di FILIPPO VELTRI – Domenica sera sotto il diluvio di cifre e commenti su Tv e social per il referendum sulla fusione delle tre città, finito come è ormai noto mi è tornato in mente un vecchio racconto di tanti e tanti anni fa che mi fece una sera, ad una Festa meridionale dell’ Unità, il grande dirigente del PCI Pio La Torre. Dopo pochi mesi La Torre sarebbe stato assassinato dalla mafia a Palermo.
In un palermitano accentuato più del solito La Torre mi indicò un tavolo dove stavano cenando, separati, alcuni ‘’illustri’’ ospiti esterni al Pci e con un lampo e un gesto imperioso della mano destra mi disse: «Filippo… Filippo… non ti fidare mai di questi presunti intellettuali che ti scavalcano a sinistra a parole e con paroloni! Sono i primi pronti a raccattare le briciole sotto il tavolo dei potenti! Sotto il Tavolo! Manco sopra».
Queste parole di Pio La Torre – che passava per essere uno della destra del PCI – mi tornano spesso nei ragionamenti vari che si fanno attorno, e sopra appunto, la politica e mi sono riaffiorati l’altra sera al pensiero di quanto avvenuto in questo mese di campagna elettorale per dire sì o no alla fusione, clamorosamente bocciata dagli elettori. I pochi elettori in verità, soprattutto a Cosenza, ma anche questa è una sconfitta per chi pensava a ben altro.
Quelle parole di Pio La Torre mi servono per aggiungere un paio di notarelle sull’allegra compagnia di giro che si è accodata alla decisione del Consiglio Regionale della Calabria di tentare una così improvvida manovra alle spalle di tre città.
Professorini e presunti tali, professoroni ordinari nelle università, intellettualini di mezza tacca di provincia, politici di vecchio stampo e accademici sonnolenti, autonominati pensatori-portavoce- addirittura opinion leader dell’invincibile armata (somigliava tanto a quella del povero Achille Occhetto sbaragliato come è noto alla fine da Silvio Berlusconi), aspiranti incarichi/prebende nel codazzo alla corte dei Re oggi in auge (per domani sono peraltro già pronti a un nuovo eventuale salto della quaglia) sono, infatti, accorsi per qualche briciola sotto il tavolo (a Cosenza diciamo in dialetto ‘pi nu piatto i pipi’), inventandosi dotte disquisizioni, arditi argomenti, persino accuse infamanti contro chi tentava solo di fare ragionare e pensare. Qualche buontempone è arrivato a definirci dei borbonici!
I social e le Tv in questi 30 giorni sono stati invasi, tutti i partiti – da Fratelli d’ Italia a Sinistra Italiana passando per i sindacati (roba mai vista questa unità) – hanno martellato ma poi la gente ha capito e non è andata a votare (a Cosenza) o ha dato il suo No ad un progetto che era pasticciato e inutile. Ma è proprio a Cosenza che è emerso un ultimo dato, da non sottovalutare affatto, che mi sta molto a cuore, espressosi sia nel non voto che nel No: quello cioè di uno spirito di appartenenza che non è conservazione ma voglia di contare.
Di dire una cosa in fondo semplice semplice: una città non è fatta solo di strade e palazzi ma di quello che ci sta sotto e prima, di chi l’ha messa in piedi, delle pietre che parlano, degli angoli che narrano un passato che è storia e per essere cancellato ha bisogno di essere dunque quantomeno condiviso. A Cosenza come a Rende e a Castrolibero.
Lo abbiamo scritto il primo giorno e oggi lo ribadiamo: non è nostalgia (peraltro sentimento nobilissimo) ma umile voglia di contare, di non stare sotto i tavoli del racconto di La Torre ma almeno al tavolo con pari dignità.
Chi non ha pensato a questo ha dimostrato di non sapere che la politica è anche sentimento, o almeno dovrebbe essere, e chi a questo sentimento ha dato una sponda (a Cosenza una ventina di persone in tutto) alla fine ha vinto ed è una lezione che vale anche per il futuro. O almeno dovrebbe valere, se non si vuole andare incontro a nuove spiacevoli sorprese.
Il professore Renzo Rosso, ordinario di ingegneria idraulica alla Statale di Milano, ieri ci ha ricordato come in Liguria, ad esempio, ci sono due Albissola, di sotto e di sopra. Due comuni rigorosamente governati da sponde politiche diverse che talora si invertono. Ma lì in Liguria sanno come fare le cose! (fv)