Quali nuovi scenari per la Calabria e il Paese
dopo la vittoria di Roberto Occhiuto

di DOMENICO NUNNARI – Occhiuto ha vinto, anzi ha trionfato (e con lui Forza Italia) e il Pd (con campo largo e sinistra woke) può portare i libri in Tribunale: sezione fallimentare. Vince il centro, in Calabria, perde la sinistra “woke” (Elly Schlein e i suoi smarriti compagni ) che scambia i diritti sociali con quelli civili, che, parlando di priorità, è un po’ come quando a Maria Antonietta dissero “maestà non c’è più pane” e lei rispose “mangino brioche”.

Perdono anche i 5 Stelle, che sperano di rifarsi a Napoli con Fico, l’ex presidente della Camera, che il giorno dell’elezione prese l’autobus per andare al lavoro, si fece un selfie, e poi non lo prese più.

In Calabria, mancano pane e lavoro, infrastrutture e servizi, e i 5 Stelle in campagna elettorale avevano promesso di abolire il bollo dell’auto. Mah. Occhiuto, forte di quattro anni di lavoro apprezzabile (quantomeno se paragonato ai disastri fatti prima di lui) ha promesso di finire il lavoro della legislatura da lui stesso interrotta, ed è stato creduto. L’errore da evitare, tuttavia, nell’after day elettorale calabrese – che ha una sua proiezione nazionale – è esaltare oltre il dovuto la cavalcata del riconfermato presidente; e sparare sulla “coalizione per addizione”: Pd, 5 Stelle, Avs, denominata campo largo. Sarebbe facile ma esagerato celebrare più di tanto Occhiuto, che ha avuto coraggio e fatto una mossa astuta, da politico navigato, e sarebbe ingiusto sparare a pallettoni sull’aggregazione guidata da Pasquale Tridico, l’uomo dei 5 Stelle, economista sociale, uomo perbene, ma vittima sacrificale della disfatta dell’Armata che non aveva  le munizioni per vincere la battaglia, e lo sapeva.  Un’armata senza idee e senza leader, formata da sudditi acquattati alle corti romane. Sarebbe come sparare sulla Croce Rossa, meglio evitare. Rischieremmo di sentirci rimproverare con quella celebre frase “Vile, tu uccidi un uomo morto!», pronunciata dal mercante fiorentino Ferrucci, quando Maramaldo si avvicinò per ucciderlo. Ma queste cose accaddero nel 1527, a Firenze, quando un tumulto repubblicano abbatte la Signoria de’ Medici. Noi, adesso, dobbiamo ragionare sul futuro della Calabria, parlandone in Calabria, sui nostri giornali, nelle nostre università, nei circoli giovanili, nelle associazioni culturali, nelle parrocchie, tra la gente e con la gente; quella che si alza all’alba e fatica e fa girare il motore del mondo. Dobbiamo anche tapparci le orecchie, per non sentire i giudizi bizzarri che arrivano da fuori, dai talk show televisivi che, più che a bar dello sport assomigliano alle vecchie cantine, dove saliva l’odore acre e pungente del vino andato a male. Posti – i talk show – dove qualcuno, l’altra sera, per commentare il voto calabrese, se n’è uscito così: «Beh, la Calabria è bella, ma si sa che è una regione particolare».

Particolare? Che significa? Nessuno, nello studio televisivo, ha chiesto spiegazioni al giornalista pop, che ha pronunciato quell’aggettivo “particolare”; forse hanno condiviso, o loro hanno capito quel giudizio enigmatico. Ci sarebbe voluto il Carlo Verdone del dialogo esilarante con la Sora Lella, di Bianco, Rosso e Verdone, per chiedere: «Che vor dì?».  E poi dare la risposta: «Che te la piji inderculo». Scusate, ma pure il vecchio cronista, non ne può più, di pregiudizi stupidi sulla Calabria, di ignoranza grassa, nei confronti di questa regione, e può perdere l’aplomb che molti – immeritatamente – da sempre gli riconoscono. Non si è capito, invece, che questo voto calabrese è una lezione esemplare, che viene da una Calabria stanca, avvilita, ma democratica, e in fondo anche speranzosa. Una lezione, che dovrebbe far riflettere l’opinione pubblica nazionale e la sinistra woke, che conosce la Calabria molto meno degli scrittori viaggiatori del Gran Tour, sui quali la regione più povera d’Europa esercitava una certa attrattiva. La straordinaria performance del Centro (Forza Italia di Occhiuto) è anche una lezione all’Italia smarrita, confusa, obbligata a tenersi stretta – in mancanza di alternative credibili – la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, politica di lungo corso, le cui radici affondano nella destra postfascista italiana. Lei stessa, ha rivendicato con orgoglio il suo ruolo antico nel Fronte della Gioventù, che era il movimento giovanile dell’Msi. A Meloni, evitando di cadere negli stereotipi preconfezionati, va riconosciuto di essere capace ed abile, e di essere riuscita –  facendo a volte quel che dovrebbe fare la sinistra – ad attrarre un elettorato sfiduciato e senza casa; un elettorato che, senza magari aver mai letto l’Ernest Hemingway de “Il vecchio e il mare”, si ritrova a condividere alcune parole di quel romanzo: «Ora non è il momento di pensare a quello che non hai. Pensa a quello che puoi fare, con quello che hai»; che è lo stesso consiglio che Theodore Roosevelt, presidente degli Stati Uniti negli anni ‘40, diede ai suoi connazionali: «Fai quello che puoi con quello che hai, nel posto in cui sei». Meloni, è quel che passa il convento. In mancanza di alternative si resta a casa, ed è quello che fa ormai in tutte le elezioni la maggioranza degli elettori italiani. Non sempre, ci si può pur  turare il naso, e andare a votare, come consigliava Indro Montanelli. Ma allora si parlava della Democrazia Cristiana, da accettare turandosi il naso, non della sinistra woke, che è destra, ma non lo sa. Forse, tra opinionismo folkloristico, e sparate preconcette, di giornalisti pop, la sintesi più azzeccata del voto in Calabria, l’ha fatta “Dagospia”, sito online cliccatissimo di Roberto D’Agostino: “La vittoria di Occhiuto in Calabria straccia ogni alibi al Campo largo…”. Dagospia, più veloce di tutti, ha dato al voto calabrese la dignità di test nazionale. Seguito da Marcello Sorgi, che su “La Stampa”, pur ragionando sul voto regionale, ha ammesso che gli effetti del voto calabrese sono deleteri [per la sinistra], oltre i confini calabresi: «Sono tali da uscirne tramortiti». L’interpretazione più approfondita, più avanti – se non saranno distratti – toccherà ad analisti e politologi, dato che questa virata al “Centro” in Calabria apre scenari, a destra e sinistra, finora non ipotizzati.

Pur premettendo, che le elezioni regionali, come le elezioni europee, sono altra cosa, rispetto alle elezioni politiche, Angelo Panebianco, sul “Corriere della Sera”, ha preso spunto dalle elezioni calabresi per spiegare perché la sinistra ha perso: «L’attenzione era tutta concentrata sui leader (Schlein, Conte, Landini, eccetera) e su ciò che fanno o non fanno. Come se gli elettori non esistessero. Come se gli elettori fossero pacchi, spostabili di qua o di là a seconda di ciò che decidono i leader. Ma gli elettori non sono pacchi, hanno le loro idee, i loro interessi, i loro tic, le loro abitudini. E i leader devono tenerne conto».

Anche in Calabria, la coalizione di sinistra, ha considerato gli elettori come i pacchi di Panebianco, con un atteggiamento anche di stampo coloniale. Come giudicare la candidatura della filosofa Donatella Di Cesare (che non ce l’ha fatta), candidata per Alleanza Verdi, Sinistra? Si è detto che ha origini calabresi, e va bene, ma null’altro giustificava questa candidatura, se non sfiducia evidente verso gli esponenti calabresi di Avs, ritenuti non meritevoli di essere candidati. Si è fatto come quando in nazionale si convocano gli oriundi, per inadeguatezza dei calciatori italiani. Ma adesso lasciamo queste riflessioni, apparentemente superficiali, che  hanno però il loro valore, e proviamo a spoilerare il dopo vittoria di Occhiuto, leader di Forza Italia – un “democristiano 2.0.” – cresciuto nella Cosenza dei giganti politici Mancini e Misasi: l’uno socialista, l’altro democristiano, due leader che hanno lasciato, nel tessuto socio-culturale della città bruzia, la scia del loro profilo umano e politico alto; un piccolo tesoro, a cui ognuno, che entrando in politica abbia buone intenzioni e passione, può attingere sempre. Il maggiore successo di Occhiuto, è aver spostato la Calabria politica al “Centro”, con notevole ridimensionamento delle ambizioni di FdI, lasciando inchiodato ai suoi numeri piccoli la Lega, nonostante gli aiutini dell’ex presidente della Regione Giuseppe Scopelliti (storico leader della destra), a Reggio Calabria. L’ha intuito Antonio Tajani – successore di Berlusconi in Forza Italia – il significato della vittoria di Occhiuto, e si è affrettato a lanciare un’opa, offerta pubblica di spazi, per gli ex partiti di centro: «Il compito di Forza Italia è quello di coprire lo spazio che era della Democrazia Cristiana e del Partito Socialista».  Un avvertimento, anzi una notifica, non solo ai suoi alleati, ma anche al Pd di Schlein – partito in origine plurale – che il centro va cercando, dopo averlo allontanato, diventando sinistra woke, che – come dice Susan Neiman, filosofa di origine ebraica nel libro “La sinistra non è woke” – significa che la sinistra è diventata come la destra, «ma, poverina, nemmeno lo sa».

C’è, infine, un altro aspetto [positivo] da cogliere, nell’elezione calabrese, e riguarda il fair play finale del confronto tra gli sfidanti, culminato nella telefonata dello sconfitto Tridico al vincitore Occhiuto: «Ho chiamato Occhiuto e gli ho fatto i complimenti. È stata una battaglia intensa, vera, difficile». Ottenendo, come risposta, a stretto giro: «A Tridico, ho rivolto due inviti: collaborare con me in qualsiasi ruolo decida di farlo e lavorare per pacificare questa regione». È un finale incoraggiante, questo che viene dai titoli di coda, del film delle elezioni. La parola pacificazione, è una bella parola, come riconciliazione. Ne abbiamo bisogno, tutti. Per uscire dal tunnel buio, in cui da decenni la Calabria si è cacciata, non si può, senza unire le forze vive e le lucide intelligenze della società democratica e della politica. Occhiuto, ha il dovere di provarci, a unire la Calabria, a pacificarla, riconciliarla e Tridico – da posizioni diverse, anche nel caso torni a Bruxelles, cosa legittima e forse anche utile alla Calabria – deve saper tendere la mano. (mn)

REGGIO EMILIA CANCELLA VIALE CUTRO?
UN BRUTTO SEGNALE DI VERO DISPREZZO

di SANTO GIOFFRÈHo assistito, con grande stupore e disdicevole sgomento, alla querelle che da qualche mese sta infiammando l’estate, che per noi calabresi è già torrida, prossima al deserto antropologico in cui un certo filone di pensiero dominante vorrebbe ghettizzarci. La proposta di modificare il nome alla strada che corre, tra due rotatorie, dalla periferia fin alla città, ricchissima, di Reggio Emilia e che, dal 2009, è nomata “Viale della Città di Cutro”, nasce dopo le affermazioni dal ex Prefetto di Reggio Emilia, Antonella De Miro, strenua combattente contro le infiltrazioni della ‘Ndrangheta di Cutro nel tessuto economico-finanziario e politico di Reggio Emilia.

Noi, umilissimi osservatori, che contrastiamo, con i pochi mezzi che possediamo, la ‘Ndrangheta politica infiltrata in tutti i gangli della società calabrese, riteniamo che un eventuale provvedimento della Città di Reggio Emilia che porti alla cancellazione di quella dicitura, in quella strada, sia un pessimo segnale per la società civile e segnerà il trionfo della ‘Ndrangheta perché rafforzerà, in senso universalistico, l’opinione comune secondo la quale, per principio, ogni calabrese è un ‘Ndranghetista.

Sono i tempi che sono cambiati, degenerando in una forma di egoismo rabbioso e insofferente, che rasenta la xenofobia, verso chiunque è considerato un diverso. La meraviglia, semmai, è che ciò accada a Reggio Emilia, città-mito della nostra giovinezza per aver avuto la fortuna di essere governata, in passato, ininterrottamente dal Partito Comunista, da sempre sostenitore dei diritti fondamentali di ogni uomo e baluardo contro ogni forma di fascismo, razzismo e soprusi. La ‘Ndrangheta, in Calabria, come a Reggio Emilia, ebbe un solo, vero e implacabile nemico, che la contrastò in tutti i modi possibile: il Partito Comunista Italiano.

In Calabria, caddero, assassinati, decine di militanti del PCI e della Sinistra, perché combattevano a mani nude contro quel cancro, mentre il Potere banchettava con la ‘Ndrangheta. Lo stesso successe a Reggio Emilia. Finché esistette il PCI, la ‘Ndrangheta di Cutro non attecchì mai in quel territorio. Come, ormai,  accade in tutt’Italia, la ‘Ndrangheta, che è una “Patologia del Potere”, vive e prospera  in contiguità e connivenza con ogni potere di turno che la utilizza come meglio gli torna utile.

Se a Reggio Emilia  la ‘Ndrangheta di Cutro si è infiltrata in tutti I settori economici-finanziari, negli studi dei commercialisti,  negli appalti, nelle banche, nei servizi pubblici, instaurando stretti contatti con l’imprenditoria locale, la colpa, sicuramente, non è da imputare alla numerosa Comunità dei Cutresi di Reggio Emilia. La colpa è di chi non ha visto o non ha voluto vedere, mai, nulla. Di chi, paradossalmente, per anni e anni, non si è accorto di niente e non ha contrastato, efficacemente e fin dall’inizio, quelle infiltrazioni, probabilmente, per interesse e convenienza. Identificare tutta la Comunità dei Cutresi di Reggio Emilia con la ‘Ndrangheta, perché ciò apparirà cancellando quella dicitura da quella strada, è un grave errore politico che rasenta il disprezzo. Io parlo con cognizione di causa. Giovanissimo medico-ginecologo, mi sono formato, professionalmente, quarantacinque anni fa, in Emilia, nell’ospedale di Scandiano, sotto la scuola dell’indimenticabile dr. Passerelli, maestro e amico, grande oncologo-ginecologo. In quel tempo, ho frequentato, assiduamente, la Comunità dei Cutresi di Reggio Emilia. Persone semplici, gran parte muratori e impiegati nei lavori più umili. Persone che erano fuggiti da una grande fame e che a Reggio Emilia, fortemente richiesti, avevano trovato accoglienza e casa.Gente piena di calli nelle mani. Certo  il tempo è passato. Reggio Emilia, guidata dalla buona amministrazione del PCI e, anche, grazie ai Cutresi, è divenuta una potenza economica, con un alto modello di vita e offerta di servizi sociali alla sua Popolazione, i migliori d’Italia. Gli allentamenti dei meccanismi di controllo di legalità, dopo la fine del PCI e dei Partiti Storici della Sinistra, la comparsa di sistemi economici e finanziari distorti, come quelli vigenti in Italia, furono segnali propensi ad attirare gli appetiti, come tra l’altro succede nel resto della Nazione  e in Europa, della ‘Ndrangheta, non perché vi siano Cutresi o  Calabresi in giro per l’Italia, ma perché il capitale tossico se li porta appresso gli ‘Ndranghetisti. Accusarci di essere tutti ‘Ndranghetisti, mentre la Calabria non ha più sanità pubblica e paga 400 milioni di euro l’anno al Nord, compresa l’Emilia Romagna, per vedere curati i suoi abitanti e, nello stesso tempo, dilaniata dalla ‘Ndrangheta, è la fine di ogni spiraglio del senso insito di Unità Nazionale. Amaru cu avi bisognu dill’aiutu altrui… (sg)

[Santo Gioffrè,  medico e scrittore]

ARTIGIANATO CALABRESE, UN COMPARTO
CHE RESISTE CON TENACIA A DIFFICOLTÀ

di ANTONIETTA MARIA STRATI – È un comparto che resiste con tenacia alle difficoltà, senza tuttavia trovare pieno slancio, quello dell’artigianato in Calabria. Lo dicono i numeri dell’ultimo report dell’Osservatorio MPI di Confartigianato Imprese Calabria, che analizza dinamiche occupazionali, demografiche e produttive delle micro e piccole imprese regionali.

Nei primi sei mesi dell’anno, la Calabria ha registrato un saldo positivo di +98 imprese artigiane, con 1.282 nuove iscrizioni e 1.184 cessazioni. Un dato che segna un lieve miglioramento rispetto al +67 del primo semestre 2024, ma che rimane inferiore rispetto al +125 del 2023 e lontano dal record post-pandemico di +251 registrato nel 2022. In termini relativi, il tasso di crescita si attesta allo 0,51%, posizionando la Calabria al quinto posto tra le regioni italiane per saldo artigiano in rapporto al numero di imprese esistenti.

Nonostante il segno più, il trend mostra un rallentamento rispetto alla crescita degli anni precedenti. Questo andamento suggerisce una resilienza diffusa, ma anche una crescente difficoltà nel sostenere nuove attività, specialmente in contesti locali dove il contesto economico e sociale continua a porre ostacoli strutturali.

Il settore delle costruzioni continua a trainare la crescita: +155 imprese nel semestre, beneficiando ancora, seppur in modo attenuato, dell’effetto Superbonus e degli incentivi edilizi. Seguono le attività di riparazione veicoli e installazione di impianti con +39, e il comparto del benessere (parrucchieri, estetisti) con +28. Positivi anche i dati sull’artigianato alimentare e sulle lavorazioni metalmeccaniche.

Di contro, segnano il passo i servizi alle imprese (-31), la manifattura tessile-abbigliamento (-9), le attività grafiche e di stampa (-3) e quelle connesse all’informazione e comunicazione (-3), a dimostrazione di come le difficoltà inflattive e l’instabilità dei consumi stiano frenando l’innovazione e la digitalizzazione del comparto artigiano.

Analizzando la dinamica delle iscrizioni, si osserva una flessione: da 1.303 nuove aperture nel primo semestre 2024 si scende a 1.282 nel 2025. Le cessazioni restano invece quasi invariate: 1.184 contro 1.236 dell’anno precedente. Questo significa che la crescita è dovuta più a una lieve contrazione delle chiusure che a un aumento delle nuove attività. Un segnale, questo, che lascia intravedere prudenza diffusa e difficoltà di accesso al mercato per le imprese nascenti.

Il report sottolinea il peso crescente dei costi di finanziamento e dell’inflazione sui conti delle imprese. L’accesso al credito bancario rimane critico per molte micro e piccole realtà, in particolare per quelle non strutturate. Il costo del denaro e la rigidità dell’offerta creditizia stanno limitando la possibilità di investire in tecnologia, formazione e innovazione, proprio in un momento in cui la transizione digitale e green richiederebbe maggiore slancio.

«Il dato positivo sul saldo delle imprese artigiane dimostra che il tessuto imprenditoriale calabrese è ancora vivo e determinato – afferma Salvatore Ascioti, presidente di Confartigianato Imprese Calabria – ma non possiamo accontentarci di una crescita modesta e faticosa».

«Il rallentamento degli ultimi anni – ha proseguito – impone una riflessione seria su come sostenere realmente chi fa impresa nei nostri territori. Servono strumenti di accesso al credito più agili, incentivi mirati e soprattutto una burocrazia più snella. Gli artigiani calabresi sono abituati a rimboccarsi le maniche e lavorare con passione, ma da soli non possono reggere l’urto dei rincari e delle incertezze».

«È importante – ha concluso il presidente Ascioti – definire una strategia regionale di lungo respiro che punti su formazione, digitalizzazione e filiere produttive locali. Dobbiamo scommettere sulla qualità e sulla capacità delle nostre imprese di fare sistema».

In conclusione, un’attenta disamina dei dati dell’Osservatorio Mpi ci permette di sottolineare quanto l’artigianato calabrese continui a rappresentare un presidio fondamentale di occupazione, competenze e identità economica. Ma la vitalità del settore è messa alla prova da condizioni di contesto ancora sfavorevoli: politica e istituzioni dovrebbero riconoscere il ruolo delle micro e piccole imprese, e creare le condizioni per una vera ripartenza, fondata su credito accessibile, investimenti strutturali e politiche pubbliche coerenti. (ams)

LA CALABRIA E 55 ANNI DI REGIONALISMO
TANTE LE RIFORME ANCORA DA ATTUARE

di DOMENICO CRITELLI – Nel 2025 stiamo girando la boa del 55mo anniversario di Regionalismo Calabrese.

Un passaggio ordinario, ormai, di funzionalità della legislazione differenziata e concorrente. Sarebbe stato opportuno, dopo oltre 50 anni, fare un bilancio dei miglioramenti o dei deficit, dei punti di forza e dei punti di debolezza. Di tutto ciò che si poteva fare, e si potrebbe ancora fare, per rendere i calabresi cittadini normali.

Un dato storico il 1970 allorquando si inserì, nella Costituzione, il sesto pilastro del nostro impianto Repubblicano (Corte Costituzionale, Parlamento, CSM, Regioni, Province, Comuni). Ogni anno, puntualmente, si dibatte dei Moti di Reggio successivi a quell’evento. Due narrazioni che si intrecciano e correlate fra di esse, in quanto ad implicazioni politiche e Istituzionali.

La ricostruzione che ne fa Calabria.Live, puntuale e oggettiva, aiuta il “guidatore” (il legislatore odierno) esattamente come uno “specchietto retrovisore”. Non vi si può tenere costantemente lo sguardo, perché si rischia di andarsi a schiantare.
Ma neanche ignorarlo del tutto, per evitare di essere orientati solo da revisionismo fine a se stesso o dalla riproposizione, de quo, di fatti e accadimenti ormai lontani e metabolizzati.

Una occhiata rapida, giusto per calibrare i giudizi, aiuterebbe a rendere più mirati i cambiamenti dell’impalcatura istituzionale ed amministrativa della Calabria, ma, soprattutto, geopolitica. Non è ordinario provare ad aprire un confronto su come rilanciare temi nazionali ma dalle implicazioni territoriali.

L’autonomia differenziata ed il Ponte sullo Stretto, senza perdere di vista la prospettiva di una maggiore coesione, questa volta politica, anche delle Istituzioni Europee.
Non è nemmeno pretenzioso, da parte mia, legare fatti transnazionali con prospettive di macroarea. Intanto, perché tutto si tiene insieme.

Poi, perché ne abbiamo titolo, essendo la Calabria, fra le altre, a comporre la Comm.ne InterMediterranea e ad esprimerne il Presidente, nella persona di Roberto Occhiuto.
E, in ultima istanza, perché sono temi dei quali mi appassiono e scrivo da anni. Il Mediterraneo, non un Oceano, ma con una rilevanza che lo tiene sempre al centro degli equilibri mondiali e ne fa parlare con la stessa dovizia e visione prospettica del Pacifico o dell’Atlantico.

Indubbiamente spazi acquei sterminati che, oltre a collegare continenti, sono sempre stati ritenuti baluardi anche di difesa degli Stati bagnati, per come sostiene Tim Marshal nel suo libro “Le 10 mappe che spiegano il mondo”. Lo stesso Mediterraneo con i suoi “affluenti” (Sicilia, Sardegna, Tirreno, Jonio, Adriatico etc.) potremmo assumerlo come il “nostro” oceano, dacché Mare Nostrum.

Assolutamente rilevante, anche perché in esso si svolge oltre il 25% dell’intero traffico commerciale e turistico del mondo. Senza attardarci in statistiche o citazioni, per venire rapidamente alla “provocazione ma non tanto”, bisognerebbe avere l’ambizione di superare la storica suddivisione di Calabria Citra e Calabria Ultra, dalle quali discesero, qualche millennio dopo, e fino al 1993, le tre Province di emanazione Sabauda (Catanzaro Cosenza Reggio Calabria): la “Calabria dei due Mari”.

Unica Regione italiana ad essere completamente avvolta da due mari, pur non essendo un’isola ma collegata alla terra dall’Istmo di Catanzaro. Si tratterebbe di ridare dignità, o anche di risarcire, l’intera fascia Jonica (Sibari, Corigliano Rossano, Crotone etc.) che, nei millenni successivi alla dominazione Magno Greca, hanno visto perdere sempre più rilevanza fino a ridursi in una terra di passaggio e di sempre meno residenza, fagocitata dai centralismi Regionali ed extra Regionali.

Ecco perché Autonomia e Ponte sullo Stretto potrebbero offrire la stura a rilanciare la MacroRegione Mediterranea, con zoccolo di partenza, Sicilia Calabria e Basilicata, e Capoluogo la “Città dello Stretto” unite dalla più grande opera ingegneristica del mondo, almeno in quanto a lunghezza e temerarietaà geostatica. La seconda Regione d’Italia con i suoi poco più di 7 mln di abitanti.

Una opportunità irripetibile per rilanciarci, affidandoci a noi stessi e, soprattutto, alla nostra testardaggine: quella positiva, ovviamente.
Non trascurerei neppure il fatto che le tre Regioni hanno la stessa maggioranza politica e la guida affidata a 3 Liberalpopolari che affondano, nell’autonomismo Sturziano, la cultura di Governo che li orienta. Saremmo competitivi e da primato su diverse materie quali Energia, Turismo, produzioni agricole, beni archeologici, enogastronomia mediterranea e Contee vitivinicole. E poi, artigianato e industrie eco-sostenibili.
Una sfida quotidiana ad elevare la qualità della vita, tra gli altri, dei Calabresi e di quelli Jonici, alla pari.

Sopratutto tornare ad essere attrattivi anche per tutti i nostri figli che hanno deciso di mettere subito a reddito i sacrifici di anni di studio, emigrando. L’articolazione Amministrativa fra funzioni legislative (Comm.ne Europea, Stato e Macro Regione) e di coordinamento (Province) potrebbe applicare, sul principio di densità demografica e contiguità territoriale, l’estensione e/o la contrazione di Province preesistenti ma dalle dimensioni sproporzionate, anche rispetto alla rivisitazione dell’ultima legge di Riforma, Del Rio, che pone un tetto(300 mila abitanti) oltre il quale il territorio finisce per essere sterminato e ingovernabile.

Allo stesso modo, sperequativo, Province piccole come Crotone e Vibo, o, addirittura, di pochi Comuni, 6 (sei) come nel caso della Provincia Toscana di Prato.
Le riforme nazionali, che procedono a rilento, fra scontri di casta o ideologici, come la Giustizia, il Premeriato e la stessa Autonomia fiscale, non possono non trovare applicazione che dialogando con il territorio.

In Calabria, invece, tutto si stà riaccorpando secondo la vecchia articolazione istituzionale delle 3 grandi Province preesistenti al 1993: aree nord, centro e sud.
Da ciò, le Camere di commercio, le organizzazioni di categoria, i Sindacati confederali etc.

Un “usato sicuro”, per molti, ma senza riscontro del sentimento popolare e delle ricadute politiche, infrastrutturali ed economiche.

A questo sommiamo la contestuale assenza dei partiti, ultraventennale, che non ha generato classe dirigente con capacità critica o autonoma visione del futuro, ma ambascerie periferiche, in taluni casi, vere e proprie sotto-prefetture del consenso.
Questo è, in buona parte, responsabilità della mia generazione che anziché porsi al servizio e basta, si è posta al servizio se.

Ma poi per fare cosa!? Per ritornare tutti abbracciati e, magari, anche saltellando, alla vecchia Provincia di Catanzaro? E chi lo stabilirebbe, il Consiglio Regionale o la Comm.ne parlamentare ?
Avevo proposto, già nel 2020, una consulta Regionale Interistituzionale aperta al mondo delle professioni e dell’associazionismo, per avviare, ad origine della legislatura, un confronto che avesse l’ambizione di aprire una stagione Riformista e innovatrice dell’articolazione Istituzionale amministrativa e territoriale della Calabria.

Cercando anche di evitare che questi 32 anni trascorsi dalla riforma delle autonomie locali (1993), si risolvessero alla Fantozzi (il comico): abbiamo scherzato. Se così dovesse essere, la forzatura sarebbe solo responsabilità dei tanti epigoni che calcano la scena nazionale e Regionale, senza interrogare o rendere partecipe il territorio.

Al netto delle preferenze personali – sono sempre stato per l’autonomia da Catanzaro fin dal 1979 anno di ingresso nella DC e, da qualche anno, sostengo la costituzione della Provincia della Magna Grecia – credo che il territorio vada costruito seguendo direttrici di sviluppo che riducono la perifericità dei territori e affidandosi, tra le altre infrastrutture, anche a Città policentriche o territorio.

Da ciò la fusione dei 6 Comuni rivieraschi di Crotone, Isola Capo Rizzuto,Cutro, Scandale, Rocca di Neto e Strongoli in un unico grande Comune di oltre 100 mila abitanti e ad una incidenza, e rilevanza geopolica, della più grande Città dello jonio calabrese, da Sibari a Locri, e del 3 territorio più esteso d’Italia dopo Roma e Ravenna(612 kmq).
Catanzaro, invece, è stata una Città “Centralista”.

Tutto avveniva subordinatamente agli interessi del Capoluogo. Da ciò la domanda di autonomia istituzionale, anticipata da quella politica, della mia generazione che, mi auguro, i “nuovi” sapranno difendere. Rispetto a questi temi riscontro, purtroppo, un fatalismo e una mancanza di idee, anche diverse, – chissà che non mi si convinca del contrario – che non lascia ben sperare, anzi!!

Le prossime elezioni Amministrative (2026) dovranno servire proprio per far crescere e condividere dal basso queste tematiche. Diversamente si continuerà a dibattere di Bonifica in termini reazionari e populisti senza neanche sapere di cosa si parla e quante opportunità si sono perse in attesa di Godot. Anche in questo caso, non mi fido dei nuovi e nemmeno di quelli della mia generazione che hanno attraversato gli ultimi 30 anni osservando o generando cumuli di rifiuti tossici e radioattivi ma utilizzando, nei mandati elettorali a loro discrezione per la Città, le Royalties.

E lo hanno fatto anche i cosiddetti Comuni Rivieraschi del Crotonese. Ecco perché mi fido e sostengo, solitariamente, l’azione del generale Errigo, Commissario Sin, sul quale si prova anche ad orientare il venticello della calunnia. Quest’ultimo anche da parte di chi essendo stato al Governo della Regione (Oliverio) o al Governo del Paese ( Conte I e II) ha titolo a confrontarsi ma non a porre addebiti o a suggestionare i Crotonesi.

Domenico Critelli è stato assessore Provinciale ed è componente del Comitato Magna Graecia]

Enogastronomia e turismo, binomio vincente per dare spinta alla qualificazione e allo sviluppo della Locride e della Calabria

di ARISTIDE BAVAEnogastronomia e turismo, binomio vincente per dare spinta alla qualificazione e allo sviluppo della Locride e della Calabria. Un messaggio chiaro quello partito dal Porto delle Grazie di Roccella, dove si è tenuto un incontro tra i rappresentanti della Associazione Italiana della cucina “Costa dei Gelsomini”, della Locride,  e quelli di “Gallura” della Sardegna.

Il tutto, proprio, nella stupenda cornice del Porto roccellese dove le due delegazioni dell’Aic si ritrovati presso la struttura la “SciabaKa”, presenti, tra gli altri, anche il sindaco della città Vittorio Zito e il consigliere regionale Antonello Talerico, che si sono appunto soffermati sull’importanza che riveste l’enogastronomia per lo sviluppo del settore turistico auspicando una doverosa promozione del settore. Assieme a loro anche Vasco De Cet, Amministratore Unico del Porto, che ha parlato dei successi che si stanno riscontrando grazie alla politica innovativa che si sta perseguendo e che vede la struttura di Roccella anche tra le mete più ambite dei vacanzieri da diporto. 

Per l’occasione sono stati presenti nella Locride, con il delegato della locale Aic, Giuseppe Ventra, che ha organizzato l’incontro, e il delegato di Gallura, Massimo Putzu, anche il delegato regionale, Rosario Branda, e tutti i delegati della provincia reggina ovvero Sandro Borruto, delegato A.I.C. area dello Stretto Costa Viola; Ettore Tigani, delegato A.I.C. Gioia Tauro – Piana degli Ulivi; Giuseppe Alvaro, delegato A.I.C. Reggio Calabria e Franco Prampolini, delegato A.I.C Area grecanica che, con brevi interventi, si sono alternati per condividere gli aspetti sociali della manifestazione. 

Sono intervenuti anche il giornalista Marco Bittau, coordinatore regionale del Centro studi regionale della Sardegna e il presidente del Consiglio di amministrazione della fondazione distrettuale Lions, Franco Scarpino. L’incontro è stato introdotto dal segretario dell’ Aic della Locride, Luciano Tornese.

La conviviale è stata imperniata su specifiche pietanze gastronomiche della tradizione locale, preparate dallo chef Vincenzo Forgione e illustrate nei particolari dall’imprenditore Salvatore Agostino che, proprio nei giorni, scorsi è stato insignito del “Premio Eccellenza Lions” per il suo importante e fattivo contributo nel campo della gastronomia e per le sue riconosciute capacità di promuovere i prodotti locali in Itali e nel mondo. Agostino è stato presentato dal simposiarca della giornata Paolo Commisso. La degustazione è stata preceduta con una significativa appendice a cura di Simone Ventra, noto medico specialista in cardiologia che si è soffermato, con dovizia di particolari, sul tema “fattori di rischio e malattie cardiovascolari”.

A cornice dell’incontro anche le esposizioni artistiche della pittrice Maria Grenci che ha offerto interessanti scorci del territorio. La giornata è stata arricchita dall’ingresso nell’ Aic “ Costa dei Gelsomini”, di ben cinque nuovi soci, ovvero Paolo Commisso, Francesca Costantino, Vincenzo Ursino, Raffaele Niceforo e Cesare Laruffa. A conclusione dell’incontro la delegazione della Locride ha donata agli ospiti la raffigurazione della Dea Persefone curata dall’artista  Alberto Trifoglio come ricordo e segno distintivo del territorio della Locride. (ab)

SI SCOPRE LA CALABRIA E IL TURISMO VOLA
224MILA TURISTI SCELGONO LA REGIONE

di ANTONIETTA MARIA STRATI – La Calabria svetta ai vertici del turismo. Secondo i dati forniti ieri mattina in conferenza stampa, la regione nei primi mesi del 2025 ha registrato il miglior dato di presenze turistiche degli ultimi cinque anni, raggiungendo quota 464.240 dei pernottamenti (+10,1%) rispetto allo stesso periodo del 2024.

Rialzo più che significativo anche per gli arrivi: oltre 224 mila turisti con una crescita pari al 10,4%. Andamento in controtendenza rispetto al dato provvisorio nazionale che registra, nello stesso arco temporale osservato, una contrazione sia degli arrivi (-7,2%) che delle presenze (-3,2).

L’analisi storica, inoltre, evidenzia come il primo quadrimestre del 2025 si configuri come il periodo più performante in termini di crescita tendenziale post-pandemica, sia sul fronte delle presenze che su quella dell’evoluzione degli arrivi. Più che rilevante anche il confronto con l’andamento provvisorio dei flussi su base nazionale

A trainare il risultato prioritariamente la componente estera. In particolare, il turismo internazionale mostra una crescita rilevante: gli arrivi dei non residenti aumentano del 45,8% e le presenze del 50,1%, con una permanenza media stabile a 3,0 giorni. Il tasso di internazionalizzazione è pari al 16,9% (+4,09 punti percentuali), con una punta del 25,9% ad aprile. In altri termini, per ogni 100 turisti che hanno scelto di trascorrere una vacanza in una località calabrese, 17 provengono dal mercato estero.

In forte espansione anche il comparto extra-alberghiero, che registra un incremento del 30,7% degli arrivi e del 21,0% delle presenze, consolidando il trend di diversificazione dell’offerta ricettiva regionale. Tra i 10 mercati esteri top player figurano Germania, Polonia, Francia, Stati Uniti, Spagna, Svizzera, Canada, Regno Unito, Brasile e Paesi Bassi che rappresentano il 59,0% degli arrivi e il 63,8% delle presenze rispetto al dato complessivo dell’incoming regionale. Al Canada il primato per giorni di permanenza media (4,5 giorni) immediatamente seguito dalla Germania (4,4 giorni).

Quelle che emerge, dunque, è un’evoluzione incoraggiante, caratterizzata da un consolidamento della domanda domestica e da un rafforzamento significativo della componente internazionale. In particolare, si registra un’evoluzione positiva e strutturata dei flussi turistici in Calabria: 224.292 arrivi che hanno generato 464.240 presenze con una crescita rispettivamente pari al 10,4% e al 10,1% rispetto ai primi quattro mesi del 2024. A trainare l’andamento complessivo è stata prioritariamente la componente estera. I turisti non residenti hanno, infatti, registrato 37.862 arrivi (+45,8%) e 113.580 presenze (+50,1%) con una permanenza media pari a 3,0 giorni, in lieve crescita (+0,09 giorni) rispetto al 2024.

E, inoltre, nel periodo osservato, il tasso di internazionalizzazione, ovvero la quota percentuale di arrivi esteri sul totale, ha raggiunto il 32,4%, in netto aumento di ben 10,52 punti percentuali rispetto al valore registrato nello stesso periodo dell’anno precedente.

Tendenza al rialzo, infine, anche della quota domestica, seppur in chiave meno significativa: 186.430 arrivi e 350.660 pernottamenti con un incremento rispettivamente pari al 5,2% e all’1,3%.

«L’aumento delle presenze turistiche in Calabria – si legge nel rapporto –rappresenta un segnale concreto della crescente attrattività della destinazione, indicatore essenziale di sviluppo non solo per l’incremento dei flussi, ma anche per la loro capacità di generare valore e permanenza sul territorio. Il prolungamento della durata media dei soggiorni e la maggiore apertura ai mercati esteri sono esiti tangibili delle politiche di rafforzamento dei collegamenti aerei e dell’accessibilità internazionale».

«La dinamica dei prezzi – si legge – incide ancora sulla mobilità domestica, ma l’espansione della componente estera apre prospettive nuove. A partire da questi risultati, diventa sempre più necessario investire in una strategia integrata che metta a sistema qualità dell’accoglienza, promozione internazionale e sostenibilità dei flussi turistici».

L’identikit del turista che sceglie la Calabria

Dall’analisi dei dati rilevati emerge che il 66,6% dei turisti che ha visitato la Calabria è di genere maschile, mentre il 33,4% è femminile. La segmentazione anagrafica evidenzia, inoltre, una prevalenza dei visitatori di età compresa tra 46 e 65 anni (57,0%), seguiti dalle fasce giovanili (31,7%) e, infine, dalla quota degli over 65 (11,3%). Con riferimento alla tipologia di viaggio, il 42,7% dei turisti si è spostato in gruppo per raggiungere le località.

Nel complesso, le scelte dei visitatori riflettono una domanda diversificata ma ancora fortemente orientata alle motivazioni funzionali e professionali, con segnali incoraggianti sul piano culturale, balneare e sportivo, in attesa della piena stagionalità estiva. In particolare, l’analisi delle preferenze espresse dai visitatori in Calabria evidenzia la netta prevalenza del cluster Business e Meeting Industry, che rappresenta il 45,4% del totale. Si conferma dunque il peso rilevante dei viaggi legati a motivazioni professionali, istituzionali e congressuali in questa fase dell’anno, tipicamente meno orientata al turismo leisure. Seguono le preferenze per il comparto Cultura, Storia e Tradizioni con il 16,4%, e per il Mare e Turismo Balneare, che raggiunge già il 13,8% nonostante il periodo non ancora propriamente estivo, segnale di una domanda anticipata o legata a brevi soggiorni nei litorali. Il segmento Sport e Tempo Libero si attesta al 13,0%, sostenuto anche dalla fruizione delle aree montane e delle attività ricreative invernali. Più contenute, ma comunque significative, le scelte orientate verso il Turismo delle Radici e Familiare (4,4%), il Natura e Outdoor (3,6%), e l’Enogastronomia (2,4%), espressioni di un interesse crescente per esperienze identitarie e di prossimità. Chiude la graduatoria il Turismo Religioso e Sociale, che si attesta allo 0,9%, in linea con la stagionalità e con l’assenza di ricorrenze liturgiche maggiori nel periodo osservato

La distribuzione dei flussi per tipologia ricettiva

Nel primo quadrimestre del 2025, il sistema ricettivo calabrese mostra una dinamica complessivamente espansiva, pur con differenziazioni tra le due principali tipologie ricettive.

In particolare, gli esercizi alberghieri evidenziano una moderata crescita degli arrivi (+5,8%) e delle presenze (+6,2%) rispetto allo stesso periodo del 2024. La permanenza media si attesta a 1,9 giorni, in lieve crescita rispetto all’anno precedente. Questo dato indica un consolidamento del comparto alberghiero, che beneficia di un prolungamento della durata del soggiorno, in particolare nel mese di aprile (2,1 giorni).

Parallelamente, gli esercizi extra-alberghieri registrano una performance nettamente superiore, con una variazione positiva del +30,7% negli arrivi e del +21,0% nelle presenze. La permanenza media, pur riducendosi leggermente rispetto al 2024 (-0,22), resta su livelli significativi (2,7 giorni). Si conferma, quindi, una significativa espansione dell’ospitalità extra-alberghiera, che continua ad attrarre quote crescenti di domanda, anche nella stagione invernale, tradizionalmente meno favorevole a questa tipologia. E, infatti, il rapporto tra le presenze in esercizi alberghieri e quelle in strutture extra-alberghiere, pari a 2,5 nel quadrimestre, si riduce rispetto al 2024, segnalando un progressivo riequilibrio strutturale dell’offerta turistica. Tale dinamica suggerisce una crescente competitività e attrattività dell’ospitalità extra-alberghiera, sostenuta da una domanda sempre più orientata verso formule di soggiorno flessibili e personalizzate.

Nel primo quadrimestre del 2025, la domanda turistica domestica in Calabria si concentra prevalentemente nei bacini di prossimità del Mezzogiorno. La Calabria stessa si conferma primo mercato di origine con 48.355 arrivi (25,9%) e 85.848 presenze (24,5%), a testimonianza della rilevanza del turismo interno regionale e del peso del segmento di breve raggio. Seguono la Sicilia, con 31.001 arrivi (16,6%) e 61.080 presenze (17,4%), e la Campania, che registra 26.108 arrivi (14,0%) e 50.597 presenze (14,4%), delineando un asse sud-occidentale strategico per i flussi turistici interregionali. La Puglia contribuisce con 20.900 arrivi (11,2%) e 37.178 presenze (10,6%), consolidando la centralità del Mezzogiorno nel sistema della mobilità turistica domestica. Anche il Lazio presenta una quota rilevante, pari al 9,5% degli arrivi e al 9,1% delle presenze, mentre la Lombardia si attesta al 6,4% per entrambi gli indicatori, rappresentando la prima regione del Nord per flussi verso la Calabria. In seconda fascia, per pernottamenti, si collocano Emilia-Romagna (2,8%), Toscana (2,4%), Veneto e Piemonte (2,2%). Le restanti regioni italiane presentano quote inferiori all’1,8%, pur concorrendo alla composizione di una domanda complessivamente diffusa e variegata su scala nazionale.

Per quanto riguarda gli spostamenti, dal report è emerso come per raggiungere la Calabria nel primo trimestre 2025, normalizzata su scala logaritmica, evidenzia una netta prevalenza dell’auto privata (1,87), seguita dall’aereo (1,12). Gli altri mezzi risultano meno significativi: pullman o altro mezzo stradale (0,83), treno (0,34) e nave (0,08). La forte dipendenza dalla mobilità individuale sottolinea la necessità di strategie di rafforzamento dell’accessibilità sostenibile. (ams)

È TEMPO DI RIBALTARE GLI STEREOTIPI E
DARE A CALABRIA L’IMMAGINE CHE MERITA

di PAOLA LA SALVIA – La Calabria, simbolo del fascino e dell’antica cultura del Mezzogiorno, si distingue per un patrimonio storico, archeologico e tradizionale di inestimabile valore. Questa Regione è un caleidoscopio identitario, sapientemente forgiato nel tempo dall’incontro e dall’influenza di varie civiltà che hanno lasciato sul territorio un segno indelebile, quali quella ellenica, quella romana e quella normanna.

La stratificazione di lingue, costumi popolari e pratiche religiose ha creato un retaggio unico, ove la tradizione convive in perfetta armonia con la modernità del presente. Questo connubio si esprime nelle feste popolari, dove ancora sopravvivono antichi rituali, nell’artigianato di ceramiche, tessuti e oggetti d’arte creati secondo tradizioni secolari, e in una cucina che intreccia sapori ancestrali con tocchi di modernità. Queste espressioni culturali sono il riflesso di una società che, pur avendo vissuto momenti difficili, ha saputo rinnovarsi e investire nel proprio futuro.

Purtroppo, questa ricchezza viene troppo spesso ridotta genericamente a uno stereotipo: quello di essere prevalentemente “terra di mafia”. È innegabile come una delle organizzazioni mafiose più potenti al mondo, la ‘Ndrangheta, abbia trovato radici proprio in questo territorio, ma questa organizzazione criminale, oggi, è presente in Calabria come nel resto d’Italia (oltre che in molte parti del mondo) rappresentando, pertanto, un problema globale. Perciò la presenza di questo fenomeno criminale non può e non deve oscurare il forte senso di integrità, onestà e impegno civico che caratterizza la maggioranza dei calabresi e oscurare le tante realtà virtuose presenti sul territorio, come imprenditori onesti, associazioni culturali vivaci, giovani innovatori e cittadini che si impegnano per il riscatto sociale della loro comunità.

In un contesto in cui il timore di infiltrazioni mafiose e l’instabilità giuridica compromettono l’immagine di interi territori, gli investitori nazionali ed esteri tendono a concentrare il loro interesse su aree percepite come maggiormente stabili e sicure, e l’assenza di investimenti incide negativamente anche sul turismo, una delle potenziali risorse economiche più importanti della Regione.

Il risultato è un circolo vizioso che crea ripercussioni economiche di notevole rilievo, ove la mancanza di investimenti si traduce in stagnazione economica, riduzioni nelle opportunità lavorative e un progressivo indebolimento del tessuto sociale locale. Infine, il peso degli stereotipi influisce negativamente anche sull’identità della comunità, specialmente quella dei più giovani, che spesso si sentono esclusi e rassegnati a fronte di questa visione pregiudizievole.

È manifesto come in un territorio l’assenza di capitali e di fiducia nel sistema economico e istituzionale non solo rallenta la crescita, ma alimenta anche una spirale migratoria soprattutto tra i giovani che, alla ricerca di un futuro migliore, decidono di abbandonare quelle aree. La fuga di capitale umano impoverisce ulteriormente i luoghi diminuendo le possibilità di sviluppo innovativo e consolidando un clima di sfiducia che si ripercuote su ogni aspetto della vita comunitaria.

Ed è proprio attraverso tali dinamiche che la mafia consolida il proprio potere. È notorio, infatti, come la criminalità organizzata trovi terreno fertile, che le consente di espandersi e di rafforzarsi, proprio in contesti segnati da povertà e arretratezza sociale ed economica.

Per una efficace attività di prevenzione e di contrasto contro la criminalità organizzata lo Stato deve, pertanto, intensificare la propria presenza e operare in maniera più efficace, soprattutto nei territori in cui le organizzazioni criminali cercano addirittura di sostituirsi alle Istituzioni. Di conseguenza, risulta fondamentale migliorare i servizi offerti, potenziare le reti di assistenza sociale e incentivare l’occupazione. Garantire un lavoro dignitoso rappresenta, infatti, uno strumento potente contro il crimine organizzato.

Recentemente in Calabria si è verificato l’ennesimo scioglimento di un Consiglio Comunale e questo accadimento è stato riportato da alcuni media come un fatto che prova come non si riesca ad allontanare la mafia da questa terra. Su tale vicenda è doverosa una riflessione: perché per azioni di singoli bisogna coinvolgere e infangare interi territori? A chi giova tutto questo? Questa narrazione distorta offusca il vero volto di una Regione che, come ogni altra parte d’Italia, ha le sue problematicità ma anche innumerevoli punti di forza.

La vita in Calabria è ben diversa da quella che viene descritta da qualche racconto e i calabresi non ci stanno a vedere la loro identità ricondotta a un singolo stereotipo, che tende a generalizzare e stigmatizzare un’intera comunità sulla base di azioni criminali commessi da una minoranza.

La Calabria è molto più della mafia: la realtà quotidiana, infatti, racconta una storia molto diversa, quella fatta da una comunità che, nonostante le difficoltà economiche e sociali, si contraddistingue per il lavoro onesto, la solidarietà e l’orgoglio per le proprie radici.

In Calabria vi sono molte persone che ogni giorno si impegnano per cercare di creare un tessuto sociale sano e dinamico, lavorando onestamente nei campi, nelle piccole imprese, nel commercio e nel settore pubblico. Le storie di imprenditori validi e onesti e di iniziative di sviluppo economico sono la prova tangibile di una Regione in continua evoluzione e di una popolazione che lotta quotidianamente per il proprio riscatto sociale e quello dell’intero territorio.

In ogni piccolo paese, in ogni città esistono realtà imprenditoriali che scommettono sul territorio, riscoprendo le tradizioni e integrandole con tecnologie moderne e nuove forme di economia. Progetti di valorizzazione del patrimonio culturale e naturalistico, come quelli che hanno portato alla creazione di parchi nazionali e iniziative turistiche, sono il segno tangibile di una terra che non si arrende e che guarda avanti con fiducia.

In Calabria sono numerosi gli esempi di rinascita e di trasformazione di beni e territori che sono stati affrancati alla mafia. Nella Regione, infatti, sono stati realizzati una serie di progetti che hanno saputo trasformare beni confiscati alla criminalità organizzata in strumenti per il bene comune, contribuendo a risollevare territori a lungo oppressi dalla presenza mafiosa.

Un esempio emblematico è rappresentato dal Parco Nazionale dell’Aspromonte, un’area che in passato, per quasi un secolo, è stata tristemente famosa perché teatro di reati efferati, intimidazioni spietate e pratiche mafiose, tra cui i famigerati “sequestri camminatori”.

In particolare, tra gli anni ’70 e ’90 la ‘ndrangheta utilizzò il territorio aspromontano come propria roccaforte non solo per compiere i sequestri di persona a scopo di estorsione (694 sequestri in circa 20 anni) ma anche per perpetrare una strategia del terrore. Tali delitti furono commessi allo scopo di ottenere consistenti guadagni e, allo stesso modo, per affermare il proprio potere e il controllo sul territorio. La stagione dei rapimenti di persone servì ad alimentare in maniera consistente le casse delle ‘ndrine che poterono, successivamente, investire le ingenti somme nel mercato del narcotraffico. Negli anni ’90, infatti, dall’industria dei sequestri di persona la ‘Ndrangheta passò a quella più redditizia del traffico internazionale di droga.

Con il passare del tempo, grazie all’impegno delle Istituzioni, delle Forze dell’Ordine e alla crescente mobilitazione civile, quell’area è stata riqualificata e affrancata alla mafia. La trasformazione del territorio aspromontano, culminata nella creazione del Parco Nazionale, ha rappresentato non solo un processo di riqualificazione ambientale e culturale, ma anche un percorso di riconciliazione con un passato doloroso. La memoria di questi eventi, pur restando una ferita aperta, è stata trasformata in un’opportunità per riscoprire e valorizzare l’identità locale, rigenerando il territorio e restituendolo alla collettività.

Il percorso di riqualificazione ha inoltre stimolato una sinergia tra enti pubblici, privati e cittadini, che con coraggio hanno eradicato la paura e l’omertà da quei sentieri della Montagna, creando un ambiente in cui la partecipazione attiva e il dialogo costruttivo hanno contribuito a dare nuova linfa al territorio.

Oggi l’Aspromonte è un Geosito riconosciuto dall’Unesco e non è solo una risorsa naturalistica e culturale di fama internazionale, ma anche un simbolo di resilienza e di capacità di rinascita, un modello virtuoso di come un’area, un tempo segnata da episodi drammatici e delittuosi, possa rinnovarsi e diventare una risorsa fondamentale per l’intera collettività.

In diverse città della Calabria, come nel resto del Sud d’Italia, alcuni immobili confiscati alla mafia sono stati riconvertiti in centri culturali, musei della legalità e spazi di aggregazione sociale. Queste iniziative non solo recuperano fisicamente i luoghi, un tempo nelle mani della mafia, ma li trasformano in simboli di resistenza e rinascita, e costituiscono dei modelli educativi per le nuove generazioni.

Questi esempi positivi dimostrano come il contrasto alla mafia non può limitarsi esclusivamente all’azione repressiva della Magistratura e delle Forze dell’Ordine, ma deve fondarsi anche sulla capacità di rigenerare e trasformare i territori in una leva per la crescita e la coesione sociale, riaffermando il valore della legalità e della partecipazione attiva.

Tutto ciò testimonia come, superando pregiudizi e rigide determinazioni, sia possibile costruire un patto sociale più solido e inclusivo, capace di valorizzare la storia e le potenzialità dei territori.

La Calabria, è una terra bellissima, essa offre paesaggi mozzafiato, un patrimonio archeologico di valore inestimabile e una tradizione enogastronomica di eccellenza, frutto di un’agricoltura che sa di terra e di sole.  È un territorio che, per quanto difficile e complicato, ancora oggi preserva uno sguardo non omologato, ma per troppo tempo l’immagine distorta di una terra dominata da ombre e pregiudizi ha oscurato le tante virtù del suo popolo resiliente e laborioso. La Calabria, infatti, è una di quelle terre che ancora oggi offrono un livello di genuinità che in altri posti è ormai introvabile.

Immaginate di passeggiare per le vie di un paesino antico: i bambini che giocano spensierati per le strade acciottolate, le piazze dove si fermano gli anziani per raccontare storie di un tempo passato, e le botteghe artigiane che offrono prodotti tipici di una tradizione millenaria.

La bellezza della Calabria e dei calabresi si svela a chi ha il coraggio di lasciarsi alle spalle le etichette e i pregiudizi. In ogni angolo, dalla costa cristallina ai monti che si ergono maestosi, si respira un’aria pura, lontana dal caos e dall’inquinamento delle grandi città. È in questi luoghi che si può sentire davvero il calore umano, la genuinità e la solidarietà che contraddistinguono la vita calabrese. Qui, ogni sorriso, ogni gesto di ospitalità e ogni ricetta tramandata di generazione in generazione racconta la storia di una terra fiera e resiliente che contrasta nettamente con la narrativa negativa imposta da certi media.

In Calabria, la libertà non è soltanto un diritto, ma un valore da conquistare quotidianamente attraverso il lavoro e l’impegno, ed i calabresi onesti e laboriosi sono il simbolo della resilienza contro la mafia e le avversità.

Il futuro di questa Regione risiede proprio nei giovani calabresi, essi rappresentano la speranza e il motore del cambiamento: sono loro che con le proprie idee innovative e la capacità di trasformare le difficoltà in opportunità, possono ridare una nuova linfa vitale alla Regione.

È giunto il momento di riscrivere la narrazione di questi territori; occorre che anche i media adottino un approccio olistico, responsabile e articolato, capace di rappresentare la complessità della Calabria e del Sud d’Italia senza cadere in facili generalizzazioni.

Raccontare le storie di successo e la valorizzazione delle sue eccellenze e delle realtà positive sono strumenti fondamentali per ribaltare gli stereotipi e restituire alla Calabria e all’intero Mezzogiorno d’Italia l’immagine che meritano.

Allo stesso tempo, è essenziale potenziare i servizi pubblici e creare opportunità di lavoro dignitoso, soprattutto per i giovani. L’occupazione rappresenta uno degli strumenti più efficaci per prevenire il reclutamento da parte di realtà criminali e per favorire uno sviluppo sostenibile. Investire in educazione, formazione professionale e infrastrutture non solo migliora la qualità della vita, ma contribuisce anche a costruire una nuova identità basata sul merito e sulla creatività.

Infine, occorre sostenere le imprese che operano nella legalità e incentivare il turismo culturale. Solo attraverso un approccio integrato, che unisca interventi economici, culturali e sociali, sarà possibile restituire a questi territori la dignità e il riconoscimento che meritano, promuovendo così un futuro di crescita e inclusione per tutte le sue comunità.

È tempo di dare voce a una Calabria vera, una Regione che si costruisce giorno dopo giorno grazie alla forza dei suoi cittadini, determinati a far emergere il proprio valore e a mostrare al mondo che la bellezza di questa terra risiede proprio nella sua autenticità.

La vera Calabria si riconosce nei volti e nelle storie di chi resta e resiste e, ogni giorno, si impegna nel rispetto della legalità per costruire un futuro migliore. (pls)

LA MATURITÀ 2025 È SEMPRE PIÙ VICINA:
IN ESAME 18.155 STUDENTI CALABRESI

di GUIDO LEONE – Le vacanze per i 72.500 studenti reggini sono, dunque, iniziate già da sabato scorso, con l’ultimo suono di campanella. Ma non per tutti. A sospirare ancora fino al 29 giugno saranno gli 8.500 piccoli allievi della scuola dell’infanzia che termineranno la loro attività solo sabato 30 giugno.

Insieme a loro suderanno le proverbiali sette camicie i cinquemila allievi delle scuole media inferiori che, a termine del loro ciclo di studi, in questi giorni sono impegnati a conquistare la loro “minimaturità”. Gli esami per loro dovranno concludersi entro la fine del mese.

Mentre sta per entrare nel vivo la maturità 2025 per gli studenti delle quinte superiori, alle prese con le ultime ripetizioni, in attesa di affrontare mercoledì 18 giugno la prima prova, quella d’italiano, la madre di tutte le prove.

L’esame di Stato compie quest’anno 102 anni di vita, passando attraverso varie riforme e rifacimenti, non ultime quelle dettate dalle recente pandemia. Ma già da due anni si è tornati alla formula tradizionale.

E cioè: la commissione d’esame mista con tre membri interni e tre esterni, oltre al presidente anch’egli proveniente da altra scuola.

Saranno due le prove scritte a carattere nazionale, decise cioè dal Ministero dell’Istruzione e un colloquio.

Come già previsto per lo scorso anno, infatti, lo svolgimento delle prove Invalsi è requisito di ammissione all’esame, sebbene i risultati delle prove standardizzate non influiranno sugli esiti dell’Esame di Stato.

Qualche novità

Una delle novità più rilevanti di quest’anno riguarda il voto in condotta che sarà determinante per i crediti complessivi con cui gli studenti accederanno alla Maturità: il punteggio più alto per i crediti scolastici (questo vale anche per gli studenti del terzo e quarto anno) sarà assegnato soltanto a coloro avranno un voto pari a 9 o maggiore. Chi, invece, avrà meno di 6 in condotta non potrà sostenere gli esami, in caso di sufficienza dovrà discutere un elaborato come previsto dalla legge 150/2024.

Invece, a proposito dell’elaborato, l’argomento di discussione sarà relativo a materia di cittadinanza attiva e solidale fondata sul rispetto dei principi costituzionali. Altra novità. Più peso al percorso scolastico. Poi, mentre la traccia di italiano resta immutata nella struttura: sette proposte tra analisi del testo, testo argomentativo e riflessione su temi di attualità; la seconda prova scritta invece cambia approccio. Sarà predisposta sì a livello ministeriale, ma le commissioni potranno integrarla per renderla più vicina ai programmi effettivamente svolti durante l’anno scolastico.

La valutazione finale si basa su: prima e seconda prova: max 20 punti ciascuna. Colloquio: max 20 punti. Crediti scolastici: max 40 punti. La lode richiede 100/100 senza bonus, credito massimo e unanimità della commissione.

I numeri di questa edizione 2025

Quest’anno saranno 524.415 gli studenti  italiani coinvolti nelle prove (511.349 candidati interni e 13.066 esterni), mentre le commissioni sono 13.900 per un totale di 27.698 classi.

Le commissioni operanti in Calabria saranno in tutto 551 con altrettanti presidenti: 44 per la provincia di Vibo Valentia, 200 per la provincia di Cosenza, 98 per la provincia di Catanzaro e 50 per la provincia di Crotone. Nel Reggino le commissioni sono in tutto 159.

I candidati calabresi saranno in totale 18.155 tra interni ed esterni. In provincia di Catanzaro saranno 3.194, a Cosenza 6.374, a Crotone 1.599, a Reggio Calabria a 5.574 e a Vibo 1.414.

Le commissioni saranno presiedute da altrettanti presidenti (tra dirigenti e  docenti ordinari) e composte da 3.306 commissari esterni ed interni.

Nella provincia reggina, in particolare, nelle 159 commissioni opereranno 954 docenti tra commissari interni ed esterni su 316 classi; a Catanzaro 588 docenti su 196 classi; a Cosenza 1200 docenti su 399 classi; a Crotone 300 docenti su 100 classi; a Vibo Valentia 264 docenti su 87 classi.

Distribuzione dei candidati tra le principali tipologie delle scuole calabresi.

Prevalenti, come sempre, risultano i candidati degli istituti tecnici, seguiti dai licei scientifici, dai professionali. A seguire quelli dei licei scienze umane, dei  licei classici, e poi i licei linguistici, i licei artistici e infine licei musicali.

Il tradizionale  tam tam di illazioni sulle possibili tracce del tema di italiano

Il tormentone quest’anno è iniziato da un bel po’, soprattutto sulla rete. Favoriti D’Annunzio, Pirandello, Ungaretti e Italo Calvino, di cui ricorre il 40esimo anniversario dalla morte. Ed ancora Leopardi e Primo Levi per gli 80 anni dalla liberazione di Auschwitz.

Potrebbe anche incentrarsi su eventi storici come la fine della Seconda Guerra Mondiale (80 anni), sui processi della unificazione europea, le riflessioni sulla pace e la memoria sociale e collettiva. Infine,

il tema sulla intelligenza artificiale mentre la violenza di genere e le crisi geopolitiche restano quotate per i loro legami con l’attualità.

In tanta confusione gli esami paradossalmente restano l’unico punto fermo.

Si è detto che l’esame oggi è più facile, la maturità non è più l’incubo di un tempo quando bisognava portare interi programmi. Ma questa facilità è illusoria perché una selezione prima o poi arriva. Si tratterà di un esame d’ammissione universitario, di una selezione aziendale, oppure sarà la concorrenza nel posto di lavoro con i colleghi più preparati. Ci penserà la vita insomma a dare una valutazione e in definitiva a scegliere. Questo per l’aspetto privato.

Poi c’è l’aspetto collettivo. La scuola oggi è come una casa disordinata, dove si vive spesso nella  incertezza, un cantiere aperto dove riforme si succedono a controriforme. Una scuola priva di mezzi è destinata a rimanere scadente, compromettendo il livello generale della qualità, pregiudicando il futuro. Il sogno di una scuola come strumento forte e generale di elevazione per tutti sembra un po’ appannato al momento.

Gli esami, in questa confusione, paradossalmente costituiscono l’unico punto fermo:nei fatti, il solo dispositivo che formalmente regga, che riesca a dare alla scuola una illusione di efficienza, di funzione.

Allora è bene che questa “forma” rimanga rituale fino in fondo, nell’attesa che possa tornare a essere riempita di un serio contenuto oppure abolita.

Nel bene e nel male, come quei ricordi tenaci che tornano anche quando nessuno li chiama, l’esame di maturità ai nostri ragazzi resterà dentro per sempre.

Lo sogneranno la notte e ne parleranno di giorno fino allo spasimo: un po’ come quelle mamme che con i figli già laureati ci tengono tanto a raccontarti per filo e per segno la loro gravidanza (beata o terribile non importa).

Perché al di là della versione, del compito di italiano, delle materie in cui saranno interrogati, questo benedetto esame di maturità è un guado dal quale, passo dopo passo, sopra i sassi sdrucciolevoli del torrente, non si torna più indietro. Buona fatica a tutti e coraggio: ne vale la pena. (gl)

[Guido Leone  già dirigente tecnico Usr Calabria]

LA CALABRIA E I 30 ANNI DI SFIDE TRA
CRESCITA, LAVORO E SPOPOLAMENTO

di FRANCESCO AIELLO – La popolazione residente in Calabria si è ridotta da 2.063.300 unità nel 1995 a 1.850.366 nel 2023, pari a una flessione del 10,3%. A fronte di una sostanziale stabilità della popolazione nazionale (+3,8% rispetto al 1995), e di una crescita nel Centro-Nord (+8,1%), il Mezzogiorno mostra una tendenza negativa (-3,8%). Questi dati testimoniano un progressivo svuotamento della Calabria, con impatti potenzialmente strutturali su offerta di lavoro, domanda interna e tenuta del sistema territoriale.

L’andamento temporale mostra che il declino demografico in Calabria è continuo e privo di fasi di stabilizzazione significative. Già nel 2000 l’indice scende sotto soglia 99, accelerando tra il 2003 e il 2005 e, in misura ancora più marcata, dal 2014 in poi. Tra il 2014 e il 2023 si registra un calo di quasi 6 punti percentuali (da circa 95 a meno di 90), segno di un intenso processo di spopolamento. Particolarmente rilevante è la discontinuità post-2015, periodo in cui la popolazione del Centro-Nord raggiunge il picco massimo (circa 113 nel 2017), mentre quella calabrese prosegue nella discesa senza soluzione di continuità. A partire dal 2020, anche l’Italia nel suo complesso inverte il trend, pur restando ben distante dalla dinamica negativa del Mezzogiorno e, ancor più, della Calabria.

In sintesi, il dato calabrese si caratterizza per una dinamica divergente non solo rispetto al Centro-Nord, ma anche rispetto al resto del Mezzogiorno, configurandosi come una delle regioni a maggiore contrazione demografica strutturale dell’intero Paese.

Valore aggiunto aggregato

Espresso a prezzi costanti 2015, il valore aggiunto della Calabria registra un incremento da 28,6 miliardi di euro nel 1995 a 29 miliardi nel 2023 (+1,7%). Si tratta di una crescita risibile, soprattutto se confrontata con l’aumento osservato a livello nazionale (+21%), nel Mezzogiorno (+8,7%) e, in misura ancora più marcata, nel Centro-Nord (+25%). Questo divario evidenzia la bassa capacità del sistema produttivo regionale di generare espansione economica nel lungo periodo, anche in fasi di relativa stabilità macroeconomica.

L’evoluzione temporale, riportata in Figura 2, consente di cogliere con maggiore dettaglio la dinamica delle singole macro-aree in diversi periodi temporali. Nella prima fase (1995–2007), la Calabria mostra una crescita in linea con le altre aree: nel 2007 l’indice supera quota 115, poco al di sotto della media nazionale. Tuttavia, la crisi del 2008–2009 rappresenta un primo punto di criticità: mentre il Centro-Nord recupera rapidamente (superando quota 120 già nel 2010), la Calabria entra in una fase di stagnazione e poi di lento declino. Il secondo momento di frattura si osserva a partire dal 2012: mentre l’Italia e il Centro-Nord riprendono gradualmente a crescere, la Calabria e l’intero Mezzogiorno seguono una traiettoria divergente. Il valore aggiunto della Calabria si contrae quasi ininterrottamente fino al 2020, anno della pandemia, in cui tocca il minimo relativo (circa 87). In nessun’altra area del Paese si osserva una caduta così profonda. La ripresa successiva, pur visibile, è più contenuta: nel 2023 l’indice calabrese è ancora al di sotto del livello del 2007 e poco al di sopra del valore del 1995.

La Figura 2 segnala la fragilità della struttura produttiva regionale, incapace di resistere agli shock esogeni (2008, 2012, 2020) e poco reattiva nelle fasi di espansione. In questo contesto, la distanza accumulata rispetto al Centro-Nord e al dato nazionale assume una valenza strutturale, non più solo congiunturale.

Produttività del lavoro

Alla debolezza dell’espansione del valore aggiunto aggregato si affianca una dinamica altrettanto contenuta della produttività del lavoro. Misurata come valore aggiunto per occupato a prezzi costanti 2015, indica non solo che l’Italia è un paese a bassa crescita, ma anche che i divari territoriali di sviluppo rimangono ampi senza mostrare alcun significativo segnale di convergenza.

Nel 2023, la produttività del lavoro in Calabria è pari a 55.882 euro, a fronte dei 75.071 euro del Centro-Nord, dei 58.854 euro del Mezzogiorno e dei 70.786 euro della media nazionale. Il divario con il Centro-Nord resta ampio: nel 1995 la produttività calabrese era pari al 73,2% di quella settentrionale; nel 2023 è al 74,4%. Dunque, nessuna vera convergenza si è realizzata: i ritardi rimangono pressoché invariati. Un secondo elemento rilevante è la debole crescita della produttività del lavoro. Sebbene l’incremento percentuale cumulato nel periodo 1995–2023 sia positivo (es. +9,2% in Calabria, +6,1% nel Centro-Nord), il tasso medio annuo composto segnala la presenza di stagnazione: Calabria: +0,31% annuo; Centro-Nord: +0,25% annuo; Mezzogiorno: +0,22% annuo; Italia: +0,26% annuo.

L’Italia si conferma un sistema a bassa crescita della produttività, con effetti sistemici sull’economia nazionale. La Calabria, pur mostrando un tasso annuo medio leggermente superiore alla media nazionale, lo fa partendo da livelli molto più bassi, senza riuscire a ridurre significativamente i divari.

Tra il 2015 e il 2020, la produttività del lavoro in Calabria mostra una tendenza regressiva, passando da un massimo di 58.493 euro a un minimo di 52.743 euro. Questo calo, pari a circa il 10% in cinque anni, segnala un arretramento significativo anche prima dell’impatto pandemico, che nel 2020 ha ulteriormente aggravato la situazione. Solo a partire dal 2021 si registra una parziale ripresa, ma i livelli del 2023 restano inferiori a quelli del 2015, a conferma di una traiettoria debole e discontinua. I dati nazionali mostrano un andamento simile, ma con livelli più elevati e recuperi più rapidi. In altri termini, le fluttuazioni della produttività calabrese riflettono una struttura economica esposta a shock esterni, con bassa capacità di adattamento e scarsa resilienza, anche rispetto al resto del Mezzogiorno.

La Figura 4 mostra per la Calabria l’andamento della produttività del lavoro, degli occupati e del valore aggiunto aggregato (1995=100).

L’aumento della produttività è in larga parte il risultato di una dinamica occupazionale negativa: la contrazione degli occupati ha determinato un incremento meccanico dell’output per addetto, senza un corrispondente rafforzamento del valore aggiunto aggregato. Ciò suggerisce una produttività “per difetto”, indotta dalla riduzione dell’input lavoro, e non “per merito”, ovvero sostenuta da investimenti, innovazione o riorganizzazione produttiva. Fenomeni analoghi si osservano tra il 2008 e il 2014 e tra il 2016 e il 2019: in entrambi i periodi, la produttività si mantiene elevata o stabile a fronte di un calo significativo degli occupati e di un valore aggiunto debole. Solo nel biennio 2021–2023 si osserva una ripresa congiunta di occupazione e valore aggiunto, ma su livelli ancora inferiori a quelli precedenti la crisi del 2008. In questo contesto, il sistema economico calabrese appare poco reattivo, strutturalmente debole e vulnerabile agli shock.

Il confronto con il Centro-Nord rafforza questa interpretazione. In Calabria, l’aumento della produttività del lavoro si realizza in concomitanza con un marcato calo degli occupati, soprattutto tra il 2008 e il 2014, segnalando un effetto composizione. Nel Centro-Nord, invece, la produttività del lavoro presenta una dinamica più stabile, senza crescite spurie legate a riduzioni dell’input lavoro. Qui, sia l’occupazione che il valore aggiunto aggregato mostrano un’evoluzione più equilibrata, con una crescita robusta prima del 2008, un rallentamento contenuto durante le crisi, e una ripresa sostenuta nel decennio successivo. In sintesi, mentre in Calabria la produttività cresce “per sottrazione”, nel Centro-Nord è più coerente con un’espansione reale dell’attività economica, sostenuta da investimenti, innovazione e maggiore resilienza strutturale.

Pil pro capite

Il Pil pro capite è la sintesi delle contrastanti dinamiche demografiche e della capacità di creare ricchezza aggregata. Nel 2023, il reddito per abitante (a prezzi 2015) in Calabria si attesta a 17.235 euro, in crescita rispetto ai 15.435 euro del 1995 (+11,7%). Un aumento miù basso di quello osservato nel Centro-Nord, dove il PIL pro capite è passato da 31.250 a 35.629 euro nello stesso periodo (+14%). Il Mezzogiorno, nel suo complesso, registra un incremento simile a quello calabrese, passando da 17.814 a 19.824 euro (+11,3%), ma mantiene un livello di reddito più elevato.

Nel confronto nazionale, il gap rimane ampio e persistente: il Pil pro capite italiano cresce da 26.376 a 30.320 euro (+14,9%), ampliando la distanza relativa tra il Sud e il resto del Paese. Per avere un’idea dei divari territoriali di sviluppo, basti pensare che nel 1995 il Pil pro capite in Calabria rappresentava il 58,5% di quello del Centro-Nord; nel 2023 tale rapporto scende al 48,4%. Questa dinamica segnala un progressivo peggioramento del posizionamento relativo della regione nel quadro nazionale. In altri termini, in 30 anni i divari regionali di sviluppo sono aumentati piuttosto che ridursi.

I dati indicano che tra il 1995 e il 2007 la Calabria conosce una fase di moderata espansione, raggiungendo un massimo vicino ai 18.000 euro, ma dal 2008 in poi il trend si appiattisce. In particolare, tra il 2010 e il 2019 il PIL pro capite si stabilizza poco sopra i 16.500–17.000 euro, mentre il Centro-Nord si mantiene stabilmente oltre i 34.000 euro. La caduta del 2020, indotta dalla pandemia, porta il PIL pro capite calabrese sotto quota 16.000 euro, per poi risalire molto lentamente negli anni successivi.

Alcune conclusioni

L’analisi dei dati tra il 1995 e il 2023 restituisce un’immagine coerente e preoccupante della distanza crescente tra la Calabria e il Centro-Nord. Il declino demografico si accompagna a una stagnazione della capacità produttiva, una crescita debole della produttività del lavoro e un livello di reddito pro capite che, in termini relativi, arretra ulteriormente. I dati segnalano che il dualismo territoriale italiano non solo persiste, ma si aggrava.

Questa evidenza conferma sia che la regione non ha beneficiato in modo significativo delle fasi di crescita nazionale sia che gli shock macroeconomici colpiscono più duramente le aree strutturalmente deboli, che stentano nelle fasi di recupero. In tale contesto, la bassa ricchezza disponibile per abitante non è solo la risultante di una combinazione sfavorevole di crescita, produttività e demografia, ma è anche un fattore che alimenta un circolo vizioso: ostacola gli investimenti, frena i consumi, e contribuisce alla fuoriuscita di capitale umano, soprattutto giovanile. Qualunque strategia di riequilibrio territoriale dovrà necessariamente affrontare in modo sistemico queste fragilità strutturali. Ne deriva la necessità di politiche territoriali integrate, orientate a rafforzare capacità produttiva, coesione demografica e qualità del lavoro. (fa)

[Courtesy OpenCalabria]

[Francesco Aiello è direttore del Dipartimento di Economia, Statistica e Finanza “Giovanni Anania” dell’Università della Calabria]

LA CALABRIA, UNA TERRA DALLE PROFONDE
CONTRADDIZIONI CHE VUOLE RIPARTIRE

di BRUNO GUALTIERII numeri parlano chiaro: 59 reati di disastro ambientale dal 2015 al 2024 (primo posto in Italia), 221 siti contaminati senza nemmeno un iter di bonifica completato, solo 13,9 milioni di euro ottenuti dal PNRR su 500 milioni disponibili per i “siti orfani”. Un danno ambientale e sociale che supera i 2 miliardi di euro. Un’emergenza silenziosa ma devastante.

In Calabria si confrontano due realtà molto diverse: da una parte c’è chi guarda al futuro con competenza e visione chiara, dall’altra chi rallenta il progresso tra inerzie amministrative, interessi poco trasparenti e lungaggini burocratiche. È come avere due rematori sulla stessa barca che vanno in direzioni opposte: uno spinge verso il futuro, l’altro frena. Questa contraddizione la viviamo ogni giorno, soprattutto quando si parla di ambiente e delle speranze dei cittadini nel cambiamento.

Un triste primato che grida vendetta

I dati presentati dal forum “La verità è nella terra” di Legambiente e Libera sono allarmanti: dal 2015 al 2024 la Calabria si è classificata prima in Italia per reati di disastro ambientale, con 59 casi accertati. Una classifica che nessuno vorrebbe guidare, fatta di discariche abusive, scarichi industriali non autorizzati e traffico illegale di rifiuti pericolosi che danneggiano il territorio e mettono a rischio la salute.

Ma c’è un dato ancora più preoccupante: dei 221 siti contaminati che la Regione ha in carico per le bonifiche, nessuno ha ancora completato l’intero iter di risanamento. Decine di ettari rimangono così inutilizzabili, spesso in aree che potrebbero tornare produttive.

«Il collegamento tra siti contaminati e rischi sanitari è scientificamente documentato», afferma il prof. Alessandro Marinelli, esperto in medicina ambientale dell’Università Magna Græcia di Catanzaro. «Senza bonifiche efficaci, ogni giorno perso è un rischio in più per la salute dei cittadini».

Una paralisi burocratica che, da anni, trasforma gli uffici da strumenti di tutela in ostacoli al risanamento del territorio.

Il paradosso dell’agricoltura sostenibile

Mentre si promuovono l’agricoltura biologica e i prodotti a chilometro zero — grazie all’impegno dell’Assessore Gallo — si dimentica una scomoda verità: molti terreni calabresi sono ancora contaminati da metalli pesanti, idrocarburi e POP (composti organici persistenti) che non dovrebbero mai finire nel suolo.

Il Piano regionale delle Bonifiche si basa ancora su un elenco di siti inquinati fermo al 1999 e su un decreto ministeriale ormai superato. È come cercare di navigare con una mappa vecchia di 25 anni, ignorando strumenti moderni come i Sistemi Informativi Geografici (GIS) e le analisi di rischio aggiornate.

Manca un censimento aggiornato dei terreni contaminati, una lista di priorità basata sui reali rischi sanitari, e una guida regionale solida e competente che coordini e controlli gli interventi.

Le conseguenze sono gravi. Come ha dimostrato uno studio congiunto tra Regione e Istituto Superiore di Sanità, i siti contaminati costituiscono “un importante fattore di rischio per la salute umana“. Emblematico il caso del SIN di Crotone: sono stati rilevati “significativi eccessi di mortalità e ricoveri ospedalieri per numerose patologie“, con costi sanitari diretti di oltre 50 milioni di euro negli ultimi dieci anni.

La grande occasione perduta: quando 500 milioni evaporano

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) aveva messo a disposizione 500 milioni di euro per bonificare i cosiddetti “siti orfani” — luoghi contaminati per i quali non si riesce più a identificare un responsabile, spesso perché le aziende coinvolte sono fallite o scomparse.

Una grande occasione per la Calabria. Eppure, la regione ha ottenuto solo 13,9 milioni di euro, distribuiti tra sei Comuni (Amantea, Crotone, Lamezia Terme, Montalto Uffugo, Reggio Calabria e Vibo Valentia) per bonificare vecchie discariche comunali.

Il confronto con la Campania (60 milioni) e la Sicilia (55 milioni) è impietoso. Manca un censimento aggiornato, manca una regia regionale capace di pianificare progetti competitivi per attrarre risorse nazionali ed europee.

Il caso Marrella: quando il silenzio costa più delle parole

Grave è l’esclusione dai finanziamenti della discarica “Marrella” a Gioia Tauro, eredità dell’ex Commissario per l’emergenza rifiuti e ora sotto la responsabilità regionale. L’inquinamento di suolo e falde continua da anni, ma il Dipartimento Ambiente resta immobile.

Il Testo Unico Ambientale (D.Lgs. 152/2006) è chiaro: se il Comune non interviene, la Regione deve subentrare. Eppure, dopo oltre dieci anni dalla chiusura del sito, la gestione post-operativa non è nemmeno iniziata.

Un silenzio che pesa come un macigno. E la domanda è inevitabile: chi pagherà il conto di questa inazione? Le istituzioni coinvolte possono ancora permettersi questo immobilismo?

L’arte di scaricare i costi: quando l’inerzia finisce in bolletta

Il timore è concreto: che a pagare siano, come sempre, i cittadini. Magari in modo silenzioso ma costante, con aumenti nelle bollette dei servizi ambientali, e con ARRICAL costretta — suo malgrado — ad assorbire anche i costi delle negligenze altrui.

Alla fine, si rischia di finanziare l’inerzia, camuffando gravi omissioni con formule rassicuranti come “adeguamento tariffario” o “riequilibrio strutturale“. Il risultato, però, non cambia: si tratta pur sempre di costi ingiustificati, generati da decisioni non prese e responsabilità mai assunte, che finirebbero per gravare sulle spalle dei cittadini.

Se questo è il nuovo modello di governance ambientale, allora lo slogan potrebbe essere: “Il futuro è sostenibile… purché lo paghino gli altri”.

Una politica che prova a cambiare: quando la volontà incontra il muro

Negli ultimi anni, sotto la guida del Presidente Occhiuto, la Regione ha mostrato concrete capacità d’azione: dalla sanità commissariata che migliora, alla nascita di ARRICAL per il sistema idrico e quello dei rifiuti, dai trasporti al turismo, fino agli investimenti nella depurazione.

Dove la politica regionale ha potuto agire direttamente, senza essere ostacolata dalla burocrazia, i risultati sono arrivati. Tuttavia, persiste un divario significativo tra gli obiettivi politici e l’efficienza degli uffici, soprattutto nel settore ambientale, dove mancano figure tecniche specializzate.

Eppure, le azioni necessarie non sono complesse: basterebbe che il Dipartimento competente tornasse a occuparsi della sua vera missione — la Programmazione e Pianificazione Strategica secondo criteri di ingegneria ambientale — competenza esclusiva delle Regioni.

Già il D.Lgs. 112/1998 ha affidato alle Regioni queste funzioni. Ignorarle oggi non è solo una dimenticanza, ma una violazione normativa, che rischia di generare inefficienza amministrativa e possibili sanzioni europee.

La verità comincia dalla terra: quando le mafie giocano in casa

La Calabria è oggi uno dei principali fronti della lotta alle ecomafie. L’operazione “Mala Pigna” della DDA di Reggio Calabria ha svelato un vasto traffico illecito di rifiuti, con legami tra imprese corrotte, amministrazioni compiacenti e criminalità organizzata.

Non è un’eccezione. Altre inchieste hanno scoperto discariche abusive e traffici tossici tra le regioni del Sud. Una realtà radicata, che si combatte solo con una Pubblica Amministrazione forte, trasparente e capace di agire rapidamente.

Una scelta di civiltà, non solo tecnica: o si bonifica davvero, o si smetta di vendere illusioni.

La Calabria ha risorse straordinarie: paesaggi, competenze, passione civile. Serve solo il coraggio di crederci e agire, investendo in formazione tecnica e tecnologie innovative per le bonifiche.

È una scelta: vogliamo una Calabria pulita e abitabile secondo i canoni della Green Economy europea, o vogliamo continuare a perdere tempo tra carte e ritardi, mentre il territorio muore?

L’ambiente è vita. Il resto sono solo chiacchiere da convegno.

La verità comincia dalla terra. E la terra, prima di tornare a generare bellezza e opportunità, va liberata dai veleni con metodi scientificamente provati ed economicamente sostenibili. (bg)

[Bruno Gualtieri è già Commissario Straordinario dell’Autorità Rifiuti e Risorse Idriche della Calabria (ARRICAL)]