“Nel mondo c’è quanto basta per le necessità dell’uomo, ma non per la sua avidità”
Ci sono vicende che si ripetono, a convalidare la fondatezza del pensiero Mahatma Gandhi. È di questi giorni, ad esempio, la notizia della carenza di semiconduttori, da molti analisti già classificata come nuova emergenza globale. Se ne parla – per il momento – ancora poco, ma le crescenti difficoltà nell’approvvigionamento di semiconduttori preoccupa chi si occupa di economia, dal momento che essi sono parte fondamentale della modernità: impiegati praticamente in tutto, dai telefonini ai caccia, stanno alla base di una tecnologia che altrimenti, semplicemente, non esisterebbe. Il fenomeno è ricondotto da alcuni alla cattiva pianificazione. Per altri, invece, la causa sarebbe da ricercarsi nella crescente domanda, stimolata dagli sviluppi del 5G, l’espansione del gaming online e dalla maggiore complessità delle automobili (ogni auto è fatta, per il 40%, da componenti elettroniche). Il dato di fondo è che il mondo ha sempre più bisogno di chip per mantenere ed anzi migliorare il livello di benessere. E più quest’asticella si alza, sempre meno risorse la natura riesce a garantire, finendo con l’essere sottoposta ad uno sfruttamento che non fa che peggiorare le cose.
È questo il paradigma del modello di sviluppo che ha sin qui prevalso e che, per come le cronache quotidianamente evidenziano, è giocoforza mettere in discussione. La pandemia che ormai da un anno tormenta le nostre vite lo rende evidente: confidando sulla forza della tecnologia, l’uomo riteneva di dominare la realtà in maniera assoluta, tale da poter fronteggiare con sicumera le evenienze più disparate. Il virus, invece, generato proprio dalle debolezze inferte all’ecosistema dell’uso abnorme delle risorse naturali, ha ricacciato tutti nell’incertezza. Ecco, allora, la necessità del cambiamento di rotta, peraltro sintetizzato da papa Francesco nella Laudato si’: oggi si apre una via verso uno sviluppo sostenibile da un punto di vista ambientale e sociale. Come? Con un’economia che sia al servizio della società, e non viceversa. Con imprese che lavorino non solo per i profitti dell’azionista, ma anche per il benessere del contesto in cui operano e con un assetto istituzionale che assicuri a tutti i medesimi livelli di protezione.
Per cambiare un sistema produttivo di scarti, la grande sfida da raccogliere è raccordare l’esigenza libertaria, propria della soggettività dei diritti, con l’istanza comunitaria. Solo così si potrà svincolare lo sviluppo dalla distruzione di risorse naturali, nel rispetto per l’equilibrio ecosistemico dell’universo, contro le logiche del condizionamento distruttivo delle risorse del pianeta. E tutto questo, probabilmente, ora o mai più. Come scrive papa Francesco, <<l’umanità del periodo post-industriale sarà forse ricordata come una delle più irresponsabili della storia; c’è da augurarsi che l’umanità degli inizi del XXI secolo possa essere ricordata per aver assunto con generosità le proprie gravi responsabilità
Ci sono vicende che si ripetono, a convalidare la fondatezza del pensiero Mahatma Gandhi. È di questi giorni, ad esempio, la notizia della carenza di semiconduttori, da molti analisti già classificata come nuova emergenza globale. Se ne parla – per il momento – ancora poco, ma le crescenti difficoltà nell’approvvigionamento di semiconduttori preoccupa chi si occupa di economia, dal momento che essi sono parte fondamentale della modernità: impiegati praticamente in tutto, dai telefonini ai caccia, stanno alla base di una tecnologia che altrimenti, semplicemente, non esisterebbe. Il fenomeno è ricondotto da alcuni alla cattiva pianificazione. Per altri, invece, la causa sarebbe da ricercarsi nella crescente domanda, stimolata dagli sviluppi del 5G, l’espansione del gaming online e dalla maggiore complessità delle automobili (ogni auto è fatta, per il 40%, da componenti elettroniche). Il dato di fondo è che il mondo ha sempre più bisogno di chip per mantenere ed anzi migliorare il livello di benessere. E più quest’asticella si alza, sempre meno risorse la natura riesce a garantire, finendo con l’essere sottoposta ad uno sfruttamento che non fa che peggiorare le cose.
È questo il paradigma del modello di sviluppo che ha sin qui prevalso e che, per come le cronache quotidianamente evidenziano, è giocoforza mettere in discussione. La pandemia che ormai da un anno tormenta le nostre vite lo rende evidente: confidando sulla forza della tecnologia, l’uomo riteneva di dominare la realtà in maniera assoluta, tale da poter fronteggiare con sicumera le evenienze più disparate. Il virus, invece, generato proprio dalle debolezze inferte all’ecosistema dell’uso abnorme delle risorse naturali, ha ricacciato tutti nell’incertezza. Ecco, allora, la necessità del cambiamento di rotta, peraltro sintetizzato da papa Francesco nella Laudato si’: oggi si apre una via verso uno sviluppo sostenibile da un punto di vista ambientale e sociale. Come? Con un’economia che sia al servizio della società, e non viceversa. Con imprese che lavorino non solo per i profitti dell’azionista, ma anche per il benessere del contesto in cui operano e con un assetto istituzionale che assicuri a tutti i medesimi livelli di protezione.
Per cambiare un sistema produttivo di scarti, la grande sfida da raccogliere è raccordare l’esigenza libertaria, propria della soggettività dei diritti, con l’istanza comunitaria. Solo così si potrà svincolare lo sviluppo dalla distruzione di risorse naturali, nel rispetto per l’equilibrio ecosistemico dell’universo, contro le logiche del condizionamento distruttivo delle risorse del pianeta. E tutto questo, probabilmente, ora o mai più. Come scrive papa Francesco, <<l’umanità del periodo post-industriale sarà forse ricordata come una delle più irresponsabili della storia; c’è da augurarsi che l’umanità degli inizi del XXI secolo possa essere ricordata per aver assunto con generosità le proprie gravi responsabilità
Ci sono vicende che si ripetono, a convalidare la fondatezza del pensiero Mahatma Gandhi. È di questi giorni, ad esempio, la notizia della carenza di semiconduttori, da molti analisti già classificata come nuova emergenza globale. Se ne parla – per il momento – ancora poco, ma le crescenti difficoltà nell’approvvigionamento di semiconduttori preoccupa chi si occupa di economia, dal momento che essi sono parte fondamentale della modernità: impiegati praticamente in tutto, dai telefonini ai caccia, stanno alla base di una tecnologia che altrimenti, semplicemente, non esisterebbe. Il fenomeno è ricondotto da alcuni alla cattiva pianificazione. Per altri, invece, la causa sarebbe da ricercarsi nella crescente domanda, stimolata dagli sviluppi del 5G, l’espansione del gaming online e dalla maggiore complessità delle automobili (ogni auto è fatta, per il 40%, da componenti elettroniche). Il dato di fondo è che il mondo ha sempre più bisogno di chip per mantenere ed anzi migliorare il livello di benessere. E più quest’asticella si alza, sempre meno risorse la natura riesce a garantire, finendo con l’essere sottoposta ad uno sfruttamento che non fa che peggiorare le cose.
È questo il paradigma del modello di sviluppo che ha sin qui prevalso e che, per come le cronache quotidianamente evidenziano, è giocoforza mettere in discussione. La pandemia che ormai da un anno tormenta le nostre vite lo rende evidente: confidando sulla forza della tecnologia, l’uomo riteneva di dominare la realtà in maniera assoluta, tale da poter fronteggiare con sicumera le evenienze più disparate. Il virus, invece, generato proprio dalle debolezze inferte all’ecosistema dell’uso abnorme delle risorse naturali, ha ricacciato tutti nell’incertezza. Ecco, allora, la necessità del cambiamento di rotta, peraltro sintetizzato da papa Francesco nella Laudato si’: oggi si apre una via verso uno sviluppo sostenibile da un punto di vista ambientale e sociale. Come? Con un’economia che sia al servizio della società, e non viceversa. Con imprese che lavorino non solo per i profitti dell’azionista, ma anche per il benessere del contesto in cui operano e con un assetto istituzionale che assicuri a tutti i medesimi livelli di protezione.
Per cambiare un sistema produttivo di scarti, la grande sfida da raccogliere è raccordare l’esigenza libertaria, propria della soggettività dei diritti, con l’istanza comunitaria. Solo così si potrà svincolare lo sviluppo dalla distruzione di risorse naturali, nel rispetto per l’equilibrio ecosistemico dell’universo, contro le logiche del condizionamento distruttivo delle risorse del pianeta. E tutto questo, probabilmente, ora o mai più. Come scrive papa Francesco, <<l’umanità del periodo post-industriale sarà forse ricordata come una delle più irresponsabili della storia; c’è da augurarsi che l’umanità degli inizi del XXI secolo possa essere ricordata per aver assunto con generosità le proprie gravi responsabilità.