di VINCENZO VITALE – Apparentemente il fatto che Reggio Calabria sia agli ultimi posti in Italia per produzione e fruizione culturale può sembrare un paradosso, essendo una città che ha sul suo territorio una delle più corpose presenze di associazioni culturali.
Questo paradosso non è spiegabile solo con la quasi banale considerazione che queste associazioni spesso sono dei contenitori senza contenuti culturali, utili solo in chiave elettoralistica e al soldo di gruppi partitici o di comitati elettorali.
Nè con il fatto che non siano sufficienti i luoghi della cultura, come teatri e auditorium o semplici sale date in uso gratuto alle associazioni che ne facciano richiesta.
Orbene, la vera origine del deficit culturale reggino ha una motivazione meno visibile e legata allo status di chi questa cultura dovrebbe produrre e promuovere. Chiediamoci, ad esempio, quale sia il compito dell’intellettuale? Contrastare il potere, quale che esso sia, amministrativo o politico o mafioso, oppure assecondare il potere in maniera estatica o piaggiante o ancillare e servente?
Non ci dovrebbero essere dubbi nel rispondere a questa domanda: l’intellettuale deve essere sempre “engagé”, impegnato dalla propria personale sensibilità a incidere sulla realtà in cui si vive, e per far ciò non può che essere critico verso il potere.
Così Jean Paul Sartre, che nel 1964 per coerenza rifiutò il Premio Nobel, ma anche Albert Camus e Andrè Malraux e Michel Faucault.
Questi dovrebbero essere, nel nostro piccolo, gli esempi cui rifarsi: per fare cultura è indispensabile esprimere sempre la propria idea, anche se sbagliata se fuori misura se fuori dai tempi, purché libera e non condizionata. Essere “engagé” dev’essere quindi un prerequisito di chi si definisce intellettuale: altrimenti si è “malhonnête”, in mala fede, citando ancora Sartre.
Se questo è fare cultura, quante associazioni reggine possono definirsi veramente culturali ovvero non compromesse col potere e in grado di esprimere liberamente la propria cultura? Pochissime! E se sono pochissime, ecco che essere agli ultimi posti in classifica comincia a essere ragionevolmente accettabile.
La questione della demolizione di piazza De Nava è stata esemplare: si è tentato di giustificare il mancato pronunciamento sul tema di tante associazioni culturali, a prescindere dalla loro posizione, con un ipotetico “diritto al silenzio”, che in realtà nascondeva interessi vari e volontà di non esporsi con opinioni poco gradite al potere.
Questo “diritto al silenzio”, che al limite potremmo riconoscere al comune cittadino che “tiene famiglia”, non può essere riconosciuto a chi si definisce un intellettuale produttore di cultura.
Il silenzio sui temi scottanti, il silenzio in generale su temi di pubblico interesse, non può essere compensato con una prolificità imbarazzante di presentazioni di libri di scarso valore o con periodiche riedizioni di argomenti stracotti o con narcisistiche libresche esibizioni. Non ci può essere cultura senza libertà di espressione e senza impegno sociale, senza sperimentazione e senza confronto. Essere agli ultimi posti della classifica non è altro che la certificazione della insignificanza culturale della stragrande maggioranza della associazioni culturali reggine. (vv)
[Vincenzo Vitale è presidente della Fondazione Mediterranea]