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e lo sviluppo turistico, per una regione come la Calabria, sono temi strettamente connessi, in quanto essa dispone di un ingente patrimonio culturale e ambientale. Molti i punti di forza (come ad es. i siti archeologici di antiche civiltà mediterranee della Magna Grecia) che possono dar luogo ad itinerari turistici di rilevanza eccezionale per il turismo internazionale e del bacino del Mediterraneo.
È ormai evidente che oggi non si parla più solo genericamente di turismo ma di “Turismi”, ovvero di tante forme di turismo che aiutano a destagionalizzare l’offerta. Come Confapi Calabria stiamo lavorando, proprio in vista del 2025, ad un progetto di turismo religioso e culturale che passi dalle tante location calabresi per lo più sconosciute ma di grande valore culturale: un vero e proprio Brand Calabria per il Giubileo che è ormai alle porte: dalla Porta Santa alle porte delle città, a cominciare dalle nostre località. Il turismo è un settore ad alta intensità di lavoro, in cui la qualità dell’offerta è fortemente legata alla qualità del servizio e alla professionalità degli operatori, in tutta la filiera dell’accoglienza.

Il recupero di competitività è associato a un ampliamento del prodotto e all’espansione della quantità e della qualità dell’occupazione nel turismo e nelle filiere collegate. I siti archeologici ed i monumenti, sono la risorsa culturale di maggiore rilevanza della Calabria e rappresentano, a livello internazionale, certamente qualcosa di eccezionale. La Calabria ha sette parchi archeologici, che si trovano nelle zone di: Sibari, Capo Colonna, Scolacium, Locri, Vibo Valentia, Lamezia Terme, Monasterace.

La nostra proposta è quella di una terapia d’urto che passi anche da iniziative informative riguardanti le bellezze della Regione Calabria, in quanto in Italia, in Europa e negli altri continenti, manca un’ informazione adeguata su di essi, sia in rete che in altri media. Pochi paesi al mondo possono vantare un insieme di siti archeologici come la Calabria. E, quindi, ciò che occorre, è innanzitutto un’ azione decisa di informazione in rete e l’attuazione di eventi di risonanza internazionale, atti ad attirare l’attenzione su di essi a livello italiano, europeo, mondiale. (fn)

[Francesco Napoli è presidente di Confapi Calabria]

COGLIERE L’OPPORTUNITÀ DI RIDISEGNARE
LA CALABRIA CHE L’ITALIA NON SI ASPETTA

di MIMMO CRITELLI – Gli ultimi avvenimenti, nazionali e regionali (Autonomia Differenziata, Bonifica Sin, etc.) che hanno riguardato il posizionamento degli schieramenti politici Calabresi (Cdx e Csx), spingono ad una riflessione di merito per coglierne i punti di forza piuttosto che quelli di debolezza.

A questo si somma anche il documento-riflessione promosso dal Comitato Magna Graecia, del quale mi pregio di far parte anche in termini di ispirazione teorica, relativamente l’immobilismo amministrativo della fascia jonica: pienamente condivisibile.

Non appaia pretenziosa la simmetria fra l’autonomia delle Regioni e la conseguente perifericità dell’Arco Jonico, dal momento che in esso si sommano tutta una serie di criticità speculari alla stessa differenza fra nord e sud del Paese.

Parafrasando Roberto Occhiuto: il Tirreno e i Capoluoghi “borbonici” (Reggio Calabria, Catanzaro, Cosenza) rappresentano una Ferrari, a differenza dello Jonio accostabile alla Panda tanto cara al “mio” Governatore.

Non è una semplificazione, ma semplicemente una presa d’atto. Ho apprezzato e difeso il comportamento tenuto dal “mio” Presidente in ordine alle zone d’ombra e alla frettolosità con le quali la maggioranza Parlamentare di Cdx ha approvato il disegno di legge che regola l’autonomia delle Regioni.

Una maratona notturna, come i “compari” di Pisa, alla quale si sono sottratti molti parlamentari PopolarLiberali, per come mi piace appellare quelli di Forza Italia, in special modo quelli calabresi.

Ebbene, trascorse alcune settimane da quel contraddittorio politico e istituzionale con la Lega e la costituzione di qualche “Osservatorio” sugli effetti e le implicazioni dell’applicabilità della legge, si è mancato di mettere in evidenza che, ancora una volta, il ministro Calderoli si è dimostrato un “prestigiatore” dei meccanismi parlamentari e legislativi.

Sono stati colti con le mani nella marmellata, Calderoli e Zaia, dalla loro stessa frettolosità propagandista, un pò come quegli ambulanti avventizi del mordi e fuggi.

La richiesta di autonomia del Veneto, per le molte ed importanti materie non soggette ai Lep, e senza la prescrizione di un’area perequativa che azzeri il criterio della spesa storica, ha di fatto svelato l’azione unilaterale della Lega che ha finito per spiazzare anche Fratelli d’Italia che oggi è un partito che raccoglie uniformemente il suo consenso nazionale.

La successiva iniziativa europea di collocazione della Lega nel partito dei “Patrioti” di Orban, per circoscrivere la leadership di Giorgia Meloni al campo nazionalista piuttosto che europeista, è stato l’altro tassello di una strategia lucida che prova a marginalizzare il ruolo dei Popolari-Liberali-Riformisti italiani.

Ormai non sono più da annoverare come movimenti carsici quello che sta avvenendo nel rapporto fra Lega e FdI, dalla costituzione del Governo, sbilanciato a favore della Lega rispetto a FI, passando per Autonomia, Premierato, Giustizia ed Europa.

Su questi capisaldi programmatici, FI riesce a difendere le sue radici liberali e riformiste solo grazie al Ppe. Ma ritornando alla Calabria, e alla controversa legge sull’autonomia differenziata, ho motivo di pensare che Occhiuto sia rimasto più condizionato dal suo ruolo nazionale, nel porsi sulla stessa linea degli altri Governatori del Sud, insieme a Bardi, a sostegno di un Referendum che surclasserà, in termini di firme e di esito elettorale, persino quello sul nucleare o sulla riduzione dei Parlamentari.

Questa legge farlocca, da “compari” di Pisa, può solo essere disinnescata dall’esito Referendario. In caso contrario, anche se dopo due anni per le materie LEP e da subito per tutto il resto, non c’è bisogno di aspettare il parere di illustri economisti per stabilirne gli effetti distorsivi e separatisti.

Quali speranze ha un Paese dal debito pubblico sproporzionato che, nel frattempo, ha persino accentuato il divario economico e sociale fra macro aree (anche al loro interno), di vedere crescere omogeneamente e in competetizione paritaria l’intero sistema Paese? A mio giudizio, nessuno.

E spero, ardentemente, di essere smentito anche dal più semplice studente di economia senza dover scomodare luminari. Cambiando lo scenario territoriale, la Calabria non si sottrae alle dinamiche nazionali.

Se per decenni, non qualche anno, lo sviluppo e le strategie progettuali hanno orientato risorse e infrastrutture sull’asse Tirrenico o Ten-T (trasversale europea), non è forse ciò che è avvenuto fra Nord e Sud del Paese?

Non è forse che sullo “storico” calabrese oggi sentiamo parlare più di Ponte sullo Stretto che di “Autostrada dei tre mari”? In tal caso mi lascio prendere dalla mia personale suggestione di congiunzione fra le due sponde mediane del Tirreno e dello Jonio per poi procedere verso l’Adriatico nell’ambito della Macro Regione Mediterranea. E chissà che quest’ultima non sia più di una suggestione ma, forse, la soluzione al problema dell’autonomia, dove il Sud e i suoi circa 20Ml di abitanti potrebbero rappresentare una opportunità per l’Italia e per l’Europa.

Non nascondo di aver temerariamente accostato Autonomia, Bonifica dell’area Sin e Provincia della Magna Graecia, appena ho appreso che Occhiuto ha impugnato il provvedimento del Governo, e del “suo” ministro Pichetto Fratin, di smaltire i rifiuti in discarica privata adibita a ricevere quelli speciali e altamente inquinanti che giacciono in mare, da 50 anni, e sulla “consortile” da almeno 20 anni. L’occasione di un Presidente temerario, oltretutto “mio” Presidente, mi ispira una conclusione.

Se lo Jonio sta alla Calabria, come la Calabria sta all’Italia, si colga l’opportunità di ridisegnare la nuova Calabria, un’altra Calabria che «l’Italia non si aspetta».

Non la Calabria delle 3 macro Province di emanazione Sabauda, ma l’inedita Calabria che non torna indietro, ma guarda avanti e recupera il protagonismo delle periferie, spesso per auto-afflizione ed irrilevanza.

Crotone e Corigliano-Rossano nuovo asse dello sviluppo poliedrico poggiato su Bonifica e rilancio produttivo del Sin di Crotone-Cassano-Cerchiara insieme all’ex sito Enel. La Zes unica come strumento programmatico ed economico per rilanciare la piattaforma logistica e intermodale del Mediterraneo orientale.

Senza campanilismi, ma in una visione ampia, solidale e di coesione.

Il sistema politico locale è inidoneo ad intravedere il futuro che si sta prospettando, salvo stracciarsi le vesti dopo prendendosela con gli altri e mai con il proprio pressappochismo.

Persino Cgil e Cisl si sono lasciati riaccorpare nell’area Centro, lasciando la sola Uil di Fabio Tomaino, alla quale mi sono iscritto, a resistere sull’autonomia organizzativa provinciale.

Si procede a grandi passi per un ritorno alle tre macro Province attesa l’irrilevanza delle piccole Crotone e Vibo.

Non voglio credere che il riformista Occhiuto, il liberalpopolare Occhiuto, il Presidente della scommessa di Governo nella Regione più depressa che sta affrontando con sicurezza e autorevolezza, possa assecondare un ritorno allo status quo ante 1993, senza aver tastato il polso ai cittadini, anche solo come parere consultivo come nella fusione di Cosenza Rende e Castrolibero e, mi auguro, anche di Montalto (inspiegabilmente esclusa dal virtuoso processo).

Nell’unica occasione di interlocuzione, de visu, che ebbi con Roberto Occhiuto nel luglio 2021 a Gizzeria, e della quale conservo piacevole ricordo e lo ringrazio, ne condivisi, insieme al compianto Peppino Cosentino, gli spunti e la visione progettuale.

Dal canto mio, gli espressi il convincimento che la Calabria avesse bisogno di un intervento meditato e partecipato, una conferenza interistituzionale regionale di riorganizzazione amministrativa, istituzionale e territoriale. I tempi sono maturi per lanciare anche questa sfida al sistema anchilosato dei partiti.

Il “mio” Presidente è in grado di andare oltre gli schemi, come ha dimostrato in questi tre anni di Governo, senza particolarismi ma con una visione generale e oggettiva?

La sfida del Governo si vince quando si recuperano gli ultimi e gli si offre una prospettiva migliore. Questo vale per la Calabria in Italia, come per lo Jonio in Calabria. (mc)