LA CALABRIA È IN RITARDO CON IL PNRR
DEI 10.919 PROGETTI, VALIDATI SOLO 4.454

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Quella del Pnrr è una sfida che la Calabria non può perdere. Ma come può farlo, se ci sono 10.919 progetti e, di questi, solo 4.454 risultano validati? Per la nostra regione, infatti, sono disponibili 9 miliardi e 900 milioni, distribuiti in questo modo: 1,8 mld per la Provincia di Cosenza, 701,2 mln nella Provincia di Crotone, 1,6 mld nella Provincia di Catanzaro, 823,7 milioni nella Provincia di Vibo e 1,7 mld per la Provincia di Reggio Calabria. Da sottolineare che, di questi 9 miliardi, 7 mld e 500 mln sono risorse del Pnrr, mentre 2 mld e 400 mln sono collocabili nella voce “altre risorse”.

Scendendo nel particolare dei progetti, quello che emerge è l’eccessiva parcellizzazione delle risorse indirizzate alla Calabria se confrontate con le altre regioni italiane, rispetto alle quali risulta di molto superiore. Sono, infatti, 10.175 i progetti che prevedono un importo uguale o inferiore a 1 milione di euro; 3300 quelli con importo uguale o inferiore a 20 mila euro; 4050 quelli che prevedono un importo uguale o inferiore a 30 mila euro (considerati anche quelli con importo riferito ai 20 mila euro); 5700 con importo uguale o inferiore a 50 mila euro (considerati anche quelli con importo riferito ai 30 mila euro) e 2050 quelli con importo uguale o inferiore a 10 mila euro. Controllando la piattaforma OpenPnrr, si evince che sono 4.454 i progetti non validati. Scendendo al dato provinciale possiamo evidenziare questi dati: Cosenza: 3977 progetti; Crotone: 950; progetti Catanzaro: 2054 progetti; Vibo Valentia: 1205 progetti e Reggio Calabria: 2729 progetti.

Sono questi i dati preoccupanti emersi nel report sullo Stato di attuazione del Pnrr in Calabria curato dalla Uil Calabria dalla Uil Fpl Calabria «che attesta – ha spiegato la segretaria generale della Uil Calabria, Mariaelena Senese – i notevoli ritardi nell’attuazione del Pnrr, delle incertezze nella pianificazione e mettiamo insieme appunto, questo binomio, quindi i ritardi che registriamo, che continuiamo a registrare, perché oggi siamo al 40,85 nell’attuazione del Pnrr rispetto ad un preventivo pari al 64%, è una Calabria che continua ad arretrare, dove la povertà continua a farla da padrone proprio in virtù dello spopolamento, di un’emigrazione continua e che non è più un’emigrazione solo di quantità, ma un’emigrazione di qualità».

«Mazzini diceva che l’Italia sarà quel che sarà il Mezzogiorno – ha aggiunto – noi diciamo che all’interno del Mezzogiorno esiste un Mezzogiorno qual è la Calabria, che è un mondo estremo dove si continua ad arrancare dove i diritti che dovrebbero essere costituzionalmente garantiti ai cittadini calabresi ma non lo sono».

Serve, dunque, verificare lo stato di attuazione del Pnrr in Calabria, cercando di mettere a fuoco tappe, strategie, messa a terra delle risorse finanziarie autorizzate. Quello che emerge è un quadro preoccupante per certi versi, che evidenzia criticità in termini di risposta da parte dei soggetti attuatori – non solo dell’amministrazione pubblica calabrese, con autorizzazioni lente e pagamenti in ritardo».

«La Calabria – dice il sindacato – ha spostato molti obiettivi nei prossimi anni: il rischio è che, dovendo realizzare troppi interventi entro il 2026, le attività si ingolfino e non riesca più a rispettare le scadenze stabilite da Bruxelles».

Il Pnrr, infatti, «rappresenta un’opportunità storica per la Calabria e per tutto il Mezzogiorno – si legge – finalizzata a superare le annose criticità strutturali e a promuovere uno sviluppo sostenibile e inclusivo. Il Pnrr, con un investimento complessivo di 221,1 miliardi di euro a livello nazionale, è stato elaborato in risposta alla crisi generata dalla pandemia di Covid-19, con l’obiettivo di rilanciare l’economia italiana e promuovere una trasformazione verde e digitale del Paese».

Infatti, se «passiamo a fare un controllo del dato generale sul sito della Regione Calabria – si legge – che si basa come fonte sul Regis e risulta aggiornato a febbraio del 2024, quello che balza subito agli occhi è la differenza dei numeri sugli investimenti e dei progetti. Per il sito della Regione Calabria, infatti, sarebbero stati previsti investimenti per 11 miliardi e 309 milioni di euro e 12.142 progetti, di cui 777 risulterebbero chiusi».

Nello specifico, per la digitalizzazione sono stati stanziati 1 mld e 100 milioni di euro, per la scuola circa 954 milioni, imprese e lavoro circa 295 mln, cultura e turismo circa 117 milioni, per l’inclusione sociale circa 482 mln, per le infrastrutture 5 mld e 200 milioni, per la transizione ecologica 1 mld e 100 milioni, per la salute circa 598 mln. Per quest’ultima, in particolare, la Uil ha lanciato una provocazione: «se solo si pensasse di destinare una parte dei fondi indirizzati a Rfi e Tim, che ricevono altri fondi dall’Fsc e, quindi, evidenziano una sorta di ipercapitalizzazione, all’interno del Pnrr alla sanità si potrebbero risolvere diversi dei problemi presenti nel settore».

Il finanziamento in infrastrutture (53% circa del totale) è indirizzato a grandi player del settore delle costruzioni e si riferisce, quasi interamente, ai lavori di potenziamento e realizzazione dell’Alta velocità nel tratto campano-calabrese. Un terzo dei finanziamenti complessivi del Pnrr è destinato alla copertura di circa 10 progetti nel settore infrastrutturale che vengono destinati in gestione a holding internazionali. Questi finanziamenti servono a colmare il divario infrastrutturale (reti materiali ed immateriali) che segna il futuro della Calabria ma, per noi, rappresentano l’ennesima sconfitta di uno Stato che, in questi anni, non è riuscito a colmare le distanze che allontanano, sempre di più, il Sud dal resto del Paese che queste infrastrutture (viarie, ferroviarie e tecnologiche) le possiede già. Desolante il fatto che, proprio sulla missione 3, che riguarda le infrastrutture, si 14 progetti, nessuno è stato concluso. Stesso discorso per istruzione e ricerca: su 2.687 finanziati, nessuno di questi è stato chiuso.

Per quanto la digitalizzazione, ai dati di febbraio 2024, attualmente sono 3 i progetti chiusi su 3.114; per la transizione ecologica su 4934 progetti finanziati solo 756 vengono segnalati come chiusi; per la salute, su 498 progetti solo 14 sono stati chiusi.

I fondi Pnrr per la Calabria comprendono, anche, interventi mirati all’efficienza delle reti idriche di distribuzione per 21 comuni, con una popolazione complessiva di circa 164.000 abitanti. Questi interventi sono cruciali per migliorare la gestione delle risorse idriche in un territorio caratterizzato da frequenti criticità nel settore. Inoltre, il Pnrr prevede finanziamenti per la sanità calabrese, volti a modernizzare le strutture ospedaliere e a potenziare le strutture di prossimità, con l’obiettivo di garantire una migliore qualità dei servizi sanitari. La rigenerazione urbana è un altro ambito di intervento rilevante, con progetti che puntano a rivitalizzare i piccoli borghi storici e a promuovere iniziative culturali e sociali. Tuttavia, la Calabria deve affrontare sfide significative nell’implementazione dei progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

La Corte dei Conti ha segnalato lentezze nella spesa pubblica e difficoltà nel rispettare i tempi previsti per l’attuazione delle misure. La recente rimodulazione delle risorse ha comportato uno spostamento di fondi da progetti infrastrutturali verso sussidi alle imprese, evidenziando la necessità di un rafforzamento delle capacità amministrative a livello locale.

Una lentezza dovuta anche alla carenza di personale specializzato presente negli enti locali per seguire l’iter progettuale, di realizzazione delle opere e di rendicontazione degli investimenti finisce per rallentare ancora di più questo processo.

«Il rischio concreto è quello di dover restituire il prestito all’Europa, indebitando la regione per diversi anni, senza riuscire a realizzare i progetti previsti e, quindi, trasformare la Calabria», ha denunciato la Uil, ribadendo la necessità di provvedimenti concreti per accelerare la messa a terra dei progetti, attraverso un piano di efficientamento della Pubblica Amministrazione, con assunzioni di qualità e piani di riqualificazione per il personale già in servizio. servono assunzioni a tempo indeterminato nella Pubblica Amministrazione centrale e locale; occorre rivedere le deroghe sulle assunzioni.

«Vi è la necessità – continua il sindacato – di un cambio di paradigma per il coinvolgimento delle parti sociali solco del dialogo sociale rafforzato per l’attuazione, monitoraggio e valutazione del Pnrr; investire circa il 3% delle risorse previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza riferito alla Calabria. Stiamo parlando di 300 milioni circa e di 30 milioni su base annua, per dare corso ad un nuovo piano occupazionale potrebbe, in parte, attenuare questi ritardi».

«Si tratterebbe – si legge – di coprire, per 10 anni, il costo di circa 850/900 impiegati fra istruttori (geometri e ragionieri) e funzionari di elevata qualificazione (ingegneri, architetti, avvocati, economisti). Naturalmente questo prevede, a monte, la previsione di una norma legislativa di carattere nazionale che consenta la deroga al tetto di spesa per le assunzioni».

Lo stato di avanzamento dei singoli interventi del Pnrr e la spesa effettivamente sostenuta per migliaia di progetti approvati è ancora scarsamente accessibile – ha denunciato il sindacato –. Nonostante le rassicurazioni pubblicate dal governo ad oggi queste informazioni non sono ancora pubbliche e accessibili a tutti. I dati del Pnrr restano carenti se non del tutto assenti. È necessario da parte del governo uno slancio decisivo di trasparenza su un programma di investimenti così importante per il Paese».

 

IMPRESA QUASI COMPIUTA SULLO STRETTO
JAAN-ULISSE: UN EROE DEL NOSTRO TEMPO

di PINO NANO – «Sono super contento, anche se sono un po’ stanco. Ho avuto qualche problemino, ma c’era molto vento, però sono veramente felice di aver fatto la storia ed esser diventato il primo uomo a camminare sullo Stretto».

Per Jaan Roose è il giorno del trionfo. È vero, la sua sfida del secolo si è conclusa in maniera imprevista. A soli 80 metri dal traguardo finale i venti dello Stretto di Messina gli hanno giocato un brutto scherzo, praticamente lo hanno disarcionato dalla sua fettuccia d’acciaio dove questo giovane atleta estone, genio e sregolatezza insieme, alle nove di ieri mattina si era appeso per attraversare lo Stretto di Messina.

Tre chilometri di passeggiata sul vuoto, un salto nell’immensità di questo specchio d’acqua unico al mondo, dal colore azzurro pieno, almeno ieri, quasi un aquilone sul mare, con le navi traghetto che gli passavano di sotto, migliaia di appassionati incollati agli schermi di TGCom24 (e di Canale 20 di Mediaset) per una diretta che ha già fatto il giro del mondo.

Tre chilometri da percorrere, e sta qui l’eccezionalità di questa impresa che comunque rimarrà negli annali della storia dello Stretto di Messina, da percorrere questa volta su un filo di resina speciale io teso tra i vecchi piloni di Santa Trada da una parte e Torre Faro dall’altra, simboli ormai di un’ era quasi preistorica.

Mai visto uno Stretto di Messina così magico e così bello, dall’alto, per come l’ho visto ieri in televisione, guardando dall’inizio fino alla fine la corsa nel vuoto di Jaan Roose, seguito centimetro dopo centimetro dai droni della sua organizzazione che ci hanno dato, riprendendolo alle prese con il suo filo di resina teso tra le sue sponde, l’idea di cosa possa essere un angelo che vola sul mare. Non un qualsiasi funambolo, ma davvero un angelo. Certo, la RedBull, che ha sponsorizzato la corsa di Jaan Roose sullo Stretto non poteva proporci un’icona più suggestiva di questa.

Jaan Roose, dunque, “l’eroe dello Stretto”: è un grandissimo atleta sportivo che ha mancato, e solo per pochissimo, il traguardo finale della sua impresa più folle e più pazzesca di tutte. Doveva essere “La sfida del secolo”, ma tale è stata. Semmai Jaan Roose rimane un grande ginnasta estone, che dopo tre ore di passeggiata estenuante su un filo di resina, a oltre 200 metri di altezza sul mare, ha perso la concentrazione necessaria per arrivare fino alla fine della corda. Ma tutto questo, va ricordato, dopo aver già conquistato il suo primo vero obiettivo, che era quello del guinness dei primati per il percorso più lungo mai tentato prima d’ora su un filo di acciaio sospeso per aria. Altro che trionfo per lui! E non solo per lui.

Mi piace dirlo, ieri è stato il grande trionfo dello Stretto, che è stato visto in ogni parte del mondo, e che continuerà ad essere visto conosciuto e amato per la bellezza superlativa delle immagini trasmesse dalla diretta di Mediaset e TGCom 24 in ogni angolo del pianeta.

Chi non sapeva cosa fosse lo Stretto di Messina, da oggi ne ha invece la prova provata di quanto sia avvincente e affascinante questo specchio di Mediterraneo, «uno dei posti davvero più belli del mondo» – ripete da anni lo scrittore calabrese Mimmo Nunnari nelle sue perle dedicata al mare Nostrum – e visto dall’alto, con gli occhi di Jaan Roose è ancora più bello.

Ma a capirlo meglio di chiunque altro è stata Giusy Caminiti, giovane e brillantissima sindaca di Villa San Giovanni, che nel pomeriggio dell’altro ieri, quindi alla vigilia di questa impresa, ha incontrato ufficialmente Jaan Roose e ai piedi del pilone di Cannitello gli ha consegnato il gonfalone del suo comune, come dire, «portala con te lassù in alto perché tutti possano capire chi siamo e come cittadini di Villa San Giovani cosa abbiamo da offrire al mondo».

Sindaci moderni, donne protagoniste, visionarie e concrete, donne-sindaco che sanno ben raccontare la storia della propria terra e del popolo che rappresentano. Brava Giusy. Bella pagina la sua, da raccontare e da ricordare.

«Dall’Estonia ai deserti del Kazakistan passando per i grattaceli di Sarajevo e le foreste del Kenya. Jaan Roose – precisa il suo team – ha riscritto la storia degli sport estremi portando la sua slackline in tutto il mondo, tuttavia l’unica cosa che mancava era unire un’isola alla terraferma. Il 32enne estone ha colmato anche questa mancanza all’interno del suo palmarés diventando il primo uomo ad attraversare a piedi, su una fettuccia di resina lo Stretto di Messina».

Jaan Roose è partito alle 8.30 del versante calabrese, a Santa Trada (Villa San Giovanni), ad un’altezza di 265 metri (misura superiore al più alto grattacielo italiano). L’arrivo in Sicilia, dopo oltre 3,5 chilometri, era fissato a Torre Faro (Messina) ad un’altezza di 230 metri, per riuscire a stabilire il nuovo record mondiale di slackline, migliorando il precedente primato di quasi un chilometro.

Dietro un’impresa come questa ci sono mesi e mesi di preparazione atletica e di prove da sforzo e di equilibrio al limite di ogni immaginazione possibile. Per lui  – autodefinitosi “performer atletico” – la pratica sportiva è da un lato «una forma d’arte e non può prescindere dalla dimensione spettacolare; dall’altro lato – sottolinea il suo team atletico e organizzativo – è un qualcosa di profondamente intimo, perché tutte le sfide che raccoglie sono anzitutto contro sé stesso, contro i propri limiti e le proprie paure».

Un campione, ma forse molto di più. Una leggenda. Cercatevi il video originale della Traversata, quando lui cade dalla corda e precipita nel vuoto, e si rialza, e torna sulla corda e riparte da dove era rimasto.

Altro che leggenda!  (pn)

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GRAZIE JAAN

Anche se non è riuscito (per appena 80 metri) a raggiungere il record, dobbiamo comunque essere molto grati a Jaan Roose per il regalo che ha fatto allo Stretto, alla Calabria e alla Sicilia, mostrando che tutto si può tentare. Novello Ulisse sul filo, tra Scilla e Cariddi (a cui andrebbe intitolato lo Stretto  – che non è solo di Messina…) Jaan è un eroe moderno che sfida l’ignoto, rischiando sulla propria pelle, con un’impresa che, in ogni caso, è destinata a restare nella storia. È stata un’occasione unica per Calabrie e Sicilia come visibilità e notorietà, ma temo poco sfruttata dalle due amministrazioni cittadine coinvolte: i due piloni, resti di archeologia industriale, rappresentano nell’immaginario collettivo due giganti che si fronteggiano nell’incanto dello Stretto che Jann ha fatto conoscere al mondo intero. Forse si poteva pubblicizzare con più enfasi l’evento, ma in ogni caso nel mondo ora sanno dov’è lo Stretto. Là dove si vuol costruire il Ponte dei record: il più lungo del mondo, frutto dell’ingegno italico unico al mondo.  (s)

QUANTE FAKE NEWS SU MOBILITÀ E T.E.N.
COSA NON SI FA PER “DEMOLIRE” IL PONTE

di ERCOLE INCALZA – Per evitare di commettere errori interpretativi su cosa sia il Sistema  Trans European Network (noto come Reti Ten – T); per evitare che si dimentichi come è nato e perché è nato un simile atto programmatico, per evitare che a livello mediatico si formulino notizie poco approfondite, mi riferisco soprattutto ad alcuni giornali volutamente disinformati, per evitare di sottovalutare il ruolo di tale strumento nella pianificazione della Unione Europea ed in quella dell’Italia, cerco, in modo sintetico, di ricordare la serie di eventi, la serie di passaggi che ha reso possibile dare vita ad una griglia infrastrutturale su cui poggia l’intero impianto comunitario.

Nel lontano 1985, durante i lavori del Piano Generale dei Trasporti italiano, i vari esperti che collaboravano alla redazione del Piano, tra cui il Premio Nobel all’economia Vassily Leontief, proposero all’allora Ministro dei Trasporti Claudio Signorile di sottoporre alla Commissione Europea la redazione di un “Master Plan dei Trasporti”.

In particolare il documento consegnato al Ministro conteneva le reti stradali e ferroviarie che consentivano una interazione funzionale tra i vari Stati della Unione Europea (allora solo 15) e, al tempo stesso, veniva riposta grande attenzione: alla sicurezza nei trasporti; alla difesa dell’ambiente; alla identificazione di un apposito fondo destinato al supporto delle attività legate alla realizzazione degli anelli mancanti in modo particolare ai valichi al rilancio della offerta portuale ed interportuale alla identificazione degli Hub portuali, interportuali ed aeroportuali dell’intero sistema comunitario

La proposta fu portata in Consiglio della Unione Europea nel 1986 e nel 1987 il Parlamento europeo prese visione ed approvò l’intero impianto programmatico.

Questo documento diventò, quindi la base, di quella proposta organica che il Commissario Christophersen nel 1994 propose al Consiglio della Unione Europea e che “prendendo come riferimento di base il Master Plan approvato dal Parlamento europeo” conteneva i primi Corridoi ed i primi Hub logistici. Il nostro Paese disponeva di due Corridoi e due Hub: asse ferroviario Verona – Monaco; asse ferroviario Trieste – Kief; Hub aeroportuale di Malpensa; Hub aeroportuale di Roma.

Per questi interventi era previsto anche un impegno di risorse comunitarie e si precisava nel documento che tali interventi erano solo i primi segmenti di ciò che in un prossimo futuro sarebbero diventati i Corridoi comunitari e, sempre nella proposta di Christophersen, si precisava che il collegamento tra Trieste con Kief era una prima anticipazione dell’allargamento della Unione Europea verso l’Est.

Dal 1994 fino al 2002 si rimase praticamente fermi nell’approfondimento delle possibili ipotesi programmatiche e progettuali. Nel 2002 la Unione Europea dette l’incarico al Commissario europeo Van Miert di redigere, con il coinvolgimento dei Paesi della Unione Europea, il Sistema delle Reti Trans European Network (Ten – T). Ogni Paese delegò un proprio rappresentante (il Governo italiano delegò la mia persona) e dopo due anni venne approvato il primo impianto delle Reti Ten – T.

Devo ricordare che la istruttoria finale avvenne anche durante il semestre di Presidenza italiana della Unione Europea e il referente chiave fu l’allora Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Pietro Lunardi. I lavori del gruppo, coordinato da Van Miert, furono supportati per quanto concerne la validità tecnica economica dalla Banca Europea degli Investimenti (BEI). La Commissaria ai Trasporti della Unione Europea Loyola De Palacio fece approvare dal Parlamento la proposta. In quella proposta l’Italia disponeva di tre Corridoi:

Il Corridoio Lisbona – Lione – Torino – Milano – Trieste – Kief; Il Corridoio Rotterdam – Genova; Il Corridoio Berlino – Brennero – Verona – Bologna – Roma – Reggio Calabria – Ponte sullo Stretto – Palermo.

Ritengo opportuno precisare che nel Corridoio Berlino – Palermo il Ponte sullo Stretto era indicato come opera singola autonoma e quindi come segmento chiave in grado di superare “un anello mancante” nella continuità territoriale.

Nel 2009 si riaprirono i lavori relativi all’aggiornamento delle Reti Ten – T e nel 2013, grazie sempre al lavoro del nostro Paese all’interno di una Unione ormai a 28 Stati, si ottenne un altro grande risultato: su nove Corridoi, che caratterizzavano l’intero impianto, quattro interessavano direttamente il nostro Paese: Il Corridoio Lisbona – Lione – Torino – Milano – Trieste – Kief; Il Corridoio Rotterdam – Genova; Il Corridoio Baltico – Adriatico; Il Corridoio Berlino – Brennero – Verona – Bologna – Roma – Reggio Calabria – Ponte sullo Stretto – Palermo.

Ricordo che, anche con la decisione del Governo Monti di sospendere la realizzazione del Ponte, la Unione Europea aveva mantenuto inalterata la validità dell’opera legata al Ponte sullo Stretto

Ho fatto questa lunga precisazione storica per due distinti motivi: dimostrare il ruolo chiave svolto sin dall’inizio (cioè già da quaranta anni fa) nella definizione e nella concreta attuazione del Sistema Trans European Network (TEN – T), evidenziando anche il ruolo svolto dalla BEI nella istruttoria delle varie proposte evitare che a livello mediatico si dica: “Finora il Ponte sullo Stretto non figurava nella lista delle opere previste nelle Reti Ten – T e per questo al massimo l’Italia poteva chiedere di accedere solo a un co – finanziamento fino al 50% degli studi di preparazione e di aggiornamento del progetto e per la sola parte ferroviaria.

Nei giorni scorsi il Ministro Matteo Salvini ha presentato la richiesta di inserimento dell’opera nell’ambito della Connecting Europe Facility (Cef) che è il cuore delle Reti Ten – T con uno stanziamento di 26 miliardi di euro e quindi se passasse tale proposta le Reti Ten – T potrebbero assicurare una quota anche alla realizzazione dell’opera” La volontà della Unione Europea sulla realizzazione del Ponte non è legata in nessun modo a nuovi esami e a nuove verifiche. Ed è davvero scorretto raccontare, sempre a livello mediatico che: “Il ponte ritornerà così nella Rete Ten – T dalla quale era stato escluso come “priorità” nell’autunno del 2011 dal Governo Monti”. Preciso la decisione di “non priorità” era stata presa dal Governo Monti e non dalla Unione Europea.

Mi spiace questa interpretazione gratuita del mondo dell’informazione e mi spiace ancor di più che due europarlamentari europei del Movimento 5 Stelle dichiarino: “Il rischio è che l’Unione Europea finanzi progetti al buio solo per compiacere la propaganda di Governo. Finanziare il Ponte sullo Stretto distrarrà fondi da altre infrastrutture necessarie al Paese”.

Cioè mi spiace che degli europarlamentari italiani parlino di “progetti al buio” riferiti ad un’opera che dispone invece di approfondimenti progettuali ed economici effettuati da esperti e da società di ingegneria al massimo livello. (ei)

IN CALABRIA SEGNALI POSITIVI, MA ANCORA
TANTE DIFFICOLTÀ: SERVE AZIONE MIRATA

di ANTONIETTA MARIA STRATI – La Calabria si sta riprendendo, anche se lentamente. Il Pil si è stabilizzato, l’inflazione si è ridotta e l’export è in crescita. Si tratta certamente di segnali positivi – già evidenziati dalla Svimez che, nel recente rapporto, aveva rilevato che il Pil della regione è cresciuto dello 1,2% nel 2023 – ma che comunque non devono far abbassare la guardia di fronte ai problemi atavici della Regione.

Infatti, nonostante i dati Svimez abbiano mostrato come il Sud può crescere anche più del Centro-Nord e che non è «un vuoto a perdere, ma un’area che, con investimenti e scelte selettive di politica industriale, presenta un potenziale di crescita», come ha spiegato il direttore della Svimez, Luca Bianchi, «le difficoltà di reperimento del lavoro, il caro tassi e la lenta ripresa del turismo post-pandemia richiedono interventi mirati e politiche di supporto per favorire un contesto economico più stabile e prospero per le imprese calabresi», hanno spiegato il presidente e il segretario regionale di Confartigianato Calabria, Roberto Matragrano e Silvano Barbalace, commentando il report relativo alle tendenze del primo semestre 2024 dell’Osservatorio Mpi di Confartigianato sulla situazione economica della regione Calabria.

Dichiarazioni che fanno eco a quelle di Bianchi che, all’evento di Barletta Mezzogiorno, Industria, Europa, aveva ribadito come sia «fondamentale investire per mantenere i giovani nel territorio e vedere il Sud come una risorsa, grazie alle imprese e ai talenti presenti».

Per Adriano Giannola, presidente Svimez, «nel Sud esistono filiere industriali significative. Dobbiamo valorizzare la posizione strategica del Mezzogiorno nel Mediterraneo, dotandolo di porti attrezzati e retroporti ospitali, affinché possa giocare un ruolo logistico centrale anche a livello europeo».

Entrando nel dettaglio, la dinamica del Pil per il 2025 in Calabria è prevista prossima allo zero ma leggermente più elevata rispetto al 2024, con una crescita del +0,40% rispetto al +0,13% dell’anno precedente. Nonostante il rallentamento della crescita, il Pil del 2025 supera i livelli pre-crisi del 2019 del +1,4%, contribuendo positivamente allo slancio del Mezzogiorno che registra un incremento del +3,9%.

Prosegue la fase di flessione dell’inflazione. A maggio 2024, in Calabria, i prezzi al consumo sono aumentati del +0,8%, un notevole calo rispetto al +7,1% registrato nello stesso periodo del 2023. Questo rallentamento è dovuto principalmente al calo dei prezzi dei beni energetici, anche se i prezzi di elettricità e gas a maggio 2024 rimangono ancora superiori del 31,3% rispetto ai livelli medi del 2021, anno precedente allo shock energetico.

Occupazione

Nel primo trimestre del 2024, gli occupati in Calabria sono 526 mila, con un aumento di 9 mila unità (+1,8%) rispetto al primo trimestre del 2023. Questo trend è trainato principalmente dalle occupate (+3,1%) e dai lavoratori dipendenti (+5,4%). Tuttavia, si osserva una riduzione nella componente indipendente (-9,1%) rispetto al +2,1% di fine anno.

A livello settoriale, nei primi tre mesi del 2024, l’occupazione nel Manifatturiero è aumentata del +4,3%, un miglioramento rispetto al -2% di fine 2023. Al contrario, il settore delle Costruzioni ha registrato una decrescita del -17,3%, peggiore del -1,6% di fine anno. Anche nei Servizi l’andamento positivo del +3,0% è risultato inferiore al +5,8% di fine 2023.

Difficoltà nel reperimento del lavoro

Le imprese calabresi continuano a segnalare difficoltà nel reperimento del personale. A giugno 2024, la quota di entrate ritenute difficili da trovare si attesta al 46,8%, superiore di 1,7 punti rispetto al 45,1% di giugno 2023. Per il trimestre estivo giugno-agosto 2024, le imprese prevedono 37mila nuove entrate, con un incremento di 810 unità rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. L’80% della domanda di lavoro proviene dalle Mpi, con contributi significativi dai settori del Manifatturiero (+12,1%) e dei Servizi, in particolare il Commercio (+14,0%).

Pnrr e investimenti pubblici

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) rappresenta un forte stimolo per l’economia del territorio, mitigando gli effetti recessivi derivanti dall’alta incertezza del periodo. Nel 2023, la spesa nazionale per investimenti pubblici è salita al 2,9% del Pil. Le amministrazioni locali calabresi hanno aumentato i pagamenti per investimenti dei Comuni del +35,3% (+33 milioni di euro) nel secondo trimestre 2024, sebbene ad un ritmo inferiore rispetto al +104% registrato nel 2023.

Export e settore manifatturiero

L’export manifatturiero della Calabria nel 2023 ha registrato un aumento del +22,3% rispetto al 2022, posizionando la regione al primo posto a livello nazionale. Questo trend positivo è continuato anche nel primo trimestre del 2024 con un incremento del +29,8%. Particolarmente rilevanti sono le esportazioni di beni dei settori a maggiore concentrazione di micro e piccole imprese (Mpi), che hanno visto una crescita del +23,5% nel 2023 e del +25,4% nel primo trimestre 2024, grazie alla forte domanda estera di prodotti alimentari.

Investimenti e costo del credito

Il caro tassi continua a frenare gli investimenti delle imprese. A dicembre 2023, il tasso di interesse annuo effettivo (Tae) applicato alle imprese calabresi era dell’8,52%, il più elevato tra le regioni italiane, con un aumento di 137 punti base rispetto al 7,15% di dicembre 2022. Questo ha comportato extra costi per le Mpi della regione pari a 84 milioni di euro da giugno 2022 a febbraio 2024. Inoltre, il credito concesso alle imprese è diminuito dell’1,1% a dicembre 2023, con una riduzione più marcata per le piccole imprese (-5,2%).

I dati provvisori di marzo 2024 indicano un tasso di interesse per le imprese pari all’8,62%, che sale all’11,47% per le piccole imprese, mentre il credito concesso continua a diminuire (-1,9% in totale e -5,8% per le piccole imprese).

Turismo

Il turismo rimane un asset strategico per l’economia calabrese. I nuovi dati Istat e del Ministero degli Interni indicano per il 2023 7,8 milioni di presenze turistiche, un aumento del 7,1% rispetto al 2022, ma ancora il 18,3% in meno rispetto all’anno pre-crisi 2019. La Calabria è la regione che fatica di più a recuperare il turismo perduto post-pandemia. La crescita delle presenze nel settore extra alberghiero (+9,6%) è stata superiore a quella del settore alberghiero (+4,4%). La componente domestica rappresenta l’81,9% delle presenze. (ams)

IL SUD NON È UN’AREA DA ABBANDONARE
MA OPPORTUNITÀ DI CRESCITA E SVILUPPO

di VINCENZO CASTELLANOHo avuto modo di apprezzare il recente rapporto Svimez 2023 che mette in luce un quadro interessante e promettente per il nostro Sud, indicando che quest’area non solo può crescere, ma in alcuni casi può farlo a ritmi superiori rispetto al Centro-Nord. Tra il 2019 e il 2023, la Puglia, pensate, si è affermata come la regione più dinamica del Paese, dimostrando che il Sud ha le potenzialità per attrarre investimenti e trattenere i giovani sul territorio.

Questo sviluppo rappresenta un segnale chiaro: il Sud non è una regione da abbandonare, ma un’opportunità di crescita e sviluppo.

Le politiche nazionali devono cogliere questo segnale e agire di conseguenza. Il governo deve promuovere il Sud come un’area di opportunità, incentivando gli investimenti e migliorando le infrastrutture. In questo contesto, il Pnrr gioca un ruolo cruciale. Tali risorse se utilizzate correttamente, possono evitare la recessione e stimolare la crescita economica del Mezzogiorno, portando benefici tangibili a lungo termine.

Tuttavia, la politica nazionale da sola non basta. Lo ripeto sempre, è indispensabile il coinvolgimento attivo delle comunità locali. Le amministrazioni locali devono collaborare strettamente con il mondo della ricerca, le università e il settore privato per creare un ecosistema favorevole all’innovazione e allo sviluppo. Questo implica non solo la valorizzazione dei talenti locali, ma anche la promozione dell’imprenditoria giovanile. Ritorno al caso della Puglia che ci dimostra come investimenti mirati possano portare a risultati significativi, un modello che altre regioni del Sud potrebbero seguire per migliorare le proprie condizioni socio-economiche.

L’industria meridionale, in particolare, deve essere al centro di questa strategia. Le transizioni digitali ed ecologiche rappresentano opportunità uniche per rilanciare il settore industriale del Sud. Le imprese devono essere supportate nell’adozione di tecnologie avanzate e pratiche sostenibili, attraverso incentivi e facilitazioni mirate. La cooperazione tra pubblico e privato è essenziale per creare un ambiente favorevole all’innovazione, che possa attrarre investimenti e creare posti di lavoro di qualità.

Nonostante questi segnali positivi, il rapporto Svimez evidenzia anche sfide significative, come il calo demografico e l’emigrazione giovanile. Tra il 2002 e il 2021, badate bene, oltre 2,5 milioni di persone hanno lasciato il Mezzogiorno, aggravando il problema della depopolazione. Per affrontare queste sfide, sono necessarie politiche mirate a migliorare la qualità della vita, aumentando i salari e riducendo la precarietà lavorativa.

Particolare attenzione deve essere posta sull’occupazione femminile, che rappresenta un elemento chiave per contrastare il declino demografico e stimolare la crescita economica. Investire nei servizi per l’infanzia e favorire un miglior equilibrio tra vita lavorativa e familiare può incentivare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro.

Dunque, per trasformare il Sud in un motore di sviluppo, è necessario un approccio integrato che coinvolga tutti gli attori della società. La politica nazionale deve fornire le risorse e le condizioni necessarie, mentre le comunità locali devono attivarsi per valorizzare le proprie potenzialità. Solo attraverso una collaborazione stretta e continua tra pubblico e privato, istituzioni e cittadini, si potrà costruire un futuro prospero per il Mezzogiorno, rendendolo un’area di opportunità e crescita sostenibile. Il Sud ha dimostrato di poter essere dinamico e innovativo; ora spetta a tutti noi supportarlo nel suo percorso di sviluppo, trasformandolo in un modello di successo per l’intera nazione. (vc)

[Vincenzo Castellano è dottore commercialista]

AUTONOMIA, UN PASTICCIO CHE RISCHIA DI
PORTARE AD UN REGIONALISMO IMPAZZITO

di GIOVANNI MACCARRONEIniziamo a dire che il Titolo V, parte Seconda, della nostra Costituzione è stato già oggetto di un ampio processo di riforma, avvenuto mediante l’approvazione della legge costituzionale n. 3 del 2001 (contenente appunto «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione» in GU n. 248 del 24 ottobre 2001).

La citata legge è stata approvata con una maggioranza inferiore a quella richiesta (maggioranza qualificata dei due terzi dei membri delle Camere) e per questo è stata sottoposta a referendum confermativo il 7 ottobre 2001, il quale si è concluso con esito favorevole all’approvazione della legge (il 64% dei votanti si è espresso per il sì) che è poi entrata in vigore il mese successivo. 

Il referendum – a cui partecipò solo il 34 per cento dei votanti – rappresentava il punto di arrivo di un lungo percorso, iniziato nel 1997, durante il primo governo Prodi, con una commissione bicamerale sul tema.

Due anni dopo, nel 1999 – il presidente del Consiglio era Massimo D’Alema – il lavoro della commissione era confluito in una proposta di legge.

L’approvazione del testo, infine, arrivò a marzo 2001 quando a Palazzo Chigi c’era Giuliano Amato. Grazie alla legge costituzionale n. 3/2001 è stato introdotto il terzo comma dell’art. 116 Cost., il quale prevede la possibilità che, con legge dello Stato, approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di un’intesa con la Regione interessata, possano essere attribuite alle Regioni a statuto ordinario «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» nelle materie di competenza concorrente di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., nonché in alcune materie di competenza esclusiva dello Stato (vale a dire organizzazione della giustizia di pace, norme generali sull’istruzione e tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali).

A seguito dell’introduzione della citata disposizione, a partire dal 2001, le Regioni a statuto ordinario possono ottenere, previa intesa con lo Stato, ulteriori competenze nelle materie circoscritte ai 23 ambiti di legislazione concorrente (art. 117, comma 3) oppure nelle tre materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2), ossia la giustizia di pace, le norme generali sull’istruzione e la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Per il trasferimento delle ulteriori funzioni necessita un’apposita legge dello Stato (approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti) e, soprattutto, il rispetto dei principi di cui all’art. 119 Cost.

Pertanto, in tale contesto rileva anche il tema di una corretta quantificazione delle risorse da attribuire alle Regioni richiedenti per le competenze aggiuntive in termini di spesa storica o di fabbisogni standard nel territorio regionale. 

Anzi, la determinazione delle risorse finanziarie, umane e strumentali da devolvere alle regioni per implementare le funzioni acquisite è tanto importante quanto la stessa attribuzione delle competenze, in quanto fase imprescindibile per giungere ad un effettivo funzionamento del regionalismo differenziato

Attualmente, per il finanziamento regionale le norme vigenti prevedono sistemi di compartecipazione al gettito maturato nel territorio regionale dell’imposta sui redditi delle persone fisiche e di eventuali altri tributi erariali e un fondo perequativo generale per i territori con minore capacità fiscale per abitante (art. 119).

All’indomani della riforma del Titolo V, e all’introduzione della previsione costituzionale relativa al cd. regionalismo differenziato, poche sono state le regioni che hanno avanzato proposte per richiedere «ulteriore forme e condizioni particolari di autonomia». Nessuno dei tentativi intrapresi, però, è giunto a compimento.

Si può dire, quindi, che la previsione legislativa sull’autonomia differenziata non ha ancora avuto alcun seguito. Sebbene, di recente, sia stata pubblicata nella gazzetta Ufficiale la legge 26 giugno 2024, n. 86 recante disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata ai sensi dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione.

L’art. 4 della legge da ultimo citato prevede espressamente che «il trasferimento delle funzioni, con le relative risorse  umane, strumentali e finanziarie, concernenti materie o  ambiti  di  materie riferibili ai Lep di cui all’articolo  3,  può essere  effettuato, secondo le modalità e le procedure  di  quantificazione  individuate dalle singole intese, soltanto dopo la  determinazione  dei  medesimi Lep e dei relativi costi e  fabbisogni  standard,  nei  limiti  delle risorse rese disponibili  nella  legge  di  bilancio… Il trasferimento delle funzioni relative a materie o ambiti di materie diversi da quelli di cui al comma 1, con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, può essere effettuato, secondo le modalità, le procedure e i tempi indicati nelle singole intese, nei limiti delle risorse previste a legislazione vigente, dalla data di entrata in vigore della presente legge».

Pertanto, prima di poter mettere in atto l’intera riforma andrebbe stabilita la spesa dei Livelli essenziali di prestazione e i relativi costi e fabbisogni standard che vanno garantiti su tutto il territorio nazionale. Cosa che, nei ventitrè anni trascorsi dall’approvazione della riforma costituzionale che ha introdotto l’autonomia, non è mai avvenuta.

E la centralità dell’opera di determinazione dei Lep in determinati settori è importante anche ai fini della piena attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. La qual cosa è stata recentemente evidenziata dalla stessa Corte costituzionale, la quale, nella sentenza n. 220 del 2021, ha sottolineato come tale adempimento, da parte del legislatore, appaia “particolarmente urgente anche in vista di un’equa ed efficiente allocazione delle risorse collegate al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr)”.

Ad ogni buon conto, occorre considerare che – come già evidenziato – le necessarie risorse finanziarie andranno determinate in termini di compartecipazione o riserva di aliquota al gettito di uno o più tributi erariali maturati nel territorio regionale, tali da consentire la gestione delle competenze trasferite o assegnate, in coerenza con quanto disposto dall’art. 119, quarto comma, della Costituzione.

Di conseguenza, l’attribuzione di nuove funzioni, determinerà sicuramente un aumento della pressione fiscale a danno, soprattutto, dei cittadini e delle imprese del Sud. 

Nelle regioni centro-settentrionali, l’incremento delle competenze nel loro territorio, attraverso l’incremento della quota di compartecipazione ai grandi tributi erariali, provocherà, invece, un incremento della spesa pubblica che andrà a tutto vantaggio dei cittadini di tali regioni dato che le entrate tributarie di tali regioni sono enormemente più elevate.

Per cui, nelle regioni del Sud, ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, potranno essere attribuite, non solo attraverso la compartecipazione al gettito maturato nel territorio regionale dell’imposta sui redditi delle persone fisiche e di eventuali altri tributi erariali, ma anche e soprattutto con il ricorso al fondo perequativo di cui all’art. 119 Cost. e comunque con un finanziamento pubblico ingente.

Il che, come è evidente, comporterebbe una inevitabile sottrazione di risorse importanti al bilancio dello Stato e un conseguente consolidamento dei conti pubblici a carico probabilmente alla restante parte del Paese, oltre che più in generale di contribuire a compromettere la garanzia dei diritti sociali, già messa a dura prova da un decennio di crisi.

A quanto sopra bisogna anche aggiungere che l’aggravio del divario Nord-Sud, e la definitiva perdita del residuo senso di appartenenza a una comunità politica unitaria da parte dei cittadini sembrano essere già dietro l’angolo. 

Sicchè, come giustamente è stato notato, il rischio è che con l’autonomia differenziata, da un regionalismo senza modello, si passi a un regionalismo impazzito, dove le Regioni speciali, che lamentano l’arretramento subito a seguito della riforma del Titolo V, si affiancherebbero a Regioni ordinarie di “tipo a” e Regioni ordinarie differenziate di “tipo b”, a loro volta differenziate tra loro, mentre l’assenza di una istituzione rappresentativa di raccordo al centro di questo dedalo di competenze differenziate, che già tante volte è stata lamentata dal 2001 in poi, diverrebbe a questo punto un elemento di ulteriore criticità dell’assetto istituzionale. Insomma, un vero e proprio pasticcio all’italiana. In questo siamo diventati dei veri e propri campioni.

Di ciò se n’è accorto anche un esponente del Pd, Gianni Cuperlo, il quale ha riconosciuto che «nel 2001 si riformò il Titolo V pensando di togliere voti alla Lega. Fu un errore e gli italiani lo hanno pagato caro».

Mah. Speriamo bene. (gm)

DA OGGI I SALDI ESTIVI ANCHE IN CALABRIA
I DATI DI CONFCOMMERCIO: C’È OTTIMISMO

Partono oggi, sabato 6 luglio, i saldi estivi. La data è stata fissata dalla Regione Calabria e da quasi tutte le Regioni d’Italia per i saldi estivi 2024. E con l’avvio dei saldi estivi, Confcommercio Calabria ha condotto la consueta indagine tra le imprese e i consumatori calabresi, per delineare le previsioni e le tendenze di quest’anno. I risultati offrono uno spaccato interessante sul panorama commerciale regionale e sulle aspettative economiche per i prossimi mesi.

L’indagine condotta dall’Ufficio Studi di Confcommercio Calabria ha coinvolto un campione significativo di piccole imprese, con un organico compreso tra 0 e 10 dipendenti e un numero di punti vendita tra 1 e 5. Tra le aziende partecipanti, il 57,1% appartiene al settore dell’abbigliamento, il 42,9% agli accessori e il 28,6% alle calzature, con alcune imprese che operano in più settori contemporaneamente.

Una notevole fiducia emerge dai dati: il 71,4% delle imprese prevede un incremento delle vendite rispetto all’anno precedente, mentre il restante 28,6% teme una diminuzione. Nessuna impresa si aspetta una situazione invariata.

L’analisi ha individuato diversi fattori che influenzeranno le vendite quest’anno:

  • Situazione economica generale: 57,1%
  • Miglioramento del marketing: 28,6%
  • Cambiamenti nelle preferenze dei clienti: 14,3%
  • Eventi straordinari: 14,3%
  • Incremento delle vendite online: 14,3% (le risposte in questo caso potevano essere multiple)

Riguardo agli sconti, il 57,1% delle imprese applicherà inizialmente una riduzione tra il 10% e il 30%, mentre il 42,9% offrirà sconti tra il 40% e il 60%.

Le Preferenze dei Consumatori

Sul fronte dei consumatori, la spesa media pro-capite si attesta tra i 100 e i 200 euro. Per il 66,7% delle famiglie, la spesa media supera i 200 euro, con un 33,3% che dichiara una spesa superiore ai 300 euro. Questo dato sottolinea l’importanza dei saldi per le economie domestiche.

Un elemento unanime tra i consumatori è l’importanza dei saldi: tutti concordano sulla loro utilità e respingono l’idea di abolirli. Inoltre, il 67,7% dei consumatori è contrario alla liberalizzazione dei saldi che permetterebbe ai commercianti di offrire sconti in qualsiasi periodo dell’anno. Questo aspetto è molto interessante perché sembrerebbe andare in contro tendenza rispetto all’idea generalmente diffusa che punta al c.d “saldi tutto l’anno”.

Infine, l’indagine ha rilevato una preferenza ancora marcata per gli acquisti nei negozi fisici, con il 65% dei consumatori calabresi che li predilige rispetto agli acquisti online (35%). Questo dato evidenzia la resilienza del commercio al dettaglio tradizionale nonostante la crescente digitalizzazione del mercato.

Maria Santagada direttore Confcommercio Calabria
Maria Santagada direttore Confcommercio Calabria

I saldi estivi 2024 in Calabria promettono di essere un periodo cruciale per il commercio locale, con aspettative positive da parte delle imprese e un forte interesse da parte dei consumatori. Il direttore di Confcommercio Calabria, Maria Santagada, ha concluso: “Siamo fiduciosi che questi saldi possano rappresentare una boccata d’ossigeno per molte piccole imprese, le quali sono il cuore pulsante delle nostre comunità. È fondamentale che i consumatori colgano questa opportunità per sostenere i negozi di vicinato, dove l’attenzione al cliente e la qualità del servizio fanno la differenza. La situazione economica generale giocherà un ruolo fondamentale, ma siamo pronti a sostenere i nostri commercianti in questa importante fase dell’anno. Acquistare nei negozi locali significa investire nel nostro territorio e nel nostro futuro“.

Infine, per il corretto acquisto degli articoli in saldo, Confcommercio Calabria ricorda alcuni principi di base sui saldi:

Consigli per gli acquisti

  1. Cambi: la possibilità di cambiare il capo dopo che lo si è acquistato è generalmente lasciata alla discrezionalità del negoziante, a meno che il prodotto non sia danneggiato o non conforme (Art. 129 e ss. D.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, Codice del Consumo). In questo caso scatta l’obbligo per il negoziante della riparazione o della sostituzione del capo e, nel caso ciò risulti impossibile, la riduzione o la restituzione del prezzo pagato (art. 135 bis del D.Lgs. 206/2005 – Codice del Consumo). Il compratore è però tenuto a denunciare il vizio del capo entro due mesi dalla data della scoperta del difetto. Per gli acquisti online i cambi o la rescissione del contratto sono sempre consentiti entro 14 giorni dalla ricezione del prodotto indipendentemente dalla presenza di difetti, fatta eccezione per i prodotti su misura o personalizzati (artt. 52 e ss. del D.Lgs. 206/2005 – Codice del Consumo).
  2. Prova dei capi: non c’è obbligo. E’ rimesso alla discrezionalità del negoziante.
  3. Pagamenti: le carte di credito devono essere accettate da parte del negoziante e vanno favoriti i pagamenti cashless.
  4. Prodotti in vendita: i capi che vengono proposti in saldo devono avere carattere stagionale o di moda ed essere suscettibili di notevole deprezzamento se non venduti entro un certo periodo di tempo.
  5. Indicazione del prezzo: obbligo del negoziante di indicare il prezzo normale di vendita, lo sconto e, generalmente, il prezzo finale. In tutto il periodo dei saldi il prezzo iniziale sarà il prezzo più basso applicato alla generalità dei consumatori nei 30 giorni antecedenti l’inizio dei saldi (Art. 17 bis D.Lgs. 206/2005 – Codice del Consumo introdotto dal D.Lgs. n. 26/2023 di recepimento della Direttiva UE «Omnibus»). (rcs)

 

SOLO L’EUROPA SI È ACCORTA CHE CI SONO
DUE ITALIE: SERVE ATTENZIONE PER IL SUD

di PIETRO MASSIMO BUSETTAChe i Paesi sono due se n’è accorta solo l’Europa. Lo dimostra quando utilizza un algoritmo per distribuire le risorse del Pnrr riferendosi a dei parametri che avvantaggiano le realtà a sviluppo ritardato. 

Assegnare le risorse molto consistenti del Recovery Plan in relazione al tasso di disoccupazione, al reddito pro capite e alla popolazione, è stato un modo per privilegiare le realtà più marginali e periferiche, che dimostrano con l’entità di tali aggregati la loro debolezza. 

 L’Italia come risponde a questa sensibilità dell’Europa alle problematiche dei divari? Limitando l’intervento europeo ed evitando di utilizzare lo stesso algoritmo ma, governo di Super Mario Draghi in carica, finge di regalare un 7% in più rispetto al 33% della popolazione del Meridione, e distribuendo i fondi  attribuisci  il 40%  e il 60% , rispettivamente, al Sud e al Centro Nord, contrabbandando la vulgata di aver dato un 7% in più, quando invece se ne sottraeva il 10% rispetto al 50% che sarebbe toccato, se si fossero riproposti sic e sempliciter i calcoli fatti dalla Commissione. 

Se n’è accorta quando ha consentito che le otto Zes diventassero una unica per tutto il territorio. Senza entrare nel merito che poneva una contraddizione nei fatti nel cambiare delle regole di vantaggio, che dovevano essere adottate da aree limitate per consentire l’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area e il superamento delle problematiche che scoraggiano gli eventuali investitori a localizzarsi nel Sud.

Quando ha  autorizzato un cuneo fiscale per il costo del lavoro di vantaggio per tutta l’area, che se il Paese fosse unico avrebbe configurato la fattispecie degli aiuti di Stato. Tutto ciò nei limiti consentiti dalle normative dei rapporti tra Stati e Commissione  e tenendo conto della prevalenza nelle decisioni del Consiglio dei Capi di Governo, l’Europa sembra porsi in modo molto preciso la problematica relativa ad un’area così ampia che, se fosse da sola, rappresenterebbe il quinto Paese, in termini di dimensioni demografiche, d’Europa. 

Perché sa bene che differenze troppo ampie tra singole aree provocano problemi sociali e conseguentemente anche istituzionali gravi, che si ripercuotono poi sulla governance complessiva. Oggi che la Commissione Europea approva modifiche al regime italiano a sostegno delle imprese del Sud Italia conferma la sua attenzione particolare.

 L’aiuto consisterà in una riduzione del 30% dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro privati attivi nelle regioni meridionali dell’Italia. L’Italia ha notificato le seguenti modifiche al regime esistente: un aumento di bilancio di 2,9 miliardi di euro, che porta la somma  complessiva da 11,4 miliardi a 14,3 miliardi di euro; e una proroga del periodo in cui si applica la riduzione dei contributi previdenziali al 31 dicembre 2024. 

In realtà l’Europa sembra essere molto più attenta alle problematiche dei divari di quanto non lo siano gli stessi Paesi membri. Alcuni dei quali in realtà si comportano con atteggiamenti e obiettivi che rispecchiano la volontà di diminuire le differenze esistenti, come ha fatto la Germania con la ex Ddr; con i comportamenti adottati dalla Spagna che ha una grande attenzione alle realtà periferiche, tanto da rilanciare le città meridionali del paese iberico, come Siviglia, Valencia o Malaga; come sta facendo con grande successo la Polonia, e come invece sembra non fare l’Italia, anche se il provvedimento di cui parliamo, che viene approvato, ha origine in una richiesta italiana. 

Strombazzare i successi conseguiti nel mercato del lavoro quando ancora il Sud ha una occupazione complessiva, che comprende anche il lavoro sommerso, che si pone su un dato di 6 milioni e 400 mila  occupati su 20 milioni di abitanti, che pone quest’area in una posizione nella quale lavora poco più di una persona su quattro, quando realtà come Emilia Romagna e Veneto riescono a far lavorare una persona su due, ci dà la dimensione di quanto ancora debba essere fatto, malgrado i tassi di incremento che sono stati recentemente conseguiti e che hanno un valore poco più alto di quelli del Centro Nord.              

Per esemplificare due Regioni che hanno una popolazione simile  come il Veneto (4.834) e la Sicilia (4.789), nel 2023, hanno un’occupazione media rispettivamente di 2.225.751 occupati e 1.410.776, compresi i sommersi. 

Cioè in Veneto, con  popolazione analoga hanno possibilità di lavorare 800.000 persone in più. E poi si briga senza successo per portare l’Intel a Vigasio a pochi chilometri da Verona. 

Mentre la Puglia con 3.883,839 abitanti ha occupati per 1.292.646 e l’Emilia Romagna con 4.455.188 abitanti ha occupati  per 2.023. Anche qui il rapporto di uno a quattro e uno a due. In questo caso i dati assoluti danno meglio la dimensione delle problematiche e di come  differenze di incremento dell’1%, nella crescita degli occupati a favore del Mezzogiorno sia assolutamente insignificante. 

L’interesse e la comprensione della problematica dell’Europa ci suggeriscono l’esigenza che si possa avere, nel caso del utilizzazione non corretta dei fondi comunitari, un intervento che ci faccia passare dal disimpegno automatico alla sostituzione dei poteri, che deve avvenire sia all’interno del Paese, così come è accaduto per la sanità calabra, con un flop però incredibile, ma che avvenga anche tra le realtà nazionali e quella europea. 

Si evidenzia l’esigenza cioè che l’Europa non sia soltanto ragionieristicamente controllore della correttezza amministrativa delle operazioni svolte, come sembra  stia  accadendo con il Pnrr, ma che entri nel merito. 

Perché per esempio pensare di mettere a bando gli asili nido e consentire ai Comuni più virtuosi di aumentare la propria dotazione anche se questa era al di sopra delle medie nazionali forse non è l’approccio più corretto. 

L’inserimento nella legislazione nazionale dell’Autonomia Differenziata deve far scattare un campanello d’allarme. Perché la possibilità che le Regioni chiedano un contatto diretto con l’Unione Europea, diventando dei piccoli Staterelli, più garantiti da un’Europa delle nazioni invece che da un’Italia coloniale potrebbe essere piuttosto alto. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

PUR AVENDO INGRANATO LA MARCIA GIUSTA
IL MEZZOGIORNO FA I CONTI COL DIVARIO

di LIA ROMAGNO – C’è un Mezzogiorno che ha ingranato la marcia, guida la crescita del Paese – +1,3% il Pil nel 2023, a fronte dello 0,9% del Paese (nel Settentrione il +1% del Nord Ovest è il valore più alto) – e dà il contributo maggiore all’aumento dell’occupazione (+2,5% contro +1,8 la media italiana, +2% il Nord Est).

E c’è un Mezzogiorno che continua a fare i conti con divari che lo lasciano ancora lontano da quel Centro Nord su cui ha segnato il sorpasso. I numeri dell’Istat certificano l’uno e l’altro scenario. Sul gap territoriale, in particolare, l’Istituto ha puntato i riflettori in occasione dell’audizione in Commissione alla Camere nell’ambito dell’Attività conoscitiva sull’attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale. Dal reddito pro capite alla sanità, dall’accessibilità alle scuole agli asili nido e ai servizi di assistenza, dai trasporti all’erogazione dell’acqua la disparità tra le due Italie resta ancora grande – e il solco è destinato a diventare ancora più profondo con l’attuazione dell’autonomia differenziata -. Molte di queste voci spiegano anche il declino demografico che al Sud è più marcato che altrove, un dato su cui incidono le migrazioni interne, ovvero le partenze in cerca di fortuna al Nord: -4,7% a fronte del “trascurabile” – 0,3% del Centro Nord, -1,8% il dato italiano.

Pil e Reddito pro capite

La distanza la misura intanto il Pil pro capite che – come emerge dalle stime dei Conti territoriali del 2022 – nelle regioni del Nord Ovest è circa il doppio di quello del Mezzogiorno: 40,9mila euro contro 21,7mila euro: 11,3mila sotto la media nazionale che è pari a 33mila euro. Nel 2007 la differenza tra il dato meridionale e quello nazionale era pari a 9mila euro, segno, sottolinea Stefano Menghinello, direttore della Direzione centrale dell’Istat per l’analisi e la valorizzazione nell’area delle statistiche economiche e per i fabbisogni del Pnrr, che “le distanze tra il Mezzogiorno e il resto del Paese si sono ampliate”.

Nel Nord Est e nel Centro il Pil pro-capite è, rispettivamente, 39,3 e 35,1mila euro. In cima alla classifica la Provincia autonoma di Bolzano con 54,5mila euro. All’estremo opposto la Calabria con 19,4mila euro, un gradino più su la Sicilia con 20,1mila euro. Il Rapporto annuale 2024 mostra poi come negli ultimi 20 anni non ci sia stato un processo di convergenza dei territori italiani, quelli più svantaggiati soprattutto, verso il dato medio della Ue: tutti tra il 2000 e il 2022 hanno sperimentato tassi di crescita del Pil pro capite in parità di potere d’acquisto (Ppa) inferiori al dato europeo. La fotografia non cambia se si prende in considerazione il reddito disponibile delle famiglie: la media nazionale è pari a 21,1mila euro per abitante, le regioni del Nordovest raggiungono i 24,8mila euro contro un valore di 16,1mila euro nelle regioni del Mezzogiorno. La Provincia di Bolzano e la Lombardia vantano i differenziali positivi maggiori rispetto alla media (+7,4mila e +4,5mila euro), Calabria e Campani quelli negativi maggiori (-6,1mila euro e – 5,7mila euro).

Ospedali e Scuole

Se guardiamo all’accessibilità di servizi essenziali, come gli ospedali e le scuole, emerge che in Calabria, Basilicata, Molise, Sardegna, ma anche in Valle d’Aosta una quota di popolazione tra il 5,2% e il 20,3% impiega oltre 30 minuti per raggiungere una struttura ospedaliera. Divari tra Centro Nord e Mezzogiorno si rilevano anche per l’accessibilità degli edifici scolastici. Per il Mezzogiorno si osserva sia una maggiore consistenza di scuole con un livello critico di raggiungibilità (36,4% contro 19,5%), sia di scuole che possono essere raggiunte solo con il ricorso a mezzi di trasporto privati (20,9% contro 13,2%).

La qualità dei servizi

Una spaccatura profonda emerge anche dall’analisi degli indicatori Bes (Benessere equo e sostenibile) al dominio “Qualità dei servizi” che hanno per oggetto servizi d’interesse per l’attuazione del federalismo fiscale. Cominciamo dal servizio idrico. Calabria e Sicilia sono le regioni con i valori peggiori, le famiglie che dichiarano irregolarità nell’erogazione dell’acqua in Calabria (38,7%) superano di oltre quattro volte la media nazionale e in Sicilia il valore è più che triplo (29,5%); all’opposto si colloca la provincia autonoma di Bolzano, dove solo l’1,5% delle famiglie denunciano interruzioni del servizio idrico.

Una forte variabilità a scapito del Mezzogiorno si registra anche per l’accesso ai servizi essenziali per il cittadino: in Campania la quota di famiglie che hanno difficoltà ad accedere ai servizi essenziali è quasi doppia rispetto alla media delle famiglie italiane (8,8% rispetto a 4,9%), seguite dalle famiglie residenti in Calabria (7,7%) e in Puglia (7,1%); all’estremo opposto, tali difficoltà sono dichiarate solamente dal 2,5% delle famiglie della provincia autonoma di Bolzano Le regioni del Nord godono di migliori livelli di benessere anche per gli indicatori di mobilità, sia in termini di offerta di trasporto pubblico locale (Tpl) sia per la soddisfazione della domanda. Ad esempio, l’offerta di Tpl in Lombardia è più del doppio del dato nazionale, in Molise quasi 12 volte più bassa.

Per i servizi socio-sanitari e socioassistenziali la Campania, con 19,5 posti letto residenziali per 10.000 abitanti, si posiziona all’ultimo posto della graduatoria regionale (-70% di posti letto rispetto al dato Italia) mentre la provincia autonoma di Trento, con 152,8 posti letto per 10.000 abitanti, si attesta al primo posto.

Spesa per il Welfare

Importante anche il divario nella spesa per gli interventi e i servizi sociali (8,4 miliardi, di cui 1,3 per asili nido e servizi per la prima infanzia). Un tema centrale per il federalismo fiscale. Nel Sud la spesa pro-capite per il welfare territoriale è di 72 euro, al Centro 151, al Nord Ovest 156, Nord Est 197. A livello regionale le differenze sono ancora più marcate: in Calabria e Campania, ad esempio, la spesa è pari rispettivamente a 37 e 66 euro pro-capite, in Provincia Autonoma di Bolzano, 592 euro. Capitoli servizio sociale professionale e asili nido. Nel 2021 sono stati presi in carico dagli assistenti sociali oltre 2,185 milioni di utenti. Si va da un minimo di 2 su 100 abitanti al Sud a un massimo di 5 nel Nord Est, a fronte di una media nazionale di 4 utenti. Quanto agli asili nido nel Sud e nelle Isole (17,3 e 17,8 posti per 100 bambini residenti) la disponibilità pro capite è circa la metà di quella delle regioni del Nord (37,5 nel Nord Est, 35 nel Nord Ovest, 38,8 nel Centro). La spesa dei Comuni per i servizi di prima infanzia “varia notevolmente”, sottolinea Menghinello: in media per ogni bambino sotto i tre anni i comuni del Centro hanno speso 1.803 euro al Centro, 1.728 al Nord-est, 1.091 euro al Nord-ovest, 470 euro nelle Isole e 417 euro al Sud (1.116 euro la media nazionale). Per i servizi destinati agli anziani al Nord Est la spesa pro capite è quattro volte di più che al Sud: 166 a 38; 91 euro nel Centro, 85 nel Nord Ovest, 63 nelle isole.

Risorse per la sanità

Per il Servizio sanitario nazionale le Regioni nel 2022 hanno potuto contare – in termini di finanziamento effettivo – su 127,5 miliardi di euro, con un aumento medio dal 2017 dell’1,8%. Dall’analisi  regionale emergono “discrete differenze” in termini di risorse economiche disponibili: Emilia-Romagna e Liguria sono le regioni con il finanziamento pro capite più elevato, rispettivamente 2.298 e 2.261 euro. In generale i livelli più bassi di finanziamento effettivo si riscontrano nelle regioni del Mezzogiorno, in particolare in Campania e Sicilia, con 1.994 e 2.035 euro pro capite. (lr)

(Courtesy Il Quotidiano del Sud / L’Altravoce dell’Italia)

I SUICIDI IN CARCERE SONO IL FALLIMENTO
DELLE ISTITUZIONI: CHE COSA SI DEVE FARE

di VINCENZO MARRAQuando l’avvocato Pasquale Foti, Presidente della Camera Penale di Reggio Calabria mi ha chiesto di poter dire anch’io qualcosa in merito ad un tema così tanto delicato come quello dei suicidi in carcere, per un attimo, lo ammetto, ho esitato. Non perché non avessi nulla da dire in proposito, anzi. Ma perché credo che si tratti di un argomento talmente tanto complesso da non poter essere condensato in poche battute.

Tuttavia, mi sono domandato quale possa essere il contributo di un amministratore pubblico che prescinda dai soliti stereotipi e si cali, concretamente, nella realtà carceraria per provare a fornire una chiave che non sia solo di lettura, ma anche d’intervento. 

E allora non posso che partire dai dati oggettivi che mi sono stati “sbattuti” in faccia nel momento in cui sono andato a studiarli: solo nel 2024, al 19 giugno, si contano 44 suicidi in carcere. Uno ogni tre giorni. Una persona ogni tre giorni, che si trova in stato di detenzione, decide di togliersi la vita. 

Ma se questo può apparire il dato più problematico, vi assicuro che ne ho trovato un altro che mi ha davvero sconvolto: nel 2023 il tasso di suicidi delle donne detenute è sensibilmente superiore, in termini percentuali, a quello degli uomini. 

Sono quindi andato alla ricerca delle possibili cause di un fenomeno che non accenna a placarsi. Ho letto di marginalità, di patologie psichiatriche pregresse, tossicodipendenza, persone senza fissa dimora. E un particolare: la maggior parte dei suicidi interessa detenuti di nazionalità straniera.

Così, la mia mente è andata subito all’ipotesi secondo cui chi decide di togliersi la vita è probabilmente stanco di una vita carceraria che, nella sua prospettazione, appare molto lunga. Infinita. Anche qui sono stato smentito dai fatti: molte delle persone che si sono suicidate erano in attesa di giudizio. Capite? Ancora in attesa di giudizio, dunque innocenti fino a prova contraria. Altri l’hanno fatta finita dopo brevissimi periodi di detenzione, poche settimane o qualche mese. Altri solo una manciata di giorni. 

Ma c’è un dato – e qui mi soffermo – che mi ha lasciato un senso di fallimento addosso: sono tanti, troppi i suicidi di chi il carcere è in procinto di lasciarlo o per un residuo breve di pena o per una prevista misura alternativa. Si tratta di persona che dovevano rientrare nella società e farlo dopo un periodo che avrebbe dovuto rappresentare per loro una opportunità. E invece, suicidandosi a poche miglia dal traguardo ci hanno fatto comprendere come non sentissero dentro di loro nemmeno il germe della speranza. 

Non mi addentro su questioni come il sovraffollamento, la costruzione di nuove strutture o il miglioramento di quelle esistenti. Lascio che siano i tecnici e i politici di rango nazionale a farlo. Mi domando, piuttosto, cosa la politica locale, un’amministrazione comunale o regionale possano fare per mitigare, per quanto possibile, un simile trend che non accenna a placarsi.

Ritorno alla speranza: ecco, credo che noi dobbiamo essere in grado di fornire a coloro che entrano in una cella il dono della speranza. Che non può e non deve declinarsi solo nell’idea di una uscita quanto più possibile anticipata, ma che deve concretizzarsi nel poter garantire a chi finisce in cella tutta l’assistenza morale e materiale possibile. 

Non dimentichiamo che gran parte di coloro che affollano le carceri sono persone in attesa di giudizio. Dunque presunti innocenti che, per gravi fatti, sono in uno stato di custodia cautelare in carcere. Qui bisogna già intervenire con percorsi che possano aiutare quelle persone a sostenere il peso dell’attesa del giudizio che, lo sappiamo, a volte può essere estenuante, nonostante gli sforzi profusi dalla magistratura. Ma nel loro caso un’amministrazione locale può, ad esempio, approntare una serie di percorsi e progetti che consentano di alleviare quel senso di disorientamento che vive colui o colei che varca per la prima volta la porta del carcere. Così come può essere per chi ci sta finendo non per la prima volta.

La carcerazione, non va dimenticato, rappresenta un fallimento in primis per chi la subisce. Nessuno sceglie di essere carcerato, ma ne accetta il rischio. A volte perché sente – sbagliando – di non avere altre opportunità. Ecco cosa può fare un’amministrazione locale: aiutare concretamente chi lo desidera a poter avere un’alternativa. Una opportunità. Così come coloro che scontano pene definitive. 

Non possiamo più lasciare che il tema della “rieducazione” del condannato possa essere delegata alla sola politica nazionale e agli istituti penitenziari. Io ritengo che occorra una politica diffusa di rieducazione, che coinvolga i territori e faccia sentire protagonista la cittadinanza. 

Di certo si può e si deve tendere al miglioramento delle condizioni carcerarie. Tuttavia questo richiede tempi lunghi che mal si conciliano con l’esigenza di celerità che richiede invece un’emergenza come quella dei suicidi. Allora, in attesa che le istituzioni nazionali affrontino di petto la questione, a livello locale non possiamo rimanere fermi, come già stiamo facendo a Reggio Calabria.

Occorre incrementare e migliorare tali percorsi. Se una politica diffusa e delocalizzata di accoglienza, di opportunità, di alternative, inizierà a diffondersi, migliorerà anche la capacità di ascolto e assistenza dei detenuti. A volte basta poco per salvare una vita e dare una seconda opportunità. Io sono a disposizione e pronto a fornire il mio contributo concreto, poiché sono convinto che, con azioni come quelle poc’anzi enunciate, il numero dei suicidi in carcere potrebbe iniziare a contrarsi già nel breve periodo. (vm)

[Vincenzo Marra è presidente del Consiglio comunale di Reggio]