METROCITY RC ANCORA SENZA DELEGHE:
SONO PASSATI DIECI ANNI E TUTTO TACE

di VINCENZO VITALE – Che la città metropolitana di Reggio Calabria sia un monstrum geografico è un dato di fatto: basti pensare che la sua superficie è dieci volte maggiore di quella della città metropolitana di Napoli, pur avendo un decimo dei suoi abitanti.

Poco e male infrastrutturata, sì che per recarsi da un suo estremo all’altro, come da Reggio a Caulonia per esempio, occorre più tempo che per andare da Milano a Lugano, la nostra Metrocity è tanto smisuratamente grande da contenere al suo interno l’intero perimetro del Parco d’Aspromonte, caso unico al mondo di una città che abbia un “suo” parco nazionale. Eppure questo handicap, questo vizio di nascita, se ben gestito potrebbe essere un vantaggio, sia dal punto di vista turistico e logistico che da quello agricolo e industriale, per non parlare della esuberante disponibilità ad accogliere braccia produttive che non disdegnino attività lavorative oggi poco gradite ai residenti.

Però la Città Metropolitana reggina langue e non solo per colpa dei suoi amministratori. Pur abbastanza grande da poter essere una piccola Regione autonoma, si pensi al Molise che ha più o meno la metà degli abitanti della già Provincia reggina e una superficie di poco superiore, non ha ancora ricevuto deleghe e funzioni dalla Regione Calabria, mai come in questo caso lontana e ostile. La Legge Del Rio lo impone ma la Regione Calabria, pur avendo deliberato nel 2014 che entro il 31 dicembre del 2015 avrebbe operato i trasferimenti, non lo ha ancora fatto.
Sono passati dieci anni e tutto tace, nonostante formali interventi cui nemmeno si risponde (ultimo quello del 23 gennaio di quest’anno). Tutte le altre città metropolitane continentali (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari), chi prima chi dopo, hanno tutte avute già nel 2015 deleghe e funzioni dalle rispettive Regioni. Manca solo la decima città, la nostra, che subisce così l’anomalia di essere un Ente monco.
Bene ha fatto, quindi, il sindaco Giuseppe Falcomatà a portare il caso a livello nazionale con una formale denuncia di questa assurdità sul tavolo del Coordinamento della Città Metropolitane dell’Anci, che ha deliberato un suo intervento. Staremo a vedere. Nel frattempo non si può non notare che un simile argomento non ha un posto di rilievo nell’agenda dei nostri rappresentanti al parlamentino regionale di via C. Portanova né dei membri reggini nelle stanze decisionali di Germaneto.
Sembra di rivedere le dinamiche già subite dalla città di Reggio sul finire degli anni Sessanta, che diedero la stura ai Fatti dei primi anni Settanta: i nostri parlamentari regionali irretiti dalle logiche partitiche che perdevano di vista i veri interessi dalla loro città. Allora ci fu il sindaco Battaglia che denunciò le trame e aprì le ostilità. Dobbiamo oggi assegnare a Falcomatà il ruolo che comincia a rivendicare?
Negli anni Settanta, sulla questione dello scippo del Capoluogo effettato da Catanzaro ai danni di Reggio, una sinistra miope e politicamente succube parlò di battaglie per un inutile “pennacchio spagnolesco”. Oggi la destra di governo a Catanzaro offre alla sinistra di governo cittadino la possibilità di insorgere a difesa dei diritti negati della città sullo Stretto. Nel mentre i consiglieri comunali e metropolitani reggini, di destra e sinistra, tacciono sulla questione come se non fossero affari loro, a Catanzaro studiano come non perdere potere col trasferimento delle funzioni alla Città Metropolitana reggina. Falcomatà come Battaglia? Se lo si lasca fare da solo, perché non dovrebbe intestarsi questa querelle e trarne i relativi vantaggi elettorali? Prescindendo dalle primogeniture e dai vessilliferi, questa è una guerra cittadina e, come tale, tutti devono partecipare. (vv)
[Vincenzo Vitale è presidente della Fondazione Mediterranea]

OSPEDALE DI PALMI, MA QUALE URGENZA?
LA PIANA LO STA ASPETTANDO DA 17 ANNI

di ERNESTO MANCINI – Quello del nuovo Ospedale della Piana di Gioia Tauro è un triste argomento di malapolitica e malaburocrazia, su cui bisogna andare subito al dunque, perché c’è molto da dire. Vado per ordine e per sintesi.

1) Gli incredibili ritardi del procedimento

Sono passati oltre 17 anni dall’Accordo di Programma tra lo Stato e la Regione Calabria del 13 dicembre 2007 nel quale si prevedeva la realizzazione di quattro nuovi ospedali per la nostra Regione (Sibaritide, Vibonese, Piana di Gioia Tauro e Catanzaro) all’esito di unevidente insufficienza delle strutture esistenti. L’accordo derivava da clamorosi e diffusi casi di malasanità per carenza di adeguati presìdi ospedalieri. Infatti, già allora la realizzazione di tali ospedali veniva dichiarata di “somma urgenza” con Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri Prodi nella settimana successiva (21 dicembre 2007).

Per la provincia di Reggio Calabria il nuovo ospedale veniva ubicato nella città di Palmi a poche decine di metri dall’autostrada. Da allora ad oggi si sono verificati ritardi inaccettabili per tutti gli ospedali programmati. Nessuno di questi è stato realizzato. Per Palmi i ritardi sono ancora più gravi e si possono così riassumere: dall’accordo di programma Stato/Regione al bando di gara per la costruzione: 3 anni,7 mesi e 19 giorni (13.12.2007- 1.8.2011); dal bando di gara al contratto: 3 anni, 9 mesi e 7 giorni (1.8.2011– 8.5.2015); dal contratto alla presentazione del progetto definitivo ai soli fini della conferenza dei servizi: 3 anni e 6  mesi(8.5.2015- 8.11.2018); dall’indizione della conferenza dei servizi per il progetto definitivo alla chiusura positiva di tale conferenza con prescrizioni 2 anni, 3 mesi, 3 giorni (8.11.2018 – 11.2.21).

Ad oggi, febbraio 2025, il progetto definitivo è stato presentato ma deve essere ancora approvato e, di conseguenza, manca il progetto esecutivo sicché l’apertura del cantiere non è neppure alle viste (!!).  

Qualsiasi cittadino, che pure non conosca i meccanismi degli appalti per opere pubbliche, si rende perfettamente conto che si tratta di tempi assolutamente inaccettabili e, pertanto, contro legge. Sono stati infatti violati l’art. 97 della Costituzione che impone il buon andamento della pubblica amministrazione (rapidità, efficacia, efficienza), tutte le norme di cui al capo primo della legge 241/90 che non ammette ritardi sulla tempistica e impone la responsabilità dei procedimenti amministrativi;infine è stato violato l’intero impianto delle norme sugli appalti (D.Lgs.50/2016) che impongono di fare bene ma anche in tempi congrui.

2) Sgombrare il campo da false giustificazioni

Nel corso degli anni per questi ritardi sono state prospettate da parte Regionale varie difficoltà relative al terreno o alla procedura. Invero tutte le giustificazioni sono prive di fondamento: per rimuovere poche decine di metri di tuboli di irrigazione di asserito valore archeologico si sono impiegati due anni; per la rimozione di un elettrodotto che interferiva sul terreno, oltre sette anni. Si è pure asserito che il terreno presentava problemi di radioattività poi smentite da ulteriori indagini specifiche. Sono stati fatti più scavi in più anni per eventuali altri impedimenti archeologicisenza alcun esisto ostativo.

Nessuna influenza aveva avuto anche la crisi finanziaria della ditta Tecnis (due-tre anni per la sua sostituzione) perché si verificava in un periodo in cui si doveva elaborare il progetto definitivo e perciò ancora nessun impiego di capitali per il cantiere che impegnassero la capacità finanziaria della ditta. Ed infatti il progetto definitivo fu commissionato e presentato per la conferenza dei servizi nel 2018. Ancora oggi, dopo sette anni dal 2018 (!!) il progetto definitivo deve essere approvato ai fini del successivo progetto esecutivo e l’apertura del cantiere.

Tutti i riferiti ostacoli sono assolutamente ordinari per un progetto di opera pubblica ospedaliera, tanto che qualsiasi responsabile del procedimento non potrebbe che rallegrarsi per tale ordinarietà rispetto ad ostacoli ben più complessi od insormontabili che possono presentarsi per le opere pubbliche. In nessun caso valgono 17 anni di ritardi più gli altri che si prospettano, quattro –cinque per la costruzione e l’attivazione, che portano già di sicuro a ben oltre il ventennio (sostantivo già triste di suo).

3) I danni sociali ed economici

Contro tali ritardi l’associazionismo civico, ed in particolare l’Associazione Prosalus di Palmi, si batte con continuità per la tutela della salute nella Piana e rivendica senza soste il diritto dei cittadini della Piana a questa struttura. L’associazione nonsi è mai limitata a proteste velleitarie, generiche od episodiche né a visite di cortesia presso la regione ed ha puntualmente documentato ogni ritardo ed ogni danno che una siffatta inconcludenza ha cagionato e tuttora cagiona alla comunità della Piana (bacino di utenza di oltre 150mila abitanti).
Tutto ciò, a parte le numerose manifestazioni di protesta, gli accessi al procedimento per informare la comunità, gli innumerevoli viaggi in Regione a Catanzaro e Reggio (Presidenza, Assessorato, Consiglio Regionale) per riunioni e tavoli tecnici dai quali non è sortito granché se non prospettazioni generiche promesse vaghe e comunque puntualmente disattese. Per l’accesso agli atti ed alle informazioni, per ben due volte si è dovuto fare ricorso (con successo) al difensore civico oppure si sono sempre dovuti aspettare da 30 a 60 giorni per avere poi solo risposte elusive ed in burocratese.

In apposito atto di controllo sociale e di denuncia civica denominato “Contatempo/danno” che a cadenza mensile viene aggiornato ed inviato per memoria e mònito alle Autorità competenti, Prosalus ha determinato e dimostrato tali danni.

A decorrere dal 2015, anno in cui, a tutto concedere, l’ospedale avrebbe dovuto essere realizzato essendo già previsto con somma urgenza già dal 2007, i danni a causa della mancata realizzazione della struttura nel territorio sono i seguenti: non sono stati effettuati 165.780 ricoveri; non sono state erogate 1.193.655 giornate di degenza né 48.480 day hospital. Non sono state effettuate 6.127.620prestazioni ambulatoriali né 569.220 prestazioni di pronto soccorso. Inoltre, si sono persi 1.325 rapporti di lavoro (senza contare il turn over) e 48.495.000 ore di lavoro per assistenza ospedaliera.

Ancora: non sono stati introitati € 1.740.704.490 da prestazioni di ricovero e ambulatoriali remunerate da finanziamenti pubblici e privati e non sono stati spesi € 1.682.878.380 che avrebbero generato reddito per le persone e le famiglie delle maestranze, redditi di impresa e altri ricavi diretti o per l’indotto dell’intera Piana di Gioia Tauro e di altre zone. Vi è molto altro che qui per brevità non si menziona.

Si badi bene che tutti i descritti valori di danno sono approssimativi perdifetto ed al netto delle prestazioni erogate dall’Ospedale di Polistenaunico presidio della zona rimasto dopo la chiusura degli altri. Tali valori sono dimostrati in dettaglio nel citato documento contatempo/danno accessibile in qualsiasi momento sul sito www.prosaluspalmi.it. Nessuna autorità, locale o centrale può dire di non sapere il dettaglio anche se la disfunzione è evidente.

Ancora peggio: la mancanza della struttura ha comportato migrazione sanitaria infra ed extra regionale con i relativi disagi soprattutto per le famiglie meno abbienti e prive di adeguato reddito per costosi soggiorni altrove. L’ospedale metropolitano di Reggio Calabria è stato appesantito per l’inadeguatezza dell’assistenza ospedaliera della Piana.L’implementazione delle liste d’attesa per degenze e servizi vari, con conseguenze favorevoli solo per il privato, sono state peraltro logica conseguenza di tutto ciò.

Insomma, danno su danno e danno che genera altro danno.

4) Le responsabilità

Le responsabilità di quanto sopra sono ascrivibili per intero alla classe politica e tecnico-burocratica della Regione senza alcuna eccezione.

Per quanto riguarda la classe politica dal 2007 ad oggi, ogni diversa compagine si è succeduta alla guida della Regione: Loiero (centro-sinistra) dicembre 2007 – aprile 2010; Scopelliti (centro-destra) aprile 2010 – aprile 2014; Stasi (centro-destra) aprile – dicembre 2014; Oliverio (centro-sinistra) dicembre 2014 – febbraio 2020; Santelli (centro-destra) febbraio – ottobre 2020; Spirlì (centro-destra Lega) ottobre 2020 – ottobre 2021; Occhiuto (centro-destra) da ottobre 2021 ad oggi e con mandato in scadenza al 2026.

Per quanto riguarda la dirigenza tecnico-burocratica dal 2013 a tuttora il R.u.p. (responsabile unico del procedimento) è sempre stato lo stesso dirigente. Ugualmente dicasi per l’ufficio regionale di edilizia ed investimenti sanitari salvo il recente rinnovo del vertice (agosto 2024).

4) Le promesse e gli impegni d’onore

Le promesse per la realizzazione dell’ospedale e di soluzioni per superare i problemi burocratici si sono dimostrate pure illusioni. La comunità è stata ripetutamente disillusa e le aspettative di vedere finalmente realizzata una struttura sanitaria adeguata sono state continuamente disattese.

Tra le tante promesse si citano quella del Presidente Oliverio (centro-sinistra) che, appositamente invitato insieme al R.U.P. in un Consiglio Comunale aperto all’intervento del pubblico in data 10 maggio 2018, si impegnava ad aprire il cantiere non appena fosse stata sbloccata la crisi della ditta Tecnis (sblocco che avvenne il 30.10.2019 con l’assegnazione dell’appalto alla subentrante ditta D’Agostino). Nulla invece si è realizzato(Oliverio cessava il suo mandato nel febbraio 2020).

Si è fatto e si fa tuttora molto affidamento sul Presidente subentrante Occhiuto (2022) il quale, poco dopo il suo insediamento, si impegnava alla realizzazione del Nuovo Ospedale, come degli altri previsti nell’accordo di programma Stato/Regione, entro la fine del suo mandato 2026 (riunione a Catanzaro del22.11.2022 come riportata anche dalla stampa).

Il cronogramma regionale del Nop, disatteso in ogni sua parte

Con proprio decreto(programmazione 2022-24) egli programmava per il dicembre 2024 lavori per il 5% dell’importo del contratto ed entro il dicembre 2024 del 40%. Ciò confermava la prospettiva di chiudere con la costruzione dell’ospedale entro il mandato (2026) o comunque subito dopo. Anche tali prospettive sono cadute nel nulla.

Va sottolineato che, quando gli amministratori pubblici fanno affermazioni pubbliche sui media o in riunioni operative, gli impegni politici diventano, a mio avviso, anche impegni d’onore. Questi impegni creano grandi aspettative per le popolazioni interessate ma altrettante grandi delusioni ove non siano rispettati. Poi, dopo 17 anni, alla delusione seguono lo sconcerto e la totale sfiducia.

5) Le nuove pessime notizie  

Più di recente è accaduto che avendo la ditta appaltatrice presentato alla Regione il progetto definitivo col nuovo piano economico finanziario (2023 P.E.F.) le somme necessarie per la realizzazione dell’ospedale sono passate da 152 milioni a 293 milioni con un incremento di 141 milioni (+ 93% cioè il doppio (!!!!) rispetto a quanto previsto in sede di bando di gara e successivo contratto di appalto (anni 2011 e 2015).

Ciò era prevedibile stante l’assurdo tempo trascorso a causa dell’inconcludenza della componente politica e tecnico-burocratica della Regione in tutti gli anni precedenti. Analoghi aumenti hanno riguardato anche gli Ospedali di Vibo e della Sibaritide previsti a seguito dell’accordo di programma del 13 dicembre 2007 (Sibaritide, ospedale fotocopia del Nop, 292 milioni come da decreto n 80 del 28 marzo 2024). Tutti i danni sopra indicati vanno pertanto moltiplicati per tre.

Con decreto n. 84 del 5.4.24 è stato approvato un atto di indirizzo per il reperimento dei maggiori oneri per l’Ospedale della Piana, giustificato, si legge nel provvedimento, da “varianti progettuali” (varianti normative, aree esterne, modifiche strutturali, varianti distributive dell’edificio), e che “i costi di produzione hanno subìto anomali incrementi per effetto del contesto macroeconomico dovuto all’ emergenza Covid 19, aggravato dal conflitto russo-ucraino”. Ciò ha determinato, si precisa ancora nel provvedimentodifficoltà di reperimento delle materie prime, aumento di prezzi dell’energia, aumento significativo dei prezzi di materiale di costruzione”.

Va da sé che i nuovi maggiori costi non ci sarebbero stati se l’Ospedale fosse stato realizzato in tempi accettabili ovvero, cinque, sei o a tutto concedere, sette, otto, ma anche nove anni dal 2007 e non invece i diciassette anni fin qui trascorsi ed almeno altri cinque da preventivare posto che il cantiere non è stato ancora aperto. Il tempo, fatto colpevolmente trascorrere, è invero la principale causa di ogni sciagura di questo appalto.

Il danno da ritardo eccessivo non si limita alle maggiori somme ora richieste. Queste somme sono ben poca cosa rispetto agli ulteriori e rilevanti danni economici e sociali che derivano dal ritardo documentato al precedente punto n. 1. Il nuovo Ospedale si sarebbe ripagato per decine di volte se fosse stato attivato per tempo.

6) La situazione attuale. Le ginocchia di Giove.

In una dichiarazione pubblica di questi giorni il Presidente Occhiuto ha precisato quanto segue: […] «ho chiesto al governo di darmi una mano per concludere i tre grandi ospedali. Sibari procede e sarà completato prima della fine della legislatura, a Vibo c’è stato un incontro con il concessionario e aggiorneremo il piano finanziario per accelerare i lavori. Sulla Piana il concessionario ha chiesto 190 milioni in più, noi siamo disponibili ad un aggiornamento del Pef (piano economico finanziario – n.d.r..)  Mi sto assumendo tantissime responsabilità e rischio di essere rincorso dalla Corte dei Conti per i prossimi decenni. Però l’ho fatto perché altrimenti non l’avremmo finito (…) ho fiducia»).

Dopo avere sbloccato nel 2024 l’ospedale della Sibaritide che presentava identica necessità di nuovi fondi a quella del Nop (i due ospedali sono fotocopia l’uno dell’altro per progettazione, dimensione, ditta appaltatrice, ecc. ecc.) ora il Presidente tenta di sbloccare il resto. Gli si può dare fiducia nonostante i gravi inciampi in cui è incorso nella già disattesa programmazione dei lavori al 40% per il dicembre 2024 o nella prospettazione sui social di problemi risibili rispetto a quello che è sempre stato il vero ed unico problema del Nop: il tempo trascorso per inconcludenza politica e tecnica burocratica di chi lo ha preceduto a cominciare dal governo di centrodestra di Scopelliti & co. che inopinatamente smantellava la Piana degli ospedali esistenti nonostante fosse fermo sulla procedura del Nop.

Ora però, rispetto a tutto ciò che è successo nei diciassette anni trascorsi, siamo al momento decisivo. Il Presidente Occhiuto potrà avere merito per avere sbloccato il Nop con l’aiuto del Governo oppure demerito per averlo affossato definitivamente; poco importa che nessuna parte politica sia esente da responsabilità o che il Presidente risponda solo degli ultimi tre anni (che comunque sono già tanti).

E i cittadini della Piana di Gioia Tauro? Essi sono, come gli antichi, sulle ginocchia di Giove, quella divinità che secondo i poemi omerici decideva sugli uomini in attesa del loro destino incerto. Giove poteva essere buono o cattivo, generoso od impulsivo, protettore o vendicatore.

Ed è così che la Calabria tira avanti cacciandosi nei guai per poi chiedere a Giove cioè al Governo, di risolvere i problemi che essa stessa ha cagionato. (em)

[Ernesto Mancini è già Direttore Amministrativo Azienda Ospedaliera Universitaria di Verona e Capo dipartimento legale ed appalti Asp Verona]

SVIMEZ: SVILUPPO, L’ITALIA DELLE REGIONI
PERCHÉ IL MEZZOGIORNO CRESCE DI MENO

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Dal 2025 il Sud torna a crescere meno del Nord. È quanto emerso dal Rapporto della Svimez in collaborazione con Ref Ricerche dal titolo “Dove vanno le regioni italiane. Le previsioni regionali 2024-2026”,  che ha rilevato come, di fronte a una crescita nazionale del Pil a +0,7% nel 2025 e dello 0,9% nel 2026, la Calabria – ma in generale il Sud – non cresce anzi, subisce una brusca frenata.

Un quadro sconcertante, considerando che, nel 2024, il Sud era un passo avanti rispetto al Nord ma, secondo le stime Svimez, il Pil del Mezzogiorno nel 2025 sarà + 5,4% e, nel 2026, + 0,68% contro il +1,04 del Nord-Est per il 2025 e 0,91% del Nord-Ovest. Ovviamente, anche la Calabria subirà questo brusco stop: se la differenza tra il 2024 e il 2025 è solo di qualche punto (nel 2024 era +0,62 e nel 2025 si stima sia allo 0,57), per il 2026 ci sarà un vero crollo: sarà al 0,54.

Per la Svimez «il rallentamento della crescita è la conseguenza di fattori comuni all’area euro, come il ripristino dal 2024 dei vincoli del Patto di Stabilità europeo, la recessione dell’industria dovuta a calo della domanda per beni durevoli, con la crisi di settori traino come l’automotive, la debolezza del commercio internazionale, l’aumento dei costi dell’energia».

Ma sono anche i fattori specifici del contesto italiano a incidere: un quadro di finanza pubblica nazionale che concentra la contrazione del deficit nel 2024-2025; un peso rilevante del settore automotive e un ruolo decisivo della domanda estera, con una forte interdipendenza con l’industria tedesca. Da sottolineare tuttavia, che le previsioni non tengono in considerazione la grande incertezza «Trump», provocata dalle ipotesi di inasprimento dei dazi sulle esportazioni verso gli Stati Uniti.

Per quanto riguarda le singole regioni italiane nel 2025 si prevede per il Veneto una crescita dell’1,2%, dell’1,1%, per la Lombardia, dell’1% per l’Emilia Romagna, regioni più strutturate capaci di compensare la debolezza dell’export con la tenuta della domanda interna, mentre arrancano l’Umbria con lo 0,2%, la Liguria 0,4%, Puglia e il Molise con lo 0,5% regioni meno esposte al rallentamento del commercio estero ma con meno elementi capaci di far decollare la crescita.

Il 2024 si dovrebbe chiudere con una crescita maggiore nel Mezzogiorno: 0,8% vs. 0,6% nelle regioni centro-settentrionali. Per il secondo anno consecutivo il Sud si muoverebbe così più velocemente del resto del Paese, anche se con un differenziale notevolmente ridotto (da un punto percentuale a due decimi). Sono due i principali elementi che concorrono al risultato previsto.

Nel 2024 l’evoluzione congiunturale risulta fortemente influenzata, in parte come l’anno precedente, dalla dinamica degli investimenti in costruzioni che verrebbero a confermarsi come una delle componenti più dinamiche della domanda. Per capire cosa ha significato negli anni recenti il boom osservato nel comparto immobiliare, si tenga presente che tra il 2021 e il 2023 la crescita registrata negli investimenti in costruzioni è stata di entità più che doppia rispetto a quella avvenuta nei dodici anni che vanno dal 1995 al 2007.

Dal lato dell’offerta, le nostre previsioni indicano un contributo negativo dell’industria in senso stretto alla dinamica del prodotto in entrambe le macroaree nell’intero periodo di previsione (con la parziale eccezione del Sud nel 2026). In primo luogo, ciò è riconducibile alla inusuale debolezza della domanda estera, che oramai influisce per circa la metà dell’intero output industriale delle regioni centrosettentrionali (specie in Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto), dove si concentra quasi il 70% del valore industriale nazionale. A ciò si aggiunge una congiuntura complessivamente debole unitamente alle molteplici “crisi” aziendali indotte dai cambiamenti strutturali in atto (transizione ecologica e digitale su tutte) in assenza, anche a livello sovranazionale, di un quadro strategico e normativo certo, condizione imprescindibile per introdurre i necessari adeguamenti.

Con riferimento al biennio 2025-2026, l’evoluzione del Pil italiano è prevista permanere al di sotto dell’uno per cento, con un profilo in lieve espansione: +0,7% nel 2025; +0,9% nel 2026. In questo biennio il Centro-Nord dovrebbe risultare l’area più dinamica, con un differenziale di circa tre decimi di punto rispetto al Sud in entrambi gli anni. Sul piano estero, il tasso di crescita del Prodotto italiano nel biennio 2025-2026 verrebbe di nuovo a collocarsi nella fascia inferiore rispetto ai principali avanzati. Per crescita del Pil l’Italia scivolerebbe in fondo alla classifica europea, insieme alla Germania.

«Una decisa inversione di tendenza rispetto agli anni post Covid – ha rilevato la Svimez – quando la ripresa è stata sostenuta da politiche di bilancio dall’intonazione straordinariamente espansiva. Sul fronte interno, lo scenario previsivo ipotizza che dal 2025 si arresti il biennio di crescita più intensa, 2023-2024, sperimentato dal Sud, di per sé una circostanza abbastanza inusuale. Il differenziale Nord/Sud dovrebbe comunque mantenersi su valori molto più contenuti rispetto al ventennio pre-Covid: Centro-Nord +0,8%, Mezzogiorno +0,5% nel 2025; Centro-Nord +1%, Mezzogiorno +0,7% nel 2026. Le due aree dovrebbero perciò continuare a crescere a velocità simile come nella ripartenza post pandemica».

A contenere il differenziale di crescita Nord/Sud contribuisce in maniera decisiva il Pnrr i cui investimenti valgono il sessanta per cento della crescita del Mezzogiorno nel biennio 2025-2026. Se, quindi, la completa implementazione del Pnrr è un obiettivo nazionale, la realizzazione degli investimenti finanziati dal Piano sono decisivi per tenere il Sud agganciato al resto del Paese.

La spesa delle famiglie dovrebbe crescere a un saggio di entità quasi doppia al Centro-Nord rispetto al Mezzogiorno in virtù di una analoga evoluzione del potere d’acquisto. Oltre che un differenziale di inflazione sfavorevole al Mezzogiorno, incidono su questo risultato alcuni provvedimenti governativi: l’indebolimento delle politiche a sostegno delle famiglie che impattano più pesantemente al Sud; l’intervento sul cuneo fiscale e la riforma dell’Irpef che favoriscono consumi soprattutto al Centro-Nord dove si concentrano i redditi da lavoro dipendente.

La crescita del Pil verrebbe a essere prevalentemente sostenuta dai servizi di mercato (market services) e, in misura inferiore, da quelli della PA. Con riferimento ai market services, nel Report si portano evidenze relative al fatto che: a) la quota dei servizi con un elevato contenuto di conoscenza (KIS) è modesta in entrambe le macroaree (di poco superiore al 20 per cento); b) le restanti attività, prevalenti, presentano un gap di produttività significativo, più marcato al Sud.

Tale circostanza, in primo luogo, limita le potenzialità di sviluppo delle due macroaree, specie nell’attuale congiuntura quando sono proprio i market services nel loro insieme a crescere di più; vincolo maggiormente ostativo nel Sud. Inoltre, questo primo fattore si incrocia con una delle grandi “questioni” del nostro Paese, quella salariale, intesa come livello e dinamica più contenuta delle retribuzioni nazionali nel confronto europeo. Precisamente, i minori salari unitari che si riscontrano nel nostro Paese, in misura maggiore al Sud, svolgono, sempre nel confronto internazionale, un ruolo “equilibratore” al ribasso dell’equilibrio economico delle imprese.

A livello regionale, relativamente al biennio 2025-2026, dovrebbero mostrare una crescita più vivace le economie dalla base produttiva più ampia, strutturata e diversificata, più pronte a intercettare le opportunità derivanti da un rafforzamento della domanda interna. Prevarranno sentieri di crescita regionale più differenziati al Nord e al Centro, più omogenei nel Mezzogiorno.

Tra le diverse ripartizioni emerge nel Nord-Ovest il traino della Lombardia; nel Nord-Est, le regioni più dinamiche sono Veneto e Emilia dove, nonostante debolezza dell’export, la crescita è sostenuta dalla domanda interna; si conferma la divaricazione interna al Centro: da un lato, più dinamiche la Toscana, per la maggiore presenza di imprese strutturate, e il Lazio, trainata da Giubileo e service economy; dall’altro, Umbria e Marche, alle prese con crisi settoriali di lungo periodo e alla ricerca di un nuovo modello di specializzazione; il Mezzogiorno risulta un’area in rallentamento ma compatta, meno esposta al rallentamento del commercio estero ma dove mancano elementi che accelerano il cambiamento strutturale, nonostante il Pnrr che sostiene la dinamica del Pil nel 2025-2026.

Il ciclo dell’export si presenterebbe debole rispetto ad altre fasi di ripresa: pochissime regioni arriverebbero nel biennio 20252026 a cumulare incrementi dell’export di una certa consistenza. Fra i territori a maggiore vocazione all’export solo Emilia-Romagna e Toscana arriverebbero a superare una crescita del 3 per cento in termini cumulati nel biennio. Guardando alla dinamica della spesa delle famiglie nelle diverse regioni, il biennio 2025-2026 dovrebbe essere segnato da una relativa divergenza fra le regioni del Nord e quelle del Mezzogiorno.

La differenza è riconducibile a due aspetti: gli effetti indotti dagli interventi fiscali in grado, almeno nel breve periodo, di salvaguardare maggiormente il potere d’acquisto delle regioni del Nord; la crescita dei consumi interni rifletterebbe anche l’evoluzione della spesa dei non residenti, con effetti positivi sul Lazio nel 2025 per effetto del Giubileo, e Lombardia, Veneto e Trentino Aldo-Adige per i giochi olimpici invernali. Infine, le regioni del Mezzogiorno, che negli anni scorsi avevano beneficiato del sostegno della politica fiscale, vedranno progressivamente inaridirsi il supporto del bilancio pubblico.

Questo cambiamento nelle politiche potrebbe ritardarne il recupero. Tuttavia, sempre le regioni del Sud risentirebbero maggiormente dell’effetto positivo degli investimenti del Pnrr. Grazie, soprattutto, al contributo delle opere pubbliche, il divario territoriale di crescita degli investimenti risulterebbe quindi contenuto.

SANITÀ, LA REGIONE SALE LA CHINA SUI LEA
È UN +18,25, MA È INADEMPIENTE PER IL 2023

di ANTONIETTA MARIA STRATI – La Calabria sta gradualmente risalendo la china nella sanità, registrando +18,21 punti in tutte e tre le aree dei Lea – Livelli Essenziali di Assistenza, passando da 135,25 a 153,46. È quanto emerso dalle analisi condotte dalla Fondazione Gimbe sugli adempimenti Lea della Regione Calabria, illustrati in conferenza stampa in Cittadella regionale. Un risultato non indifferente in cui, tuttavia «nonostante i miglioramenti e l’eventuale rettifica nell’area della prevenzione, la Calabria risulterebbe ancora inadempiente per il 2023, poiché il punteggio nell’area distrettuale rimane comunque inferiore alla soglia di 60 punti», ha avvertito il presidente della Fondazione, Nino Cartabellotta.

Questo recupero ha compensato, in parte il crollo di -24,74 punti registrato tra il 2021 e il 2022, quando il punteggio era sceso da 159,99 a 135,25. Tra il 2022 e il 2023, il punteggio Lea dell’area della prevenzione aumenta da 36,59 a 43,82 (+7,23 punti); in quella distrettuale da 34,88 a 40,48 (+5,60 punti); in quella ospedaliera da 63,78 a 69,16 (+5,38 punti). Si rileva che per l’area della prevenzione la Regione Calabria ha richiesto una rettifica del punteggio Lea al Ministero della Salute in quanto secondo i dati dell’Anagrafe Nazionale Vaccini le coperture vaccinali sono superiori al 90% per l’anno 2023: in caso di rettifica, la Calabria risulterebbe adempiente anche per l’area della prevenzione. 

Il Ministero della Salute valuta annualmente l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea), ovvero l’insieme delle prestazioni sanitarie che tutte le Regioni e Province autonome sono tenute a garantire gratuitamente o previo pagamento del ticket.

«Si tratta di una vera e propria “pagella” per i servizi sanitari regionali – ha spiegato il presidente della Fondazione Gimbe – che stabilisce quali Regioni sono promosse (adempienti), pertanto meritevoli di accedere alla quota di finanziamento premiale, e quali invece vengono bocciate perché inadempienti».

A partire dal 2007 le Regioni con un disavanzo nel conto economico, vengono sottoposte ai Piani di rientro, un meccanismo di affiancamento da parte del Ministero della Salute e del Ministero dell’Economia e delle Finanze finalizzato a ristabilire l’equilibrio economico-finanziario nella continua erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza, che nei casi più critici può portare fino al commissariamento della Regione. 

Dal 2020 la “Griglia Lea” è stata sostituita dal Nuovo Sistema di Garanzia (NSG), che valuta le Regioni attraverso gli indicatori Core, suddivisi in tre aree: prevenzione collettiva e sanità pubblica, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera. Per ciascuna area, le Regioni possono ottenere un punteggio tra 0 e 100 e vengono considerate adempienti se raggiungono almeno 60 punti in tutte le tre aree. Al contrario, se il punteggio è inferiore a 60 anche in una sola area, la Regione risulta inadempiente. 

L’ultimo report del Ministero della Salute, pubblicato il 15 luglio 2024, è relativo all’anno 2022: la Regione Calabria è risultata inadempiente in quanto nell’area della Prevenzione (36,59) e in quella Distrettuale (34,88) ha ottenuto punteggi inferiori a 60. Solo nell’area ospedaliera, con un punteggio di 63,78, la Regione Calabria ha superato la soglia di adempienza.

«Utilizzando i risultati preliminari 2023 forniti dalla Regione Calabria – ha spiegato Cartabellotta – abbiamo condotto una valutazione indipendente per analizzare variazioni tra il 2022 e il 2023, sia in termini di punteggi nelle tre aree, sia rispetto ai valori dei singoli indicatori. L’obiettivo era quello di individuare i progressi ottenuti e le criticità tuttora esistenti su cui intervenire per raggiungere l’adempimento ai Lea da parte della Regione».

Per quanto riguarda le performance sui singoli indicatori,«al fine di identificare il miglioramento o peggioramento delle performance, è stata effettuata un’analisi comparativa tra i risultati ottenuti dalla Regione Calabria nel 2022 e quelli preliminari del 2023 sul valore dei singoli indicatori». Complessivamente su 29 indicatori: 21 (72,4%) mostrano un miglioramento, 7 (21,1%) registrano un peggioramento e 1 indicatore (3,4%) risulta stabile.

Nell’area della prevenzione, «7 degli 8 indicatori mostrano un trend in miglioramento, seppur con variazioni di entità diversa. L’unico indicatore in lieve peggioramento è il tasso di copertura per lo screening del carcinoma della mammella (da 8,61 nel 2022 a 8,11 nel 2023)».

Va rilevato che le coperture vaccinali per l’esavalente (88,09%) e la trivalente (87,71%) riportate nei risultati preliminari 2023 dal Ministero della Salute si attestano al di sotto della soglia minima del 90% necessaria per l’attribuzione del punteggio, che per la Regione Calabria continua quindi ad essere pari a 0. Considerato che, secondo i dati dell’Anagrafe Nazionale Vaccini, per l’anno 2023 tali coperture sono superiori al 90%, la Regione Calabria ha richiesto una rettifica del punteggio Lea al Ministero della Salute. Nell’area prevenzione la criticità più rilevante riguarda la copertura molto bassa per tutti gli screening oncologici, con particolare riferimento a quello per il tumore del colon-retto.

Nell’area Distrettuale, «8 dei 12 indicatori – si legge – mostrano un trend in miglioramento, seppur con variazioni di entità diversa, mentre 4 risultano in peggioramento. Tra i progressi più significativi si evidenzia il miglioramento nell’assistenza domiciliare (D22Z) e nel trattamento socio-sanitario degli over 75 non autosufficienti (D33Z)».

Nell’area distrettuale il punteggio Lea risulta pari a zero per due indicatori: “Intervallo Allarme-Target dei mezzi di soccorso” dove, nonostante il progressivo miglioramento negli ultimi anni il valore rimane ancora al di sopra di 22,7434 minuti, soglia al di sopra della quale il punteggio attribuito è pari a zero.

«Ovviamente – ha spiegato ancora Cartabellotta – questa soglia unica per tutte le Regioni, finisce inevitabilmente per penalizzare tutte le Regioni con un territorio prevalentemente montuoso e criticità nella viabilità». Il secondo indicatore a cui viene assegnato il punteggio Lea pari a zero è quello relativo alle liste di attesa per criticità legate al flusso dati che la Regione Calabria riferisce di aver risolto per l’anno 2024. 

Per l’area Ospedaliera, 6 dei 9 indicatori mostrano un trend in miglioramento, seppur con variazioni di entità diversa, 2 risultano in peggioramento ed 1 è stabile.

«L’area ospedaliera – ha rilevato Cartabellotta – risulta già adempiente, ma anche suscettibile di ulteriori miglioramenti».

In particolare la percentuale di colecistectomie laparoscopiche con degenza inferiore a 3 giorni, la percentuale di parti cesarei primari e la mortalità a 30 giorni dal primo ricovero per ictus ischemico. (ams)

PNRR, IL PARADOSSO DELLA CALABRIA:
LA REGIONE INDIETRO E I COMUNI AVANTI

di PABLO PETRASSO – Il Mezzogiorno va al rilento e la Calabria è in fondo alla classifica. Il percorso del Pnrr è accidentato, almeno alle latitudini meridionali e Svimez lo mette nero su bianco nel capitolo della ricerca sui fondi europei che riguarda le opere gestite dalle Regioni. Al Sud le amministrazioni regionali hanno avviato lavori per 1,9 miliardi di euro, il 50% del del valore complessivo degli investimenti Pnrr di loro competenza. Al Nord i cantieri viaggiano a ritmo più sostenuto: il valore dei progetti avviati è di 3,5 miliardi, quasi il 76% delle risorse. Questo «ampio gap nasconde però sensibili differenziali tra amministrazioni regionali in entrambe le macroaree». E qui arriva la citazione in negativo: i cantieri faticano a partire in Basilicata (avviato solo il 21,8% dei progetti), Calabria (23,5%) e, soprattutto, Sardegna dove la percentuale delle risorse in fase di esecuzione dei lavori è ferma al 12,1%.

Più celere, invece, l’avvio della fase esecutiva dei lavori nelle regioni centro-settentrionali, con Emilia-Romagna, Valle d’Aosta e Veneto in testa.
È un quadro, quello descritto da Svimez, caratterizzato da risposte molto diverse da Regione a Regione, specchio di «apprezzabili differenziali di capacità amministrativa, anche interni a Nord e Sud del Paese». Le Regioni – e la Calabria in particolare – sono pachidermi frenati dalla burocrazia, molto più lente dei Comuni.

È una questione generalizzata. Le amministrazioni comunali meridionali vanno comunque a velocità ridotte rispetto alle “colleghe” del Nord. A fine dicembre 2024, i Comuni meridionali hanno avviato lavori per 5,6 miliardi, il 64% del valore complessivo degli investimenti a loro titolarità; per i Comuni del Centro-Nord il dato è di 9,7 miliardi, l’82,3% delle risorse Pnrr.
La differenza di capacità amministrativa, per dirla con Svimez, diventa (anche) terreno di scontro politico. È il sindaco metropolitano di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, a mettere nel mirino la Regione. Falcomatà parla di «una situazione allarmante che dimostra l’enorme divario tra l’incapacità organizzativa della Cittadella, in netta e strutturale difficoltà, e l’operatività dei Municipi che si dimostrano all’altezza delle sfide del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza».

 

I Comuni meridionali, come detto, sono stati finora più lenti rispetto a quelli del Nord, ma il primo cittadino di Reggio sottolinea che «risultano molto più efficienti della Regione Calabria sulla spesa dei fondi e sulla realizzazione delle opere Pnrr. Gli Enti locali – entra nel dettaglio – in Calabria dimostrano una capacità di spesa quasi tripla rispetto alla Regione, con un divario di molto superiore alla media nazionale. Una fotografia che non ci rallegra affatto e che costituisce invece un chiarissimo segnale della netta e strutturale difficoltà organizzativa da parte della Cittadella nell’avanzamento dei cantieri del Pnrr, a fronte di una operatività molto più sviluppata da parte di sindaci e amministratori calabresi che dimostrano di saper spendere meglio le risorse ottenute».

Qualche dato: in Calabria «a un anno e mezzo dalla scadenza del programma, i Comuni sono arrivati al 66% dei cantieri avviati. Un dato confortante che evidenzia il proficuo lavoro svolto da sindaci e amministratori locali su tutto il territorio regionale. Dall’altra parte c’è da porsi un pesantissimo interrogativo sul dato del 23% riferito alla Regione Calabria, tra le ultimissime in Italia quanto a capacità di spesa dei fondi Pnrr, peraltro in riferimento a settori strategici come quello sanitario dove la Calabria fa registrare pesantissimi ritardi perfino rispetto alle altre regioni meridionali».
L’allarme di Falcomatà, da più parti visto come uno dei papabili avversari di Occhiuto alle prossime Regionali punta il dito sulle inefficienze della gestione centralizzata: per il sindaco «si era intuito da un po’» che qualcosa fosse andato storto, «ma che la Regione, sulle stesse linee di finanziamento, si fosse fermata addirittura ad un terzo rispetto ai Comuni, è un fatto oggettivamente allarmante, sul quale sarebbe opportuno che qualcuno fornisse delle spiegazioni ai calabresi».
«A pagarne le spese – conclude il sindaco – sono come sempre i cittadini, che si vedono privati delle importanti opportunità offerte dal Pnrr, a causa dell’inefficienza di un indirizzo politico regionale evidentemente confuso e poco incisivo, attento più alle operazioni di maquillage politico che ad un reale sviluppo del territorio». (pp)
[Courtesy LaCNews24]

L’OTTIMISMO DI OCCHIUTO SI SCONTRA
CON IL FORTE SCETTICISMO DELLA CGIL

di ANTONIETTA MARIA STRATI – «Difficile immaginare un cambio di passo per i nostri concittadini e per il diritto alla salute quando i paradossi e le lacune che attraversano la sanità sono così profondi». Si può riassumere così il pessimismo espresso dalla Segreteria confederale di Cgil Calabria, all’annuncio del presidente della Regione, Roberto Occhiuto, in merito alla fine del commissariamento della sanità calabrese.

Una notizia, per il sindacato, che «non può suscitare particolare clamore o sollievo in chi conosce quanto le acque in cui naviga la sanità calabrese siano torbide e agitate», soprattutto se permangono i dubbi sui Lea – Livelli essenziali di assistenza e sui debiti contratti.

«Sono stati sanati i debiti e raggiunti i gli standard minimi dei Lea?», ha chiesto la Cgil, ricordando come «la rete ospedaliera attuale è carente e depotenziata, gli ospedali di nuova costruzione chimere di cui non è dato sapere se vedremo mai il completamento».

«Mancano all’appello – ha ricordato il sindacato – centinaia di medici di medicina generale, le guardie mediche scoperte sono innumerevoli, i bandi per le assunzioni stanno andando pressoché deserti, molte ambulanze sono demedicalizzate. Non si ha alcuna certezza del completamento delle Case della Salute finanziate con fondi del Pnrr e che dovrebbero essere operative entro il 31.12.2026».

«La prevenzione è diventata un privilegio e l’emigrazione sanitaria per molti è una scelta obbligata, come lo è rivolgersi alle strutture private all’interno di un sistema che sta andando nella direzione di una vera e propria privatizzazione del sistema sanitario. Il diritto alla salute? In Calabria non è esigibile», ha tuonato il sindacato.

Ma non solo sanità. Sul piatto “Calabria” tantissimi i nodi a cui bisogna trovare una risposta.

Tra questi l’alta velocità, su cui il sindacato punta il dito: «Il futuro della nostra terra e la sua crescita in termini di investimenti e Pil, passa anche dall’A/V ma manca 1 miliardo di euro per il completamento del tratto fino a Praia a Mare, e per il resto del tracciato calabrese? Solo progetti di massima e studi di fattibilità e nessun finanziamento».

«Così come l’elettrificazione della linea ferroviaria jonica che risulta non completamente finanziata fino a Melito Porto Salvo», ha sottolineato la Cgil.

Per adesso, la Regione ha stanziato 198 mln per elettrificare la tratta che parte da Catanzaro Lido a Roccella Jonica. Non un grande passo, ma è già qualcosa per un’area di un territorio che sembra sempre più marginale, quando è stato ripetuto diverse volte che l’Arco Jonico ha delle potenzialità in termini di sviluppo.

Per il Sindacato, dunque, «è necessario che il Mezzogiorno ritorni nelle priorità dell’agenda politica e vengano individuati i fondi necessari alla conclusione dell’Alta Velocità, della 106 Ionica e dell’autostrada nei tratti non ammodernati».

Ma non solo: «Chiediamo, pertanto, il definanziamento del Ponte sullo Stretto e che non venga mai costruito», ha detto la Cgil, ribadendo la propria contrarietà all’opera, definita dal segretario generale Gianfranco Trotta, una «non priorità ma, anzi, assorbe risorse fondamentali che andrebbero, invece, innestate in una geografia infrastrutturale e di viabilità gravemente compromessa che non solo limita la vita dei calabresi stessi, ma pregiudica anche la capacità di attrarre investimenti».

«È ora di ribadirlo in maniera chiara – aveva detto Trotta – e di mettere al bando operazioni non strategiche per la Calabria, che sanno chiaramente di marketing politico e che possono affossare definitivamente i nostri territori assorbendone risorse».

Infine, il sindacato ha ribadito la propria contrarietà e chiesto «il ritiro dell’ipotesi di emendamento presentata da Forza Italia in merito alla proroga per l’estensione del mandato al 31 dicembre del 2027 dei Rettori delle Università con una facoltà di medicina situate nelle regioni interessate da piani di rientri sanitari negli ultimi tre anni». L’emendamento è stato poi ritirato ieri in Senato dai senatori forzisti che l’avevano presentato.

«Si trattava – ha spiegato il sindacato – di una vera e propria ingerenza della politica a cui, a nostro avviso, il Rettore dell’Unical, che ha sempre tenuto a rimanere fuori da logiche di questa natura, non dovrebbe prestarsi. Si tratterebbe tra l’altro di non permettere alle componenti del mondo accademico (docenti, studenti, ricercatori, personale tecnico-amministrativo) di potersi esprimere nei tempi previsti dallo statuto attraverso il voto per l’elezione del nuovo Rettore, facendo passare anche il messaggio che all’interno del corpo accademico dell’Unical non sarebbe possibile individuare un rettore in grado di concludere il percorso avviato».

«Noi non siamo di questo parere e vediamo in questa manovra una stortura democratica che va arginata ed un attentato alle autonomie delle università pubbliche», ha concluso il sindacato. (ams)

ATROCE INSINUAZIONE: I FONDI COESIONE
VERREBBERO UTILIZZATI PER LE GUERRE

di FRANCESCO RENDE – Immaginate un attimo se quei fondi che adesso servono per costruire scuole, infrastrutture strategiche, innovazioni tecnologiche e strumenti di competitività per le aziende venissero invece utilizzati per comprare droni e componenti militari in grado invece di abbattere ponti, scuole e strade. Bella contraddizione, vero?

È invece quello che sta succedendo nelle ultime settimane a Bruxelles: i venti sono cambiati, la presidenza Trump vuole rinegoziare le percentuali di contribuzione alle spese militari della Nato e moltissimi paesi (tra cui il nostro) sono in enorme difficoltà. I venti sovranisti spirano forte e l’industria delle armi e delle componenti militari garantisce crescita economica: ecco perché, sempre più forte, da Bruxelles arriva l’indiscrezione che vedrebbe sacrificati i fondi di coesione sull’altare della competitività europea. Ecco quindi cosa potrebbe succedere: pesanti sforbiciate, tagli rimodulati a chi non ha ancora speso (o programmato la spesa) e fondi dirottati su nuove esigenze, come ad esempio droni, componenti militari, attrezzature di precisione da utilizzare in campo bellico.

Come si può immaginare che dei fondi, che servono proprio per riequilibrare le disparità tra gli stati membri, possano essere utilizzate per scopi militari: sembra assurdo, anche perché tra le specifiche del regolamento 1060/2021 (l’architrave su cui si basa tutta la politica di coesione 2021/2027) è scritto chiaramente che non si possono utilizzare quei soldi per acquistare armi o materiale bellico. Ma da nessuna parte viene scritto che non si possano utilizzare per componentistica, droni o altro. D’altronde, questa stessa eccezione è stata utilizzata proprio per il Ponte sullo Stretto: fu per prima la nostra testata a dire che a Bruxelles si iniziava a parlare della possibilità di finanziare la maxi-opera con i fondi di coesione. E se quelli non possono finanziare direttamente infrastrutture viarie (ci sono linee di finanziamento apposite) allora si possono utilizzare per le opere accessorie (acquisto di materiale rotabile, opere accessorie, studi di fattibilità e altro): grazie a questa indiscrezione, l’opera ripartì in pompa magna anche con l’ok indiretto di Bruxelles. Cosa che sembra stia avvenendo anche adesso con le armi.

L’indiscrezione confermata e la contrarietà di Fitto

La voce si inizia a diffondere subito prima della vittoria di Trump alle elezioni, quando è iniziato a sembrare incolmabile il divario tra lui e Biden: serve trovare risorse per rispondere immediatamente alla politica economica del tycoon. Dai dazi agli stanziamenti militari per la Nato, tutto cambierà: è quindi chiaro a Von der Leyen e soci che serve trovare, immediatamente, economie. Dunque, il primo indagato diventa da subito la politica di coesione: drena tantissime risorse ed è da sempre nell’occhio del ciclone da parte dei paesi scandinavi che non vedono di buon occhio il dover (continuare a) pagare da anni per far sì che i servizi e il Pil medio si riequilibri all’interno della zona Euro. In più, il fatto che queste somme si vadano a moltiplicare alla risposta Covid ingessando di fatto gran parte del bilancio europeo (aggiunta anche la congiuntura della guerra ucraina, che continua a richiedere pesanti risorse): prima il Financial Times a novembre, in un completo articolo a firma Paola Tamma (mai smentito) e poi un ritorno di qualche giorno fa su Politico mettono a chiaro la questione.

Le politiche di coesione verranno riviste: miliardi di euro di finanziamenti regionali destinati alla costruzione di scuole, politiche sociali e ambientali, verranno orientate nelle nuove priorità, tra cui il potenziamento militare e (forse) l’edilizia abitativa. Questo è solo il primo tassello di un disegno più ampio, che potrebbe cambiare totalmente il volto dell’Unione dei prossimi anni.

I fondi per le scuole usati per fabbricare droni

Eppure, questo piano ha un nemico non indifferente: il suo nome è Raffaele Fitto e da sempre, per cultura e background, è uno dei più profondi sostenitori delle politiche di coesione europee. Viene da una regione, la Puglia, che proprio grazie a questi fondi ha trovato una nuova primavera ed è consapevole di quanto siano importanti queste risorse: inoltre, è in prima linea per mostrare ai paesi del nord Europa che queste politiche vanno difese e che i bassi tassi di spesa, come detto recentemente a Cracovia, dipendono solo dalla priorità data finora ai fondi Covid, che hanno una scadenza più ravvicinata.

Eppure, quanti alleati troverà nella sua difesa dei cohesion funds? Una partita molto difficile e tutta da giocare, che vede sullo sfondo le intemperanze di un presidente degli Stati Uniti che toglie certezze più che darle. Eppure lo spauracchio, seppur non immediato, è dietro l’angolo: il rischio che i fondi per realizzare una scuola a Magisano possano essere utilizzati per realizzare un’azienda che fabbrica droni da lanciare contro le basi Isis in Somalia non è purtroppo fantascienza, è pura realtà. «La sicurezza è una delle tante importanti sfide europee», ha affermato Céline Gauer, funzionaria di alto rango ripresa da Politico che guida la task force della Commissione incaricata del fondo per la ripresa post-Covid. «La politica di coesione rientra nella risposta? Penso proprio di sì». (fr)

[Courtesy LaCNews24]

LA MANCATA CRESCITA DEL SUD EQUIVALE
A DUE PUNTI IN MENO DI PIL DELL’ITALIA

di DOMENICO MAZZA – La programmazione dei fondi Pnrr ha disposto l’utilizzo di risorse imponenti e strategiche per il Paese. Seppur con meno spettanze, rispetto a quante originariamente riservate, anche il Sud sta vedendo una mole non indifferente di fondi finalizzati a colmare il divario tra il nominato contesto e il resto della Nazione.

Le recenti ricerche avviate da autorevoli Istituti in materia economica, d’altronde, ci rimandano un quadro chiaro e inequivocabile: «Se il Sud avesse avuto negli ultimi 20 anni un tasso di crescita medio annuo di almeno 2 punti superiore, il Pil italiano sarebbe stato allineato a quello degli altri Paesi europei, invece che sistematicamente sotto».

Quanto detto a conferma che una ripresa strutturale dell’economia italiana può avvenire solo se il Sud cresce di più e in maniera sostenibile. Per centrare l’obiettivo, però, occorre una comprensione articolata e flessibile dei contesti geo-politici. Perché se l’Italia è un insieme di territori, simili ma non uguali, aggregati dalla forza unificante della lingua, il Sud è un mosaico composito e prezioso, unico e raro, di territori, di tradizioni e di storie in cui però poco si è fatto nella direzione di amalgamare gli ambiti per omogeneità territoriali e affinità economiche tra aree a interesse comune.

Sarebbe opportuno, quindi, porsi il problema di cosa necessiterebbe per un rilancio sistemico dei processi produttivi nell’estremità della Penisola. Chiaramente, un ragionamento del genere non può prescindere da un’analisi degli ambiti concorrenti a formare il Sud nel suo insieme. Se ci concentrassimo sull’area del Golfo di Taranto, non certo per partigianerie, ma per rispetto delle ottimali condizioni geografiche in riferimento al più ampio contesto euro-mediterraneo, apparirebbe lampante quanto tale ambito geo-politico sia ideale per essere candidabile a ospitare simultaneamente filiere logistiche, turistiche e agroalimentari. Al punto da risultare quello più predisposto e geograficamente più favorevole, per accogliere un vero e proprio ecosistema delle richiamate filiere.

Turismi e distretti agroalimentari di qualità: necessaria una narrazione diversa e lungimirante 

Lungo i 400km della baia jonica esistono già tre Distretti agroalimentari di qualità: Sibaritide, Metapontino e Salento jonico. Trovando le opportune sinergie fra i tre si potrebbero creare plusvalenze, riscrivendo una narrativa diversa e lungimirante per l’area in questione. Esistono già, e negli ultimi anni si sono sviluppati in maniera esponenziale, il Distretto turistico di Taranto e della valle d’Itria nonché quello del Salento. Non sarebbe affatto peregrino lavorare alacremente alla costituzione di un Distretto turistico dell’Arco Jonico calabrese.

Un nuovo sistema di attività e servizi integrato che amalgami le aree omogenee rivierasche e pedemontane afferenti ai contesti della Sibaritide e del Crotonese. Una struttura che, rafforzando i percorsi magnograeci, bizantini, e normanno-aragonesi caratterizzanti i due ambiti, costituisca una destinazione straordinaria caratterizzata dal marchio inconfondibilmente unico e caro al Prof. Filareto: la Mediterraneità jonico-silana.

Una nuova valorizzazione delle filiere, ordunque, per promuovere la riscoperta e, non per ultimo, un restyling delle funzioni economiche caratterizzanti l’Arco Jonico.

Una nuova concezione della mobilità partendo dall’efficientamento e collettamento degli Asset esistenti 

Naturalmente, per poter elevare l’appeal dell’offerta turistica collegata ai distretti agroalimentari di qualità, andranno messi a sistema gli Asset infrastrutturali esistenti e posizionati nel contesto della baia jonica (porti e aeroporti di Corigliano-Rossano, Taranto e Crotone). Andranno rammagliate le richiamate infrastrutture con un sistema ferro-stradale europeo e all’avanguardia. L’efficientamento del tronco ferroviario e un nuovo tracciato per la statale, che non potrà essere la semplicistica manciata di km tra Sibari e Corigliano-Rossano e tra Crotone e Catanzaro, sarebbe il minimo sindacale da cui partire. Bisognerà, invero, ricostruire la spina dorsale del sistema Sibari-Crotone: vero anello debole della mobilità nell’area. In questo processo di ricucitura, chiaramente, dovranno entrare di diritto le questioni legate ai porti, ai retroporti, alle aree industriali dismesse e alla Zes.

La descritta operazione, anche, al fine di declinare una nuova visione della logistica integrata che da Crotone al Metapontino ha nel cuore della Sibaritide la naturale area cerniera. Pensare, pertanto, alla creazione di un interporto nel baricentro sibarita significherebbe riscrivere una storia diversa anche per quei contesti industriali dismessi e per le portualità presenti nel bacino del golfo.

Avviare percorsi di crescita economica simultanea e integrata

Cogliendo, quindi, più opportunità economiche e accelerando i tempi di ottimizzazione delle priorità tra contesti ad affini interessi si favorirebbe la creazione di nuovi posti di lavoro. La rinnovata percezione del territorio, pertanto, che deriverebbe da mirati investimenti, trasformerebbe settori e filiere largamente sottoutilizzate in vero e proprio valore aggiunto. In ossequio a quanto raccomandato dai principi macroeconomici, infatti, le capitalizzazioni effettuate nelle aree arretrate restano suscettibili di promuovere una crescita più elevata rispetto a quelle messe in pratica in ambiti più evoluti.

Sotto quest’aspetto, quindi, è conveniente che un’area come il golfo di Taranto decolli; a regime, infatti, disporrebbe di qualità tali da trainare il resto del sistema calabro-appulo-lucano ed in generale il Mezzogiorno. Così facendo, si individuerebbero i settori da cui partire per immaginare processi di economie circolari finalizzati a permettere, anche al territorio più isolato e marginale dell’intero Mezzogiorno (l’Arco Jonico sibarita e crotoniate), la possibilità di declinare nuove prospettive di sviluppo.

Sostenibilità, razionalizzazione, innovazione, management evolutivo devono essere i capisaldi a cui guardare con fiducia ed ottimismo, affinché si alzi forte il vento e la voce di un altro Sud. Ma, soprattutto, di un altro ambito jonico: quello che non subisce le scelte imposte dai centralismi e che, al contrario, indirizza, con intelligenza e cognizione di causa, un nuovo paradigma economico condiviso con le popolazioni locali. (dm)

[Domenico Mazza è del Comitato Magna Graecia]

TURISMO SCOLASTICO, SCOPRIRE I PARCHI
E CONOSCERE IL PATRIMONIO REGIONALE

di GUIDO LEONESi comincia, dunque, a fare sul serio sul terreno del turismo scolastico in Calabria, per il quale da tempo andiamo predicando sulla necessità che le stesse gite scolastiche ,che generalmente si svolgono da marzo a  maggio inoltrato, abbiano un senso  più profondo e strutturato e legando le stesse ad una più piena conoscenza del  nostro territorio favorendo negli studenti una ricca esperienza formativa

La Regione Calabria, infatti, ha lanciato nei giorni scorsi il progetto “Vivi e scopri la Calabria”, finanziando con 12 milioni di euro percorsi turistici gratuiti per gli studenti degli Istituti scolastici di primo e secondo grado. Un’iniziativa che mira a far conoscere il patrimonio culturale, paesaggistico e artigianale della Calabria, promuovendo appunto la consapevolezza e la scoperta del territorio.

L’iniziativa non si limita a offrire visite guidate. L’intento è favorire l’acquisizione di competenze pratiche e teoriche legate alla valorizzazione delle risorse storiche, architettoniche, paesaggistiche, artistiche, ambientali, enogastronomiche e artigianali del territorio. Il percorso formativo mira a creare cittadini consapevoli, capaci di cogliere le opportunità lavorative e occupazionali offerte dal settore turistico.

Il piano si  inserisce nel Pr Calabria Fesr-Fse+ 2021/2027, con una dotazione finanziaria complessiva di 12 milioni di euro distribuita su tre annualità (2025-2027), ed è finalizzata alla promozione di un turismo identitario e culturale come strumento di crescita socioeconomica e valorizzazione del territorio.

L’iniziativa mira a coinvolgere gli studenti delle scuole primarie e secondarie in percorsi formativi che uniscano didattica, turismo esperienziale e valorizzazione delle risorse culturali, storiche e paesaggistiche della Calabria.

Certo il finanziamento è tale che potrà soddisfare solo una parte minima di istituzioni scolastiche ma si è già sulla buona strada per sollecitare una svolta sulla complessiva attività legata alle gite scolastiche in genere.

Dicevamo, intanto, all’inizio, che gran parte degli studenti non conosce il territorio calabrese dove insiste una ricchezza fatta di paesaggi incantevoli, di bellezze archeologiche e architettoniche, di relazioni, valori ed esperienze che i giovani hanno il diritto-dovere di comprendere e assimilare.

Il settore turistico, pertanto, si propone, a pieno titolo, come strumento didattico di alta qualificazione, di un insegnamento che risponde a un’esigenza culturale e deve rientrare in un impegno prioritario della Giunta Regionale nella promozione del territorio e delle sue bellezze, nel metterle in mostra, nel rivalutarle e nel garantirne la massima fruizione.

La recente iniziativa va, dunque, verso questo obiettivo ma per la  valorizzazione del segmento turistico in generale può  rientrare anche una guida del turismo scolastico che sia promossa dalla Regione Calabria per valorizzare l’unicità, l’identità e la tipicità del suo patrimonio ambientale e paesaggistico e che sia funzionale alle istituzioni scolastiche del resto d’Italia che annualmente baipassano la nostra regione, mentre le nostre scolaresche prendono altre direzioni verso le regioni del centro nord e di paesi stranieri.

Ma, in particolare, occorre aprire una finestra sui parchi della nostra regione: l’immaginari collettivo ci restituisce una caduta di tensione nella percezione dell’importanza della presenza di un parco, sul territorio e del mancato sviluppo delle enormi potenzialità delle sue risorse.

Da uomo di scuola, però, non posso non evidenziare come lo sviluppo di una coscienza ambientale costituisca la carta vincente per la realizzazione di interventi a lungo termine finalizzati alla protezione e al recupero del patrimonio ambientale e come in generale sia un fattore importante per la crescita del consenso necessario alle politiche per le aree protette.

I luoghi in cui attuare il processo formativo degli studenti, ma anche degli insegnanti, sono sicuramente quelli del Parco e delle aree protette e per diversi buoni motivi.

Il primo è che l’educazione ambientale si fa, non si insegna. Gli alberi, gli animali, le rocce, i fiori non si possono solo insegnare: bisogna viverci in mezzo. Bisogna odorarli, guardarli, toccarli quanto è possibile, bisogna imparare a riconoscerli a sapere come vivono e di cosa hanno bisogno.

Anche la differenza tra una attività compatibile e una che non lo è bisogna imparare a vederla, e cosa vuol dire gestire un parco e quanto costa.

Il secondo motivo è che il parco costituisce il laboratorio privilegiato per attività di didattica e di divulgazione ambientale, il luogo nel quale la tutela dell’ambiente, la comprensione degli equilibri naturali, l’importanza di un approccio globale all’ambiente possono essere toccati con mano.

Un terzo motivo sta nella necessità di qualificare l’area protetta rendendola centro di attività produttive e culturali compatibili con l’ambiente e nello stesso tempo in grado di garantire un reddito alle popolazioni locali.

Questa condizione è indispensabile per aumentare il consenso delle popolazioni locali.

Il parco è un sistema territoriale, in cui dentro ci stanno valori naturalistici, ambientali, culturali, della tradizione artigianale, della cucina, etc, cioè tutto l’insieme che rende questa zona particolare, che le dà una identità.

Bene le popolazioni che rientrano nel Parco avvertono questa forte identità? Le comunità scolastiche la avvertono?

Noi siamo uno strano Paese perché abbiamo difficoltà a riconoscerci in una unica identità. Nella scuola ciò non penetra con facilità, magari l’identità nazionale passa attraverso Dante e i grandi della letteratura, ma manca il resto. La scuola non comunica il senso dell’appartenenza ad una identità più ricca, articolata e storicamente radicata di quanto non sia in grado di rappresentare, sia pure nella sua qualità, la letteratura.

E qui il Parco ha una sua potenzialità perché esso si costruisce intorno ad alcuni parametri di qualità che già riguardano l’identità del territorio. E questo è un altro elemento da tenere presente nel rapporto tra parco e sistema formativo.

Ora se la partecipazione è una dimensione indispensabile alla qualità dei parchi, anche il rapporto con le scuole deve cambiare.

Per le scuole che in particolare insistono nel Parco è importante recuperare la cultura della cura,  ma come attenzione al vicino, a ciò che è mio in quanto res publica, cosa di tutti. 

Educare al cambiamento cambiando vuol dire costruire contesti educativi in cui l’azione sia parte integrante del percorso educativo. Ripulire insieme alla propria classe una pertinenza esterna alla scuola, sia esso un incolto, un giardino abbandonato, è una azione che rimane nella memoria del ragazzo, continua nel tempo a fare cultura. Quindi i percorsi che si devono costruire sul territorio, nel Parco, non sono solo di tipo informativo, scientifico, cognitivo, ma devono consentire ai ragazzi di fare esperienza in prima persona.

Per le scuole nel Parco serve consapevolezza interna. Queste scuole non possono costruire il loro curricolo come una scuola di periferia urbana, sarebbe il fallimento dell’autonomia. Il parco deve entrare nel Dna di quella scuola, altrimenti sarà difficile convincere i ragazzi dell’utilità (ecologica, sociale, culturale, economica) del Parco.

Questa consapevolezza passa attraverso la formazione degli insegnanti e attraverso la costruzione di una adeguata motivazione. In questo modo la scuola può diventare un soggetto attivo a condizione che sviluppi percorsi che affrontino i problemi del territorio, che facciano ricerca sul territorio.

Mi auguro, infine, che, i parchi calabresi e i suoi rappresentanti, di cui riconosco la sensibilità verso i temi ambientali, pongano in modo innovativo e globale l’attenzione alla qualità del sistema formativo operante all’interno e fuori dei confini dell’area protetta. Penso, per esempio, alla stessa riorganizzazione scolastica, che attualmente viene operata secondo criteri amministrativi che credo non abbiano mai tenuto conto dell’esistenza di una unità territoriale come quella del Parco diversa e integrata con quella dei Comuni e delle Comunità montane.

Per le scuole fuori del Parco è importante che non ci si limiti al turismo educativo. Bisogna offrire opportunità di gemellaggio tra classi interne e esterne, finalizzate all’adozione di una area, alla riqualificazione  e alla manutenzione di un’area (sentiero, monumento, piazzetta, panorama) in modo che la classe del parco, che ha già adottato quel sentiero, funga da tessuto connettivo e faciliti il passaggio di testimone da una classe cittadina ad un’altra.

Concludendo, credo che una visione condivisa e complessa dell’educazione ambientale, come opportunità di innovazione pedagogica, progettuale, metodologica, un rapporto positivo con gli EELL, l’Associazionismo, il Parco, così come la collaborazione tra scuole di diverso ordine sia un reale punto di forza spendibile in termini di crescita complessiva del territorio.  (gl)

[Guido Leone è già dirigente tecnico USR Calabria]

 

PNRR E OPERE PUBBLICHE, PER LA SVIMEZ
IL SUD IN RITARDO NELLA FASE ESECUTIVA

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Il Sud è in ritardo nell’avvio della fase esecutiva dei lavori del Pnrr. È quanto emerso nel nuovo numero di InformazioniSvimez “Pnrr Execution: le opere pubbliche di Comuni e Regioni” della Svimez, a meno di un anno e mezzo dalla scadenza del 2026, evidenziando come nei Comuni sono avanzati i lavori per asili e infrastrutture scolastiche, mentre nelle Regioni si registra un rallentamento delle opere, soprattutto per la sanità territoriale.

La Svimez nel documento ha ricordato come le risorse che il Pnrr destina alla realizzazione di lavori pubblici sono pari a 65 miliardi. La quota di risorse Pnrr per interventi infrastrutturali è del 54,2% nel Mezzogiorno (26,2 miliardi), di circa 6 punti percentuali superiore al dato del Centro-Nord (48,5%; 38,8 miliardi).

«Per questa tipologia di interventi – si legge – almeno in termini di stanziamenti, si raggiunge appieno la “quota Sud” del 40%. Proprio gli investimenti in opere pubbliche rappresentano l’ambito di intervento del Pnrr funzionale al riequilibrio territoriale nella dotazione di infrastrutture economiche e sociali e nella quantità e qualità dei servizi».

La distribuzione delle risorse Pnrr che finanziano la realizzazione di opere pubbliche per soggetto attuatore rivela il coinvolgimento primario delle amministrazioni decentrate, soprattutto nel Mezzogiorno.

L’incidenza delle risorse a gestione dei Comuni per opere da realizzare nell’area è del 33,2% nel Mezzogiorno e del 30,5% al Centro-Nord. Anche dai valori pro capite risulta il maggior sforzo attuativo a carico dei Comuni del Mezzogiorno: 440 euro di investimenti Pnrr per cittadino (302 euro il dato del Centro-Nord). Il dato relativo alle amministrazioni regionali è del 15% nel Mezzogiorno e di circa il 12% al Centro-Nord in termini di incidenza di risorse complessive; valutate in pro capite le risorse a gestione delle regioni meridionali raggiungono 197 euro per cittadino (118 euro il dato del Centro-Nord).

A fine dicembre 2024, i Comuni meridionali hanno avviato lavori per 5,6 miliardi, il 64% del valore complessivo degli investimenti a loro titolarità; per i Comuni del Centro-Nord il dato è di 9,7 miliardi, l’82,3% delle risorse Pnrr. Alla stessa data, per le amministrazioni regionali meridionali risultano avviati lavori per 1,9 miliardi di euro, il 50% del valore complessivo degli investimenti Pnrr a loro titolarità. Il valore dei progetti avviati per quelle del Centro-Nord si attesta a 3,5 miliardi, quasi il 76% delle risorse Pnrr.

Se da un lato emergono ritardi dei Comuni del Sud per quota di avviamento dei lavori, i dati in termini di risorse pro capite ribaltano la lettura con livelli di spesa avviata significativamente superiori: 440 euro di investimenti Pnrr per cittadino (302 euro il dato del Centro-Nord).  Va inoltre rilevato che i ritardi nell’apertura dei cantieri riflettono le difficoltà incontrate dalle amministrazioni nella fase progettuale, in quella di accesso competitivo alle risorse, e nell’espletamento delle procedure ammnistrative preliminari all’apertura dei cantieri.

Per le linee di investimento per asili nido e infrastrutture scolastiche, le percentuali di mancato avviamento lavori a gestione dei Comuni del Sud sono significativamente più contenute e si riduce la forbice sui tempi di apertura dei cantieri rispetto al resto del Paese. L’investimento “Costruzione di nuove scuole mediante sostituzione di edifici”, ricompresa nella missione M2C3, registra un valore di progetti non avviati del 9% (2% il dato medio dei Comuni del Centro-Nord). In aggregato, per la componente M4C1 dedicata al potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione, il valore dei progetti avviati è di quasi l’87% (94% il dato del Centro-Nord), per effetto di quote di progetti non in fase esecutiva comprese tra l’8% (Piano estensione del tempo pieno) e il 14% (Potenziamento infrastrutture per lo sport a scuola) delle diverse linee di investimento.

Ma perché le Regioni sono in ritardo rispetto ai Comuni? Per la Svimez è, in parte, a causa della sovrapposizione con gli impegni legati all’implementazione dei programmi della politica di coesione europea.

Il Pnrr ha individuato nella sanità l’ambito di intervento prioritario delle amministrazioni regionali, soprattutto per le misure orientate al rafforzamento della sanità di prossimità, adottando criteri perequativi di allocazione territoriale delle risorse per orientare gli investimenti verso le regioni a maggior fabbisogno. È proprio negli investimenti in sanità territoriale che le Regioni del Sud registrano i ritardi più preoccupanti.

La Svimez, di fronte a questo quadro, pone l’attenzione alla prossima rimodulazione del fondi del Pnrr, ricordando come la «precedente riprogrammazione ha già sottratto investimenti destinati al riequilibrio territoriale infrastrutturale, indirizzando i fondi verso gli incentivi alle imprese di più rapida spendibilità. Una scelta finalizzata a semplificare e accelerare l’attuazione del Piano che però ne ha indebolito le finalità di perequazione infrastrutturale territoriale».

Per questo «replicare quella scelta per motivi di efficienza rischia di penalizzare ulteriormente le finalità di perequazione territoriale dele Pnrr, soprattutto in ambiti fondamentali per la riduzione dei divari di cittadinanza, a partire dalla sanità. Se i fondi per le infrastrutture pubbliche venissero ulteriormente ridotti, il Mezzogiorno vedrebbe diminuire le opportunità di sviluppo e la possibilità di colmare i divari storici nei servizi essenziali, dalla sanità ai trasporti».

«La messa in sicurezza degli interventi orientati a ridurre i gap territoriali nella dotazione di infrastrutture economiche e sociali a titolarità degli enti locali – si legge – dovrebbe, dunque, rappresentare una priorità in vista di nuove possibili nuove riprogrammazioni per: preservare le finalità di coesione territoriale del Pnrr; valorizzare l’inedito sforzo progettuale, attuativo e di spesa realizzato delle amministrazioni, soprattutto quelle comunali; non disperdere il patrimonio di capacità ammnistrativa maturato con l’occasione del Pnrr». (ams)