VOLONTÀ POLITICA E CAPACITÀ TECNICA
PER NON PERDERE L’OCCASIONE DEL PNRR

di PIETRO MASSIMO BUSETTA  Si è compreso finalmente che se non si centralizzano alcune funzioni il rischio che le risorse del PNRR non si riusciranno a spendere  è molto alto.  E la linea del  centralismo fa passi da gigante nel nostro Paese. Anche se tale  concetto va in rotta di collisione con il progetto di autonomia differenziata di Calderoli, che invece punta a trasferire funzioni alle Regioni.

Ma pare si segua il consiglio  del Vangelo, a chi fa della carità, cioè  “che la sinistra non sappia quello che fa la destra” e il Governo sta lavorando attuando bene tale indicazione. 

Il ministro Raffaele Fitto con decreto del Presidente che rende operativa la nuova governance ormai ha la sua task force. In realtà in questo modo si depotenzia il Ministero della Economia a guida leghista, dando potere e responsabilità al Ministro Fitto, che come è noto aderisce a Fratelli d’Italia.

In realtà si supera l’impostazione di Draghi, che aveva previsto una distribuzione di competenze tra Chigi e Met. Si fa prevalere il primo sul secondo. In tutto questo il ruolo delle Regioni diventa meno fondamentale, anzi alcune volte possono essere bypassate  e quindi si spiega il loro malcontento, così come quello dei Comuni,  ed il controllo sulla semplificazione e l’attuazione del Pnrr va in mano Fitto  e conseguentemente alla Meloni. 

Ma forse si potrebbe approfittare di tale opportunità per indirizzare meglio i fondi  che, dispersi in tanti rivoli e soprattutto indirizzati a finanziare i diritti di cittadinanza, potrebbero perdere quella forza dirompente che dovrebbe consentire alle attività produttive, in particolare del Mezzogiorno, di partire con un’accelerazione finora mai vista. 

La Struttura di missione  sarà guidata da un coordinatore e composta da 50 impiegati e 14 dirigenti, a cui si aggiungeranno 20 esperti, anche esterni alla Pa. Quindi parliamo di 84 unità. Così  la task force di Fitto non solo “indirizzerà e coordinerà” ma avrà anche il monitoraggio del lavoro dei Ministeri che sono i soggetti attuatori. La missione 1, quella che riguarda la digitalizzazione e ha anche la missione istruzione e ricerca, avrà il compito dell’attuazione.  E all’interno di tale missione vi é la realizzazione dei 265 mila posti negli asili nido.  Compito estremamente complesso e che registra ancora ritardi considerevoli. Anche la parte della comunicazione e gli obblighi di pubblicità saranno affidati all’Ufficio IV. 

Al Mef resta l’Ispettorato generale, una nuova struttura che sarà ubicata presso la Ragioneria e che viene coinvolta  solo quando si parla dell’acquisizione dei dati sull’attuazione dei progetti. 

Un ruolo importante ma da ufficio statistico. Il vero problema é che si altera nel Governo proprio il rapporto tra i due ministeri considerato che anche il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha in mente di rivedere il Piano, riallocando le risorse in maniera da privilegiare alcuni progetti rispetto ad altri e qui la partita é tutta politica. E riguarda la posizione di un Ministro che dovrebbe avere una attenzione maggiore alle problematiche del Mezzogiorno rispetto ad un altro che ricorderete é volato negli Usa per spostare la Intel da Catania o dalla Puglia a Vigasio in Veneto, a pochi chilometri da Verona. 

Come dice il sommo Poeta “O muse, o alto ingegno, or m’aiutate; o mente che scrivesti ciò ch’io vidi, qui si parrà la tua nobilitate”. E qui si vedrà la capacità di Raffaele Fitto di attuare gli obiettivi veri per cui le risorse del Pnrr sono state concesse all’Italia in cosi larga misura. 

Cioè di cercare di chiudere i divari e cercare di valorizzare la posizione logistica dell’Italia, ormai stivale immerso nel Mediterraneo non più della sola Italia ma anche  dell’Europa. Nonché di far partire quella seconda locomotiva che dovrebbe consentire al nostro Paese di continuare a mantenere i ritmi accelerati dell’ultimo periodo. 

In tale logica potrebbe essere interessante provare a  realizzare alcune opere a terra che riguardano il ponte sullo stretto di Messina e che potrebbero trovare risorse nel piano.    

Molti progetti, riguardanti la parte logistica sono  già pronti, ma ovviamente c’è bisogno di due azioni contemporanee: una riguardante una volontà politica determinata, ed un’altra una capacità tecnica adeguata per consentire ad alcuni progetti di rientrare nelle condizioni previste dall’Unione. 

Non è un compito semplice, neanche per Raffaele Fitto, che dovrà fare i conti con gli interessi contrapposti e con la solita  bulimia di una parte del Paese, che ha visto nell’abbondanza di risorse un’occasione unica per potere completare alcuni investimenti rimasti al palo, come si è visto con i due stadi di Venezia e di Firenze, che sono il simbolo di un approccio dietro il quale è facile prevedere si nascondano tanti altri interventi che all’Unione Europea possono essere sfuggiti. 

La lotta è impari: tra chi ha corpo e gambe ben allenate per combattere e chi esile ed emaciato deve raccogliere tutte le proprie forze per fare l’indispensabile e che sarà soccombente se qualcuno dall’esterno non lo aiuterà a non essere sopraffatto. 

La centralizzazione dei poteri effettuata nel Ministero per il Sud dovrebbe avere questo obiettivo, in una logica di Paese, mai in realtà veramente perseguita.  Ma un secondo compito, estremamente complesso, riguarderà un Ministro, che ha un apparato che é diventato centrale, come mai lo é stato nella politica italiana, ed è quello di evitare che in un gioco delle tre carte, perseguendo interessi di bilancio complessivi, si spostino risorse destinate al Sud per le esigenze più varie, in una logica di bancomat, spesso utilizzata nel passato dal nostro Paese, che ha adottato in tutti i vertici decisionali ed istituzionali la teoria della locomotiva che deve essere in qualche modo aiutata a non fermarsi.

Anche la recente presa di posizione di Confindustria di destinare alcune risorse del Pnrr a industria 4.0 va nella stessa direzione, perché è evidente che tale indirizzo non potrà che concentrarsi sul sistema produttivo italiano che è fondamentalmente nordico, se non si limita l’intervento con quote stabilite opportunamente vincolate al solo Sud. Le forze in campo sono tante ed ognuna tira la coperta in modo da coprirsi, la battaglia mediatica che é partita sull’opportunità del ponte di Messina la dice lunga  sulla posta in campo. Il cambio di passo é difficile ma necessario  per il bene di tutti. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

ACQUA, AMBIENTE, ENERGIA: DALLA SVIMEZ
INDICAZIONI PER UTILIZZO RISORSE PNRR

In Calabria, l’attivazione in termini di valore aggiunto della produzione delle utilities (ambientale, idrico ed energetico), ha un’incidenza dello 0,5%. È il valore minimo rilevato nelle otto regioni meridionali dal Rapporto Sud I servizi pubblici locali nell’Economia del Mezzogiorno, elaborato da UtilitaliaSvimez.

Un dato che preoccupa, ma che deve far comprendere come sia importante investire le preziose risorse del Pnrr per migliorare la qualità della vita dei calabresi, partendo dall’acqua, dall’ambiente e dall’energia.

Soprattutto sull’acqua, la nostra regione ha un problema serio: è tra le più colpite per l’irregolarità nel servizio dell’erogazione dell’acqua e il 28,8% delle famiglie si lamenta del problema. Grave disagio, poi, anche sui consumi: il 38,2% delle famiglie ha dichiarato di non fidarsi a bere l’acqua del rubinetto.

Quello presentato è, infatti, un prezioso documento che analizza e valuta gli impatti economici e occupazionali nei vari settori in cui operano le utilities (ambientale, idrico ed energetico) nelle regioni del Mezzogiorno. Vengono messe a fuoco sia le criticità, legate ad alcuni ritardi storici e all’incalzare della crisi climatica e per la cui risoluzione vengono effettuate alcune proposte, sia le opportunità, moltiplicate dalla destinazione del 40% delle risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) alle regioni meridionali.

Secondo il rapporto, infatti, «i servizi di pubblica utilità, nello specifico quelli relativi alla gestione delle risorse idriche, ambientali ed energetiche, svolgono un ruolo particolare: sono vettori che possono accelerare il passaggio verso un’economia decarbonizzata, basata sulla circolarità delle risorse, sul miglioramento della qualità della vita e sul rafforzamento della resilienza dei sistemi economici e sociali».

«In quasi 290 mila gli addetti nel comparto delle utilities, di cui oltre 93 mila impiegati nelle unità locali situate nelle regioni meridionali. Il peso relativo del Mezzogiorno sull’Italia è dunque pari al 32%, in linea con il peso demografico di queste regioni e nettamente maggiore di quanto emerge da altri indicatori economici (la quota del PIL meridionale su quello nazionale, ad esempio, arriva a malapena al 22%). In termini di occupati, il peso relativo delle utilities sul totale dell’industria raggiunge l’8,9% nel Sud, ed è pari al 4,5% nel CentroNord».

«Passando, però – si legge – dal numero degli occupati alla produttività, l’equilibrio tra Nord e Sud viene ribaltato. Il valore aggiunto per occupato nelle utilities del Mezzogiorno è pari a circa 116 mila euro, mentre nel Centro-Nord si attesta a 166 mila euro, rispetto a valori pari, rispettivamente, a 48 e 67 mila euro per il totale dell’industria. Inoltre il Sud Italia è caratterizzato da una minore concentrazione di società rispetto al resto del Paese: delle 1.301 realtà a livello nazionale, soltanto 260 hanno sede nelle aree meridionali. Nel 2020, il valore della produzione (fatturato) dei servizi di pubblica utilità realizzato da 241 aziende con sede legale nelle regioni del Mezzogiorno ha sfiorato i 5 mld di euro, che corrisponde al 21% dell’intero fatturato prodotto su scala nazionale, nel medesimo anno, dalle aziende attive nei due settori considerati (idrico e servizio ambientale)».

«Il valore della produzione – viene spiegato – complessivamente attivato dalle utilities del Mezzogiorno qui considerate è pari, in valore assoluto, a circa 11 mld di euro a scala nazionale. Per offrire un termine di comparazione, quest’ultimo dato è pari a quasi lo 0,4% dell’intero valore della produzione nazionale al netto delle attività non market2 nel 2019. Per ogni euro di produzione realizzata nel Sud da parte delle utilities esaminate se ne attivano, in Italia, circa 2,2».

Tornando al discorso dell’attivazione in termini di valore aggiunto nelle otto regioni meridionali e la sua incidenza sul Pil, se la Calabria è quella che presenta il valore minimo, c’è la Puglia che, invece, presenta il valore più alto (1,6%).

Dunque, «In sei regioni su otto del Mezzogiorno, l’attivazione di valore aggiunto è uguale o superiore al punto percentuale (sul PIL regionale). Sono valori che indicano come, al di là delle funzioni di primaria importanza svolte da queste aziende (basti pensare a quelle attive nella raccolta dei rifiuti), esse presentano una “dimensione” economica non trascurabile. A fronte di un numero complessivamente esiguo di aziende, la loro capacità propulsiva appare comparativamente elevata».

Per Svimez e Utilitalia, poi, c’è un altro elemento da considerare, ossia che le aziende meridionali sono importanti attivatori di produzione e occupazione anche per le regioni del Centro-Nord. Se nelle regioni del Sud, per ogni milione di euro di produzione realizzata dalle utilities locali, si attivano dai 7 ai 10 addetti, la produzione totale attivata dalle aziende genera a livello nazionale da 2 a 3 posizioni lavorative aggiuntive che interessano le regioni del Centro-Nord. In altri termini, per ogni milione di euro di produzione realizzata dalle imprese meridionali, in media una quota prossima al 30% dell’attivazione complessiva di occupazione va a beneficio delle regioni centro-settentrionali».

Per quanto riguarda il settore idrico, è cosa nota che il Sud soffra di significativi ritardi sia sulla governance che sugli investimenti. Una condizione che aumenta il divario con il resto del Paese andando a creare quella che nel rapporto viene chiamata Water service divide.

«La presenza di piccoli operatori – si legge – spesso coincidenti con i singoli Enti Locali, e la mancanza di un ente di regolazione locale che coordini l’attività dei gestori sul territorio, hanno forti ripercussioni sulla pianificazione degli interventi e sulla determinazione delle tariffe: i gestori del servizio si ritrovano spesso in condizioni di difficoltà economica per cui l’obiettivo finale si focalizza più sulla necessità di contrastare eventuali squilibri di breve termine che su una pianificazione ottimale di lungo periodo che guardi all’efficienza della gestione. È dunque necessario garantire la piena operatività agli Enti di Governo d’Ambito, passaggio fondamentale per il superamento delle gestioni in economia (che al Sud servono il 26% della popolazione; vedi figura) e della frammentazione gestionale che rappresentano un freno allo sviluppo industriale e agli investimenti».

Per Svimez e Utilitalia, «sarebbe opportuno prevedere un’accelerazione nella realizzazione delle infrastrutture interregionali o comunque sovra-ambito (già previste nei piani di bacino e nel Piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza nel settore idrico) ecoerentemente, completare la costituzione di una nuova Società dello Stato (prevista dalla Legge di Stabilità per il 2018) che subentri all’EIPLI, ente definitivamente soppresso e posto ormai in liquidazione. Lo stallo sul destino di questo ente determina infatti un’elevata vulnerabilità del sistema di grande approvvigionamento di buona parte del Sud Italia, comportando un rischio significativo per l’uso civile dell’acqua ma anche per quello irriguo e industriale».

«Si tratta di interventi urgenti perché l’infrastruttura presente nelle regioni del Sud è stata in gran parte realizzata grazie alle risorse previste dalla Cassa del Mezzogiorno» viene evidenziato nel Rapporto, dove viene spiegato che il Sud deve fare i conti con la persistente scarsità della risorsa idrica.

Purtroppo, infatti, «in molte zone i problemi connessi alla disponibilità di acqua potabile costringono ogni anno le amministrazioni a emanare ordinanze di razionalizzazione delle acque, causando disagi alla cittadinanza soprattutto nel periodo estivo. Il quadro complessivo ha un impatto evidente sui consumi di energia elettrica: se da un lato il consumo di energia dell’acqua immessa in rete è abbastanza omogeneo, lo stesso non può dirsi in relazione ai volumi consegnati all’utenza».

E, proprio sulla dispersione dell’acqua, è stato rilevato come «in sei capoluoghi del Mezzogiorno si osservano perdite totali lineari sulla rete comunale di distribuzione dell’acqua potabile superiori a 100 metri cubi per chilometro di rete, che si traducono in perdite percentuali superiori al 50%. Basti pensare che la percentuale delle perdite di Siracusa è pari al 68% circa, mentre a Milano scende al 14%. %. Questa differenza è espressione del service divide che caratterizza il comparto idrico italiano, ovvero l’asimmetria in termini di qualità del servizio offerto tra Nord e Sud del Paese, che può essere riequilibrata solo con un piano di investimenti strategico per le regioni meridionali».

«Inoltre in 11 Comuni capoluogo di provincia/città metropolitana, localizzati tutti nel Mezzogiorno, si è fatto ricorso a misure di razionamento nella distribuzione dell’acqua potabile, disponendo la riduzione o sospensione dell’erogazione idrica. A 10 Famiglie e servizio idrico: nel Mezzogiorno maggiore irregolarità nel servizio e bassa fiducia nel bere acqua del rubinetto Attivazione complessiva degli investimenti nel periodo 2018-2023: in termini di produzione 3,2 mld € con 42mila ULA Enna, Pescara, Cosenza e Reggio di Calabria le restrizioni nella distribuzione dell’acqua potabile sono state estese a tutto il territorio comunale. Le situazioni più critiche si sono registrate ad Agrigento e Trapani, dove l’erogazione dell’acqua è stata sospesa o ridotta in tutti i giorni dell’anno, con turni diversi di erogazione estesi all’intera popolazione residente».

Da questi dati, dunque, emerge come le sfide più importanti per le utilities del Sud sono legate essenzialmente alla riduzione del service divide, soprattutto nei settori idrico e ambientale. L’obiettivo è migliorare i servizi erogati anche nell’ottica di aumentare il grado di resilienza di fronte agli effetti dei cambiamenti climatici.

A tal proposito dal rapporto emergono alcune precise proposte: è necessario sostenere e potenziare lo sviluppo industriale delle utilities nel Sud Italia favorendo le gestioni industriali per superare i problemi derivanti dalla frammentazione; migliorare e semplificare la governance, per garantire rapidità ed efficacia nel processo di evoluzione industriale, incentivando la completa realizzazione degli investimenti, e semplificare i procedimenti autorizzativi; completare il processo di costituzione di una nuova Società dello Stato, che subentri ad EIPLI, per garantire il riequilibrio della dotazione della risorsa idrica nel bacino distrettuale dell’Appennino Meridionale; incentivare il processo di digitalizzazione del comparto; e, infine, programmare lo stanziamento di nuove risorse destinate alle regioni del Meridione ed assicurare la realizzazione degli investimenti.

Nelle regioni del Sud inoltre – e in particolare in Sicilia, in Puglia e in Basilicata – è presente il maggior potenziale di sviluppo delle rinnovabili da solare ed eolico d’Italia. Ad oggi la produzione di energia rinnovabile da queste fonti, al Sud Italia, è pari a circa il 30% della produzione nazionale (dati Terna): un valore che può crescere sensibilmente, contribuendo al raggiungimento dei target previsti dalla normativa europea.

Per la Presidente di Utilitalia, Michaela Castelli, «l’unica strada percorribile per elevare il livello dei servizi pubblici al Sud è favorire una gestione industriale, ovvero una gestione unica che si occupi dell’intero ciclo dell’acqua come dei rifiuti. Come dimostrano le positive esperienze del Centro-Nord e quelle delle realtà industriali presenti nel Meridione, solo in questo modo è possibile ottenere un incremento degli investimenti e della qualità dei servizi offerti ai cittadini».

«Bisogna intervenire – ha evidenziato – nei territori in cui le amministrazioni locali non hanno ancora affidato il servizio a un soggetto industriale, con l’obiettivo di superare le gestioni in economia e la frammentazione gestionale. Per ogni euro di produzione realizzata nel Sud da parte delle utilities esaminate nel Rapporto se ne attivano, in Italia, circa 2,2: il comparto può dunque contribuire in maniera importante al rilancio economico del Meridione, anche dal punto di vista dell’impatto occupazionale diretto e indiretto».

Anche per il Direttore Generale della Svimez, Luca Bianchi «il comparto delle utilities risulta essere uno dei canali di trasmissione più idonei a mettere a terra con profitto le risorse del PNRR nel Mezzogiorno. La maggiore robustezza rispetto al resto dell’industria riscontrata nelle gestioni integrate idriche e dei rifiuti, così come la capacità progettuale e di governo del sistema dei Consorzi di Bonifica, sono gli elementi che lo studio mette in evidenza come leve cruciali per favorire la transizione digitale ed ecologica del Mezzogiorno».

«Puntare su modelli di governance – ha sottolineato – che si sono rivelati efficaci anche al Sud, rafforzandoli nei territori in cui ancora non si sono insediate le gestioni industriali e concentrandovi le maggiori risorse per investimenti del PNRR, può essere la soluzione per sopperire al deficit di capacità amministrativa che potrebbe compromettere l’efficacia del PNRR nel Mezzogiorno. Tanto più che l’impatto degli investimenti su questi settori risulta essere particolarmente incisivo nella formazione di nuova occupazione e riguarda gli ambiti più esposti alle sfide del cambiamento climatico».

«Gli investimenti sulla digitalizzazione delle gestioni idriche, dei campi agricoli, sulla depurazione e sul trattamento dei rifiuti possono produrre effetti a cascata (effetti spillover) nel lungo periodo di gran lunga superiori alle stime di impatto sul Pil e occupazione, peraltro già consistenti, elaborate in questo studio», ha concluso Bianchi. (rrm)