di MAURO ALVISI – Può capitarvi, ancora per poche ore, di vederlo sfrecciare per le strade degli Appennini e delle coste meridionali, nei tanti entroterra delle terre di mezzo e degli splendidi borghi abbandonati del meridione, con la sua capramobile. Indice della sua autentica ironia. Nel caso in questione auto-ironia. Sempre pronto a scendere, a cambiare programma, con improvvisi intermezzi tra la gente o attratto da una promessa di scoperta negli immensi e sconosciuti anfratti di un museo all’aperto diffuso, qual è il nostro Bel Paese. Chi ne segue il percorso e la scaletta quotidiana, alla fine dovrà forse fare ricorso ad un periodo di assoluto riposo.
La passione logora chi non ce l’ha. Parafrasando Belzebù che ormai non c’è più. Vittorio Sgarbi è ormai il meme di sé stesso. Il sembiante di un oracolo dell’arte. Enciclopedia vivente della cultura agita su tela o con scalpello. Anzi di più. Una Sgarbipedia che s’aggiorna ad ogni chilometro tra il patrimonio culturale più grande al mondo. Quello italiano in primis e quello continentale. L’icona geniale e sregolata, significante e significato della conoscenza del bene culturale, che ora promette di rifondare l’Europa partendo dalla Magna Grecia. Il suo potrebbe assomigliare allo sbarco d’un alieno a Bruxelles. Ascoltiamolo.
-In questi giorni di campagna elettorale, lei gira in lungo e in largo il Mezzogiorno peninsulare. Con una forte attenzione al riscatto culturale del Sud. Tutta la cultura occidentale e quella europea sono figlie di un pensiero agito in aree del Paese come la Puglia e la Calabria, in Magna Grecia, ma l’Europa sembra non averne coscienza. Che fare?
«È indubbio che esistano alcuni principi, pure importanti, che indicano cose in comune tra i popoli della Ue. La vera integrazione in una Euro-Nazione non è mai partita, perché passa necessariamente attraverso una esaltazione delle diversità. Di ciò che distingue e caratterizza le aree dove il pensiero è nato e dove la civiltà si è creata, che sono guarda caso proprio nel Meridione e nella Magna Grecia che vede nella Calabria la regione più difficile d’Italia e la sua rappresentazione più riconosciuta nel mondo che sono i Bronzi di Riace. Questo paradosso vede una delle cose più importanti che l’uomo abbia mai immaginato e creato in una regione che ha molti problemi da risolvere. Allora l’orgoglio della Magna Grecia che è lo stesso della Calabria è giusto sia rappresentato in Europa da chi da sempre avverte e promuove il valore della diversità. Con una strategia di valorizzazione che possa rovesciare il rapporto tra aree d’Europa egemoni, o economicamente più avanzate, e aree d’Europa che hanno vissuto una lunga sofferenza da cui devono essere riscattate».
-Quindi il Mediterraneo, che in questo momento si trova al centro delle agende geo-politiche e strategiche di tutto il mondo, ci sta indicando che forse parte da Sud anche un futuro nuovo rinascimento? Parte da questo Sud un possibile cambiamento radicale del pensiero e dell’azione politica comunitaria?
«Che il Mediterraneo sia centrale nel mondo è ormai cosa nota, che sia anche il luogo che rappresenta il punto più critico dell’Europa è provato da Lampedusa e dal tema degli sbarchi che vedono un ampio conflitto in essere, tra il nostro mondo, l’Europa, e l’Africa. Il momento più dolente e più pericoloso perché è quello da cui passa non solo una forza lavoro che dev’essere comunque organizzata, ma anche un passaggio di civiltà, di valori, di comportamenti che possono essere pericolosi per l’Occidente. Il Mediterraneo è occasione di unione ma anche di divisione, di separazione».
-È immaginabile utilizzare la parola rinascimento, entrata ormai a far parte, come meme molto forte per tutti ancora, dell’immaginario collettivo, per poter parlare di un’Europa che debba in qualche modo contemplare nella bellezza, nell’arte, nella cultura la sua rinascita?
«La parola rinascimento è un etimo per me molto chiaro, occorre definire pienamente se abbia a che fare con il destino della Magna Grecia, della Calabria e del Meridione, certamente il risultato e l’effetto dell’operare in Europa dev’essere quello, cioè di rinnovare, esaltare e far capire fino a che punto ci siano qualità, risorse e potenzialità, largamente ancora inespresse, nel meridione. Il punto è disegnare uno sviluppo e un progresso comune che tenga conto di queste diversità, come una nuova prospettiva».
-Vi è in atto un forte e progressivo impoverimento sociale e relazionale, diffuso anche in Europa come nella nostra Italia, cui si coniugano una serie di derivate come il bullismo, le baby gang, le azioni e le incursioni di terrorismo deturpativo nell’arte, forme di razzismo sempre più ricorrenti. Può dirsi questo il frutto noncurante di un deficit culturale e interculturale, di aver trascurato una educazione aggregante che la coscienza del bello e di una fraternità necessaria tra sconosciuti, promuove e insedia, scongiurando questo grande impoverimento dell’uomo?
«Diciamo che è la coscienza e la conoscenza sono elementi nevralgici, quelli per cui il riscatto è più difficile. Perché il lamento, il piagnisteo, la richiesta passiva e ossessiva di assistenza prevalgono sopra l’orgoglio e la passione, vi è l’esaltazione di quello che il meridione rappresenta. Quando questo avviene il risultato è straordinario. Quando vi siano una scienza, una coscienza e una conoscenza del valore dei luoghi, del valore delle produzioni economiche e agricole, prevalentemente biologiche e identitarie, si eleva il meridione alla massima potenza. Quindi occorre un’iniezione di fiducia, competenza guidata dalla conoscenza».
-Un’iniezione di fiducia, in termini pratici e usando la metafora, cos’è in termini pratici? Un’intramuscolare? Quali vie e pratiche dobbiamo utilizzare per iniettare fiducia in queste genti? Perché la sfiducia è un virus che infetta su larga scala ormai.
«È fondamentalmente una operazione di educazione alla consapevolezza del proprio patrimonio culturale. Un fare in modo di sedurre e innamorare il Meridione di sé stesso. Dalle istituzioni, alle famiglie, alle scuole, alle università al mondo del lavoro. Per poi tornare a sedurre di nuovo l’Europa».
-Quali sono i punti cardinali che fondano il suo impegno una volta dovesse essere eletto alle europee e approdare a Bruxelles?
«Senza dubbio la proposta di certificare la Magna Grecia come patrimonio dell’umanità. Attraversa un’area così vasta rispetto a quella del Prosecco o delle Langhe, che riguarda cinquanta luoghi che sono inevitabili. Da Sibari a Metaponto, a Riace, a Paestum, al museo di Taranto. Una quantità di siti storici, archeologici e museali inimmaginabile. Quando noi banalmente e spesso restringiamo la narrazione del nostro patrimonio culturale ad alcune grandi icone stereotipo. Come gli Uffizi a Firenze, Capodimonte, o Brera a Milano, ci rendiamo conto che nel mezzogiorno esiste una rete di luoghi che non hanno paragone al mondo e neanche in Italia. Pertanto l’identificazione di cinquanta riferimenti, come in Calabria ad esempio Altomonte o Palmi, la prima capitale del regno normanno degli Altavilla a Mileto, i grandi segni della presenza federiciana, alcuni conosciutissimi e altri no, (come il castello sul mare di Roseto Capo Spulico ndr.), tra tradizioni religiose e civiltà antica».
-È proprio il baricentro del suo agire politico in Europa quello di portare o riportare la cultura, quasi dimenticata, della Magna Grecia al centro della percezione, della conoscenza e della coscienza europea?
«Certamente. Se solo si pensasse di fare un incontro di figure iconiche, a partire da Gioacchino da Fiore e tutto quello che ha indicato come principi di una società basata non solo sui principi religiosi. Ci fa velocemente arrivare al cuore dell’Europa che è l’emblema di Castel del Monte e di Federico II di Svevia, stupor mundi, come il primo costituente dell’Europa. Quindi tutto può trovare nome, luogo, storia, pensiero, nel Meridione».
-Parlando di intelligenze e di storia della cultura e passando un attimo ad un tema di grande attualità, che va riempendo i media e l’intera comunità digitale: quello dell’intelligenza artificiale e l’affacciarsi, in contrasto, di un nuovo umanesimo. Dignità dell’uomo e democrazia sono a rischio, in un apparato diventato sintetico, dove le tecnologie la fanno da padrone? Bellezza e Cultura possono agire da costanti del progredire umano? Sono costanti vitali di cui non possiamo privarci, anche in Europa?
«Sì, a patto che siano ben lette e quindi interpretate. Il testimone che è al parlamento dev’essere ben convinto di questo ed in grado di difenderlo. Per questo il voto che viene dato alla mia persona è l’affidamento e l’incarico a una voce autorevole di interpretare quello che molti pur sanno o pensano si dovrebbe affermare con forza. La traduzione di una tradizione culturale, largamente tradita nei fatti e negli anni. Va spiegata e poi amplificata.
-Passando all’economia e alla giustizia sociale, piani tra loro molto collegati, oggi l’Europa mostra alcuni indicatori economici finanziari che apparentemente e nel complesso sono in lieve crescita. In realtà aumentano le differenze d’impatto e progresso economico tra gli stati dell’unione. E vi sono larghissime differenze della distribuzione e del livello di reddito tra Nord, Est e Sud dell’Europa. Alla base di questi larghi divari sociali in Europa, c’è forse la mancanza di una ‘cultura di coesione’? La dimensione economica è mossa da un vettore culturale. In questo caso un deficit evidente di una politica interculturale tra le nazioni europee?
«Esiste una intuizione di un’Europa che non è stata realizzata in cui il meridione d’Italia è del tutto assente. E’ impossibile che lo sia ma così accade».
-Dopo il fallimento dell’Onu come decisore della mediazione e un’Europa largamente discorde, al suo interno, su molte azioni e risoluzioni politiche, che riguardano la difesa e i drammatici conflitti in corso, in Ucraina e in Medio Oriente, pensa sia più funzionale parlare di un corpo civile di pace e mediazione, di una Diplomazia della Cultura o di un vero e proprio schieramento e corpo militare dell’Unione Europea?
La cultura, sia chiaro, esclude la guerra. La cultura propone l’intelligenza, la dialettica, la persuasione, la capacità di convincere, la maieutica, quindi tutti gli strumenti che provengono dal pensiero antico e lo proiettano nella contemporaneità che, come nelle civiltà primitive, pensa che la guerra sia l’unica soluzione. È inverosimile che noi si pensi di affidare la soluzione dei problemi alla guerra, quando si può adoperare l’intelligenza persuasiva e la mediazione. Il tema è che lo sviluppo dell’Europa è uno sviluppo cieco, sordo, con una sola idea di avanzamento che viene chiamato sviluppo sostenibile. In realtà occorre uno sviluppo compatibile con le differenti aree e luoghi, che studi e includa quello che i luoghi possiedono come loro vocazione (genius loci), li faccia produrre ciò che essi sono. Diventa quello che sei diceva Nietzsche. La sorgente di pensiero del mondo meridionale può diventare la soluzione per risolvere i grandi conflitti. Se si usano, al posto della ragione e del pensiero profondo, la violenza, la forza, le armi e la catastrofe della guerra, è evidente che noi tradiamo anche le premesse di un grande pensiero filosofico che è nato in Grecia e in Magna Grecia». (ma)