Legambiente: Il Ponte continua a sottrarre preziose risorse alle vere priorità del Sud Italia

Legambiente Calabria ha denunciato come «l’insostenibile opera continua a sottrarre le risorse destinate alle vere priorità del Sud Italia e dell’intero Paese».

«Il Ponte sullo Stretto – ha proseguito l’Associazione – opera economicamente e ambientalmente insostenibile, continua a drenare risorse pubbliche preziose e che rischiano di creare un buco nero nelle casse del Paese. Il Ponte – ha ricordato Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – costerà allo Stato circa 15 miliardi di euro, tra opera principale e di collegamento, con tutta probabilità destinati a lievitare visti anche i lunghissimi tempi di realizzazione. Un vulnus insopportabile non solo per Calabria e Sicilia ma per l’intero Paese nel quale ci sono questioni sempre più̀ urgenti da affrontare, proprio a partire dalla sfida della decarbonizzazione del settore dei trasporti. Se il ministro delle infrastrutture Matteo Salvini pensa di essere ricordato dalla storia per la costruzione del Ponte, farebbe meglio ad agire sui reali problemi di mobilità del Sud Italia e dell’intero Paese».

«Nel Sud Italia, in particolare, circolano meno treni, i convogli sono più vecchi – con un’età media di 18,5 anni, – e viaggiano su linee in larga parte a binario unico e non elettrificate. Per colmare il gap ancora esistente e superare l’annosa questione meridionale – dichiarano Anna Parretta, presidente Legambiente Calabria e Tommaso Castronovo, presidente Legambiente Sicilia–, bisogna realizzare opere e infrastrutture di collegamento, moderne e sostenibili, potenziando, elettrificando ed efficientando la rete ferroviaria, aumentandone la sicurezza, acquistando nuovi treni e offrendo un maggiore servizio».

La sottrazione delle risorse alle vere priorità del Paese è un problema molto evidente in Calabria e Sicilia ma che riguarda l’intera Italia: dai dati del rapporto Pendolaria 2023, risulta chiara l’arretratezza del trasporto su ferro rispetto agli altri Paesi europei: tra il 2018 e il 2022 le inaugurazioni di nuovi binari in città sono state totalmente inadeguate, con solo un chilometro e mezzo all’anno di nuove metropolitane e solo 2,1 km all’anno di nuove tranvie.

Per affrontare il problema è fondamentale che il tema dei pendolari e del trasporto su ferro diventi una priorità. Per questo Legambiente chiede a livello nazionale maggiori risorse economiche, pari a 500 milioni l’anno, per rafforzare il servizio ferroviario regionale e 1,5 miliardi l’anno per realizzare linee metropolitane, tranvie, linee suburbane. Si tratta complessivamente di 2 miliardi di euro all’anno fino al 2030, necessari anche per rispettare gli obiettivi del Green Deal europeo del taglio delle emissioni del 55% entro il 2030 e del loro azzeramento entro il 2050.

Servono, quindi, risorse economiche che diventeranno, invece, sempre più̀ concentrate verso la faraonica opera del Ponte sullo Stretto di Messina. Basti pensare che rispetto ai finanziamenti da contratto di programma RFI 2022-2026 per le opere ferroviarie da realizzarsi in Calabria e Sicilia, mancano all’appello ancora svariati milioni di euro: rispettivamente 56,7 milioni per l’upgrading infrastrutturale e tecnologico dei nodi di Reggio Calabria e 115 milioni ciascuno per quelli di Catania e Palermo, 150 milioni per la velocizzazione dell’attraversamento dinamico dello Stretto di Messina, 44 milioni per la velocizzazione Catania-Siracusa, 180 milioni per il potenziamento ed elettrificazione della linea Sibari-Catanzaro Lido-Lamezia Terme, 44 milioni per la velocizzazione Catania-Siracusa.

Inoltre, alcune opere in corso di realizzazione, scontano enormi ritardi come l’elettrificazione della linea Jonica in Calabria nella tratta Sibari-Catanzaro Lido, i cui lavori dovevano concludersi entro il 2023 (per un costo di 500 milioni di euro incluse le soppressioni dei passaggi a livello e il rinnovo delle stazioni) e che ora hanno come data di realizzazione il 2026. Oppure, in Sicilia, dove la ferrovia della costa jonica attende da molti anni lavori di potenziamento e raddoppio e da decenni si attende il completamento dell’anello ferroviario di Palermo, che non vedrà la sua apertura prima del 2028. Si tratta di opere infrastrutturali necessarie a connettere il Paese e a creare, nel Mezzogiorno ma nell’interesse di tutto il sistema Italia, lavoro e sviluppo in regioni dalle quali si continua ad emigrare, per realizzare le quali le risorse economiche devono essere investite nella maniera corretta. (rcz)

 

Legambiente: Serve programmazione e investimenti per i trasporti

Serve programmazione, investimenti e modernazione per i trasporti in Calabria. È quanto ha ribadito Legambiente Calabria, esprimendo cordoglio e la propria vicinanza alle famiglie delle vittime del tragico incidente ferroviario verificatosi pochi giorni fa a Corigliano Rossano.

«Sono davvero tanti gli interrogativi – hanno dichiarato Anna Parretta, presidente di Legambiente Calabria ed Evelina Viola, presidente del Circolo Legambiente di Corigliano-Rossano – sulle dinamiche del gravissimo incidente così come tante sono anche le riflessioni che questa tragedia ci porta ad approfondire sulla qualità e sicurezza dei trasporti, affinché simili episodi non accadano ancora e la nostra regione possa abbandonare il fastidioso ruolo di cenerentola d’Europa».

«La Calabria ha bisogno di una mobilità sostenibile che rafforzi il trasporto pubblico e collettivo – viene evidenziato – disincentivi l’uso dell’auto privata sia nei trasporti urbani che extra-urbani e colleghi in maniera adeguata il territorio calabrese al suo interno, con il resto del Paese e con l’Europa».

«È urgente – ribadisce Legambiente – far partire quei cantieri per la transizione ecologica, necessari per permettere ai cittadini e alle merci di muoversi in Calabria con logiche da paese civile, contribuendo alla lotta alla crisi climatica. Occorre potenziare le infrastrutture per la mobilità sostenibile, con linee ferroviarie elettrificate e a doppio binario, percorse da treni moderni, frequenti e puntuali».

«Come sottolineato nel Report Pendolaria 2023 di Legambiente, sul fronte trasporti nel Mezzogiorno circolano meno treni, i convogli sono più vecchi – con un’età media di 18,5 anni, in calo rispetto a 19,2 del 2020 ma molto più elevata degli 11,9 anni di quelli del nord – e viaggiano su linee in larga parte a binario unico e non elettrificate. In Calabria la situazione è ancora peggiore perché l’età media dei treni si attesta a 21,4 anni a dimostrazione dei pochi investimenti fatti in questo settore per un lunghissimo periodo. Ed ancora, le corse dei treni regionali in Calabria, sono giornalmente 333 contro le 2.173 della Lombardia».

«Lo stato delle ferrovie nella nostra regione è drammatica – viene ricordato – anche quando si analizzano i numeri della rete: 686 i km a binario unico su 965 km totali di rete ferroviaria, ossia il 69,6%; mentre la rete attualmente non elettrificata conta 477 km, ossia il 49,4% del totale anche se questo dato è destinato a migliorare. La Calabria ha quindi bisogno di efficientare le linee ferroviarie, di aumentare il numero dei treni, di collegamenti veloci e moderni ed ha bisogno di sicurezza ferroviaria a partire dalle situazioni di pericolo connesse alla presenza di passaggi a livello».

«Ogni anno, in media, in Italia, secondo i dati diffusi da Rfi – viene sottolineato – si verificano 250 incidenti ai passaggi a livello, con conseguenze gravi o mortali nel 10% dei casi. I passaggi a livello sulla rete ferroviaria italiana, nonostante una progressiva eliminazione posta in essere dalla Rete ferroviaria italiana, sono ancora più di 4.000, di cui circa il 10% addirittura di competenza di utenti privati.  Oltre alla diffusione della consapevolezza dei pericoli connessi all’attraversamento dei binari per evitare gli incidenti, servono soprattutto attività ed opere per eliminare i passaggi a livello, con la realizzazione di opere di viabilità alternativa come attraversamenti con sottopassi e cavalcavia di nuova costruzione».

«Per modernizzare ed efficientare il sistema dei trasporti – ribadisce Legambiente – servono risorse finanziarie ed investimenti  sulle infrastrutture che realizzino la Calabria del futuro.  Nel processo di costruzione di una rete di infrastrutture moderna, alle prese con l’eterna altalena fra opportunità e carenze, è mancata e manca tuttora, in Calabria, la capacità di programmazione ed una riflessione più ampia sul ruolo strategico che la mobilita’ ricopre nello sviluppo economico e sociale di un territorio».

«La motivazione economica – viene spiegato – è una delle tante ragioni per cui Legambiente è contraria al “Ponte sullo stretto di Messina” e sarà presente il 2 dicembre al Corteo nazionale No Ponte: una cattedrale nel deserto della mobilità i cui costi sono già lievitati a 13,5 miliardi di euro ai quali si sommano 1,1 miliardo per le connessioni ferroviarie ed altre somme da quantificare per i raccordi stradali per un totale di oltre 15 miliardi di euro».

«Si tratta di somme enormi sottratte alle vere priorità di una regione – conclude Legambiente – nella quale mancano i servizi essenziali e dalla quale si continua ad emigrare. I cittadini calabresi così come quelli siciliani hanno diritto a proposte credibili e la politica ha il dovere di utilizzare le risorse pubbliche per creare occupazione e lavoro duraturo, tutelando, allo stesso tempo, anche l’ambiente». (rcz)

ARDUO ABBATTERE GLI ABUSI IN CALABRIA
ESEGUITO MENO DEL 10% DI DEMOLIZIONI

In Calabria si fa fatica a demolire le costruzioni abusive. Lo dice il terzo report di Legambiente “Abbatti l’abuso” che analizza l’abusivismo edilizio nelle regioni a rischio. In Calabria, Campania, Lazio, Puglia e Sicilia si fa fatica a demolire: dal 2004 a dicembre 2022 il numero delle demolizioni eseguite è stato solo del 15,3%; in Calabria il dato è di appena il 9,6%.

«Il nuovo rapporto di Legambiente sull’abusivismo edilizio evidenzia, purtroppo, la gravità della situazione – afferma Anna Parretta, presidente di Legambiente Calabria. La nostra regione è, in maniera persistente, in fondo alle classifiche negative a partire dai dati sulla trasparenza sino al numero di ordinanze di demolizione eseguite sul totale di quelle emesse nel corso degli anni, appena il 9,6% nell’arco di quasi un ventennio, ed al numero di immobili acquisiti al patrimonio dei comuni, pari all’1,2%. Un quadro molto preoccupante perché in Calabria l’abusivismo edilizio deturpa troppo spesso e da troppo tempo luoghi di grandissima bellezza sia sulle coste che nell’entroterra, interessa anche territori a rischio idrogeologico e sismico e pesa come un macigno sul futuro della Calabria. L’Amministrazione regionale ha iniziato a dare primi i rilevanti segnali come l’annunciata demolizione, a breve, di Palazzo Mangeruca. La direzione giusta, quanto doverosa, è quella della   tutela dell’ambiente e della salvaguardia dell’incolumità di persone ed attività economiche, percorribile solo con il ripristino della legalità e con l’abbattimento degli immobili non sanabili».

In Italia l’abusivismo edilizio, concentrato soprattutto al sud e lungo le coste, resta una piaga difficile da curare. A fronte di un territorio sfregiato dal cemento illegale che non conosce crisi, nella Penisola si fa fatica a demolire mentre cresce il numero delle ordinanze. Dal 2004 a dicembre 2022 nelle regioni più a rischio – Calabria, Campania, Lazio, Puglia e Sicilia – il numero delle demolizioni eseguite è stato del 15,3% dei 70.751 immobili abusivi per i quali è stato stabilito l’abbattimento da parte dei 485 Comuni che hanno risposto in maniera completa al monitoraggio civico promosso da Legambiente, pari al 24,5% del campione totale.

In Calabria il dato è ancora più basso: soltanto il 9,6% delle ordinanze di demolizione è stato eseguito.  La provincia calabrese con il maggior numero di ordinanze di demolizione eseguite è Cosenza (361) pari al 9,2% delle ordinanze emesse (3.907), Vibo Valentia ha la maggiore percentuale di ordinanze di demolizione eseguite (195) su quelle emesse (1.051) pari al 18.6%, seguono Reggio Calabria e Catanzaro mentre Crotone non ha fornito nessuna risposta completa.

In Calabria sono state emesse 6.197 ordinanze di demolizione con una media di 1 ordinanza ogni 297,1 cittadini. Nelle cinque regioni considerate, sommando anche le risposte parziali, il numero totale delle ordinanze emesse si attesta a 83.430. Rilevante l’incidenza del mattone illegale nei comuni costieri dove si arriva ad una media di 395,9 ordinanze di demolizione a Comune, cinque volte quella relativa ai Comuni dell’entroterra.

A scattare la fotografia, si diceva, è il III Report di Legambiente sull’abusivismo edilizio, presentato a Roma, che fa il punto sulle cinque regioni più esposte all’invasione del mattone illegale: le quattro a tradizionale presenza mafiosa e il Lazio, che figurano stabilmente nelle prime posizioni della classifica sull’illegalità ambientale stilata ogni anno nel Rapporto Ecomafia. Quattro gli indicatori presi in considerazione dall’associazione ambientalista per il suo monitoraggio civico: trasparenza, ordinanze di demolizione e abbattimenti eseguiti, trascrizioni immobiliari nel patrimonio comunale, trasmissione alle prefetture delle ordinanze di demolizione non eseguite.

Per quanto riguarda la Trasparenza, la regione più virtuosa, relativamente al tasso di risposta, è la Sicilia: con 154 comuni su 391 che hanno risposto in modo esaustivo, sfiora il 40% (39,4%) del totale. La Calabria, invece, è ultima con il 13,4%. La provincia più “trasparente” è quella di Trapani, con il 52% dei Comuni che hanno risposto. La peggiore quella di Crotone, con nessuna risposta.

Ordinanze di demolizione e abbattimenti eseguiti: dai Comuni lungo la costa sono state emesse 43.278 ordinanze (corrispondenti al 61% del totale) ed eseguite 6.731 (62,2% del totale). Nei Comuni dell’entroterra, quelle emesse sono state 27.473 (39,1% del totale) e quelle eseguite 4.077 (pari al 38% del totale). La regione con il maggior numero di ordinanze emesse è la Campania (23.635), quella con il migliore rapporto tra ordinanze emesse e quelle eseguite è la Sicilia, con il 19,2%, seguita da Lazio 17,2%, Campania 13,1% e Puglia 10,2%. In fondo alla classifica figura la Calabria, con il 9,6%.  La provincia con il migliore rapporto tra ordinanze emesse ed eseguite dai Comuni del suo territorio è quella di Rieti (41,8%), la peggiore è quella di Catanzaro, con appena il 2,7% di abbattimenti eseguiti. Tra i comuni capoluogo tra i peggiori spicca ancora Catanzaro (0,7%).

Trascrizione degli immobili abusivi nel patrimonio del Comune: il numero è basso se non addirittura inesistente. La media nelle cinque regioni è del 5,6%. Solo la Sicilia fa un po’ meglio, con il 12,5%. La Calabria registra nel complesso 75 immobili abusivi trascritti al patrimonio immobiliare, appena l’1,2 %. Per quanto riguarda le città capoluogo, la prima è Catanzaro, con il 9,7%, Roma supera di poco il 5%, le altre sono a zero. Trasmissione delle pratiche di demolizione non eseguite da parte dei Comuni ai prefetti competenti per territorio: solo il 2,1% delle ordinanze emesse è stato inviato in base all’art.10bis della legge 120/2020 ai prefetti. In Calabria il dato scende all’1,4%. Limitando l’analisi ai soli Comuni costieri, nelle cinque regioni, con solo 617 ordinanze trasmesse il dato percentuale scende all’1,4%.

«L’abusivismo edilizio – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – è un’autentica piaga che tiene in ostaggio il territorio, la legalità e lo sviluppo del nostro Paese ormai da molti decenni. Parliamo di un fenomeno che, anche negli ultimi anni, nonostante la crisi edilizia e quella pandemica, si mantiene su livelli preoccupanti, addirittura in crescita nel 2022 come valori assoluti. Il Governo Meloni invece di annunciare nuovi possibili condoni, potenzi l’attività di demolizione delle case abusive e dia più ruoli e responsabilità ai prefetti. Da anni, Legambiente sostiene la necessità di non procrastinare un intervento nazionale e risolutivo».

Secondo Laura Biffi, coordinatrice dell’Osservatorio nazionale Ambiente e legalità di Legambiente, «A frenare il processo di risanamento delle aree massacrate da decenni di anarchia urbanistica e illegalità  è quella politica, locale e nazionale, che, a dispetto della consapevolezza maturata tra i cittadini, rimane ostaggio di interessi a breve e brevissimo termine. Tra tentativi di condono, più o meno espliciti, proclami a favore di un falso “abusivismo di necessità” e disinteresse al tema, si continua – nei fatti – ad avallare il “mattone illegale”. Nell’ultimo rapporto sul BES dell’Istat, realizzato in collaborazione con il Cresme, l’abusivismo edilizio è stimato in crescita del 9,1%. E la situazione nelle regioni del Sud viene definita come “insostenibile”, con 42,1 abitazioni costruite illegalmente ogni 100 realizzate nel rispetto delle regole”.

Legambiente rilancia sei proposte al Governo Meloni chiedendo in primis più ruolo e responsabilità ai prefetti, restituendo il senso originario all’art.10bis della Legge 120/2020, se necessario, anche con un nuovo intervento legislativo. La norma era stata approvata dal Parlamento per fare fronte alle mancate demolizioni da parte dei Comuni degli abusi non sanabili nonostante tre condoni edilizi, l’ultimo nel 2003, con un’assunzione dell’onere da parte dello Stato. Pochi mesi dopo l’entrata in vigore della norma, un’improvvida circolare del ministero dell’Interno, ne ha di fatto bloccato l’applicazione, restringendola solo agli abusi edilizi accertati dopo l’entrata in vigore della legge e “salvando” così decine di migliaia di manufatti illegali.

Tra le altre azioni da mettere in campo Legambiente chiede di lavorare su: 2) Danno erariale. Il ruolo della Corte dei conti è decisivo, per verificare, quantificare e imputare in maniera sistematica l’eventuale danno erariale causato dalle mancate entrate nelle casse comunali del corrispettivo economico dovuto per l’occupazione da parte degli abusivi di immobili non demoliti e diventati di proprietà comunale. 3) Prescrizione e demolizione. Per quanto riguarda le demolizioni per via giudiziaria, alla base degli interventi deve essere posta la sentenza che accerta il reato e non, invece, quella di condanna del reo. 4) Ricorsi al Tar. È necessario prevedere lo stop all’iter di demolizione solo in presenza di un provvedimento di sospensione da parte di un tribunale, altrimenti non c’è motivo per bloccare le procedure. 5) Chiusura delle pratiche inevase di condono. Legambiente propone di istituire un fondo di rotazione con uno stanziamento pari a 100 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2024 al 2026. 6) Emersione degli immobili non accatastati. L’Agenzia delle entrate rende disponibili le informazioni relative ai fabbricati non accatastati acquisite sulla base delle immagini aeree e delle verifiche di cui al DL 78/2010, ai ministeri dell’Ambiente e Sicurezza energetica, delle Infrastrutture, ai Comuni e ai Prefetti per la verifica della regolarità edilizia e non solo fiscale. (rrm)

Anna Parretta riconfermata presidente di Legambiente Calabria

Anna Parretta è stata riconfermata presidente di Legambiente Calabria. La conferma è avvenuta nel corso del congresso regionale di Legambiente, sul tema La Calabria in cantiere, svoltosi a Santa Domenica di Ricadi.

Il nuovo direttore eletto è la biotecnologa ambientale Silvia De Santis, 31 anni, di Cosenza.  

«Ringrazio tutti i circoli di Legambiente Calabria per la fiducia accordatami – ha dichiarato la presidente Parretta –. Le battaglie associative portate avanti nel mandato congressuale appena trascorso sono state molteplici e nuove sfide ci attendono negli anni futuri. L’assemblea che si è appena conclusa è stata un’occasione di confronto importante sui temi più urgenti per la nostra regione: crisi climatica, rivoluzione energetica; economia circolare; depurazione e tutela degli ecosistemi costieri e acquatici; abusivismo edilizio; mobilità sostenibile; città, periferie e piccoli Comuni in transizione, bonifiche e innovazione industriale; foreste, aree protette e biodiversità, agricoltura, lotta all’illegalità e alle ecomafie».

«Il nostro impegno – ha concluso – sarà quello di lavorare con ancora più passione e tenacia per realizzare in Calabria i cantieri della transizione ecologica avendo come orizzonte l’interesse collettivo».

Al suo fianco, nella veste di direttore, Silvia De Santis: «Sono molto onorata – ha dichiarato – di ricoprire questo ruolo e spero di svolgerlo al meglio facendo tesoro delle esperienze maturate fino ad ora, dapprima nella sede nazionale di Legambiente e poi con diversi progetti realizzati in questi anni in Calabria».

«La nostra Associazione sta crescendo molto – ha concluso – ma mi auguro di poter coinvolgere sempre di più le nuove generazioni ad avvicinarsi alle tematiche ambientali che rappresentano ormai le sfide del nostro futuro». (rvv)

CRISI CLIMATICA, EMERGENZA IN CALABRIA
AZIONI PER PREVENIRE, NON PER CURARE

di FRANCESCO CANGEMI – La crisi climatica si abbatte sulla Calabria così come nel resto del Paese. I cambiamenti del clima, infatti, creano non pochi problemi alle città calabresi ad ogni precipitazione e, soprattutto, alle colture come, ad esempio, è capitato negli ultimi tempi al bergamotto la cui lavorazione è andata in crisi proprio per gli sbalzi climatici e la conseguente siccità.

Un comparto che ha rivolto il proprio grido d’aiuto prima alle istituzioni regionali e poi al ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida con una petizione firmata da 170 soggetti tra aziende e operatori del comparto, rappresentativi del territorio bergamotticolo dei 50 comuni della provincia reggina.

Sono negli occhi dei calabresi, e non solo, gli ultimi danni che la crisi climatica ha causato nel crotonese dove, ad ogni rovesciamento piovasco, è grande allarme. La città pitagorica ormai registra danni tutte le volte che la pioggia scende giù. Danni per le forti piogge si sono registrati anche a Catanzaro ultimamente che, paradossalmente, vive questo “dramma” insieme alla perenne mancanza di acqua in molte case.

Stesso problema che si verifica nella città di Cosenza dove le abitazioni del centro città vivono da sempre il dramma della mancanza di acqua per molte ore del giorno. Un contrasto dato che anche qui le copiose piogge degli ultimi anni hanno creato danni non indifferenti. Basti pensare alle frane che il maltempo ha causato nel centro storico.

L’acqua che scende dal cielo fa paura anche nel reggino dove, a maggio 2023, tanti sono stati i problemi per poi passare una estate dove il caldo e la siccità hanno creato forti disagi alle colture. La crisi del bergamotto, a cui si faceva riferimento prima, su tutte. Il vibonese non è da meno. Basti pensare a cosa accade sulla strada che passa per la Costa degli Dei che ad ogni precipitazione viene invasa dal fango.

Ma i drastici cambiamenti climatici non riguardano solo la Calabria. A scattare la fotografia con nuovi dati alla mano su tutto il Paese è Legambiente che in occasione del V Forum Acqua dal titolo La transizione ecologica dell’acqua fa il punto sulla risorsa idrica tra ritardi e problemi da affrontare, in primis crisi climatica, fragilità del territorio e maladepurazione, indicando quella che per lei è la strada da seguire da qui ai prossimi anni in termini di gestione dell’acqua.

Dal 2010 al 31 agosto 2023 nella Penisola su 1.855 eventi meteorologici estremi, ben il 67% ha visto per protagonista la risorsa idrica con 667 allagamenti, 163 esondazioni fluviali, 133 danni alle infrastrutture da piogge intense, 120 danni da grandinate, 85 frane da piogge intense, 83 danni da siccità prolungata. Tra le regioni più colpite: Sicilia e Lombardia con 146 eventi ed Emilia-Romagna con 120. Tra le città spiccano Roma, con 65 eventi, Milano 32, Agrigento 24, Bari 24, Genova 20, Palermo 17, Napoli 17, Ancona 14, Bologna 11, Modena 10, Torino 10. Una Penisola che si trova a fare i conti sempre di più con gli effetti della crisi climatica, i danni per eccesso o mancanza d’acqua; ma anche con la fragilità di un territorio in gran parte a rischio frane e alluvioni e dove spesso la qualità dell’acque non è delle migliori come ricorda il problema cronico della maladepurazione, che è costato sino ad ora all’Italia oltre 142 milioni di euro in sanzioni pecuniarie, o l’inquinamento chimico di fiumi e falde.

«Quello che serve al Paese – sostiene Legambiente al Forum Acqua – è una strategia integrata per la transizione ecologica della risorsa idrica che metta al centro conoscenza, qualità e integrazione, rendendo sempre più sostenibile l’impronta idrica del nostro Paese sulla Terra e per assicurare un corretto adattamento alla crisi climatica. Solo così l’Italia potrà superare quei ritardi che ha accumulato in questo settore anche a causa di un approccio sbagliato della gestione della risorsa idrica, che considera i diversi usi separati l’uno dall’altro, invece che farli dialogare tra di loro, e che ha puntato solo sulla quantità senza considerare la qualità della risorsa. Un appello e una proposta che Legambiente rivolge ai commissari straordinari al Forum Acqua e che per i vari settori di competenza si occupano del tema: Nicola Dell’Acqua Commissario straordinario nazionale per l’adozione di interventi urgenti connessi al fenomeno della scarsità idrica, Fabio Fatuzzo Commissario straordinario unico per la depurazione, Francesco Paolo Figliulo Commissario alla ricostruzione post alluvione e Giovanni Legnini Commissario straordinario per la ricostruzione di Ischia».

Come si mette in campo una strategia integrata dell’acqua? Puntando su conoscenza, qualità e integrazione, tre concetti chiave e fondamentali per definire politiche lungimiranti e che per Legambiente si traducono in tre grandi macro-interventi: 1) la definizione di una cabina di regia e una governance unica e integrata dell’acqua che metta a sistema le esperienze maturate nel corso degli anni dai diversi soggetti che gestiscono da punti di vista e con competenze diverse una risorsa unica come quella idrica, e che permetta di superare gli stalli burocratici e tecnici che impediscono a interventi e a progettazioni virtuose di procedere. 2) La continua conoscenza e aggiornamento dei dati ad oggi disponibili sulla risorsa, che mettano al centro la disponibilità e gli usi dell’acqua attraverso bilanci idrici affidabili e condivisi. La conoscenza è essenziale per introdurre politiche efficaci di prevenzione e di gestione anche delle emergenze, dalla siccità alla crisi climatica, migliorando gli strumenti e le metodologie di misura tramite la digitalizzazione e le innovazioni tecnologiche, da implementare e promuovere in ottica di riutilizzo e circolarità. 3) Una progettazione integrata e di qualità per pianificare gli usi della risorsa e del territorio. Una progettazione volta a prevenire l’inquinamento e che assicuri anche una qualità della risorsa in uscita dagli impianti adeguata agli usi per un corretto riutilizzo in agricoltura e nell’industria anche alla luce del nuovo regolamento europeo entrato in vigore lo scorso giugno.

«Questi tre concetti e linee guida – dice ancora Legambiente – sono propedeutici per la messa a terra di quelle azioni che si devono poi introdurre e sviluppare nei singoli settori di intervento, senza che si perda quello sguardo di insieme. In termini di lotta alla crisi climatica l’integrazione passa dall’attuazione del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) e dallo stanziamento delle relative risorse economiche, che metta la corretta gestione della risorsa idrica al centro della pianificazione e delle azioni. Serve inoltre una legge sullo stop al consumo di suolo attesa da troppi anni in Italia».  (fc)

A Santa Domenica di Ricadi l’assemblea di Legambiente Calabria

Sabato 7 ottobre, a Santa Domenica di Ricadi, alla Green Station, si terrà l’assemblea regionale di Legambiente Calabria, guidata da Anna Parretta.

Il tema scelto è La Calabria in cantiere. Nel corso dell’assemblea, inoltre, saranno rinnovati gli organi associativi e si discuterà dei temi legati alla transizione ecologica, per superare la crisi climatica e costruire un futuro di pace, in vista del XII Congresso nazionale di Legambiente che avrà luogo a Roma, dall’1 al 3 dicembre. A presenziare l’evento, il presidente nazionale di Legambiente, Stefano Ciafani, al quale saranno affidate le conclusioni della prima sessione congressuale alla quale parteciperanno diversi ospiti ed istituzioni.

Hanno già dato conferma della loro presenza, il dirigente della Regione Calabria, dipartimento territorio e tutela dell’ambiente, Salvatore Siviglia; il Commissario straordinario dell’Arpacal, Emilio Errigo; i sindaci Nicola Tripodi di Ricadi; Giovanni Macrì di Tropea; Giuseppe Condello di San Nicola da Crissa e Flavio Stasi di Corigliano-Rossano; il Comandante regionale Unità forestali, ambientali e agroalimentari dei Carabinieri, il Colonnello Giovanni Misceo; il presidente di Unindustria Calabria Aldo Ferrara; il presidente di GOEL, Vincenzo Linarello, Francesco Russo dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria e rappresentanti di Anpi, Forum del Terzo Settore, Fai, Lipu, Libera, Slowfood, Calabra Maceri e Le Green House. (rvv)

Legambiente contro il rigassificatore di Gioia: Portarlo significa condannare la Calabria

«Portare in Calabria un nuovo rigassificatore vuol dire condannare la Calabria e l’Italia alla dipendenza energetica da altri Paesi, e a non raggiungere gli obiettivi climatici». È quanto ha ribadito, nuovamente, Legambiente Calabria in merito al rigassificatore di Gioia Tauro, sottolineando come «sul tema dell’energia il presidente della Regione Roberto Occhiuto ha idee antiquate e inadatte a rispondere alle sfide ambientali, climatiche e sociali che stiamo attraversando».

«Il presidente Occhiuto – si legge nella nota dell’Associazione – continua a parlare del rigassificatore di Gioia Tauro come di un’opera “importante e strategica per il Mezzogiorno” al punto da richiedere un intervento diretto della presidente del Consiglio Giorgia Meloni».

«L’impianto di Gioia Tauro avrebbe, come gli altri impianti di questo tipo, negli intenti – si legge – la diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico del Paese dopo le sanzioni alla Russia conseguenti alla guerra in Ucraina.  Una motivazione già questa errata perché è illogico realizzare rigassificatori per liberare l’Italia dal ricatto del gas russo comprando il gas da Paesi spesso politicamente instabili come Egitto, Algeria, Libia, Congo, Angola oppure dagli Usa che estraggono il gas con il processo di fracking, la fratturazione idraulica delle rocce che può potenzialmente contaminare le falde acquifere ed aumentare le emissioni in atmosfera perché rilascia metano ed agenti tossici».

«Nello specifico, l’impianto di Gioia Tauro, che è, allo stato attuale – viene ricordato – bloccato da un decennio, costerebbe oltre un miliardo di euro e richiederebbe svariati anni per la sua costruzione che avverrebbe, tra l’altro, in una zona indicata ad alta pericolosità sismica. Si tratterebbe di un impianto particolarmente impattante sotto il profilo ambientale trattandosi di un impianto on shore che ricoprirebbe un’area di circa 47 ettari ricadente nei comuni di Gioia Tauro, San Ferdinando e Rosarno e dovrebbe riportare allo stato gassoso 12 miliardi di metri cubi all’anno di combustibile, reso liquido per il trasporto in navi cisterna per il cui attracco sarà realizzata un’apposita piattaforma di scarico a 500 metri circa dalla costa».

«Il rigassificatore di Gioia Tauro – continua Legambiente – a differenza delle due navi Fsru comprate dalla Snam per fare fronte alla crisi del gas russo, è una struttura fissa che dovrà durare almeno 25 anni, quindi, calcolando i tempi di costruzione che saranno di qualche anno almeno, dovrà durare oltre il 2050, anno nel quale, in base alla normativa europea sul clima, l’Italia e l’Europa dovrebbero portare a zero le loro emissioni di gas climalteranti. Emissioni che già al 2030, quando il rigassificatore sarebbe presumibilmente in funzione, dovranno già essere state ridotte del 55% (rispetto al 1990). Questo impianto si troverebbe quindi a competere in un mercato nel quale i consumi di gas sono previsti in costante discesa in base alle previsioni del Piano Nazionale Energia e Clima».

«Il presidente della Regione Calabria ha dichiarato Anna Parretta, presidente di Legambiente Calabria – ha una strana idea di sviluppo per il Sud. Legambiente è nettamente contraria alla realizzazione del rigassificatore di Gioia Tauro, un impianto che si pone in netta contraddizione con gli obiettivi di decarbonizzazione ed è ambientalmente ed economicamente insostenibile».

«Il futuro della Calabria passa dalla realizzazione di impianti di energia a fonti rinnovabili come impianti fotovoltaici, agrivoltaici, eolici a terra ed eolici offshore, in grado di combattere le crisi climatica ed energetica – ha concluso – supportando, nel contempo, uno sviluppo sostenibile incentivando l’occupazione e l’economia della nostra regione. La Calabria non può più permettersi visioni miopi perché ogni progetto errato allontana la nostra Regione dalle opportunità di innovazione, miglioramento della qualità di vita e creazione di posti di lavoro».

«La strada verso la decarbonizzazione è ancora molto lunga – ha ribadito Legambiente –: lo scorso anno le fonti fossili hanno coperto il 75% della domanda di energia elettrica della Calabria, con un radicamento legato non solo alla produzione energetica, ma anche al trasporto di gas e all’estrazione di idrocarburi. Ad oggi, con i suoi gasdotti, la Calabria è territorio di transito di tutto il gas importato dal Nord Africa che approda prima in Sicilia per essere poi spinto verso nord passando per la Centrale di Compressione di Tarsia, in provincia di Cosenza».

«A questa situazione – si legge – si aggiunge il rischio dato dai rigassificatori: non solo Gioia Tauro ma anche  Crotone, con un rigassificatore in attesa di autorizzazione da 0,8 miliardi di smc che prevede un deposito costiero con capacità di 20.000 smc di gas. Non bisogna dimenticare, inoltre, le attività di ricerca e produzione di idrocarburi. Nel 2022, attraverso le 4 concessioni di coltivazione presenti nella Regione e localizzate nei pressi di Crotone tra terra e mare, sono stati prodotti 5.119.484 smc di gas su terraferma e 282.046.919 smc nelle concessioni direttamente di fronte alle coste crotonesi, una quantità pari a circa l’8% della produzione nazionale di gas fossile. A queste si aggiungono ulteriori 3 permessi di ricerca per una superficie di oltre 2.000 kmq destinati ad attività connesse alla produzione di idrocarburi».

«In Calabria tre quarti dell’elettricità è ancora prodotta da fonti fossili – ha concluso Legambiente –. Dovrebbe apparire chiaro che occorre abbandonare la strada delle fonti energetiche inquinanti e dei rigassificatori e lavorare concretamente per far diventare la regione diventare un hub energetico europeo strategico delle energie rinnovabili». (rcz)

Legambiente Calabria: Nessuna contraddizione tra i dati di Legambiente e di Arpa. Si intervenga sulle fonti dell’inquinamento

Legambiente Calabria ha ribadito e chiarito che «i punti di campionamento di Arpacal e di Legambiente non coincidono e non vi è nessuna contraddizione tra i rispettivi dati. Legambiente e Arpa, nel caso specifico Arpacal, utilizzano gli stessi protocolli e indagano gli stessi parametri ma in luoghi diversi e con diversi obiettivi».

«L’obiettivo del monitoraggio di Legambiente – viene ricordato – pone l’attenzione al rischio d’inquinamento causato dalla mancanza o inadeguatezza del servizio di depurazione e dalla presenza di scarichi che si riversano nelle acque marine. Le analisi di Goletta Verde integrano e non sostituiscono quelle delle autorità competenti. Differenti sono infatti i punti di campionamento: vengono prelevati in mare, per valutarne la balneabilità, quelli analizzati dalle Arpacal, mentre le analisi di Goletta Verde si concentrano sulle foci dei fiumi e, come sempre ribadito, non sono rappresentative della qualità delle acque di balneazione».

«Inoltre, Legambiente puntualizza che il dato del 58% si riferisce ai punti campionati e non alle acque di balneazione», ha continuato l’Associazione, ricordando come «le analisi e il monitoraggio di Legambiente hanno l’obiettivo di scattare delle fotografie istantanee di una determinata situazione in un determinato momento e non vogliono sostituirsi alle autorità competenti in materia di controlli e di balneazione».

L’associazione ambientalista, poi, riporta l’attenzione sull’importanza di agire in maniera efficace e stringente, con incisività e determinazione su tutte le possibili cause di inquinamento del mare: efficientando i sistemi di depurazione, incrementando il collettamento fognario anche per uscire dalle procedure di infrazione comunitaria, agendo in un’ottica di prevenzione, controllo e sanzione sugli scarichi illegali.

I prelievi di Goletta Verde e Goletta dei laghi vengono eseguiti da tecnici, volontari e volontarie di Legambiente. L’ufficio scientifico dell’associazione si è occupato della loro formazione e del loro coordinamento, individuando i laboratori sul territorio. I campioni per le analisi microbiologiche sono prelevati in barattoli sterili e conservati in frigorifero, fino al momento dell’analisi, che avviene lo stesso giorno di campionamento o comunque entro le 24 ore dal prelievo. I parametri indagati sono microbiologici (enterococchi intestinali, Escherichia coli). Per la Goletta Verde, il numero dei campionamenti effettuati viene definito in proporzione ai Km di costa di ogni regione.  (rcz)

LA CALABRIA BRUCIA, SERVE PIÙ IMPEGNO
PER FARE PREVENZIONE SUL TERRITORIO

di ANTONIETTA MARIA STRATI – La Calabria brucia. Sono più di 80, infatti, gli incendi che stanno devastando la regione, da Bagnara-Scilla fino all’entroterra dell’Aspromonte. Un incubo che sembra non avere fine, nonostante le azioni messe in campo dal presidente della Regione, Roberto Occhiuto, che ha “sguinzagliato” droni per combattere i piromani.

Azioni che per  Legambiente Calabria, pur apprezzando l’attività repressiva e l’uso dei droni per scovare gli incendiari, non bastano. Serve una maggiore prevenzione del territorio.

La Calabria – ha ricordato Legambiente citando il dossier Ecomafia – nel 2022  è stata la regione con il più alto numero di incendi: 611 su un totale nazionale di 5.207 che hanno interessato una superficie boscata pari a 11.236 ha su un totale 68.665, mentre nel periodo 2017-2021 sono stati commessi 3.202 reati di incendio boschivo e sono andati in fumo 87.201 ettari.

Una situazione sulla quale, ancora oggi, pesano i ritardi delle Amministrazioni competenti e la carenza di mezzi oltre ad un quadro normativo che, nonostante le modifiche migliorative alla legge n. 353/2000 apportate con decreto legge n. 120/2021 convertito con modificazioni nella legge n.155/2021, non affronta i nodi dell’intricata matassa delle competenze in materia di incendi boschivi.

La legge n. 155/2021 ha destinato risorse importanti per il miglioramento delle tecnologie e dei mezzi aerei e terrestri a favore dei Vigili del Fuoco e dei Carabinieri Forestali, ed ha assegnato al Dipartimento della Protezione Civile la funzione di svolgere, annualmente e sulla base delle risorse disponibili, la ricognizione e l’individuazione dei fabbisogni su base triennale. In sostanza si è investito molto sulla tecnologia e sulla capacità di intervento, ma rimane il problema della prevenzione del territorio che in Regioni come la Calabria continua a rimanere esposto e vulnerabile.

Per Anna Parretta, presidente di Legambiente Calabria, «appare sempre più evidente che tutti i temi ambientali sono strettamente connessi e collegati e che è essenziale oltre che urgente invertire la rotta nella nostra Regione».

«Le concause degli incendi sono diverse – ha spiegato – dalle azioni criminali, all’incuria, all’inadeguatezza delle misure di prevenzione e controllo, alla crisi climatica, sempre di origine antropica, con le alte temperature che si stanno verificando in questi giorni. Non possiamo e non dobbiamo consentire la distruzione del patrimonio verde e della biodiversità calabresi. Anche sul fronte incendi, come sulla depurazione, sul ciclo dei rifiuti e sulle altre criticità ambientali irrisolte, chiediamo alla Regione Calabria ed a tutti gli Organismi preposti, maggiore incisività nelle azioni di prevenzione, maggiore gestione nella patologia e quella capacità di visione sul futuro che dovrebbe essere la caratteristica indispensabile di chi governa in questa fase di svolta della storia».

«I dati inequivocabili e le drammatiche esperienze dirette conseguenti ai cambiamenti climatici, alle crisi di siccità, alle frequenti ondate di calore, alle crescenti aree di desertificazione nelle regioni del sud Italia Calabria compresa – ha concluso –, impongono di agire con determinazione. Occorre un radicale cambiamento di approccio e risposta al fenomeno che miri a prevenire gli incendi attraverso la gestione del territorio, l’utilizzo ecologicamente sostenibile delle risorse agro-silvo-pastorali, sostenere e rivitalizzare le comunità rurali nelle aree interne e montane in una rinnovata funzione di presidio territoriale».

Secondo Antonio Nicoletti, responsabile nazionale aree protette e biodiversità di Legambiente «è necessaria una completa ed attenta applicazione da parte dei comuni, della legge sui vincoli e la redazione del catasto delle aree percorse dal fuoco».

«Ma, soprattutto – ha continuato – sono necessarie maggiori azioni di difesa attiva a partire da una attenta e corretta gestione boschiva. Ancora una volta sta mancando l’organizzazione e la consapevolezza che il territorio regionale, a partire da boschi e foreste, deve essere protetto e salvaguardato con strumenti e risorse adeguati alle temperature torride di questa estate. Temperature che, oltretutto, come nelle previsioni sono destinate a rimanere tali anzi ad aumentare nei prossimi anni per effetto del riscaldamento complessivo del Pianeta».

«Per quanto riguarda gli incendi in Calabria non si può, quindi – ha detto –, certo parlare di emergenza ma di accadimenti largamente prevedibili che richiamano ognuna delle Amministrazioni competenti alle proprie precise responsabilità in termini di prevenzione e controllo accurato del territorio. Le azioni da mettere in campo devono essere guidate dall’interesse della collettività e dal principio di legalità anche per arginare i fenomeni mafiosi: la ‘ndrangheta, per come dimostrano le indagini della Magistratura, controlla, infatti, molte aree boscate oltre ai pascoli abusivi ed ha forti interessi economici nel business del taglio dei boschi e nella filiera produttiva delle biomasse».

Da qui la 10 proposte dell’Associazione per prevenire, fronteggiare il fenomeno degli incendi boschivi: Prima di tutto, serve una gestione integrata degli incendi, un’attività «di integrazione/coordinamento tra i settori dedicati alla previsione, prevenzione, informazione, addestramento, lotta, indagine e ricostituzione post-incendio».

Per Legambiente, infatti, «è ancora carente l’applicazione della legge quadro sugli incendi boschivi (L. 353/2000) e su questo punto sono ancora insufficienti le modifiche introdotte con la legge 155/2021».

«I Piani forestali – dice l’Associazione – di indirizzo territoriale devono integrare la pianificazione forestale con la prevenzione degli incendi boschivi. Definendo le aree esposte al pericolo e quelle dove integrare misure di selvicoltura preventiva con altre misure forestali, individuare misure per l’attività pastorale e agricola e quelle per la tutela della biodiversità nel Parchi Nazionali, Riserve regionali e siti della Rete Natura 2000».

«Per un più efficace governo degli incendi – viene evidenziato – è fondamentale una integrazione della politica forestale con quella agricola. Molti incendi, infatti, derivano dall’uso illegale e inesperto del fuoco per fini agro-silvo-pastorali, mentre l’abbandono dell’agricoltura e della pastorizia determinano un aumento del pericolo di incendi per accumulo del combustibile. L’agricoltura, tuttavia, deve essere considerata parte della soluzione: campi coltivati, orti, vigneti, aree pascolate possono ridurre l’infiammabilità a scala di paesaggio».

Legambiente, poi, ha ricordato non solo che «il pascolamento con specie domestiche è stato finalmente riconosciuto come tecnica per prevenire il propagarsi degli incendi, o evitare che una volta innescati diventino disastrosi», ma anche che i «cittadini possono essere parte attiva, in primo luogo coinvolgendo il volontariato non solo nella lotta ma anche nella prevenzione. Inoltre, i proprietari di fondi devono essere responsabilizzati nella gestione della vegetazione nei loro terreni ed i cittadini devono essere preparati a riconoscere il pericolo incendi ed a rispondere con comportamenti adeguati».

«L’analisi delle statistiche sugli incendi è essenziale per la comprensione ed il governo del fenomeno», dice ancora Legambiente nei dieci punti, ricordando poi che è fondamentale la pianificazione e progettazione del ripristino ecologico e funzionale.

«I piani urbanistici dettano le linee per l’espansione dei centri abitati– ha rilevato – in coerenza con le normative e i vincoli regionali e nazionali, ma non tengono in considerazione il rischio legato agli incendi boschivi. Per questa ragione appare auspicabile che nei prossimi anni la pianificazione urbanistica venga informata dai piani forestali di indirizzo territoriale che identificano le aree esposte al pericolo incendi (probabilità di propagazione di grandi incendi). La stessa attenzione deve essere indirizzata alla rete stradale che svolge un ruolo fondamentale nel garantire la sicurezza della logistica dei mezzi di soccorso in caso di incendi di elevata intensità».

Per Legambiente, poi, bisogna «estendere le pene previste dal Codice Penale per il reato di incendio boschivo a qualunque tipologia di incendio. È indispensabile rendere più severe le pene previste dall’articolo 423-bis del C.P. a qualunque incendio di e non solo i boschi e i pascoli, per quelli che interessano il patrimonio naturalistico e quelle sottoposte a vincolo paesaggistico. Così come va aggravata la fattispecie colposa per consentire l’arresto in flagranza, oggi non obbligatorio e vanno rafforzate le sanzioni amministrative estendendo ed equiparando le sanzioni più gravi a tutti gli incendi».

Infine, bisogna investire «nel potenziamento della flotta aerea pubblica, nella specialità interna al Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco. Alla luce del sempre maggiore utilizzo dei mezzi aerei nella lotta attiva agli incendi boschivi occorre ricostituire una flotta di proprietà pubblica e limitare il ricorso ai mezzi aerei privati. Dopo la riforma del 2016 la responsabilità primaria nella lotta attiva contro gli incendi nelle funzioni di coordinamento (DOS) è in capo ai Vigili del Fuoco e questi devono essere rafforzati». (ams)

 

Legambiente: In Calabria il 58% dei punti lungo le coste sono oltre i limiti di legge

Il mare calabrese non gode di ottima salute. Lo certifica Goletta Verde, l’imbarcazione di Legambiente che analizza i tratti di mare del nostro Paese.

In Calabria il 58% dei punti campionati da Goletta Verde lungo le coste è oltre i limiti di legge: è quanto emerge in sintesi dai dati del monitoraggio realizzato da Legambiente lungo le coste calabre. I dati sono stati presentati in conferenza stampa in occasione dell’ultima giornata di tappa di Goletta Verde a Crotone alla presenza di Rosaria Vazzano, presidente del circolo Legambiente Crotone; Antonio Michele Lanatà, presidente circolo Legambiente Le Castella; Anna Parretta, presidente Legambiente Calabria; Vincenzo Voce, sindaco di Crotone; Alice De Marco, portavoce di Goletta Verde; Sergio Fasson, Istituto chimico Donegani di Crotone; Emilio Errigo, commissario straordinario Arpacal; Salvatore Siviglia, dirigente Dipartimento territorio e tutela dell’ambiente della Regione Calabria e Roberto Occhiuto, presidente della Regione Calabria.

  I campionamenti sono stati effettuati dai volontari e dalle volontarie di Legambiente tra 28 giugno 17 luglio, che hanno monitorato le acque di 24 punti lungo le coste della Calabria: 17 in punti critici come foci di fiumi, canali, scarichi, fiumare, e i restanti 7 in mare. Sono ben 14 i punti che hanno oltrepassato i limiti di legge, più del 58% del totale dei punti monitorati, di cui 13 Fortemente inquinati e 1 inquinato. 

Nella provincia di Cosenza sono 7 i punti campionati, di cui 1 fortemente inquinato, la foce del torrente Colognati a Marina di Rossano. 3 punti nella provincia di Catanzaro, di cui 1 è risultato fortemente inquinato, la spiaggia c/o Foce del Corace sulla Via Lungomare Stefano Pugliese a Catanzaro Lido e 1 punto inquinato tra Montepaone Lido e Soverato, la foce del fosso Beltrame.  Nella provincia di Crotone 2 punti su 3 sono risultati fortemente inquinati, la foce del fiume Esaro a Crotone e il punto presso la Foce del canale nella Spiaggia a destra del Castello di Le Castella.  6 i punti monitorati nella provincia di Reggio Calabria, di cui 4 fortemente inquinati, la foce del fiume Petrace a Gioia Tauro, la foce del Torrente Sfallasà presso il campo sportivo a Bagnara Calabra, la foce del torrente Annunziata nei pressi del lido comunale di Reggio Calabria, lo sbocco Fiumara Sant’Elia a Montebello Jonico.  Vibo Valentia fa l’en plein, con i suoi 5 punti campionati tutti fortemente inquinati: la foce Fiume Angitola a Pizzo, la Foce Trainiti a Vibo, Foce del torrente Murria a Briatico, foce del torrente Ruffa a Ricadi e foce del canale sulla spiaggia di Coccorino a Marina di Nicotera. 

«Il quadro che dipinge il monitoraggio di Goletta Verde è, ancora una volta, poco rassicurante – dichiara Anna Parretta, presidente Legambiente Calabria –. Come sempre sono le foci dei fiumi che presentano le maggiori criticità, indice del fatto che esistono problemi irrisolti su cui occorre agire in maniera incisiva».

«La situazione in Calabria, soprattutto in alcune zone – ha spiegato ancora – presenta problemi ormai divenuti cronici. Persistono infatti punti fortemente inquinati in tutte le province, in particolare sulle coste di Vibo Valentia e Reggio Calabria ai quali si aggiungono anche i punti storici della foce del torrente Caserta a Reggio Calabria e la foce del fiume Mesima a San Ferdinando. La Regione Calabria ha attivato alcuni processi sia per efficientare i sistemi di depurazione sia in un’ottica di controllo sugli scarichi illegali, sui quali diamo un giudizio positivo, ma è indispensabile agire con celerità e con maggiore determinazione a tutela del nostro mare, degli ecosistemi e della salute dei cittadini oltre che dell’economia regionale». 

«Ben 12 punti monitorati da Goletta Verde – dichiara Alice De Marco, portavoce di Goletta Verde – risultano essere non campionati o con balneazione vietata temporaneamente per inquinamento secondo i dati del Portale Acque, il sito del Ministero della Salute che informa i cittadini sulla qualità delle acque di balneazione e dove poter fare il bagno. A dimostrazione che le criticità sono note e risapute. Continuiamo a pagare in bolletta le sanzioni imposte dalla Comunità Europea, e la Calabria, con i suoi depuratori, contribuisce in maniera significativa. Soldi che potrebbero essere usati per sanare un ritardo che ci allontana dall’idea di Paese civile che abbiamo».  

Rispetto ai cartelli sulla qualità delle acque di balneazione sono presenti sono in due punti campionati. Necessario uno sforzo da parte delle autorità locali di informare i cittadini in modo più attento e consapevole delle acque di balneazione sulla costa calabrese. 

 Secondo il Piano di Gestione delle Acque dell’Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino Meridionale (III ciclo di pianificazione, 2021-2027), gli scarichi urbani rappresentano una pressione puntuale significativa per il 71% dei corpi idrici superficiali (fluviali, lacustri, di transizione e delle acque marino-costiere), mentre tra le pressioni diffuse gli “scarichi non allacciati alla fognatura” incidono sulla qualità del 28% dei corpi idrici superficiali calabresi. Queste due tipologie di pressione, da sole o congiuntamente ad altre più o meno impattanti, impedisce a questi corpi idrici di raggiungere un buono stato, come richiesto dalla Direttiva Quadro Acque (2000/60). 

  Secondo gli ultimi aggiornamenti presenti sul sito del Commissario unico depurazione in Calabria sono 150 gli agglomerati su cui insistono più di 2 milioni e mezzo abitanti equivalenti, in cui si stanno svolgendo lavori per uscire dall’infrazione sulla depurazione, per un importo complessivo di circa 500 milioni di euro. Questi lavori porteranno a risolvere parte delle situazioni che avevano portato ad avere 188 agglomerati in Calabria (dati aggiornati a maggio 2020), in infrazione comunitaria. (rkr)