di PINO NANO – “Mario Carbone. I racconti di una vita. Fotografie dal 1954 al 1990”. Una grande mostra diffusa in 4 sedi diverse, una più prestigiosa dell’altra, celebrano da ieri a Cosenza una delle figure più rappresentative della fotografia e del cinema documentario italiano del XX secolo. Questo in onore di Mario Carbone è certamente uno degli eventi più seguiti e ammirati di questi mesi alla Galleria Nazionale di Cosenza, che si avvale per giunta del patrocinio della Sede RAI della Calabria.
«La mostra “Carbone 100” – dice Marilena Sirangelo che ne ha curato il progetto generale – intende celebrare l’eredità culturale di Mario Carbone attraverso un’esposizione diffusa in più sedi e vuole rendere omaggio ad uno dei più grandi fotografi documentaristi del secolo”. Moderatrice della serata di gala la giornalista Francesca Pecora, presente Roberto Carbone, il figlio dell’artista, che ha spiegato ai presenti il perché “papà non è qui con noi, ma ha compiuto 100 anni e i medici gli hanno consigliato di restarsene nella sua casa a Roma dove ormai vive da sempre».
Si parte appunto dalla Galleria Nazionale di Cosenza che da ieri accoglie il nucleo centrale del progetto, con foto e documentari che raccontano il rapporto di Carbone con artisti e performer che hanno segnato il mutare dello scenario artistico del Novecento.
«Tra le opere più significative – sottolinea Marilena Sirangelo – la documentazione delle performance tenutesi in occasione del Decennale del Nouveau Réalisme a Milano nel 1970 e della Settimana Internazionale della Performance a Bologna nel 1977».
Erano mesi che Cosenza non viveva un evento così appassionante e così affollato, ed erano mesi che la Galleria Nazionale non ospitasse una Mostra di respiro così internazionale. Il progetto, vi dicevo, porta la firma di Marilena Sirangelo, la mostra è stata curata da Martina Cavallarin, assistenti alla curatela Antonio Caruso e Rossella Ciciarelli, e a fare gli onori di casa è stata la direttrice della Galleria Nazionale Rossana Baccari che ha introdotto la rassegna conl lo stile dei grandi eventi.
Ne segue un viaggio davvero straordinario e unico nel suo genere nell’Italia meridionale “vista attraverso immagini che ne ritraggono riti e tradizioni”, un’esperienza che si compie visitando il RiMuseum dell’Università della Calabria che espone foto dal grande valore antropologico.
Mercoledì 13 novembre alle ore 17.00 alla Biblioteca Stefano Rodotà del Liceo Classico Bernardino Telesio troveremo gli scatti di Mario Carbone e del suo viaggio in Lucania compiuto con Carlo Levi, foto e immagini d’autore che testimoniano i luoghi raccontati dallo scrittore di “Cristo si è fermato a Eboli.
E infine al Maon – si terrà una giornata di studio sabato 14 dicembre alle ore 18.00 –, che ospiterà una riflessione moderna e aggiornata sulla resilienza e sul legame fra arte e rinascita, con un focus sulle fotografie dedicate al terremoto del Belice del 1968 e successiva ricostruzione, e la realizzazione a Gibellina nel 1990 dell’installazione La montagna di sale di Mimmo Paladino.
Ma chi era nei fatti Mario Carbone?
«Era nato a San Sosti, a due passi da Cosenza, nel 1924, e oggi – sottolinea Marilena Sirangelo al grande pubblico intervenuto ieri sera a palazzo Carbone – è una delle figure più rappresentative della fotografia e del cinema documentario italiano del XX secolo. Il suo obiettivo ha catturato con sensibilità e acume i grandi mutamenti sociali e artistici del Dopoguerra, raccontando per immagini la realtà italiana con uno sguardo che ha saputo unire la testimonianza visiva all’analisi sociale».
Dopo gli anni di apprendistato svolti a Cosenza prima, e Milano poi, nel 1955 – ricorda la curatrice della mostra – Mario Carbone si stabilisce a Roma dove avvia una prolifica carriera come operatore cinematografico, direttore della fotografia e regista di documentari, collaborando con importanti registi quali Libero Bizzarri, Romano Scavolini e Raffaele Andreassi. La sua produzione abbraccia temi di grande rilevanza sociale come la situazione meridionale, le lotte studentesche e gli eventi politici degli anni Sessanta-Ottanta. Tra i suoi lavori più noti vi è il docufilm sull’alluvione di Firenze del 1966, Firenze, novembre 1966, che gli vale prestigiosi riconoscimenti, tra cui il Premio San Marco al Festival di Venezia e il Nastro d’Argento per la miglior fotografia in bianco e nero.
Ma c’è molto di più nella vita di questo grande artista del ‘900. Il legame di Carbone con il mondo dell’arte, rafforzato anche dalla moglie Elisa Magri direttrice della Galleria Ciak, lo porta a documentare l’attività della Scuola di Piazza del Popolo, ritraendo artisti come Mario Schifano, Tano Festa, Giosetta Fioroni e Franco Angeli con il quale realizza il suo primo cortometraggio Inquietudine (1960).
«Negli anni Settanta poi – aggiunge Marilena Sirangelo – immortala la scena della Performance Art, realizzando documenti visivi di eventi epocali come il Decennale del Nouveau Réalisme a Milano (1970) e la Prima Settimana Internazionale della Performance a Bologna (1977).Ecco perché le fotografie e i filmati di Mario Carbone, di straordinaria importanza per il loro valore culturale, storico e artistico, non sono solo documenti visivi, ma rilevanti strumenti di riflessione sulla società e sull’arte italiana del secondo Novecento».
Di più non si sarebbe potuto immaginare per onorare un artista del suo calibro, per giunta ancora vivo e ancora perfettamente lucido, in grado di raccontare quella che è stata la sua epopea. (pn)