Il consigliere regionale Antonio Lo Schiavo, ha ribadito la necessità di invertire la rotta in merito alla Calabria che è la prima regione d’Italia per migrazione sanitaria mentre è l’ultima per spesa corrente in sanità e per il numero di donne che si sottopongono a screening oncologici.
«È questa la realtà tracciata dall’ultimo rapporto Svimez sui divari tra Nord e Sud nel diritto alla salute – ha spiegato –. Un quadro desolante che fotografa quella che è la reale situazione di migliaia di pazienti calabresi, cui non è garantita, entro i confini regionali, un’adeguata possibilità di accesso alle cure».
«È vero che anche in Calabria non mancano realtà di primo piano nel trattamento delle patologie oncologiche – ha proseguito – ma è al contempo evidente che ciò non è ancora sufficiente a garantire ai cittadini calabresi pari condizioni e diritti così come avviene in altre regioni. Nel giugno scorso ho rivolto un’interrogazione urgente al presidente Occhiuto sull’implementazione della Rete oncologica regionale, rimasta in buona parte sulla carta, puntando sulla necessità di accelerare i processi decisionali per dare piena attuazione ai decreti commissariali che ne dettavano gli indirizzi».
«Dalla risposta a quella interrogazione, pervenuta giorni dopo – ha detto ancora – si evinceva chiaramente come l’istituzione delle Colon Cancer Unit, il potenziamento delle Breast Unit, l’attuazione ed il potenziamento degli screening oncologici e perfino l’istituzione di un numero verde dedicato, fossero in grave e colpevole ritardo. E ad oggi non si registra, purtroppo, nessuna significativa novità in ordine alle questioni poste all’attenzione del presidente della Regione e commissario alla sanità».
«Vi è, dunque, ancora molto da lavorare – ha concluso – per sperare di poter incidere sui dati impietosi divulgati ancora una volta da Svimez che, come detto, vedono il 43 per cento dei pazienti calabresi migrare verso altri territori con il relativo aggravio di spese per il bilancio regionale. Risorse che potrebbero essere invece impiegate in Calabria per migliorare e dare attuazione proprio alla nostra rete oncologica. Invece, il divario sanitario si allarga sempre di più e diverrà definitivamente incolmabile quando l’Autonomia differenziata, voluta dalle Regioni ricche del Nord, istituirà sistemi sanitari autonomi che diventeranno sempre più efficienti nelle Regioni avanzate e sempre più disastrati dove già sono in difficoltà». (rrc)
di VINCENZO CAPELLUPO – Il rapporto Svimez sul divario assistenziale tra Nord e Sud Italia ci restituisce sulla sanità uno scenario per molti versi non nuovo ma pur sempre drammatico. Anzi, il fatto che la realtà diseguale non cambi e in prospettiva possa addirittura peggiorare, complica ancora di più le cose e impone oggi più che mai una netta assunzione di responsabilità politica.
Giusto per fornire qualche dato emblematico: la Calabria spende per abitante poco più di 1.700 euro a fronte di una spesa media nazionale che supera i 2.000; il 43% dei malati oncologici calabresi (l’incidenza più elevata in Italia) va a farsi curare fuori e neppure nelle regioni confinanti ma oltre; solo l’11,8% delle donne ha effettuato in Calabria screening per la prevenzione oncologica ed è la percentuale più bassa fatta registrare in Italia. Tutti nostri corregionali che popolano quel Sud che, nel suo complesso, ha una speranza di vita inferiore di un anno e mezzo e fa registrare un 8% di nuclei familiari in povertà sanitaria contro il 4% del Nord-Est: persone che non si curano perché non hanno i soldi per farlo.
Un disastro di diseguaglianze che l’autonomia differenziata è destinata a cristallizzare e ad aggravare nel lungo periodo. Non lo dice (solo) l’opposizione al governo Meloni e alle sue ipoteche leghiste. Lo dicono lo stesso Svimez, Save The Children, Ong che firma anch’essa il rapporto, la Fondazione Gimbe. Lo hanno detto di recente i vescovi della Conferenza Episcopale Calabra, che hanno invitato politici e società civile del Mezzogiorno ad alzare la voce contro il tentativo di dividere il Paese aumentando le distanze e le diseguaglianze tra territori.
A dar retta alle parlamentari leghiste Loizzo e Minasi, tutti soggetti che non hanno capito il senso dell’autonomia differenziata e il valore delle opportunità che essa racchiuderebbe. Così come non lo avrebbe capito la presidente di Anci Calabria, Rosaria Succurro, che pure del centrodestra fa parte e dunque, in teoria, dovrebbe sostenere uno dei punti che il governo centrale ritiene qualificanti della sua azione politica. Delle due l’una dunque: o tutti – analisti, operatori umanitari, uomini di chiesa, sindaci (anche) del centrodestra – hanno perso improvvisamente la capacità di discernimento, oppure sono i leghisti – Salvini, Calderoli e i loro ascari locali – a non aver mai abbandonato l’idea di separare il Nord dal Sud, abbandonando quest’ultimo al suo destino. Quel destino che il rapporto Svimez, da ultimo, sembra confermare.
Tertium non datur, direbbe Aristotele. In realtà, per molti il re è nudo, il gioco è scoperto, e le contraddizioni del centrodestra e nel centrodestra sono palesi. Non resta che attendere parole chiare per bocca di chi, da meridionale, riveste ruoli di responsabilità politica, a Catanzaro come a Roma. Dica da che parte sta, perché più il disegno di legge Calderoli cammina e più si assottiglia il tempo del gioco delle tre carte. (vc)
[Vincenzo Capellupo è consigliere comunale di Catanzaro]
di PIETRO MASSIMO BUSETTA – “Dopo una buona ripartenza anche nel Mezzogiorno l’incertezza indebolisce la ripresa e allarga il divario Nord-Sud”. E poi “Nel 2023 Sud in recessione a -0 4% con Pil Italia a +0 5%. Un Mezzogiorno “sotto shock“ prova a resistere e rimettersi in gioco”.
Questi i due titoli dei comunicati stampa del rapporto Svimez presentato a Roma. Anche se solo anticipazioni, quelle del rapporto Svimez rappresentano un momento per fare il punto sia sulla situazione congiunturale che strutturale del Mezzogiorno e sul suo rapporto con il Paese.
La presenza del ministro Fitto, che annuncia peraltro una collaborazione più stretta con l’Associazione per lo sviluppo dell’industria del Mezzogiorno, rende la presentazione ancora più pregnante, considerato che un tale accordo presuppone la volontà di occuparsi in maniera più decisa di un Mezzogiorno che certo non si può dire che abbia risolto i propri problemi, malgradi alcuni segnali positivi che si colgono in settori diversi.
Le anticipazioni del rapporto mettono in evidenza i grandi problemi del Sud, che riguardano principalmente quelli della scuola. In varie tabelle viene sottolineata la carenza di una scuola, anch’essa, a due velocità.
Anche se i dati si riferiscono al 2020-2021 i grafici riportati degli alunni con tempo pieno alle primarie e il tempo scuola medio settimane per alunno nella primaria, sempre nello stesso anno scolastico 2020-2021, dimostrano inequivocabilmente come esistano due scuole diverse, anche senza autonomia differenziata. E tale diversità di formazione non può non incidere anche sulla capacità di scelta di una buona classe dirigente, colpa che viene attribuita a tali aree.
Ma certo se la scuola ha tali carenze è facile che poi fornisca cittadini che non abbiano consapevolezza completa dei loro compiti, anche nelle urne.
Un capitolo del rapporto viene intitolato: utilizzare il Pnrr per colmare il divario di infrastrutture sociali a partire dall’istruzione. I dati sono drammatici: nel Mezzogiorno circa 650.000 alunni delle scuole primarie statali (79% del totale) non beneficiano di alcun servizio mensa. Circa 550.000 alunni delle scuole primarie del Mezzogiorno (65% del totale) non frequentano scuole dotate di una palestra. Un minore meridionale su tre (31,35%) nella fascia tra i 6-17 anni è in sovrappeso rispetto ad un minore su cinque del Centro Nord.
Per questo il rapporto raccomanda di utilizzare le risorse disponibili per colmare le differenze nei diritti di cittadinanza. In realtà l’obiettivo del Pnrr sarebbe dovuto essere quello di costruire una base produttiva adeguata a far partire quella che viene chiamata la seconda locomotiva.
Quindi gli investimenti teoricamente non dovevano riguardare l’equiparazione dei diritti di cittadinanza, a cominciare da quelli dell’istruzione e a finire a quelli della sanità, quanto invece a ripristinare le condizioni di Stato minimo riguardanti la infrastrutturazione ferroviaria, stradale, la messa a regime dei porti, la lotta alla criminalità organizzata, per consentire l’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area, la concessione di esenzioni fiscali per essere competitivi rispetto agli altri Paesi dell’Unione.
Ma, considerate le difficoltà a spendere le risorse che sono state assegnate in parte a fondo perduto e in parte a prestito all’Italia, meglio che l’utilizzo avvenga anche per colmare i divari nei diritti di cittadinanza invece che si perdano o vadano in altre regioni.
Per quanto attiene all’occupazione finalmente nel primo trimestre del 2022 è tornata ai livelli del primo trimestre del 2020, ma ancora con 280.000 posti di lavoro da recuperare rispetto al primo trimestre 2009. Il recupero dell’occupazione del 2021 e però interamente dovuto al sud ad una crescita dell’occupazione precaria. Al di là del dato congiunturale positivo, non ci si muove da una realtà che vede a livello strutturale lavorare solo una persona su quattro. E con i ritmi di crescita, peraltro inferiori a quelli del Centro Nord, la speranza di poter eliminare il gap e creare quei posti di lavoro che servono per evitare il depauperamento e l’emigrazione che, come il rapporto ha evidenziato, continua senza sosta, in particolare per quanto attiene ai diplomati e ai laureati, è nulla.
Qualcuno direbbe che vi sono luci e ombre nel rapporto, ma la precisazione che va fatta é che se qualche luce si può intravedere è solo nella parte congiunturale.
La struttura dell’occupazione, la mancanza di politica industriale per aumentare la capacità attrattiva del Mezzogiorno sono lì a testimoniare che una parte del Paese non riesce a trovare una sua via autonoma di sviluppo. Anche quella che viene ritenuto un asset che registra andamenti interessanti, che è il turismo, in realtà parte da dati talmente contenuti che il recupero di una dimensione sufficiente a dire che è un driver fondamentale diventa estremamente complicato.
Purtroppo la sensazione netta é che il percorso da fare per il Mezzogiorno sia ancora tutto da impostare: dalle difficoltà a capire quale deve essere il sistema per aumentare la capacità produttiva, ancora estremamente contenuta, ad una logistica che vede ancora Gioia Tauro non completamente utilizzata, in particolare nel suo retro porto, mentre Augusta come le stelle di Cronin sta a guardare, in attesa che venga costruito quel ponte sullo stretto che dia continuità al sistema infrastrutturale ferroviario che la colleghi a Berlino.
Per cui dei tre driver importanti che dovrebbero creare i 3 milioni di posti di lavoro necessari perché tale realtà vado a regime non ne è partito seriamente nemmeno uno.
Peraltro il rischio di cambiare in corsa gli strumenti per raggiungere gli obiettivi proposti porta a ritornare spesso alla prima casella del gioco dell’oca, con una probabilità ampia che l’obiettivo non venga mai raggiunto. Mentre peraltro continua quel processo di spopolamento e di desertificazione che sta rendendo molta parte del Mezzogiorno una realtà bella e spopolata.
Mentre i giovani meridionali ed anche i loro padri sono ormai convinti profondamente che un’ipotesi di futuro, in termini di lavoro e di diritti, è possibile soltanto allontanandosi dalle realtà dei loro padri. Certamente al Mezzogiorno serve lo sviluppo, ma prodromico ad esso, serve che la gente che ancora lo popola riabbia la consapevolezza, che ha perso, che esista in quelle aree un futuro. In molti non ci credono più e questo é il peggio che possa avvenire, perché non potranno esserci politiche sufficienti per far crescere una realtà che ha perso la speranza dei suoi abitanti. (pmb)
[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]
Il presidente di Unindustria Calabria, ha dichiarato che «le anticipazioni del Rapporto Svimez 2021 “L’economia e la società del Mezzogiorno” fotografano e confermano, ahimè, per il prossimo futuro un’Italia ancora a due velocità. Le stime infatti prevedono una ripresa economica fortemente differenziata nel biennio 2021-22 a sfavore del Sud che rischia di accentuare ulteriormente il divario tra le due aree del paese».
«È di tutta evidenza – ha aggiunto – che tutto ciò testimonia le debolezze strutturali dell’economia meridionale ma, ovviamente, non può e non deve indurre ad una sorta di rassegnazione sulle traiettorie previsionali, ma, al contrario, deve provocare una decisa reazione volta a cogliere tutte le opportunità che il futuro prossimo ci offre in relazione alle misure ed ai nuovi strumenti economici messi a disposizione dall’Europa, certamente mai visti prima».
Ferrara, infatti, ha sostenuto che, per fare la differenza sarà necessario il corretto utilizzo dei Fondi del Pnrr e di quelli previsti dalla programmazione 2021/2027, e che «esiste l’opportunità di invertire un trend che ha caratterizzato gli anni passati con un continuo calo di investimenti pubblici soprattutto in infrastrutture al Sud».
«L’errore da non commettere – ha evidenziato – è quello di effettuare interventi a pioggia dal respiro corto. Al contrario- auspica- è essenziale programmare e realizzare interventi di ampio respiro che favoriscano una crescita stabile e duratura che vada ben oltre il 2026. Tuttavia, perché ciò avvenga è indispensabile che le amministrazioni destinatarie delle risorse finanziarie siano capaci di utilizzarle in maniera efficace, nei modi, nei tempi e nelle entità finanziarie programmate».
«Il problema – ha proseguito – non è solo quello di avere tanti soldi a disposizione, ma la capacità di saperli spendere e di spenderli bene».
Gli stanziamenti tra poco inizieranno ad arrivare ma, incalza Ferrara, la nostra burocrazia è pronta?
«Ed è proprio per questo – ha detto ancora – che non bisogna farsi trovare impreparati ed occorre agire al più presto per rafforzare le capacità amministrative degli enti attuatori delle misure pubbliche».
«Come ben rilevato anche da Bankitalia – ha ricordato – nel recente report riguardante l’economia della Calabria, esiste un deficit di competenze all’interno della PA che riflette le difficoltà delle amministrazioni e degli enti pubblici nella progettazione e realizzazione delle opere pubbliche. Tale fenomeno, diventa ancora più rilevante in considerazione del fatto che Il Pnrr assegna un ruolo cruciale nella attuazione degli interventi anche agli enti locali. Questo apre inevitabilmente il problema del come accompagnare e sostenere le amministrazioni in questo complicato compito anche in funzione della necessità di accelerare gli investimenti pubblici in risposta alla crisi pandemica».
«Ne è ben consapevole, infatti, anche la Svimez – ha fatto notare Ferrara – che a tal proposito si spinge a proporre di strutturare centri di competenza territoriale, formati da specialisti nella progettazione e attuazione delle politiche di sviluppo, che in raccordo con i principali attori del territorio siamo in grado di supportare le amministrazioni pubbliche che devono gestire la spesa».
«Insomma – ha concluso Ferrara – è necessario precostituire le condizioni attuative per passare dagli stanziamenti alla spesa effettiva, altrimenti rischiamo di veder passare enormi risorse senza avere la capacità di metterle a terra e determinare il mutamento dei parametri strutturali della Calabria e del Mezzogiorno». (rrm)
La Calabria sprofonda, lo certifica la Svimez con la presentazione del suo rigoroso rapporto sul Mezzogiorno. Il quadro presentato dal Rapporto Svimez è davvero preoccupante: la Calabria, nell’anno del Covid-19, perde l’8,9% del Prodotto Interno Lordo e le prospettive per l’anno del Covid non sono decisamente rosee: crescita marginale e continua fuga dal Sud.
Il Rapporto, presentato dal direttore della Svimez, Luca Bianchi, ha visto gli interventi del presidente, Adriano Giannola, e del ministro per il Sud e la Coesione Sociale, Giuseppe Provenzano e prevede che, per il 2021, in Calabria il Pil crescerà marginalmente (+0,6%), anche se si tratta di una «ripartenza frenata». Insieme alla Calabria, Sicilia (+0,7%), Sardegna (+0,5%), Molise (+0,3%).
«Si tratta – si legge nel Rapporto – di segnali preoccupanti di isolamento dalle dinamiche di ripresa esterne ai contesti locali, conseguenza della prevalente dipendenza dalla domanda interna e dai flussi di spesa pubblica».
Per quanto riguarda il Mezzogiorno, invece, il Rapporto individua tra le regioni più reattive la Basilicata (+2,4%), Abruzzo e Puglia (+1,7%) seguite dalla Campania (+1,6%), «confermando la presenza di un sistema produttivo più strutturato e integrato con i mercati esterni».
Un altro dato negativo arriva per quanto riguarda la popolazione: «nel 2018 si sono cancellati dal Mezzogiorno oltre 138mila residenti, di cui 20 mila hanno scelto un paese estero come residenza, una quota decisamente più elevata che in passato, come più elevata risulta la quota dei laureati, un terzo del totale».
«Il flusso di emigrati dal Sud verso il Centro-Nord – si legge nel Rapporto – ha raggiunto nel 2018 circa 118mila unità, 7 mila in più dell’anno precedente»: la Calabria (14,8 mila) è la regione che presenta il più elevato tasso migratorio, 4,5 per mille, seguita da Basilicata (3,8 per mille) e Molise (3,5 per mille).
«Nel Mezzogiorno – riporta la Svimez – il pendolarismo fuori regione è decisamente più intenso che nel resto del Paese, nel 2019 è praticato da circa 240mila persone, il 10,3% del complesso dei pendolari dell’area a fronte del 6,3% nel Centro-Nord. Un quinto dei pendolari meridionali (57 mila unità) si muove verso le altre regioni del Sud; i restanti quattro quinti (185 mila pari al 3% degli occupati residenti) si dirigono verso le regioni del Centro-Nord o i paesi esteri».
Per quanto riguarda il lavoro, la Svimez «stima una riduzione dell’occupazione del -4,5% nei primi tre trimestri del 2020, il triplo rispetto al CentroNord. E si attende una perdita di circa 280mila posti di lavoro al Sud. La crescita congiunturale dell’occupazione era già modesta, la ricerca di lavoro in diminuzione e l’inattività in aumento».
Un altro dato rilevato, sono gli ampi divari di cittadinanza: «la sanità meridionale era una zona rossa già prima dell’arrivo della pandemia, come dimostrano i punti Lea – Livelli essenziali di assistenza e la spesa sanitaria pro capite».
Se si guardano i Lea, infatti, la Svimez ha evidenziato come nel 2018 «ultimo anno per il quale sono disponibili i risultati ed è anche il primo in cui tutte le regioni monitorate risultano adempienti, raggiungendo il punteggio minimo di 160. La distanza tra le regioni del Sud e del Centro- Nord è marcata, oscillando tra valori massimi di 222 punti del Veneto e 221 dell’Emilia -Romagna e i minimi di 170 di Campania e Sicilia e di appena 161 della Calabria».
«Per comprendere meglio – continua la Svimez – cosa si nasconda dietro queste differenze nei punteggi Lea in termini di impatto concreto sulle opportunità di cura dei cittadini, è utile guardare ad alcuni indicatori sull’accesso a particolari servizi sanitari. Drammatico è, ad esempio, lo squilibrio tra regioni italiane nelle attività di prevenzione. L’indicatore sintetico che misura la partecipazione della popolazione target ai programmi regionali di: screening mammografico per il tumore al seno; di screening per il tumore della cervice uterina; per il cancro del colon retto. Evidenzia uno score pari a 2, per la Calabria, mentre Liguria, Veneto, Provincia Autonoma di Trento e Valle d’Aosta sono le regioni con il punteggio più alto, pari a 15».
Altro aspetto drammatico, il divario scolastico e formativo, già evidente nei servizi per l’infanzia: «I posti autorizzati per asili nido rispetto alla popolazione sono il 13,5% nel Mezzogiorno ed il 32% nel resto del paese. La spesa pro capite dei Comuni per i servizi socioeducativi per bambini da 0 a 2 anni è pari a 1.468 euro nelle regioni del Centro, a 1. 255 euro nel Nord-Est per poi crollare ad appena 277 euro nel Sud. Nel Centro-Nord, nell’anno scolastico 2017-18, è stato garantito il tempo pieno al 46,1% dei bambini, con valori che raggiungono il 50,6% in Piemonte e Lombardia. Nel Mezzogiorno in media solo al 16%, in Sicilia la percentuale scende ad appena il 7,4%».
«Infine – si legge nel Rapporto – il Sud presenta tassi di abbandono assai più elevati: nel 2019, ultimo anno per cui sono disponibili i dati, gli early leavers meridionali erano il 18,2% a fronte del 10,6% delle regioni del Centro-Nord. In cifra fissa si tratta di 290mila giovani. Valori più elevati si registrano nel Mezzogiorno sia per i maschi (21% a fronte del 13,7% del Centro-Nord) sia per le femmine (16,5% a fronte del 9,6% del Centro-Nord)».
Per quanto riguarda le Politiche di Coesione, la Svimez ha rilevato una «forte disomogeneità tra Programmi. In termini di pagamenti a valere sul Fesr appaiono in maggiore ritardo i Por delle Marche, dell’Abruzzo, della Calabria, sul Fse invece appaiono particolarmente in ritardo i programmi di Sicilia, Campania e Abruzzo».
Per la Svimez, nel Mezzogiorno, per quanto riguarda le infrastrutture e investimenti di opere pubbliche, «un sostanziale e straordinario cambiamento di prospettiva si può realizzare con le risorse di New Generation Eu, grazie alle quali si potrebbe raggiungere e superare entro il 2024 un livello di investimenti pubblici superiore al 3% del Pil». Nel ranking regionale europeo, infatti, «la regione del Mezzogiorno più competitiva è la Campania, ma posizionata quasi a metà graduatoria (100° su 263), seguita da Puglia (143°), Calabria (175°), Sicilia (161°), Abruzzo (176°), Sardegna (203°), Basilicata (234°) e Molise (245°)».
«Il Rapporto – spiega la Svimez – si sofferma su alcune proposte per cogliere appieno l’occasione offerta dalla condizionalità «buona» europea di orientare gli investimenti agli obiettivi della coesione economica e sociale e al sostegno alla transizione verde e digitale. Temi che esaltano il contributo del Mezzogiorno alla ripartenza. Con due priorità. Va innanzitutto riavviato un percorso sostenibile di riequilibrio nell’accesso ai diritti di cittadinanza su tutto il territorio nazionale: salute, istruzione, mobilità».
«In secondo luogo – prosegue la Svimez – non può essere più rimandata la definizione di un disegno unitario di politica industriale per valorizzare la prospettiva green e la strategia Euro-mediterranea. Un contributo da Sud alla ripartenza del Paese lo può dare il Quadrilatero Zes nel Mezzogiorno continentale, Napoli-Bari-Taranto-Gioia Tauro, da estendersi alla Sicilia. E poi, agroalimentare, bioeconomia circolare, green deal, a partire dal caso dei rifiuti sono occasioni per trasformare i ritardi in un’opportunità». (rrm)
In copertina, il direttore della Svimez, Luca Bianchi.
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