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Emilio Ledonne

Il RICORDO / Franco Cimino: Emilio Ledonne, il mio amico «amante della giustizia»

di FRANCO CIMINO – Mannaia, mannaia, due volte e cento, mannaia! È morto Emilio Ledonne, l’amico mio, che non ho mai frequentato, ma che ho fortemente sentito.

Ci siamo scambiati al massimo il saluto, da lontano. A volte, era lui, me distratto, a salutare per primo. Anche quando era in compagnia, praticamente sempre, con la sua inseparabile moglie. La moglie amata e dalla quale era amato allo stesso modo. Si vedeva apertamente l’amore e l’armonia in loro due che era un piacere davvero incontrarli. Un esempio per tutti. Un insegnamento dell’amore. Ché l’amore si insegna e si impara pure. È questa ammirazione, il primo segno della nostra amicizia. E la mia gratitudine verso quell’innamorato, che ti fa sentire bene. E per un fatto aggiuntivo e dimostrato. È cioè che l’amore è per sempre. In quel Sempre che muove verso l’infinito. Per il quale il vivere adesso, qui, in questo tempo umano, duri un giorno o cinquant’anni e più, conta poco.

C’è in quel “Per Sempre” l’appuntamento dell’eterno vivere insieme. Che bello il mio amico innamorato! Emilio Ledonne era un mio amico, perché, non poche volte, ha avuto l’umiltà di chiamarmi e di dirmi il suo apprezzamento per alcune mie battaglie sociali e politiche. Apprezzava in me, soprattutto, la coerenza del pensiero e l’onestà nel rappresentarlo. Di più il coraggio. “Continui professore, non si abbatta”, era il suo suono di tromba.

Il nostro appuntamento mai scambiato era sempre allo stesso posto, il Teatro. I due teatri della Città. Soprattutto, il Comunale, che lo vedeva sempre presente, alla solita poltroncina della solita fila, a sinistra scendendo, alla metà esatta della sala. Il suo amare il Teatro, in particolare quello semplice e popolare, dove il catanzarese più semplice e umile incontrava i nostri artisti, semplici e umili, ma grandissimi nell’arte, era la sua nuova agorà. “Dottore, le è piaciuto?”, la mia domanda uscendo. Sempre positiva, la sua risposta, nella quale talvolta si leggeva una certa generosità, che non era “menzogna”, ma affetto grato verso i teatranti e la loro immane fatica. Oltre che un modo per incoraggiarli a continuare. E a ripetersi migliorando.

Il Teatro, un altro spazio della nostra amicizia. Che bello il mio amico “artista”! Emilio Ledonne amava Catanzaro. L’amava di un amore autentico, fatto anche di profonda conoscenza. Conoscenza storica e antropologica. Culturale e sociale. Sociologica e psicologica. Tanto tenero con lei, severo con i suoi abitanti, duro con chi l’ha governati nel tempo. Le sue analisi erano rigorose, le sue proposte puntuali, le sue idee fortissime e innovative. Il suo amore era contagioso. Amava chi amava la Città nella quale è voluto tornare, dopo aver vissuto, per la sua missione, nelle Città più importanti d’Italia. Che bello il mio amico catanzarese.

Emilio Ledonne, era un mio amico perché amava la Giustizia. Quella con la maiuscola, che è fatta non solo di applicazione imparziale della legge, espressamente lavoro del giudice quale lui è sempre stato nelle due funzioni ricoperte in cinquant’anni di attività nella Giurisdizione. La Giustizia intesa anche come comprensione di chi commette il delitto e del contesto sociale e personale in cui il delitto si compie. Giustizia intesa anche come luogo articolato e complesso in cui chi delinque e paga la pena ma si rieduca, svolge egli stesso una funzione sociale, perché aiuta la società a migliorarsi nella crescita sua personale.

Anche per lui, per fortuna, la persona viene prima di tutto. Che bello il mio amico amante della Giustizia! Emilioledonne è un mio amico perché ha la passione per lo studio e la ricerca. La ricerca come speculazione sulla realtà, come intelligenza della comprensione della stessa. Ma pure come curiosità sfrenata per tutto ciò che gli accresceva la voglia di sapere, di entrare nelle cose apparentemente più lontane da lui. Profondo conoscitore della dottrina giuridica e della filosofia del diritto, Emilio Ledonne spaziava in campi del sapere sconfinati. Conosceva di tutto e di tutto con lui si poteva parlare, molti suoi interlocutori, me compreso, fermandosi, però, dinanzi alle più semplici nozioni.

Che bello il mio amico intellettuale! Della sua intensa attività antimafia e delle sue coraggiose indagini sul terrorismo ed altre forme di criminalità organizzata, non parlo sia per non scadere nella retorica, sia perché in queste ore di lui si parla prettamente per quest’attività, svolta con particolare acume nella nel suo ruolo di vice procuratore antimafia. Desidero, invece , dire della schiettezza e del coraggio della persona, che respingeva sempre convenevoli e “diplomatismi” vari. Rammento un fatto, per me indimenticabile, essendo anche la prima volta che lo incontravo di persona.

Nell’albergo più importante della città si svolgeva, promosso non so da chi, un convegno sulla mafia. I due relatori principali erano Monsignor Bertolone, arcivescovo e lui. Entrambi da poco tempo, per ragioni diverse, nella nostra Città. Ricordo con chiarezza gli interventi del Vescovo e dell’alto magistrato. Nonostante quello del Vescovo fosse duro, sincero e avanzato sul tema, Ledonne, in un’analisi rigorosa del fenomeno mafioso in Calabria, sferrò un duro attacco alla politica per quella sua parte di contiguità e di zona d’ombra. E alla stessa Chiesa per non aver fatto abbastanza nella lotta contro la ‘ndrangheta. Ricordo bene che il Vescovo se ne dolse molto,ma lui nelle rispettive repliche non arretrò di un passo.

Che bello il mio amico combattente! Infine, ma chiunque potrebbe continuare qui sotto a dire tanto ancora, il vezzo che si era concesso, l’uso del social più diffuso, Facebook. Come un giovinetto dei nostri tempi, egli usava questo strumento di comunicazione. Certo, il suo uso era corretto e moderato, tuttavia lo attivava, appunto, per comunicare. Comunicare, ecco! Il suo voler essere utile alla società già troppo frastornata da migliaia di “scorrette” e nevrotiche informazioni al minuto, questo il suo primo bisogno. Il secondo, ora che aveva dismesso la sua incontaminata toga, di rappresentare il meglio della dottrina giuridica e del Diritto, entrando con lucidità culturale e con coraggio “politico”, e su certe decisioni delle procure e sul vero significato di una norma.

In particolar modo, su alcune di quelle che una politica incolta vorrebbe cambiare come fossero pannolini al neonato. Che bello il mio amico maestro! Per questi motivi, oltre che per la mitezza e l’eleganza della sua persona, anch’io sento un dolore grande, del tutto personale, politico, sociale, per la perdita di un uomo e di un catanzarese così grande e bello. (fc)