È IN CRISI LA DEPURAZIONE IN CALABRIA
PROBLEMA TRASCURATO, NON RINVIABILE

di GIOVANNI MACCARRONE Nei giorni scorsi l’associazione ambientalista Legambiente ha presentato durante una conferenza stampa i dati finali di Goletta Verde 2025 sul monitoraggio effettuato lungo le coste della Calabria tra la fine di giugno e l’inizio di luglio.

Come ogni estate, anche quest’anno i volontari di tale associazione sono saliti a bordo di un’imbarcazione a vela (la famosa “goëlette”, che è un tipo di nave dotata di due o più alberi) e nei mari che circondano la penisola italiana hanno prelevato e analizzato circa 500 campioni d’acqua ed eseguito su ognuno di essi le analisi previste dalla legge.

Finora in Calabria sono stati analizzati 23 punti. Di questi, tredici (13) risultano “oltre i limiti di legge” (con 9 casi classificati come “fortemente inquinati” e 4 come “inquinati”).

I dati relativi al monitoraggio effettuato in Calabria indicano sostanzialmente che circa il 57% dei punti campionati risultano inquinati o fortemente inquinati.

Da uno a dieci, quanto siete sorpresi di sapere che oltre la metà dei punti campionati da Legambiente risultano fuori limite e, soprattutto, che “risultano fuori limite da anni”.

Guardando attentamente o considerando attentamente tutto quello che è avvenuto negli anni in Calabria, non c’è nulla di inaspettato o sorprendente.

Lo abbiamo già detto su questo quotidiano digitale nell’articolo dello scorso anno intitolato “Il problema del mare non è solo estivo. Tutelare questa risorsa ogni giorno” che sono decenni che il mare è diventato una sorta di sversatoio, con evidenti danni sull’ecosistema e palesi ripercussioni sulla salute umana.

Quindi, tutti questi dati emersi dai controlli di Goletta Verde non ci sorprendono affatto, ma anzi servono solo a confermare quello che ciascuno di noi pensa, oramai da anni, sullo stato di salute del mare che circonda le coste calabresi (e non solo), vale a dire che la presenza di chiazze e macchie nel mare non sono in alcun modo dovute a fenomeni naturali come mucillagini o fioriture di fitoplancton, ma a cause di inquinamento. 

Quello che invece ci lascia un po’ perplessi è leggere che – secondo la Presidente di Legambiente Calabria, Anna Parretta – «le criticità su cui agire sono ormai note: chiediamo alle amministrazioni di imprimere una forte accelerazione per garantire un’adeguata depurazione delle acque reflue e tutelare ambiente e cittadini».

Certo, il problema dei depuratori in Calabria è effettivamente un problema storico e diffuso, radicato nel tempo. Lo abbiamo già segnalato su questo quotidiano lo scorso anno, quando nell’articolo intitolato “Maladepurazione, in Calabria ci sono ancora molti centri privi di impianti”, si è rappresentato che la mala-depurazione, come spesso viene definita, si manifesta frequentemente con impianti obsoleti, malfunzionanti e posizionati in zone vicino al mare. In molti casi, addirittura, i depuratori non esistono.

È un problema che, evidentemente, in tutti questi anni nessuna amministrazione è riuscita o voluto mai risolvere; e ciò nonostante il conseguente e ripetuto invito a prendere in seria considerazione provvedimenti di fatto e non solo annunciati.

Comunque sia, è certo che, per superare le criticità emerse anche quest’anno, non è sufficiente intervenire solo sugli impianti destinati al trattamento delle acque reflue (chiamate anche acque di scarico), ma necessita di agire o intervenire in modo simultaneo (o in tempi diversi) sulle altre fonti e cause dell’inquinamento delle acque marine. 

Il mare – come ben sappiamo – è un grosso contenitore dove vengono convogliati ed immessi i prodotti finali di molti processi e attività che sono sviluppate in città, in campagna (agricoltura) e nelle industrie

Pertanto, è semplice intuire che in esso vanno spesso a finire materiali di diverso genere; si pensi, ad esempio, a tutti i materiali non biodegradabili (sacchetti di plastica, polistirolo, spazzatura di vario genere ma anche reti e lenze abbandonate) oppure a tutte le acque reflue provenienti spesso da reti fognarie inadeguate e scarichi abusivi.

Bisogna intervenire subito, E bisogna farlo energicamente e sapendo che il problema dell’inquinamento delle acque marine calabresi non è legato solo ed esclusivamente all’inadeguatezza degli impianti di depurazione delle acque reflue, ma anche ad altri fattori.

Di ciò si era perfettamente reso conto anche il Presidente della regione Calabria, il quale con l’Ordinanza contingibile e urgente n. 1 del 07.07.2023 aveva sostanzialmente individuato – sebbene a metà estate – tutte le cause di inquinamento delle acque marine calabresi.

Con tale Ordinanza, in pratica, la Regione aveva preso atto che: – il sistema fognario e depurativo del territorio calabrese presenta persistenti criticità che hanno determinato la violazione della direttiva comunitaria sul collettamento e trattamento delle acque reflue urbane con 181 agglomerati superiori ai 2.000 abitanti equivalenti in infrazione comunitaria; – prevengono continue segnalazioni che documentano gli effetti sulle acque marino-costiere – in prossimità della foce di fiumi e torrenti, di canali tombati destinati alle acque bianche, di fossi di scolo delle acque meteoriche superficiali – degli illeciti sversamenti che, in talune circostanze, hanno determinato la necessità di inibire la balneazione e la fruizione dei luoghi; – dall’analisi condotta dalle competenti strutture regionali sulla presenza e distribuzione di utenze non allacciate alla pubblica fognatura nel territorio regionale è emersa la necessità di strutturare un sistema complessivo e coordinato di attività coinvolgendo tutti i soggetti competenti nonché le forze di polizia ambientale e, a tal fine, è stato approvato il Piano d’azione di cui alla D.G.R. n. 280/2023.

Devo dire che era una check list abbastanza completa, un elenco di fonti o cause di inquinamento delle acque marine calabresi che dovevano essere assolutamente e velocemente eliminate per ridurre al minimo le alterazioni ambientali di cui ha fatto cenno Legambiente.

Cosa sia avvenuto successivamente non è dato sapere. Di certo è che l’Ordinanza non andava emanata nel mese di luglio, quando praticamente la stagione balneare in Calabria era già ampiamente iniziata (di solito inizia ufficialmente il 1° di maggio).

Ed è altrettanto certo che tutte quelle criticità non dovrebbero essere affrontate solamente durante la stagione estiva, ma tutto l’anno. Altrimenti si corre il rischio di vedere le cose ulteriormente peggiorate.  Per impedire che ciò avvenga, tutte le istituzioni che operano a livello nazionale e regionale per la tutela dell’ambiente devono, ciascuna per la loro parte, adoperarsi affinchè le cause che in qualche modo determinano le alterazioni dell’ambiente vengano eliminate o, in qualche modo, diminuite.

Ricordiamo a tal fine la sentenza n. 51721979 delle Sezioni Unite della cassazione, la quale precisa che il “diritto alla salute deve essere identificato con quello dell’ambiente, la cui protezione è un diritto fondamentale e inviolabile della persona umana”. Per cui, in caso di inerzia di una di queste istituzioni, bisogna inevitabilmente fare ricorso al potere sostitutivo previsto all’art. 120 della Costituzione italiana.

E che Dio ce la mandi buona. Mah. Speriamo bene. (gm)

SIN DI CROTONE, BASTA CON CHIACCHIERE:
ADESSO È ARRIVATO IL MOMENTO DI AGIRE

di EMILIO ERRIGO – La necessaria bonifica del Sin di Crotone-Cassano-Cerchiara di Calabria richiede soprattutto chiarezza, ed è arrivato il momento in cui le opinioni non bastano più. Per questo motivo ritengo doveroso intervenire in merito alle recenti dichiarazioni dell’on. Mario Oliverio, ex presidente della Regione Calabria, pronunciate durante la sua audizione presso la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su altri illeciti ambientali e agroalimentari e successivamente riportate da alcuni organi di informazione, con riferimento alle attività in corso e alle responsabilità istituzionali che competono al Commissario Straordinario nominato per la bonifica e la riparazione del danno ambientale del Sito di Interesse Nazionale di Crotone – Cassano – Cerchiara di Calabria.

Vivo con grande rispetto il confronto democratico e considero un valore irrinunciabile il diritto di ciascuno a esprimere la propria opinione, specie in materia di interesse pubblico ma è mio dovere – anche nei confronti dei cittadini calabresi – segnalare con chiarezza quando le opinioni travalicano i confini del legittimo dibattito per sconfinare in una narrazione parziale e fuorviante basata su riferimenti giuridici, tecnici e amministrativi incompleti o scorretti.

Le affermazioni dell’on. Oliverio sono, a mio avviso, non solo imprecise, ma in taluni passaggi del tutto inesatte; restituiscono un’immagine distorta del complesso lavoro in atto per la bonifica di uno dei siti ambientali più compromessi d’Europa.

Su questa vicenda – che investe profondamente il futuro ambientale, economico e sanitario della Calabria – si è purtroppo sedimentata una pericolosa confusione, alimentata da ricostruzioni che prescindono dai fatti, dalle normative vigenti e dalle attuali competenze istituzionali.

Mi preme ribadire che il mio mandato è stato conferito dal Governo nazionale con un obiettivo chiaro: imprimere una svolta concreta e definitiva a un procedimento di bonifica che per decenni è rimasto bloccato, disperso tra fasi interlocutorie e responsabilità mai pienamente assunte.

Non spetta a me, come Commissario straordinario, accertare responsabilità passate: il mio compito è quello di agire, con efficacia e rigore, per superare l’impasse e restituire prospettive reali alle comunità coinvolte svolgendo tale compito nel massimo rispetto della legalità, della trasparenza e dell’ascolto costante della collettività. 

Il mio approccio è improntato a criteri normativi, tecnico-scientifici e amministrativi rigorosi, vincolanti per ogni amministratore, indipendentemente dalle convinzioni personali o dalle appartenenze politiche.

Con riferimento al tema della spesa pubblica, posso affermare che gli unici oneri sostenuti per il funzionamento della struttura commissariale riguardano spese ordinarie, molto contenute, e riferite esclusivamente a sedi istituzionali.

Nello specifico, la sede legale a Roma, è ospitata presso lo stabile di Sogesid S.p.A., mentre la sede operativa in Calabria è ubicata presso il palazzo della Provincia a Crotone.

È dunque del tutto infondato, oltre che grave, sostenere che il Commissario spenda “milioni di euro” in sedi romane non meglio precisate.

Da uomo dello Stato, so bene cosa significhi gestire risorse pubbliche: ogni atto, ogni decisione, ogni spesa è sottoposta ai principi di legalità, economicità, efficacia e trasparenza previsti dalla contabilità pubblica; il denaro impiegato non appartiene al Commissario, né a un singolo ente: è risorsa della collettività. 

Il mio operato è sottoposto al controllo costante e puntuale della Corte dei Conti, dei Ministeri vigilanti e altri soggetti competenti.

A tutte queste istituzioni va il massimo rispetto, in nome della legalità e dello spirito repubblicano così come alla Procura della Repubblica, costantemente informata su ogni azione intrapresa dalla struttura commissariale.

L’attuale impostazione del lavoro tiene ovviamente conto delle scelte compiute in passato – alcune delle quali hanno generato vincoli e criticità di cui ancora oggi le comunità calabresi subiscono le conseguenze.

Rivendicare quelle scelte è legittimo, ma spiegare ai cittadini il loro impatto reale richiede ben altro che dichiarazioni ex post: serve rigore, serve conoscenza approfondita della materia, serve coerenza con la realtà giuridica e tecnica, e soprattutto serve la volontà di andare oltre la difesa d’ufficio di stagioni politiche ormai concluse.

Quanto al delicato tema dei rifiuti speciali pericolosi, occorre agire con rigore informativo e chiarezza normativa. Con riferimento al trasporto e al conferimento in discariche autorizzate dalla competente Regione delle diverse categorie di rifiuti (pericolosi e non), è utile ricordare che il produttore dei rifiuti è obbligato, per legge, a compilare il Modello Unico di Dichiarazione Ambientale (Mud) prima di iniziare il trasporto. Questa dichiarazione viene gestita digitalmente dalle Camere di Commercio provinciali attraverso una Banca Dati nazionale, aggiornata annualmente, che consente una tracciabilità completa della destinazione finale dei rifiuti.

Confermo ancora una volta ciò che sostengo da sempre: la discarica Sovreco S.p.A. è autorizzata dalla Regione Calabria a ricevere e trattare rifiuti speciali pericolosi; riceve periodicamente rifiuti speciali pericolosi, così come accertabile dal Modello Unificato di Dichiarazione Ambientale presente nella Banca Dati Rifiuti della Camera di Commercio Crotone, Vibo Valentia e Catanzaro, tali rifiuti sono assimilabili a quelli presumibilmente prodotti dalla parte della discarica fronte mare in cui si sta attualmente lavorando.

In definitiva, in Calabria e presso la discarica di Sovreco, arrivano da altre parti d’Italia rifiuti speciali pericolosi della stessa specie di quelli presenti nel Sin: questo è illogico, inspiegabile, incomprensibile e irrazionale.

Ricordo che in riferimento a questa fase dei lavori di bonifica, i rifiuti non pericolosi saranno smaltiti fuori regione e che una parte di quelli speciali pericolosi sono già stati destinati all’estero.

La notizia del trasferimento all’estero di ulteriori quantitativi di rifiuti pericolosi provenienti dall’area industriale di Crotone è un segnale concreto di avanzamento nel percorso di bonifica, che da anni rappresenta una priorità per il territorio.

È evidente, tuttavia, che i tempi si prospettano ancora lunghi e complessi, condizionati da iter procedurali, logistica e sostenibilità ambientale ma, personalmente, sono incline a leggere il positivo anche nelle situazioni più articolate.

La strada è ancora lunga, ma il cammino è fatto di passi, e ciò che conta è non interromperlo, agendo con continuità, trasparenza e senso di responsabilità verso la salute pubblica e la rinascita ambientale del territorio.

Per completezza di informazioni, è bene distinguere che, mentre le Regioni autorizzano la costruzione e gestione di discariche per rifiuti urbani e speciali pericolosi, l’autorizzazione per impianti destinati ad accogliere rifiuti speciali contenenti radionuclidi (Norm e Tenorm), con o senza residui di amianto, è di competenza della Prefettura territorialmente competente, a seguito di richiesta dell’agente interessato e in presenza dei corretti presupposti giuridici.

Quanto ai contenuti della mia Ordinanza n. 1/2025 e allo stesso potere di ordinanza, con senso istituzionale e fiducia nello Stato di diritto, restiamo in rispettosa attesa di ciò che i giudici competenti ed esperti decideranno sugli aspetti più delicati e controversi della vicenda.

La sentenza che verrà rappresenterà un punto di equilibrio imprescindibile per tutti, e ad essa mi rimetterò – come ho sempre fatto – con coerenza e senso di responsabilità.

Il percorso che stiamo conducendo è difficilissimo, articolato, tecnicamente impegnativo, ma reale, tracciato su basi normative, scientifiche e amministrative certe e non su percezioni o suggestioni.

Il mio mandato non ha il compito di mantenere lo stallo, ma di superarlo. Collaborando con gli enti territoriali e gli organismi regionali nel rispetto dei reciproci ruoli, lavoriamo per risolvere criticità operative che da troppo tempo rallentano il conseguimento di risultati attesi da anni.

Desidero, infine, esprimere il mio rispetto personale nei confronti dell’on. Oliverio, uomo impegnato che certamente ha avuto e continua ad avere a cuore la Calabria e i calabresi, tanto durante il suo mandato istituzionale quanto oggi. 

Lo ringrazio per l’attenzione che ha voluto riservarmi durante l’audizione. È sempre utile sapere di essere oggetto di tanta premura politica; con spirito costruttivo lo invito a un’attenta lettura dei documenti ufficiali, dei provvedimenti amministrativi e delle norme vigenti, che forse potranno contribuire a fornire una rappresentazione più aderente alla realtà.

Se lui, o chiunque altro, avesse ulteriori dubbi o volesse approfondire qualche aspetto specifico, resto – come sempre – a disposizione, nel pieno esercizio del mio mandato e nella trasparenza che da sempre contraddistingue il mio operato.

[Emilio Errigo, commissario straordinario bonifica Sin Crotone – Cassano – Cerchiara di Calabria]

IL DIRITTO NEGATO ALLA MOBILITÀ IN
SICUREZZA SULLA STRADA IONIO-TIRRENO

di FRANCESCO COSTANTINOLa galleria della Limina ha una lunghezza pari a 3200 mt,  si sviluppa  lungo il tracciato della S.S. 682 Ionio-Tirreno ed è stata aperta al traffico nel 1990 risultando pertanto dotata di caratteristiche tecniche ormai superate e tali da non consentire il transito in sicurezza per ogni tipologia di veicoli.

In prossimità dell’estate del 2023 ne fu annunciata la chiusura per 600 giorni per la necessità improrogabile di effettuare lavorazioni di manutenzione straordinaria.

Si elevarono in quei frangenti le proteste dei sindaci dei comuni interessati in quanto i percorsi alternativi ipotizzati  risultavano assolutamente inadeguati,  anche alla luce del disastro in termini di offerta ospedaliera  tanto nell’area ionica quanto nell’area tirrenica che obbligava e ancora obbliga alle interconnessioni tra i 2 ospedali di Polistena e Locri.

Il compromesso, di basso profilo fu trovato con l’impegno dell’esecutore contrattuale ad effettuare turni di lavorazioni notturne e la garanzia di percorrenza consentita in caso di emergenza.  

Voci isolate avvertivano che l’unico modo per rispettare le popolazioni sarebbe stato quello di costruire prima della chiusura annunciata una nuova galleria parallela rispondente a criteri attualizzati di percorribilità in sicurezza, adeguati al volume di traffico verificato e senza limitazione alcuna per qualsiasi tipologia di veicolo.

A nulla è valso quel che è accaduto il 23 settembre 2024 allorquando si è evitata una strage per le 20 persone in quel momento in transito all’interno della galleria in orario notturno solo per il coraggio e la voglia di vivere degli occupanti (2 giovani e i loro genitori) di una vettura andata in fiamme, oltreché del senso del dovere dei VV.FF. di Polistena e Siderno, degli operatori delle ambulanze  del 118 di Polistena e di Taurianova e della pattuglia dei carabinieri di Cinquefrondi, tutti prontamente intervenuti dopo le segnalazioni degli intrappolati  all’interno della galleria. 

Quella stessa situazione stava per essere replicata nei giorni scorsi allorquando un’altra autovettura è andata in fiamme a qualche centinaio di metri dall’uscita della galleria della Limina dal lato di Mammola con l’unico inconveniente della creazione di una coda interminabile di mezzi in transito e disagi da intossicazione per gli automobilisti bloccati all’interno della galleria.

Anche in questo caso può parlarsi di miracolo con l’avvertenza che i miracoli non potranno ripetersi all’infinito.

Quel che è accaduto già 2 volte in meno di un anno dovrebbe far riflettere chi ha pensato di aver correttamente affrontato il problema della transitabilità all’interno della galleria della Limina con la sola attività di manutenzione straordinaria della volta e l’eliminazione delle infiltrazioni di acqua e di qualche possibilità di rifugio laterale di cui peraltro non si vedono le tracce. 

Non aver nemmeno pensato di dare avvio alla progettazione di una seconda canna parallela a quella esistente per evitare il traffico bidirezionale all’interno della galleria esistente è, a mio avviso, una imperdonabile disattenzione per il diritti di mobilità in sicurezza di un territorio di importanza strategica per lo sviluppo dell’intera Calabria.

Il rinnovato interesse per la Bovalino-Bagnara, per la cui realizzazione siamo ancora al tempo delle chiacchiere, nulla toglie al diritto da sempre negato agli utenti dei territori serviti dalla Ionio-Tirreno di una mobilità in sicurezza oltreché adeguata ai volumi di traffico del tempo presente.

Stupisce che le popolazioni interessate non avvertano la necessità di una forte e inarrestabile ribellione.

Ribellione che nemmeno si è vista accennata  per ciò che accade da oltre un anno e mezzo per i lavori in corso all’interno dell’altra galleria di modesta lunghezza presente lungo il tracciato della S.S. 682,  dopo poche centinaia di metri dall’uscita della galleria della Limina in direzione Gioiosa Jonica, dove il traffico continua ad essere regolato da semafori posti prima degli imbocchi stessi della galleria e si creano disagi prolungati agli utenti.

A noi più che una grande capacità di sopportazione sembra quasi una colpevole indifferenza, sia dei cittadini che degli amministratori, e questo atteggiamento, com’è noto, costituisce un riflesso tra i più perniciosi per qualsiasi consorzio umano che voglia determinare il proprio destino.

FONDI COESIONE, SERVE RIPROGRAMMARE
RISORSE IN CALABRIA PER NON PERDERLE

di FRANCESCO RENDECambia il volto della politica di coesione 2021-2027 dell’Unione europea. Dopo settimane di polemiche e confronti accesi, è arrivata l’intesa politica tra Parlamento europeo e Consiglio Ue sulla revisione intermedia della principale politica di investimento comunitaria, che da qui al 2027 mobiliterà oltre 392 miliardi di euro.

A guidare i negoziati, conclusi con un accordo in un solo round di confronto formale, è stata la presidenza danese del Consiglio. Ma la regia politica porta la firma del commissario europeo Raffaele Fitto, titolare della delega alla Coesione, che ha introdotto nel pacchetto cinque nuove priorità strategiche: difesa, resilienza idrica, alloggi, transizione verde e competitività.

Difesa e infrastrutture militari nella nuova programmazione volontaria

La revisione non impone modifiche obbligatorie ma introduce la possibilità, su base volontaria, per gli Stati membri di riprogrammare parte dei fondi strutturali orientandoli verso queste nuove direttrici. Un cambio di rotta che nasce dalla necessità di adattare la strategia europea al “mondo che è cambiato improvvisamente”, come affermato in sede comunitaria, tra guerra in Ucraina, crisi climatica e nuove esigenze economiche. Particolarmente delicato l’inserimento del settore della difesa tra le voci di spesa ammissibili: nel testo si prevede che anche le infrastrutture a duplice uso, ovvero quelle che possono servire sia fini civili che militari, possano ottenere finanziamenti prioritari, così come gli investimenti per la preparazione civile. È il caso del Ponte sullo Stretto, che potrebbe finire in questo calderone, insieme ad infrastrutture viarie che possono così entrare nella programmazione “bypassando” i vincoli programmatici.

Cosa cambia per la Calabria: riprogrammare per non perdere risorse

Se da un lato è forte la polemica per l’inserimento delle spese di difesa, dall’altro questa riprogrammazione apre scenari impensabili per una regione come la Calabria, che dovrà essere però pronta a rispondere immediatamente al nuovo scenario. Come abbiamo detto più volte, i livelli di spesa della nuova programmazione regionale sono decisamente sotto ogni scenario (ad eccezion fatta per le spese che riguardano la competitività delle imprese, che hanno quasi esaurito il loro plafond): grazie a questa nuova revisione, l’autorità di gestione calabrese del Por potrà intervenire per riformulare i fondi investendo in infrastrutture idriche strategiche, aumentando le risorse a disposizione sia per sbloccare alcune dighe storicamente ferme che possano combattere la crescente siccità. Si può allargare il plafond delle risorse a disposizione delle imprese, in settori come ad esempio agritech, manifattura e innovazione digitale, così come aggiungere nuove risorse per affrontare la crisi abitativa grazie a strumenti messi appositamente a disposizione di governi e regioni.

La soddisfazione di Fitto: “La revisione risponde alle sfide reali dei territori”

«Questo regolamento – ha dichiarato il commissario Raffaele Fitto subito dopo l’approvazione – è la prima misura concreta che ho promosso per rinnovare la politica di coesione che cosi è piu moderna, incisiva e in grado di rispondere alle sfide reali dei territori».

«Questo è un accordo storico sul regolamento che modernizza la politica di coesione. Nell’ambito della revisione di medio termine Stati e regioni potranno investire le risorse della programmazione in corso in progetti su casa, difesa, transizione energetica, acqua, competitività, in base alle proprie priorità strategiche».

Nesci e Ventola (FdI): «Regole più snelle per sbloccare risorse»

«La Politica di Coesione deve tornare a essere un vero motore di sviluppo per i nostri territori», dichiarano congiuntamente gli eurodeputati Denis Nesci e Francesco Ventola, esprimendo piena soddisfazione per l’intesa raggiunta. «Abbiamo lavorato nell’interesse dei cittadini e delle amministrazioni locali, che potranno ora contare su regole più snelle e risorse più facilmente attivabili».

La proposta, avanzata dal vicepresidente esecutivo della Commissione Europea Raffaele Fitto, introduce un necessario aggiornamento normativo, considerando che l’attuale programmazione — definita tra il 2019 e il 2021 — risulta oggi superata da un contesto geopolitico ed economico profondamente mutato.

«Nonostante alcuni gruppi politici avessero dubbi sulla procedura d’urgenza, abbiamo dimostrato che era l’unica strada per garantire ai territori risposte rapide e strumenti concreti per affrontare le nuove sfide. Abbiamo lavorato per migliorare la proposta e renderla davvero utile per le comunità locali», concludono Nesci e Ventola.

Palmisano (M5S): “Alla difesa risorse che verranno tolte a sanità pubblica e imprese”

«L’accordo notturno tra Consiglio e Parlamento europeo sulla revisione della politica di coesione rappresenta un autogol strategico per l’Italia e le Regioni del Meridione». Lo afferma in una nota Valentina Palmisano, europarlamentare del Movimento 5 stelle.

«L’inserimento della difesa tra le cinque nuove sfide strategiche drenerà inevitabilmente risorse vitali da sanità, sociale e sostegno alle piccole e medie imprese, dirottandole verso il comparto della difesa e le grandi lobby delle armi. Questo testo – sottolinea l’europarlamentare – è inaccettabile e dovrebbe essere rigettato in plenaria a Strasburgo a settembre».

«Sarà in quell’occasione che si paleserà chi sostiene l’Italia e chi invece le volterà le spalle in favore del riarmo europeo. Finora, chi si è riempito la bocca di retorica sulla difesa del Sud e di un’Italia forte in Europa ha poi sistematicamente avallato autentici voltafaccia come la programmazione centralizzata e il dirottamento di fondi vitali verso la difesa. A settembre – conclude Valentina Palmisano – la verità verrà a galla con i voti nelle sedi istituzionali». (fr)

[Courtesy LaCNews24]

REATI AMBIENTALI, LA CALABRIA
SECONDA PER IL CICLO NELLA GESTIONE DEI RIFIUTI

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Quarta nella classifica generale delle illegalità ambientali, seconda nel ciclo dei rifiuti e settima nel ciclo di cemento. È il quadro desolante della Calabria emerso dal Rapporto Ecomafia 2025, presentato nei giorni scorsi a Roma da Legambiente.

«La situazione più preoccupante è legata al ciclo di gestione dei rifiuti, nel quale, nella nostra regione, si è verificata una grave impennata di reati che portano la Calabria dal terzo ad un poco onorevole secondo posto e costituiscono una minaccia per l’ambiente, per la salute dei cittadini e per l’economia», ha detto Anna Parretta, presidente di Legambiente Calabria, snocciolando dei dati preoccupanti per la nostra regione.

I numeri calabresi, infatti, raccontano che la Calabria è stabile al quarto posto nella classifica complessiva (7,9% del totale nazionale). Ma, tuttavia, incrementa il numero di reati (3.215) e più che raddoppia il dato sugli arresti (41).

Tra le filiere illegali in particolare, la Calabria spicca nel ciclo dei rifiuti collocandosi al secondo posto con ben 1.137 reati, 1287 persone denunciate, 39 persone arrestate e 446 sequestri.

Nella classifica provinciale dei reati, che costituiscono le fattispecie più gravi, tra le prime venti posizioni si collocano ben 4 delle 5 province calabresi: con Catanzaro al secondo posto (319 reati), Reggio Calabria all’ottavo (239 reati), Crotone al tredicesimo e Cosenza al quindicesimo posto. Classifica a parte per quanto riguarda, invece, gli illeciti amministrativi nella stessa filiera dei rifiuti, che sono 400, mentre le sanzioni amministrative sono state 422.

Nel ciclo illegale del cemento la Calabria è invece settima nella classifica nazionale con 869 reati, 829 persone denunciate e 134 sequestri. A livello provinciale Cosenza segna il maggior numero di reati raggiungendo il quarto posto, Reggio Calabria è nona e Catanzaro sedicesima. Sono 1725 invece complessivamente gli illeciti amministrativi e 1759 le sanzioni amministrative.

Inoltre la Calabria è settima per reati contro gli animali (6,1% del totale): tra le prime venti posizioni si colloca Reggio Calabria al diciassettesimo posto con 143 reati.  Considerando anche gli illeciti amministrativi, Reggio Calabria raggiunge il nono posto mentre Cosenza è dodicesima.

Guardando i dati nazionali, invece, dal rapporto dedicato al trentennaledella scomparsa del Capitano di Fregata Natale De Grazia, morto tra il 12 e il 13 dicembre del 1995 mentre indagava sugli affondamenti sospetti nel Mediterraneo di navi con il loro carico di rifiutiè emerso come in Italia il 42,6% dei reati ambientali si concentra nelle 4 regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Puglia, Calabria e Sicilia). Il maggior numero di reati si riscontra, a livello nazionale, nella filiera del cemento (dall’abusivismo edilizio alla cave illegali fino ai reati connessi agli appalti per opere pubbliche) con 13.621 illeciti accertati nel 2024, +4,7% rispetto al 2023, pari al 33,6% del totale. Seguiti dai reati nel ciclo dei rifiuti ben 11.166, +19,9%, e quelli contro gli animali con 7.222 illeciti penali (+9,7%).

Da segnalare l’impennata dei reati contro il patrimonio culturale (dalla ricettazione ai reati in danno del paesaggio, dagli scavi clandestini alle contraffazioni di opere): sono 2.956, + 23,4% rispetto al 2023. Per quanto riguarda le filiere illecite nel settore agroalimentare, a fronte di una leggera diminuzione dei controlli (-2,7%) si registra un aumento del numero di reati e illeciti amministrativi (+2,9%), nonché degli arresti (+11,3%).  A completare il quadro dell’illegalità ambientale del 2024 è la crescita degli illeciti amministrativi, 69.949 (+9,4%), equivalenti a circa 191,6 illeciti al giorno, 7,9 ogni ora. Per quanto riguarda i clan, dal 1995 al 2024 salgono a 389 quelli censiti da Legambiente.

Per quanto riguarda i delitti più gravi, previsti dal titolo VI-bis del Codice penale, nel 2024 al primo posto abbiamo l’inquinamento ambientale con 299 illeciti contestati, quelli complessivi sono stati 971, con un +61,3% rispetto al 2023 e 1.707 persone denunciate (+18,9%). Numeri che insieme all’aumento dei controlli su questa tipologia di reati (1.812 nel 2024, +28,7%) dimostrano l’efficacia della legge 68 del 2015, che a maggio 2025 ha celebrato il decennale. In particolare, da giugno 2015 a dicembre 2024 grazie a questa fondamentale riforma sono stati accertati 6.979 illeciti, con 12.510 persone denunciate, 556 arresti e 1.996 sequestri.

Per la presidente Parretta «la situazione più preoccupante è legata al ciclo di gestione dei rifiuti, nel quale, nella nostra regione, si è verificata una grave impennata di reati che portano la Calabria dal terzo ad un poco onorevole secondo posto e costituiscono una minaccia per l’ambiente, per la salute dei cittadini e per l’economia».

«La Calabria deve rendere concreto un cambiamento – ha evidenziato – che coinvolge tutti gli attori della società calabrese, cittadini, imprese ed istituzioni, per realizzare sul territorio sviluppo sostenibile ed un’economia sana e circolare. È necessario l’impegno di tutti per non dover più vedere la nostra bella regione ai vertici delle classifiche dell’illegalità. È un tributo etico ed un dovere morale che dobbiamo anche alla memoria di chi, come il capitano di Fregata Natale de Grazia, ha dato la propria vita per rivelare la verità e ristabilire la giustizia sul traffico di rifiuti tossici e radioattivi e sulle navi a perdere nel Mediterraneo».

«Noi, come piaceva dire al Capitano Natale De Grazia, odiamo le cose storte e siamo convinti che serve una forte rottura culturale su tutto il territorio regionale», ha dichiarato Daniele Cartisano, presidente circolo Legambiente Reggio Calabria-Città dello Stretto che aggiunge: «Non possiamo più tollerare questa forma strisciante di accettazione sociale che rende questi reati meno scandalosi di quanto dovrebbero essere».

«La denuncia, la mobilitazione civica, l’educazione alla legalità – ha sottolineato – devono diventare strumenti quotidiani di resistenza. Ogni reato ambientale, ogni abuso edilizio, ogni atto di crudeltà verso gli animali rappresenta un’offesa non solo alla legge, ma alla dignità stessa del territorio e di chi lo abita. Restare indifferenti significa esserne complici».

«Nella lotta alla criminalità ambientale – ha commentato Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – l’Italia deve accelerare il passo e può farlo con l’approvazione di una riforma fondamentale molto attesa, ossia il recepimento della direttiva europea sulla tutela penale dell’ambiente entro il 21 maggio 2026. In questa legislatura si parla tanto di semplificazioni, poco di contrappesi in grado di fermare i furbi o i criminali che fanno concorrenza sleale alle imprese serie».

«Per contrastare gli ecocriminali e la loro vera e propria arroganza, servono interventi decisi: ai risultati positivi prodotti fino ad ora dalla legge 68 n. 2015 sugli ecoreati, bisogna far seguire nuovi strumenti per contrastare anche le agromafie, a cominciare dal mercato in crescita dei pesticidi illegali, e l’abusivismo edilizio, altra piaga del paese, rafforzando il sistema dei controlli ambientali, in modo omogeno su tutto il territorio nazionale», ha commentato Enrico Fontana, responsabile dell’Osservatorio nazionale Ambiente e legalità di Legambiente. (ams)

FONDO DI COESIONE, OBIETTIVO LONTANO
IN QUATTRO ANNI SPESI SOLO 2,8 MILIARDI

di ERCOLE INCALZA –

In realtà il Servizio Studi della Camera dei Deputati ha effettuato una capillare analisi sulle reali disponibilità residue del Fondo fi Sviluppo e Coesione ed ha scoperto che dei 78,1 miliardi di euro previsti per il periodo dal 2021 al 2027 sono disponibili ancora 3,8 miliardi di euro (lo scrivo per esteso perché sembra incredibile: tre miliardi e ottocento milioni di euro). E questo dato è motivato in modo dettagliato attraverso questi passaggi che ritengo opportuno riportare di seguito: con specifiche disposizioni di Legge è stata finora disposta l’assegnazione di risorse per un totale di circa 28,8 miliardi di euro (tutto documentato in modo dettagliato attraverso l’elenco dei singoli provvedimenti); con Delibere del Cipess, invece, sono stati assegnati 45,5 miliardi (in particolare per le Amministrazione Regionali 30,6 miliardi di euro (vedi Tabella A), per i vari Ministeri 13,8 miliardi di euro ed ulteriori 1,1 miliardi di euro per ulteriori accordi) (tutto dettagliato con le singole Delibere del Cipess).

Ma in questa analisi emerge un ulteriore allarme: dei 78,1 miliardi di euro previsti sempre dal Fondo, allo stato è stato speso solo il 4% e gli impegni di spesa non hanno superato il 12,4%. In realtà ci preoccupiamo del Pnrr dove è ormai conclamato il raggiungimento di una spesa non superiore al 46% entro il 30 giugno del 2026 e non ci allarmiamo in modo adeguato sul fatto che dei 78,1 miliardi di euro del Fondo di Sviluppo e Coesione ne abbiamo appena spesi, ripeto, 2,8 miliardi e, entro il 2027 dovremmo spenderne circa 76 miliardi di euro.

È vero che nel caso del Fondo di Sviluppo e Coesione è possibile utilizzare un ulteriore periodo di circa due anni, ma anche in presenza di questo ulteriore periodo siamo sempre di fronte ad un obiettivo impossibile da raggiungere.

Mi chiedo d’altra parte come potremo spendere 76 miliardi di euro nei prossimi quattro anni se nei passati quattro anni (il Fondo è partito nel 2021) ne abbiamo spesi solo 2,8 miliardi di euro (anche in questo caso trattandosi di un dato indifendibile scrivo per intero l’importo: 2 miliardi e ottocento milioni di euro).

Di fronte a questo quadro informativo davvero preoccupante se ne aggiunge, a mio avviso, un altro: mi riferisco alla decisione presa sulla rivisitazione del programma delle opere del Pnrr, cioè alla scelta ormai acclarata che le opere del Pnrr non realizzabili entro il 30 giugno del 2026 potranno trovare adeguata copertura proprio attraverso il ricorso alle risorse del Fondo di Sviluppo e Coesione. Anche in questo caso nasce spontaneo un ulteriore interrogativo: come possa essere possibile che un volano di opere pari a circa 130 miliardi di euro possa trovare copertura in un Fondo ormai ampiamente definito programmaticamente e con specifiche assegnazioni di spesa avvenute per Legge o attraverso Delibere del Cipess?

Nella commedia di Eduardo Scarpetta “Miseria e Nobiltà” il protagonista Felice Sciosciammocca interpretato da Totò impegna un suo vecchio ed ormai inutilizzabile cappotto chiedendo prodotti alimentari e non di altissimo valore; la commedia di Scarpetta aveva la finalità di distrarre e forse far capire dove era arrivata la soglia della fame, la soglia della povertà; oggi questo assurdo elenco di coperture non spese e di impegni futuri impossibili fanno pensare solo al fatto che siamo incapaci di programmare a lungo e medio periodo, siamo incapaci di spendere e ci inventiamo possibili coperture ormai già impegnate.

Indipendentemente da questi confronti come si fa a togliere alla Regione Calabria i 3.059,7 miliardi di euro già assegnati, come si fa a togliere alla Regione Sicilia i 7.374,6 miliardi di euro già assegnati, ecc.; cioè come si fa a dare vita ad una simile rivisitazione sapendo che una simile scelta sarà immediatamente impugnata sia dalle singole Regioni che dalla stessa Unione Europea.

Concludo questo mio articolo ricordando che su questo tema gli schieramenti oggi alla opposizione come il Movimento 5 Stelle o il Partito Democratico non hanno detto nulla e questo silenzio testimonia la loro completa assenza su tematiche chiave della Legislatura. (ei)

STOP A RIFIUTI TOSSICI A CROTONE
PORTATI DA ALTRE REGIONI D’ITALIA

di ANTONELLO TALERICO – La necessità impellente di intervenire in maniera concreta a tutela dell’area del Sito di Interesse Nazionale (SIN) di Crotone-Cassano-Cerchiara, una delle zone più gravemente compromesse d’Italia sotto il profilo ambientale e sanitario mi ha portato a presentare una proposta di legge regionale che contiene “Disposizioni per la tutela dell’area del Sin di Crotone-Cassano-Cerchiara dai rifiuti pericolosi e radioattivi non prodotti nel territorio regionale”.

Come si legge nella mia relazione introduttiva, per decenni, questo territorio è stato sede di intense attività industriali che, in assenza di adeguati interventi di bonifica, hanno lasciato un’eredità pesante in termini di contaminazione del suolo, delle acque e dell’aria.

Il Sin di Crotone si estende per 1.448 ettari di aree a mare e complessivi 884 ettari a terra, comprendendo il perimetro industriale della città di Crotone e le discariche a mare ex Pertusola Sud e Fosfote. All’interno del sito sono state accumulate nel corso del tempo oltre due milioni di tonnellate di rifiuti tossici contenenti metalli pesanti come arsenico, mercurio, piombo, cadmio e zinco, molti dei quali notoriamente cancerogeni e mutageni. Questi materiali derivano dalle attività industriali chimiche e metallurgiche svolte, sin dagli anni venti del Novecento, da società come Pertusola Sud S.p.A. e Montedison/Fosfotec, e sono rimasti sul territorio anche dopo la cessazione delle attività, avvenuta negli anni Novanta, senza che sia mai stata effettuata una bonifica adeguata.

Le conseguenze per la salute pubblica sono state gravi e documentate da numerosi studi epidemiologici, condotti dall’Istituto Superiore di Sanità, da Arpacal e dai Registri Tumori, che hanno messo in luce un eccesso di mortalità e morbilità per tumori polmonari, linfomi e leucemie infantili, nonché un incremento significativo della mortalità per malattie respiratorie croniche e cardiovascolari.

La popolazione è risultata esposta a sostanze tossiche persistenti attraverso l’aria, il suolo e le acque, compromettendo le condizioni di vita e aumentando il rischio sanitario collettivo.

Le falde acquifere risultano contaminate, mentre sversamenti nel mare Ionio e discariche abusive collocate in prossimità della costa mettono a rischio non solo l’ecosistema marino, ma anche due settori vitali per l’economia regionale come il turismo balneare e la pesca.

Il Sin di Crotone, dunque, non è soltanto un problema locale, ma rappresenta una questione di sicurezza nazionale, che tocca contemporaneamente profili ambientali, sanitari ed economici. Nonostante le numerose denunce e richiami provenienti dalla Corte dei Conti, dalla Commissione Europea e dallo stesso Ministero dell’Ambiente, la bonifica del sito è rimasta sostanzialmente inattuata, ostacolata da lungaggini procedurali, responsabilità istituzionali frammentate e resistenze politiche e industriali.

I dati sono allarmanti e richiedono una risposta istituzionale ferma e responsabile.

È in questo contesto che si inserisce la presente proposta di legge, che intende introdurre un divieto – temporaneo e mirato – all’immissione, al trattamento, allo stoccaggio e allo smaltimento di rifiuti pericolosi e radioattivi ai sensi del D.Lgs. 152/2006 sia i rifiuti radioattivi e le scorie definite dal D.Lgs. 101/2020, nonché qualsiasi altra sostanza pericolosa per la salute umana o per l’ambiente, non prodotti nel territorio calabrese, limitato esclusivamente all’area del Sin.

L’obiettivo è semplice e al contempo fondamentale: impedire che un territorio già duramente colpito da decenni di incuria e contaminazione venga ulteriormente sovraccaricato da nuovi flussi di rifiuti provenienti da fuori regione, aggravando una situazione ambientale già drammatica.

La proposta si muove nel pieno rispetto dell’ordinamento costituzionale. Trova fondamento nell’articolo 32 della Costituzione, che tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività, e nell’articolo 117, terzo comma, che attribuisce alle Regioni competenzeconcorrenti in materia di tutela della salute e governo del territorio. La giurisprudenza costituzionale, inoltre, riconosce alle Regioni la possibilità di adottare misure normative specifiche, purché giustificate da esigenze concrete, documentate e localmente circoscritte, come nel caso in esame.

Il provvedimento non introduce un divieto generalizzato, bensì una misura delimitata nel tempo e nello spazio: cesserà automaticamente di avere efficacia una volta concluse le operazioni di bonifica ambientale dell’area interessata, così come previste dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza

Energetica. A garanzia dell’efficacia e della precisione dell’intervento, si prevede che l’Arpacal proceda alla perimetrazione tecnica dell’area di rispetto ambientale, tenendo conto di parametri scientifici quali lo stato di contaminazione del suolo, la vulnerabilità degli ecosistemi e la presenza di insediamenti umani.

La proposta prevede inoltre l’attivazione di misure informative e preventive a vantaggio delle comunità locali, nonché un regime sanzionatorio severo ma proporzionato, che mira a scoraggiare ogni violazione della normativa e a garantire il rispetto dell’ambiente e della salute pubblica.

In definitiva, si tratta di un intervento doveroso e coerente con i principi di precauzione, responsabilità e salvaguardia della salute. La Regione Calabria, attraverso questa legge, riafferma il proprio impegno per la tutela dei cittadini e del territorio, in un’ottica di giustizia ambientale e di concreta protezione delle aree più fragili del suo tessuto territoriale. (at)

[Antonello Talerico, consigliere regionale]

LE LACRIME DI REGGIO DOPO 55 ANNI
SERVANO DA MONITO PER IL FUTURO

di SANTO STRATI – Provate a chiedere a un liceale calabrese, della rivolta di Reggio Calabria del 1970. Neanche i ragazzi di Reggio sapranno rispondere: c’è un ricordo forte, pur se annebbiato dagli anni, tra gli over 60, quelli, per intenderci, all’epoca avevano 10 anni, ma la damnatio memoriae ha colpito anche qui.

Fu una rivolta di popolo e non per il pennacchio del capoluogo (come malauguratamente sosteneva l’on. Gaetano Cingari, Psi): c’erano anni di sopportazione e delusioni, è bastata una scintilla per far scendere in piazza, giovani, vecchi, genitori con bambini in carrozzella, donne, tantissime donne, che gridavano di avere attenzione. Chiedevano un futuro per i propri figli, lavoro, crescita del territorio e sviluppo che avrebbe significato benessere.

I politici di allora non capirono e, anzi, fecero pesare ancor di più la supremazia (politica) di Cosenza e Catanzaro: loro avevano Misasi, Mancini, Pucci, Reggio aveva onesti (e modesti) rappresentanti in Parlamento. Sono passati 55 anni ma le “lacrime di Reggio” (come titolammo uno speciale per il 50° anniversario, in pieno Covid) sono ancora umide. La Calabria non ha ancora realizzato l’idea di fare rete, superando localismi e campanilismi, ma ci sono segnali incoraggianti. Però non si può dimenticare il passato, non si possono cancellare i soprusi, le vittime, i mutilati, i feriti, gli arrestati e l’illusione, allora, che qualcuno avrebbe dato ascolto ai reggini.

Va conservata la memoria storica, non soltanto per i reggini, ma per tutti i calabresi: è stata una rivolta cruenta, la più rilevante del Novecento in Europa, con l’arrivo persino dei carri armati a Reggio per domare i rivoltosi. Eppure si è persa – fino a oggi – l’occasione per far sì che la memoria e il ricordo di quelle drammatiche giornate non vadano dispersi. I giovani non sanno nulla della rivolta, bisogna che se ne parli, che venga spiegato loro, con onestà di pensiero, cosa e perché è successo. E per raccontare ai ragazzi la rivolta l’arch. Antonella Postorino ha realizzato una storia a fumetti, una graphic novel, disegnata da Marco Barone, ambientata durante i moti di Reggio.

Un’opera che piacerà molto ai giovani, non molto affascinati dalla lettura, ma certamente divoratori di fumetti. La storia di una bambina che vede con i suoi occhi innocenti le cariche della polizia, respira l’aria contaminata dai lacrimogeni (nessuno ha mai contato o detto quanti candelotti lacrimogeni sono stati sparati durante la rivolta) e viene salvata da uno sconosciuto durante una carica della polizia. La presentazione a Palazzo Campanella, a Reggio, è stata l’occasione per parlare della rivolta, con due protagonisti di allora, il sen. Renato Meduri (all’epoca aveva 33 anni) e l’on. Natino Aloi (nel 1970 aveva 32 anni) entrambi già in politica. Il loro racconto è stato emozionante, vivido, pieno di amarezza ma senza livore e senza rancori. La memoria storica di una rivolta che la sinistra, stupidamente, lasciò nelle mani della destra, tenendo a inspiegabile distanza il popolo reggino e le sue accorate richieste.

Io che all’epoca avevo 18 anni e mezzo l’ho vissuta giorno per giorno: per me e Franco Bruno – che facevamo la maturità al liceo classico Campanella con le camionette della polizia fuori della porta e i primi scontri di piazza sul corso Garibaldi – è stato un battesimo di fuoco (è il caso di dirlo) per la nostra aspirazione di fare i giornalisti. Accanto a Luigi Malafarina, cronista di nera della Gazzetta del Sud, il primo vero grande indagatore di mafia e gran conoscitore dei segreti della ‘ndrangheta (ci ha scritto svariati libri, ampiamente saccheggiati poi dai nuovi maîtres à penser presunti mafiologi) abbiamo imparato sulle barricate come si fa giornalismo.

Peraltro a Reggio vennero giornalisti da tutto il mondo e Malafarina li accoglieva tutti e dispensava loro notizie che non avrebbero mai scoperto, suggeriva come mettersi al sicuro durante le cariche della Celere, spiegava le ragioni di quella rivolta di popolo. Malafarina cominciò a raccogliere con meticolosità tutto quello che veniva pubblicato: centinaia di ritagli di quotidiani, pagine di settimanali, periodici di tutto il mondo. Non so come facesse ma si faceva mandare le pagine pubblicate sulla rivolta, giorno dopo giorno, voleva essere documentato da come la stampa trattava i moti. Una stanza piena di giornali che io e Franco eravamo entusiasti di aiutare a classificare e archiviare.

Nacque così l’idea di scrivere a sei mani la storia della rivolta, raccontando le varie posizioni politiche, la cronaca e riportando con assoluta terzietà “pillole” dei vari inviati, in un collage informativo estremamente vigoroso e obiettivo. Vide la luce così Buio a Reggio, la monumentale storia della rivolta che, però, nessun grande editore voleva pubblicare. In realtà, c’erano stati contatti importanti con la Rizzoli e con Laterza, ma la prima si defilò dopo qualche “suggerimento” proprio il giorno della firma del contratto, la seconda, per voce dell’allora presidente Vito Laterza “rinunciò” a pubblicare un libro – mi disse l’editore pugliese – che «avrebbe fatto male alla sinistra».

Il libro era pronto (migliaia di cartelle dattiloscritte, mica c’era il computer allora!) che aspettavano solo di diventare carta stampata. Fu l’on. Giuseppe Reale (Dc) a volerlo pubblicare con la sua Casa editrice Parallelo 38: commissionò all’artista reggino Leo Pellicanò quattro meravigliosi disegni delle copertine (sarebbero stati 4 volumi in cofanetto per circa 1000 pagine) e si accordò per la stampa con uno dei più grandi stabilimenti tipografici di allora, la Frama di Chiaravalle. Allora si stampava con il piombo: passai due settimane a Chiaravalle Centrale, in mezzo alla neve, quel dicembre del 1972 a correggere le bozze, circondato da tonnellate di pagine di piombo uscite dalla linotype. E a metà dicembre il libro uscì e fu un successo clamoroso.

Vent’anni dopo, un altro editore “coraggioso” Franco Arcidiaco ne fece una ristampa anagrafica in due volumi e anche questa trovò largo consenso, a riprova che della rivolta si sapeva ancora troppo poco e il nostro libro ne costituiva la genuina (e indipendente) memoria storica. Buio a Reggio l’ho completamente riveduto e corretto e quindi rieditato (per Media&Books) in occasione del Cinquantenario, nel 2020, in pieno Covid.

Malafarina è scomparso nel 1988, Bruno nel 2011: senza i miei compagni di viaggio (che ho sentito comunque a me vicinissimi durante il lavoro di riedizione) ho voluto riscrivere un’introduzione con gli occhi di 50 anni dopo e dare un volto a tutti i protagonisti (politici, sindacalisti, etc.) di allora, proprio a salvaguardia della memoria storica, raccogliendo immagini dell’epoca e riutilizzando gran parte delle foto che il buon Lello Spinelli (fotografo della Gazzetta) aveva donato a Malafarina.

Tornando a al libro a fumetti 1970 La rivolta di Reggio Calabria (Laruffa editore) c’è da aggiungere che l’evento a Palazzo Campanella ha registrato numerosi interventi, a cominciare dal Presidente del Consiglio regionale Filippo Mancuso che ha sottolineato l’esigenza, oggi più che mai, di fare rete tra le città calabresi, superando antistorici localismi e odiosi e inutili campanilismi.

Quello che è accaduto a Reggio – ha detto Mancuso (coordinatore regionale della Lega) non va rimosso né cancellato, ma deve servire a indicare la strada di una comune intesa (senza più le storiche rivalità fra le province) per uno sforzo comune inteso alla crescita e allo sviluppo del territorio. Una sala affollatissima e un dibattito promosso da Forza Italia e coordinato da Giuseppe Sergi, che ha registrato un vibrante intervento in streaming video da Roma di Wanda Ferro, sottosegretario all’Interno, e dell’illustratore Marco Barone.

Ma applauditissimo è stato l’intervento di Francesco Cannizzaro, vicecapogruppo alla Camera, deputato azzurro e segretario regionale FI) che ha puntato tutto sull’orgoglio reggino, ferito e calpestato, sulla devastazione morale, ancorché fisica della città, mettendo in evidenza la necessità di fare finalmente chiarezza sui fatti di Reggio. 55 anni fa – ha detto Cannizzaro – io non ero nemmeno nato e le poche cose che so le ho apprese dal libro di Malafarina, Bruno e Strati: bisogna far conoscere ai nostri giovani cosa successe 55 anni fa e perché, bisogna andare nelle scuole (e il libro di Postorino-Barone ha buone chances di essere accolto e apprezzato dagli studenti), ma bisogna parlare e far parlare chi c’era e chi è venuto dopo, chi ha studiato la rivolta e i documenti oggi non più secretati, perché la memoria del passato – ha detto – è la pietra d’inciampo del futuro.

Molte cose, a partire dal Porto di Reggio, non sarebbero state realizzate senza i morti e i feriti di Reggio: non lo dimentichiamo. (s)

SIN DI CROTONE, LA CALABRIA OSTAGGIO
DEL PASSATO E L’ITALIA RESPIRA VELENO

di EMILIO ERRIGO – Immaginate un luogo dove il profumo della salsedine si mescola da anni con l’odore acre di solventi chimici e metalli pesanti. Un luogo dove i bambini imparano prima il significato della parola “bonifica” che quello di “giustizia”. Questo luogo esiste, e non è un caso isolato. Si chiama Crotone, ma potrebbe chiamarsi Taranto, Augusta, Priolo, Caserta o Melilli. È il Sud Italia, quello che ha accolto per decenni i rifiuti industriali di un Paese che ha fatto dell’inquinamento una merce da redistribuire territorialmente.

In questa narrazione del nostro tempo, la Calabria è stata ridotta a cerniera terminale del sistema nazionale dei rifiuti: un’area di servizio ambientale. Eppure, l’emergenza non è solo calabrese. È europea. È sistemica. Ed è figlia di una burocrazia che ha smesso da tempo di servire l’interesse generale.

A livello continentale, l’Unione Europea ha tracciato una rotta chiara: economia circolare, riduzione degli impatti ambientali, responsabilità estesa del produttore. Tuttavia, esiste un’altra verità parallela e contestuale. Molti Stati membri, compresa l’Italia – mentre il legislatore unionale accelera per modificare l’impalcatura normativa – faticano ancora a rendere efficiente il ciclo integrato dei rifiuti. L’eccessiva frammentazione del quadro regolatorio, le autorizzazioni complesse e i conflitti tra competenze rendono il sistema fragile.

Il principio europeo di prossimità e autosufficienza nella gestione dei rifiuti resta, nei fatti, il nostro “Nord vero” anche se resta evidente una circostanza: dove manca la regia, subentra l’abitudine: inviare ciò che è scomodo verso Sud, verso territori già martoriati e deboli nella capacità amministrativa.

Nel nostro Paese, la gestione dei rifiuti si muove in modo complesso, spesso disordinato. Da un lato, regioni settentrionali con impianti pubblici avanzati e virtuosi sistemi di raccolta differenziata. Dall’altro, un Sud ancora ostaggio di logiche emergenziali, discariche e impianti insufficienti.

Crotone, con il suo Sito di Interesse Nazionale (Sin), è diventata emblema di una distorsione sistemica: l’unica discarica tecnicamente attiva, destinata a ricevere anche rifiuti pericolosi da fuori regione, è situata proprio in città.

Eppure ci si chiede chi, nel tempo, abbia stabilito che la Calabria debba essere la valvola di sfogo di un sistema nazionale incapace di programmare e pianificare in modo equo.

Non c’è chi non veda che la Calabria ha già pagato, non solo con le falde contaminate, i suoli avvelenati, l’aria intrisa di polveri sottili , ma anche con le storie di madri, padri e figli spezzati da tumori.

Ed ecco quindi che la bonifica del Sin di Crotone non è un favore: è un diritto negato troppo a lungo.

Il sistema attuale non solo è inefficiente: è insopportabile. La vera emergenza oggi è la mancanza di semplificazione. Ogni fase del ciclo dei rifiuti — dalla classificazione alla tracciabilità, dalle autorizzazioni agli iter di bonifica — è imprigionata in una giungla burocratica che rallenta le soluzioni. Non è possibile continuare a pensare di dover impiegare anni e anni per bonificare un’area. Il tempo della carta deve finire. Ora è l’epoca dell’azione. La semplificazione non è un’opzione: è il fondamento della sostenibilità.

Il mio convincimento è che l’Italia debba implementare e/o dotarsi di un sistema di impianti pubblici interregionali tecnologicamente avanzati, distribuiti in modo equo, così che nessuna Regione sia più la discarica dell’altra. E questo si può fare solo rimuovendo i colli di bottiglia amministrativi che rallentano ogni fase del processo.

Mentre Eni Rewind ed Edison si fanno carico come soggetti obbligati della bonifica – con costi e pressioni  costanti –, il territorio sembra restare ostaggio della lentezza istituzionale. Non possiamo più accontentarci di soluzioni tampone. Crotone non può essere usata come laboratorio tossico della lentezza italiana.

Il cittadino calabrese non è meno esigente del lombardo o del veneto: vuole impianti efficienti, sicurezza per la salute e soprattutto rispetto. E il rispetto passa da una legge regionale che dica chiaramente: “Stop ai rifiuti extra-regionali in Calabria”, ma anche da una visione nazionale che garantisca alternative sostenibili.

Forse dobbiamo cambiare prospettiva. Se la terra calabrese fosse nostra madre, una madre purtroppo già malata, permetteremmo ancora che le scarichino addosso altre tonnellate di veleni? Se le acque contaminate fossero quelle che abbeverano i nostri figli, saremmo così propensi a mandare tutto a “carte bollate”? Crotone non è un caso tecnico: è una ferita morale. È un promemoria del futuro che stiamo negando a noi stessi.

Ora è il tempo del fare, del fare insieme, non del demandare. Perché se c’è un prezzo che la Calabria ha già pagato, è quello dell’indifferenza. E su questo, la storia – fatta dagli uomini – non può più essere complice.

[Emilio Errigo, commissario straordinario per la Bonifica Sin Crotone]

SVILUPPO SOSTENIBILE, CALABRIA ANCORA
LONTANA DAGLI OBIETTIVI DI AGENDA 2030

di MARIASSUNTA VENEZIANO – Dalla lotta alla povertà e alla fame all’istruzione di qualità, dalla parità di genere alla lotta al cambiamento climatico e al degrado delle risorse naturali. Sono questi gli ambiti in cui si combattono le grandi sfide globali tracciate nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Un impegno preso ormai dieci anni fa dai Paesi dell’Onu teso al raggiungimento dei “Sustainable Development Goals” (SDGs), gli obiettivi da realizzare entro i prossimi cinque anni.

L’Istat fotografa lo stato dell’arte attraverso il Rapporto SDGs 2025, giunto all’ottava edizione. «Un’analisi dei progressi dell’Italia e dei suoi territori – spiega il presidente dell’Istituto Francesco Maria Chielli – attraverso 320 misure statistiche connesse a 148 indicatori» tra quelli proposti dall’Inter Agency Expert Group on SDGs delle Nazioni Unite per il monitoraggio a livello globale degli avanzamenti dell’Agenda 2030.

Un lavoro che mira, attraverso i numeri, a orientare le politiche per il raggiungimento dei Goal. Goal che, allo stato attuale, non appaiono ancora a portata di mano, come si sottolinea nel Rapporto: «A distanza di dieci anni dal varo dell’Agenda 2030 e di cinque dalla scadenza temporale individuata per la sua realizzazione, i progressi verso gli SDGs, pur rilevanti in molti casi, non risultano nel complesso dei paesi avanzati e in via di sviluppo all’altezza delle aspettative».

A pesare, nell’ultimo decennio, la crisi pandemica, le tensioni geopolitiche, la spirale inflazionistica innescata dall’incremento dei prezzi dei prodotti energetici che hanno sottratto risorse rilevanti alla promozione dello sviluppo sostenibile.

Essenziali, ai fini del monitoraggio nazionale, i dati provenienti dalle singole regioni, da cui emerge una polarizzazione tra Centro-Nord e Mezzogiorno: nel Nord il 51,2% delle misure analizzate mostra valori migliori della media nazionale (48,4% per la ripartizione centrale), al Sud il 52,2% risulta invece peggiore.

«I Goal che contribuiscono maggiormente all’andamento più sfavorevole delle regioni del Mezzogiorno – si spiega nel Rapporto – sono l’8 (Lavoro e crescita economica), il 10 (Ridurre le disuguaglianze), l’1 (Povertà zero) e il 4 (Istruzione), con più del 60% di misure in posizione peggiore rispetto alla media. Nelle regioni del Nord, invece, le più ampie criticità si riscontrano per i Goal 2 (Fame zero), 14 (Vita sott’acqua)16 e 12 (Consumo e produzione responsabili), che registrano andamenti peggiori della media per almeno la metà delle misure».

La Calabria tra fragilità sociali ed economiche

Le regioni più indietro rispetto agli obiettivi sono la Campania e la Sicilia, ma pesanti criticità si segnalano anche in Basilicata e Calabria.

Un bilancio in chiaroscuro quello della nostra regione, tra diverse fragilità ma anche qualche punto di forza.

Più del 40% della popolazione è a rischio di povertà o esclusione sociale, una percentuale che pone il nostro territorio ai vertici delle diseguaglianze nazionali. Non si parla solo di povertà economica, a preoccupare è anche quella educativa, tra problemi come l’abbandono scolastico precoce e la bassa diffusione di competenze scolastiche tra i più giovani.

Secondo il Rapporto Istat, i Goal più problematici sono l’1 (Povertà), il 4 (Istruzione di qualità) e il 10 (Riduzione delle disuguaglianze). L’intensità di lavoro resta bassa, mentre i livelli di deprivazione materiale – mancanza di beni e servizi essenziali – continuano a colpire una fetta ampia della popolazione.

«Nonostante gli sforzi degli ultimi anni, la Calabria continua a scontare un ritardo strutturale rispetto al resto del Paese», si legge.

Segnali incoraggianti dal patrimonio naturale

Ma non tutto è negativo. Se sul piano sociale la Calabria arranca, sul fronte ambientale offre segnali incoraggianti. Il Rapporto sottolinea le ottime performance della regione rispetto al Goal 15 (Vita sulla Terra), grazie alla presenza di aree naturali protette, alla qualità del paesaggio rurale e alla biodiversità preservata.

Anche il Goal 14 (Vita sott’acqua) mostra dati positivi, in particolare per la qualità delle acque di balneazione. Lungo le coste calabresi, le acque cristalline non sono solo un’attrazione turistica, ma anche un indicatore di salute ambientale.

Le sfide calabresi per lo sviluppo

L’analisi Istat mostra anche qualche segnale positivo sul piano dell’evoluzione temporale. Alcuni indicatori mostrano miglioramenti rispetto agli anni precedenti, anche se la convergenza con il resto d’Italia resta lontana. La Calabria, insomma, non è ferma, ma la sua corsa è lenta e spesso ostacolata da carenze strutturali e investimenti insufficienti.

Il messaggio del rapporto è chiaro: serve una strategia integrata che punti su inclusione sociale, istruzione e sostenibilità ambientale. Investire nelle giovani generazioni, colmare il divario digitale, rafforzare il tessuto produttivo locale sono condizioni imprescindibili per cambiare davvero rotta. Sfruttando quello che rappresenta, al tempo stesso, una risorsa e una sfida: il patrimonio naturale. Saper coniugare tutela dell’ambiente e sviluppo economico potrebbe essere la chiave che apre la porta al futuro.

[Courtesy LaCNews24]