L’assessore Calabrese: La Regione investe sugli alberi monumentali

«La Regione Calabria promuove la fruizione turistica degli alberi monumentali con un sostegno economico per i Comuni territorialmente interessati». È quanto ha reso noto l’assessore regionale all’Ambiente, Giovanni Calabrese, spiegando come «possono essere richiesti sostegni per interventi di recupero e messa in sicurezza delle sentieristiche di avvicinamento agli alberi, per la cartellonistica, per le opere di recinzione e abbellimento, per le visite guidate, il materiale informativo e promozionale, i seminari di educazione ambientale».

«Il Dipartimento Ambiente, con il dirigente generale Salvatore Siviglia, è impegnato da tempo – ha aggiunto – nel censimento degli alberi monumentali della Calabria. Ben 134 alberi di straordinaria valenza naturalistica sono stati inclusi nell’elenco regionale redatto ai sensi della vigente normativa nazionale e regionale. Il lavoro è stato possibile grazie alla fattiva collaborazione dei Carabinieri Forestali e dei Comuni territorialmente interessati».

L’articolato processo di riconoscimento del carattere di monumentalità ha riguardato la valutazione tecnica di svariati aspetti sia di tipo botanico-naturalistico che di tipo storico-culturale. Esemplari di notevole pregio e spettacolarità sono entrati a far parte dell’elenco nazionale degli alberi monumentali.

Tra questi: il millenario platano orientale di Curinga, il più grande d’Italia, forse piantato dai monaci basiliani, con un diametro di circa 12 metri e una cavità all’interno del tronco alta ben tre metri; l’abete bianco del brigante Musolino, in provincia di Vibo Valentia, che legenda vuole sia stato punto di riferimento e sede di incontri tra briganti; il Faggio di Cerzeto, un esemplare di circa 40 metri scelto da San Francesco di Paola per le sue soste durante i viaggi.

Inoltre, fanno parte dell’elenco anche alcuni splendidi esemplari di castagno, come quello rilevato nel comune di Cerva, che rappresenta oramai un simbolo per i castanicoltori del luogo, imponente con i suoi 9,5 metri di circonferenza del tronco, e quelli nel comune di San Luca: il castagno di Pietra Cappa e di Fontanelle, entrambi maestosi con una circonferenza del tronco rispettivamente di 6,5 e 9,5 metri.

«Si tratta – ha rimarcato infine l’assessore Calabrese – di un’altra iniziativa concreta che ha l’obiettivo di favorire una più ampia conoscenza, valorizzazione e tutela dell’importante patrimonio naturalistico che caratterizza la nostra regione. Gli alberi monumentali non sono solo belli ma racchiudono la storia di un determinato territorio».

«Sono il pregio – ha concluso – dei bellissimi paesaggi che caratterizzano la Calabria, spesso dimorati all’interno di itinerari turistico-naturalistici di grande rilievo che rappresentano, sempre di più, un grande attrattore turistico e, quindi, anche un possibile volano per il turismo e l’economia della regione Calabria». (rcz)

QUANDO IL PERICOLO VIENE DAL MARE
GREENPEACE: ALLARME CONTAMINAZIONE

di GIOVANNI MACCARRONESono diversi anni che ci consigliano di mangiare pesce. A parte qualcuno che per vari motivi sostiene che non è un alimento sano, la maggioranza dei nutrizionisti sostiene invece che inserire il pesce nella propria alimentazione è una scelta sostanzialmente vincente. Confesso: io non amo mangiare questo alimento. E francamente fino a qualche tempo fa ero dispiaciuto di questo.

Di recente, però, ho scoperto che questa estate lungo le coste calabresi si è ripetuto il triste fenomeno della moria di pesci (soprattutto cernie). La notizia non ha avuto una forte eco su tutti i social network. Chi ha avuto il coraggio di parlarne ha riferito che, secondo gli esperti, questo fenomeno è da attribuire al virus betanodavirus (un agente patogeno responsabile della Encefalopatia e Retinopatia Virale) che si sta diffondendo nelle acque dei nostri mari. 

La causa dell’espansione del virus non è ancora nota. Come di consueto, anche in questo caso si dice che la presenza del microorganismo in questione “potrebbe essere imputabile al periodo di elevata temperatura”. A ben vedere, però, non si tratta del primo caso di avvistamento di pesci morti sulle nostre coste. Vorrei ricordare l’inquietante moria di pesci avvenuta nell’agosto del 2021 tra Catanzaro Lido e Montepaone e tra Pizzo e Bivona. Inoltre è il caso di ricordare quanto è accaduto nel 2008 e nel 2019. Anche in questi casi si è attribuita la colpa all’aumento della temperatura terrestre. Qualcuno ha però osservato che l’ondata di caldo anomalo potrebbe essere “una delle cause della moria di pesci, ma non l’unica”.

Non a caso, infatti, il fenomeno si verifica spesso nelle zone interessate da un forte inquinamento, che rende la superficie marina piena di impurità e di colore verde. Tanto che per molti l’ipotesi più accreditata è quella degli sversamenti illeciti. Basti pensare in proposito al depuratore consortile di AcquaroDasà e Arena, nel Vibonese. Secondo quanto affermato in un recente articolo dal Sindaco di Dasà, “da 5 anni le fogne dei tre comuni bypassano l’impianto senza essere depurate”. Stessa cosa per il depuratore di Squillace. A luglio abbiamo appreso che il depuratore in questione era dismesso ma continuava a ricevere reflui che finivano poi in un canale.  

Certamente negli ultimi anni l’ondata di caldo anomalo ha determinato l’incremento delle temperature superficiali del mare e dell’aria. Come si è potuto notare, però, non è l’unico fattore a determinare la morte dei pesci. L’alto tasso di inquinamento ambientale fa certamente pensare anche ad altro. Lo ha confermato nell’ottobre del 2019 l’allora direttore del Dipartimento provinciale Arpacal di Vibo Valentia, dr. Clemente Migliorino, il quale, a proposito della moria di pesci nel lago Angitola, ha puntualizzato che «le analisi dei fitofarmaci rilevano la presenza di DDE e DDT; inoltre viene rilevata la presenza di para DDT e DDT totale, entrambi in concentrazioni superiori se confrontato i rispettivi standard di qualità ambientali, espressi come valori medi annui, riportati nella tabella 1A del decreto legislativo 172 del 2015 (Il DDE è un composto chimico derivante dalla perdita di acido cloridrico del DDT, ndr). La ricerca degli idrocarburi policiclici aromatici (Ipa) conclude Migliorino ha rilevato la presenza di Fenantrene mentre gli altri Ipa sono tutti al di sotto dei limiti di rilevabilità del metodo».

Comunque sia, vale la pena di evidenziare che, ad avviso della dott.ssa Rosa Maria Pennisi del laboratorio di virologia dell’Università di Messina, «non vi sono rischi diretti per l’uomo, ma considerato l’andamento cronico della malattia che gradualmente porta l’animale a non alimentarsi e, spesso, a causa del nuoto non coordinato, a sbattere e ferirsi su scogli o sul fondale contraendo infezioni gli esemplari rinvenuti moribondi vanno considerati non salubri, e ne va evitato il consumo».

Pertanto, se ho sempre desistito dal mangiare il pesce, figuriamoci adesso. In verità, questa convinzione si è fortemente accresciuta in quest’ultimi giorni, dopo aver letto i monitoraggi effettuati da Greenpeace Italia sul pescato in Toscana e in Calabria. Il Report pubblicato nel mese di ottobre è intitolato “Pescato al sapore di Pfas. Quando il pericolo viene dal Mare”.

Un’approfondita valutazione del monitoraggio ha confermato che tra il 2021 e il 2023 nei punti di osservazione di Sibari, Roccella Jonica, Crotone, Lamezia Terme e Nicotera è stata rilevata la presenza di PFOS in specie di interesse commerciale. L’elemento che preoccupa di più è sicuramente rappresentato dal fatto che “concentrazioni notevoli sono state registrate nei naselli e nelle triglie prelevate nella zona di Roccella Jonica (1,846 µg/kg e 1,367 µg/kg) e Sibari (triglia 1,825 µg/kg). Quello che sorprende, in particolare, sono i valori individuati nelle cicale di mare una specie di crostaceo di diffuso uso commerciale pescate sia nel mar Tirreno che nello Jonio.

In due casi, i livelli di PFOS superavano il limite di 3 µg/kg previsto dal Regolamento europeo 2022/2388 per i crostacei: 4,1 µg/kg in una cicala di mare pescata a Lamezia Terme e 3,06 µg/kg in una pescata a Crotone. In una cicala di mare analizzata a Nicotera il livello di PFOS era prossimo al limite, pari a 2,95 µg/kg. In esemplari della stessa specie prelevati a Sibari e Roccella Jonica invece i livelli erano comunque elevati, pari a 2,08 e 2,12 µg/kg rispettivamente”. 

Si conferma, pertanto, che i PFAS, dopo essere stati trovati nelle acque potabili, nella frutta e nella verdura sono presenti anche nel nostro mare e, quindi, nei pesci.

Ma cosa sono i PFAS (Sostanze Perfluoro Alchiliche)? Ebbene, i PFAS sono sostanze chimiche idrorepellenti e oleorepellenti. Detto più semplicemente, “sono acidi molto forti usati in forma liquida, con una struttura chimica che conferisce loro una particolare stabilità termica e li rende resistenti ai principali processi naturali di degradazione”.

Le classi di PFAS più diffuse sono il PFOA (acido perfluoroottanoico) e il PFOS (perfluorottanosulfonato). 

L’autorità europea per la sicurezza alimentare (in sigla EFSA) ha affermato che tali sostanze intervengano sul sistema endocrino, compromettendo crescita e fertilità, e che siano sostanze cancerogene. Dai risultati di studi scientifici è emerso, in particolare, che l’assunzione prolungata di PFAS incide sull’aumento di colesterolo nell’uomo e determina alterazione a livello di fegato e tiroide, del sistema immunitario e riproduttivo, e alcuni tipi di neoplasie.

Le Linee guida Ispra pubblicate l’11 giugno 2019 sul sito web del Sistema nazionale protezione dell’ambiente (Snpa, costituito da Ispra più le Agenzie locali per l’ambiente) per la progettazione di reti di monitoraggio per le sostanze perfluoroalchiliche (cd. “Pfas”) nei corpi idrici aveva già evidenziando che la presenza di Pfas è un fenomeno diffuso, che riguarda la maggior parte delle Regioni italiane.

A lanciare l’allarme è stato anche il report “Toxic Harvest” di Pan Europe (Pesticides Action Network) secondo cui la presenza di residui di PFAS in frutta e verdura europea è più che triplicata dal 2011 al 2021, con un tasso di crescita del 220% per la frutta e del 274% per la verdura.

Ricordiamo che i PFAS sono impiegati anche nei pesticidi chimici per aumentarne l’efficacia contro i parassiti. Per cui, è più che normale che gli alimenti siano contaminati da terreni a loro volta fortemente inquinati. Così come è altrettanto normale trovare i PFAS anche in mare. Come è stato giustamente evidenziato, a ben vedere “Il mare costituisce l’ultimo bacino ricettore di queste sostanze”.

Bisogna quindi intervenire subito per impedire o comunque limitare i danni futuri ad ambiente e salute. Alcuni paesi europei ci stanno già pensando, Mi riferisco alla Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia che, di recente, hanno presentato all’Echa (Agenzia europea per le sostanze chimiche) una proposta per regolamentare le oltre 10mila sostanze chimiche con l’obiettivo di ridurre le emissioni di PFAS nell’ambiente e rendere prodotti e processi più sicuri per le persone.

Solo che leggendo il report di Greenpeace emerge che la percentuale di valori positivi di sostanze poli e perfluoroalchiliche varia da Regione a Regione anche a seconda dell’accuratezza delle misurazioni effettuate dai diversi enti pubblici: «In poche parole, più una Regione fa controlli e utilizza strumenti precisi e all’avanguardia, più è probabile che venga rilevata una positività da Pfas durante i monitoraggi» (secondo Greenpeace, in Calabria sono stati raccolto dati analoghi a quelli della Toscana anche se in modo più sporadico e meno esteso).

Per evitare questo spiacevole inconveniente è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea la Comunicazione della Commissione «Linee guida tecniche sui metodi d’analisi per il monitoraggio delle sostanze per- e polifluoro alchiliche (PFAS). È stato evidenziato che con questa Comunicazione la Commissione vuole imprimere un’accelerazione al monitoraggio dei Pfas con criteri omogenei nell’ambito dell’Unione europea, in base a quanto stabilito dalla direttiva Ue 2020/2184, recepita in Italia con il decreto legislativo 23 febbraio 2023, n.18 (in quattro Regioni del sud Italia, Puglia, Sardegna, Molise e Calabria, dal 2017 al 2022 addirittura non risulta alcun controllo sulla presenza di PFAS nei corpi idrici)

Il problema è, però, che le citate linee guida tecniche valgono solo per le acque destinate al consumo umano (acque potabili) e non anche per l’ultimo bacino ricettore di queste sostanze (il mare).

Indipendentemente da quanto sopra, è certo, però, che necessita intervenire con limiti più stringenti alla presenza di sostanze perfluoroalchiliche nell’ambiente. Anzi, come sottolineato da Greenpeace «rimane quindi fondamentale varare una legge che vieti la produzione e l’utilizzo di PFAS, perché la salute del Pianeta e dei cittadini non può essere sacrificata agli interessi economici di pochi che ancora oggi, impunemente, hanno licenza di inquinare».

Mah, Speriamo bene. (gm)

Presentato il Report Mare Pulito, Calabrese: Obiettivo educare anche a rispetto all’ambiente

Circa 2mila kg di rifiuti, tra cui plastica, legno e assorbite un ingente quantitativo di schiume. 100 missioni aeree con i droni e altrettante subacquee grazie ai ROW i sottomarini a comando remoto. Sono stati oltre 4.500 i controlli con i sorveglianti idraulici e 3.000 i prelievi da parte dei laboratori mobili di Arpacal e di Anton Dohrn. Sono questi i numeri dell’operazione “Mare Pulito” 2024, una delle attività introdotte dalla Regione Calabria nell’ambito della strategia d’intervento a tutela dell’ecosistema e a difesa del mare calabrese.

L’operazione ha coinvolto i battelli antinquinamento “Sistema Pelikan” di Garbage Group, che, insieme a droni e row, e a una serie di altre azioni collegate, hanno fatto da deterrente contribuendo a diminuire gli sversamenti a mare durante i mesi di servizio dei battelli rispetto al 2023.

Fra il 27 luglio e il 10 settembre 2024 le 6 imbarcazioni hanno coperto una distanza totale di circa 9.500 miglia nautiche, il doppio rispetto all’anno 2023 navigando lungo le coste di Scalea, Belvedere Marittimo, San Lucido, Amantea, Vibo Marina, Vibo Marina SUD e Palmi 7 giorni su 7.

All’incontro con la stampa sono intervenuti l’assessore regionale alla Tutela dell’ambiente, Giovanni Calabrese, il dirigente generale del dipartimento Ambiente, Salvatore Siviglia, il Ceo di Garbage Group, Paolo Baldoni.

«La strategia d’intervento a tutela dell’ecosistema e a difesa del mare calabrese, con l’uso dei battelli antinquinamento “Sistema Pelikan”, introdotta due anni fa dalla Regione Calabria e fortemente voluta dal presidente Occhiuto – ha dichiarato l’assessore Calabrese – , si inserisce in un più ambio sistema di monitoraggio che comprende anche una control room regionale che gestisce, in tempo reale, le segnalazioni di inquinamento, ed è supportata da operatori di sorveglianza idraulica e laboratori mobili di Arpacal e dalla Stazione zoologica Anton Dohrn».

«I battelli pulisci mare – ha spiegato – intervengono direttamente nella raccolta dei rifiuti e dei materiali inquinanti. Fra il 27 luglio e il 10 settembre 2024 le 6 imbarcazioni, coprendo una distanza doppia rispetto all’anno 2023, hanno raccolto circa 2.000 kg di rifiuti, tra cui plastica, legno e assorbite un ingente quantitativo di schiume».

«Il nostro obiettivo – ha rimarcato l’assessore Calabrese – è anche quello di educare al rispetto dell’ambiente anche con azioni di tutela da comportamenti che contribuiscono a sporcare e contaminare il nostro bellissimo mare. Abbiamo messo in campo risorse materiali e umani per proteggerlo e custodire perché il mare rappresenta una risorsa inestimabile per l’economia turistica e per lo sviluppo di tutto il territorio della Regione Calabria».

«Il tutto ha avuto, anche – ha spiegato – un ruolo educativo e di sensibilizzazione, abbiamo, infatti, collaborato con le comunità locali, organizzando eventi di formazione e di prevenzione dell’inquinamento marino».

Infine i ringraziamenti dell’assessore Calabrese: «grazie a centinaia di operatori di Calabria Verde, di Arpacal, del dipartimento Ambiente, dei sorveglianti idraulici, degli operatori dei battelli pulisci mare e dei droni abbiamo affrontato e risolto tante criticità nella scorsa stagione estiva ed evitato disagio ai fruitori del nostro mare. A tutte queste persone che senza sosta hanno lavorato giorno e notte anche a ferragosto il mio sincero ringraziamento e di tutto il governo regionale con un testa il presidente Occhiuto».

«Oggi dobbiamo migliorare il monitoraggio – ha concluso – e la qualità dei servizi anche con un rinnovato impegno delle amministrazioni comunali e dei cittadini. Senza sosta inizia oggi l’operazione ‘mare d’inverno 2025’ con l’obiettivo di continuare a migliorare la qualità delle acque del nostro mare, le nostre coste, i nostri fiumi e tutto il nostro bellissimo e immenso patrimonio naturale, nostra forza di sviluppo che caratterizza la nostra Calabria».

«A prescindere dai numeri che sono obiettivamente molto interessanti – ha detto Paolo Baldoni– credo sia necessario fare 2 considerazioni. La prima è inerente al fatto che per il secondo anno consecutivo la Calabria è, nei fatti, la Regione più attenta alle politiche di difesa del mare d’Europa con ben 6 unità navali della nostra flotta operativa lungo le sue coste. La seconda è che diminuiscono le criticità del mare a testimonianza che il ‘Sistema Pelikan’ applicato in maniera costante e continuativa riesce a performare sempre meglio, specialmente per quanto concerne l’effetto deterrenza e la conseguente funzione educativa e comportamentale in ambito di educazione ambientale».

I risultati dell’operazione “Mare pulito” 2024 sono stati illustrati nel dettaglio dal dirigente Salvatore Siviglia. Il quale ha anche anticipato la programmazione del 2025 “Mare d’inverno”.

«Nel periodo di operatività compreso fra il 27 luglio e il 10 settembre 2024 i 6 battelli di Garbage Group – ha specificato Siviglia – hanno navigato lungo le coste di Scalea, Belvedere Marittimo, San Lucido, Amantea, Vibo Marina, Vibo Marina Sud e Palmi e hanno operato 7 giorni su 7. Inoltre, nella fase di Eco Intelligence, sono state lanciate oltre 100 missioni aeree con i droni e altrettante subacquee grazie ai ROW i sottomarini a comando remoto. Sono stati oltre 4.500 i controlli con i sorveglianti idraulici e 3.000 i prelievi da parte dei laboratori mobili di Arpacal e di Anton Dohrn. Un lavoro a 320 gradi».

«È stata costituita ad hoc – ha ricordato – una task force con l’attivazione di un tavolo permanente coordinato dalla Regione Calabria, attraverso il dipartimento Territorio e Tutela dell’ambiente. Le attività espletate hanno coinvolto i Comuni, i vari Enti preposti al controllo e monitoraggio del territorio, a partire dagli altri dipartimenti regionali competenti, dagli Enti strumentali e non, quali Calabria Verde, Sorical, Arpacal, Stazione Zoologica Anton Dhorn, e anche le varie associazioni ambientaliste e  i cittadini che hanno fornito un prezioso contributo attraverso le immediate segnalazioni sul portale regionale appositamente predisposto. Si tratta di un risultato importante per la tutela del mare e miglioramento della qualità delle acque di balneazione».

«Certo – ha evidenziato infine il dg Siviglia – il problema non è risolto totalmente ma il monitoraggio sta producendo i suoi effetti grazie anche alla collaborazione dei sindaci dei Comuni coinvolti. La notevole mole dei dati acquisiti anche nel corso delle campagne estive precedenti (2022-2023), hanno reso evidente il quadro delle problematiche fin qui affrontate e quelle ancora da affrontare. Siamo già partiti on le attività 2025 “Mare d’inverno”, il monitoraggio continuo del territorio sarà esteso ai confini di tutto il territorio costiero calabrese con un’attenta analisi del territorio e del contesto industriale/sociale».

All’iniziativa sono intervenuti, fornendo i dettagli delle diverse operazioni svolte anche Michelangelo Iannone, commissario ArpaCal, Giovanni Marati, direttore generale Sorical, Antonio Daffinà, subcommissario Unico Depurazione Regione Calabria, Giuseppe Oliva, Calabria Verde, Raffaele Mangiardi dirigente UOA Forestazione Regione Calabria.

È stato, inoltre,  detto come la piattaforma WebGIS Forestazione, a cura dell’Uoa alla forestazione della Regione Calabria, sia un gemello digitale del territorio che consente di monitorare e tutelare il territorio in modo efficace e mirato. Grazie a questa piattaforma, si possono verificare velocemente le segnalazioni, incluse quelle provenienti dai cittadini attraverso il portale Difendi Ambiente, e attivare subito le risposte necessarie. Un altro specifico contributo di questa unità è il monitoraggio del territorio con l’uso di droni: le immagini acquisite vengono rese disponibili in tempo reale, permettendo a tutto il gruppo di analizzarle e intervenire rapidamente.

Le unità navali “Sistema Pelikan” sono dei veri e propri laboratori galleggianti a tutela dell’ecosistema. Dotati di droni per la sorveglianza e la rilevazione di rifiuti galleggianti in mare, ROV sottomarini per scannerizzare i fondali e geo referenziare i rifiuti e kit antinquinamento per schiume, mucillagini, idrocarburi, sostanze grasse e oleose in superficie e semi sommerse fanno del natante uno strumento unico che permette di raccogliere ogni genere di rifiuti in mare in particolare la plastica. Oltre a svolgere un ruolo fondamentale di pulizia, monitoraggio e risposta alle emergenze, il Pelikan System svolge un ruolo di deterrenza. (rcz)

 

L’OPINIONE / Francesca Dorato: Regione e Governo usino fondi per le infrastrutture inutili per il territorio

di FRANCESCA DORATO – I violenti e repentini cambiamenti climatici stanno letteralmente mettendo in ginocchio tante regioni italiane, devastate da alluvioni, smottamenti, straripamenti di fiumi e torrenti. Anche la Calabria negli ultimi giorni è stata interessata da importanti eventi atmosferici che hanno provocato danni al territorio e alle sue infrastrutture stradali.  Emblematico quanto accaduto sulla SS 208 nei pressi di Lamezia Terme.

Appare chiaro che in una terra già fortemente interessata  da fenomeni di dissesto idrogeologico ed erosione del suolo, occorra la massima attenzione da parte del governo regionale alla manutenzione e alla cura dell’ambiente, così come alla sicurezza di tutte le arterie di comunicazione. Sul punto, inutile dire, che la governance Occhiuto è deficitaria, assente tanto nella programmazione di strategie di prevenzione, quanto incapace di far fronte alle tante emergenze quotidiane.

È necessaria la predisposizione di risorse e misure idonee ad evitare, o quanto meno ridurre, il pericolo di incendi nei periodi più caldi, e di allagamenti, esondazioni e smottamenti nei periodi di maggiori precipitazioni.
Occorre mettere a punto un piano di sicurezza territoriale e ambientale che renda sicuro il territorio e le sue infrastrutture, attraverso investimenti economici concreti ed immediati.

Il governo regionale e quello nazionale abbandonino, dunque, pseudo-futuribili progetti di inutili infrastrutture e recuperino – destinandole al loro naturale e legittimo utilizzo – le risorse per la manutenzione della rete viaria e il contenimento del rischio meteo-idrogeologico e idraulico. (fd)

[Francesca Dorato è responsabile ambiente Pd Calabria]

L’OPINIONE / Michele Sapia: Prevenzione e lavoro ambientale per superare la cultura dell’emergenza»

di MICHELE SAPIASono bastati pochi giorni di piogge intense per mettere in ginocchio un’intera regione. Assistiamo in queste ore ad alluvioni e frane, strade, vie di collegamento ed edifici distrutti, territori e campi allagati a causa dell’eccezionale portata delle precipitazioni che hanno colpito la Calabria.

Non è però questo il momento delle polemiche e delle accuse, ma è l’ora della responsabilità, di sostenere un confronto tra istituzioni, autorità e parti sociali per una vera e propria pianificazione regionale per contrastare il dissesto idrogeologico, mettendo al centro la prevenzione, il lavoro ambientale-forestale, il valore del presidio umano e la multifunzionalità del bosco. 

Sono indispensabili responsabilità e consapevolezza che tali fenomeni atmosferici, così violenti, sono destinati ad aumentare, come diretta conseguenza dei cambiamenti climatici in atto.

La soluzione più adeguata, per arginare le continue emergenze in un territorio come la Calabria che, come rileva l’Ispra, ha il primato di essere la regione italiana più esposta ai fenomeni alluvionali, è quella di ingenti investimenti in prevenzione.

Occorre una pianificazione trentennale che consideri la vulnerabilità del territorio calabrese, la sua particolare conformazione, segnata da ripidi pendii e migliaia di corsi d’acqua, che con le piogge possono rapidamente ingrossarsi, ma anche contrastare la cementificazione selvaggia, evitando di costruire in aree a rischio.

Fondamentale sarà inoltre un piano di riforestazione in quelle aree danneggiate, la manutenzione e il controllo dei corsi d’acqua, migliorare le infrastrutture ambientali esistenti e costruirne di nuove progettate per resistere a questi eventi atmosferici estremi, per garantire la sicurezza di popolazioni e attività produttive. 

Ma tali propositi rischiano di restare soltanto sulla carta, se non sarà valorizzato in Calabria il lavoro nei comparti del sistema ambientale e agricolo, con i lavoratori che dovranno essere i veri protagonisti di queste politiche di prevenzione e tutela del territorio calabrese, al centro di quella necessaria transizione ambientale e sostenibile, che dovrà garantire prima di tutto sicurezza e presidio umano, recupero di intere aree abbandonate, sviluppo e miglioramento delle opere infrastrutturali, nel solco di quanto fatto a partire dalla metà degli anni Cinquanta dagli operai forestali e addetti alla bonifica: interventi di sistemazione idraulica, consolidamento di terreni franosi, rimboschimento, realizzazione di infrastrutture civili con conseguente miglioramento della qualità della vita delle popolazioni, tutti interventi che hanno generato sicurezza, servizi e opportunità.

Il dissesto idrogeologico in Calabria rappresenta una delle principali sfide ambientali e sociali e come tale va affrontata, attivando sinergie che favoriscano il dialogo tra i soggetti interessati, con l’ausilio di università e centri di ricerca, sostenendo l’importante lavoro di chi opera per la messa in sicurezza del territorio e favorendo un indispensabile ricambio generazionale per immettere nuove energie, nuovi profili professionali e competenze, tecnologie e intelligenza artificiale al servizio dell’uomo e delle comunità. 

Solo insieme, in un’ottica partecipata e in una visione lungo periodo sarà possibile interrompere la “cultura dell’emergenza”, consapevoli che le risorse per la prevenzione e il lavoro agro-ambientale rappresentano investimenti per un futuro del territorio più sicuro, meno vulnerabile a fenomeni di erosione, frane e alluvioni, più green e sostenibile, aperto ad occasioni di sviluppo, specie per le future generazioni. (ms)

[Michele Sapia è segretario generale Fai Cisl Calabria]

 

L’EOLICO NON FARÀ BENE ALLA CALABRIA
SARÀ UN DISASTRO A LIVELLO AMBIENTALE

di GIOVANNI MACCARRONEChe la Calabria sia la meta preferita per l’installazione degli impianti eolici non è dubbio. Nel novembre 2023, infatti, risultavano già attivi nella nostra regione 440 impianti eolici – il 70% si trova nelle province di Crotone e Catanzaro e sono pure in aumento le richieste di concessioni (attualmente 157 sono in corso di valutazione).

Risultano in aumento anche le richieste di installazione di impianti eolici off-shore. Di recente, in particolare, è venuta alla luce l’ipotesi di costruzione ed esercizio di un parco eolico off-shore di tipo galleggiante denominato “Enotria” nello specchio acqueo del Golfo di Squillace, a largo di Punta Stilo, nel mare Ionio.

Si tratta di un impianto eolico off-shore di tipo galleggiante composto da 37 aerogeneratori con una potenza complessiva di 555 mw posti tra circa 22 e 33 kilometri al largo della costa orientale della Calabria. Ciascun aerogeneratore di potenza unitaria di 15 mw avrà un’altezza massima complessiva di 355 m.s.l.m.

Questo ha creato un grande scompiglio. Sono diversi giorni che se ne parla. Comunque sia, “Nel bene e nel male basta che se ne parli” (lo diceva un certo Oscar Wilde).

È evidente, infatti, che in una regione come la Calabria (nota come la “terra tra due mari”), dove la principale attrazione è rappresentata appunto dal mare, è veramente devastante pensare che tra qualche anno ci troveremo a dover fare i conti con un paesaggio arricchito (si fa per dire) di strutture dotate di pale, turbine e generatori collocati in mare aperto al largo delle nostre coste.

Qualcuno dice che bisogna farsene una ragione. L’obiettivo è quello di realizzare una nuova politica energetica che assicuri la piena sostenibilità ambientale, sociale ed economica del territorio nazionale. Per cui, per realizzare questo obiettivo, è necessario sfruttare al meglio l’enorme potenziale energetico del vento. Costi quel che costi (locuzione che Mario Draghi pronunciò il 26 luglio 2012, nell’ambito della crisi del debito europeo). Insomma siamo messi proprio male. 

Il Meridione e la Calabria in particolare devono pagare il fatto che il territorio ha una maggiore disponibilità del vento, esiste una certa profondità dell’acqua e le proprietà geotecniche del fondale marino e tale da consentire l’ancoraggio a catene delle predette strutture.

Forse è stato anche questo il motivo che di recente ha spinto il legislatore a prevede nel D.L. n. 181/2023 (“Decreto Energia”) l’introduzione di un’importante novità in materia di sviluppo della filiera dell’industria dell’eolico off-shore.

Per installare un impianto eolico di questo tipo sono necessarie grandi infrastrutture e logistica, Servono, quindi, strutture per costruire e montare le torri e i galleggianti a partire da enormi tubi di acciaio, banchine esclusive nel porto, depositi per una grande quantità di materiale, e così via, oltre all’affitto di navi specializzate, prenotate con mesi o anni di anticipo.

Consapevoli di quanto sopra è stato perciò previsto nel decreto citato (DL 9 dicembre 2023, n. 181 convertito in legge 2 febbraio 2024, n. 11) un articolo (l’art. 8) che prevede al comma 1 la pubblicazione, entro il 9 gennaio 2024, da parte del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, di un avviso volto alla acquisizione di manifestazioni di interesse per la individuazione, in almeno due porti del Mezzogiorno rientranti nelle Autorità di sistema portuale o in aree portuali limitrofe ad aree in phase out dal carbone, di aree demaniali marittime con relativi specchi acquei esterni alle difese foranee, da destinare, attraverso gli strumenti di pianificazione in ambito portuale, alla realizzazione di infrastrutture idonee a garantire lo sviluppo degli investimenti del settore della cantieristica navale per la produzione, l’assemblaggio e il varo di piattaforme galleggianti e delle infrastrutture elettriche funzionali allo sviluppo della cantieristica navale per la produzione di energia eolica in mare. 

Quindi, stando a quanto sopra riportato, non solo il nostro territorio rischia di essere invaso da strutture dotate di pale, turbine e generatori da realizzarsi sulla terraferma (impianti onshore) su autorizzazione della Regione (o delle province delegate) oppure  da posizionarsi a mare (impianti offshore), dietro autorizzazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ma dovremmo assistere anche alla creazione nelle aree del Mezzogiorno di un polo strategico nazionale nel settore della progettazione, della produzione e dell’assemblaggio di piattaforme galleggianti e delle infrastrutture elettriche funzionali allo sviluppo della cantieristica navale per la produzione di energia eolica in mare.

I più attenti avranno notato che il testo originario del decreto-legge prevedeva l’individuazione di due soli porti (anziché “almeno” due porti) del Mezzogiorno di aree demaniali marittime da destinare alla realizzazione di un polo strategico nazionale per l’eolico off-shore.

Come è facile intuire, tutto questo consentirà la realizzazione di più aree – che dovranno necessariamente essere aree portuali del Sud Italia – destinate alla realizzazione di “infrastrutture idonee a garantire lo sviluppo degli investimenti del settore della cantieristica navale per la produzione, l’assemblaggio e il varo di piattaforme galleggianti e delle infrastrutture elettriche funzionali allo sviluppo della cantieristica navale per la produzione di energia eolica in mare”.

Il che, come è evidente, significa che di questo passo il nostro mare e le nostre coste saranno invase da enormi strutture metalliche.

Siamo alla fine (almeno per ora…) di un percorso, come si è visto, a dir poco sconvolgente.

Ma a livello ambientale quale futuro ci aspetta? Un vero e proprio disastro. È importante notare sul punto che, per la realizzazione e l’esercizio dei vari progetti, sarà necessario immettere in mare materiale derivante da attività di escavo e di posa in opera di cavi e condotte, con grave inquinamento dell’acqua marina e riduzione della biodiversità.

Inoltre, le strutture off-shore – come si è sopra detto – utilizzano un sistema di ancoraggio a catene. L’ormeggio “a catenaria” utilizza delle catene lunghissime che tengono ancorata la struttura galleggiante sovrastante, anche grazie alle ancore terminali. Tuttavia, c’è un problema: i galleggianti, e di conseguenza le catene, tendono a muoversi, sotto la spinta delle onde e delle maree, determinando notevoli problemi alla flora e alla fauna ittica (si pensi alle praterie di Posidonia Oceanica).

A tal proposito bisogna prendere in considerazione anche il rumore emesso dagli impianti che provoca un vero e proprio inquinamento acustico che, a sua volta, incide fortemente sull’ecosistema del nostro mare.

Non bisogna trascurare, poi, che gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili entrano sicuramente in collisione con la tutela del paesaggio. Non è chi non veda, infatti, che spesso gli impianti off-shore risultano visibili dall’occhio umano dalla costa o unitamente alla costa. Essi, quindi, incidono negativamente sui valori paesaggistici. Ma anche quando gli impianti in questione non dovessero risultare visibile all’occhio umano (in quanto posti a circa 22 o 32 Km dalla costa), il risultato non cambierebbe, dato che essi possono tranquillamente incidere negativamente sui valori paesaggistici anche se poste a notevole distanza dai territori costieri.

In tal senso è, del resto, la Corte Costituzionale, secondo cui il paesaggio deve essere considerato «l’ambiente nel suo aspetto visivo», e che l’art. 9, secondo comma, Cost. sancisce un principio fondamentale, che vale sia per lo Stato che per le Regioni, ordinarie e speciali, con la precisazione che il riferimento testuale della norma costituzionale è alla «Repubblica», con ciò affermandosi la natura di valore costituzionale in sé e per sé del valore del paesaggio. 

Pertanto, se da una parte siamo d’accordo con chi giustamente sostiene che l’uscita dalle fonti fossili è necessaria per fermare la crisi climatica, dall’altra parte riteniamo tuttavia molto importante valutare con una certa attenzione l’eventuale pregiudizio al paesaggio derivante da un impianto eolico off-shore. Non c’è dubbio, in sostanza, che «all’interesse alla tutela del paesaggio debba essere riconosciuto, nel bilanciamento con gli altri interessi potenzialmente antagonistici (primi fra tutti quello alla tutela dell’ambiente e quello allo sviluppo delle fonti rinnovabili a copertura del fabbisogno energetico), un peso specifico particolarmente elevato, fino a giustificare, in determinate e motivate ipotesi di compromissione irreversibile di aspetti e caratteri identitari del territorio ritenuti irrinunciabili ed in assenza di alternative (quale potrebbe essere in ipotesi, l’arretramento verso il mare aperto degli impianti o l’adozione di misure di mitigazione), anche un divieto di installazione».

È del resto chiaro, in conclusione, che, siccome si è comunque in presenza di un interesse costituzionale gerarchicamente superiore, sarebbe il caso di trovare strade alternative per ridurre le emissioni di gas serra a livello globale.

Si pensi che solo nel 2020, per quanto riguarda l’Europa, è stata registrata una riduzione delle emissioni di gas serra pari al 7,6%. Le ragioni sono state direttamente collegate a un grande cambiamento delle abitudini lavorative e di vita: con lo smart working, la riduzione dei viaggi d’affari e turistici, l’intera industria dei trasporti ha visto un calo nell’uso, e di conseguenza, un crollo nelle emissioni.

Forse sarebbe il caso di ripartire da qui e crederci

Speriamo bene. (gm)

L’OPINIONE / Emilio Errigo: Salvate almeno le fiumare e il mare dai rifiuti in Calabria

di EMILIO ERRIGO – Del pericolo rifiuti illecitamente abbandonati sulle strade e torrenti, del crescente stato degrado e incuria in cui versano le caratteristiche Fiumare Calabresi, ne avevo già parlato e scritto, informando come di mia consuetudine ad esclusiva tutela e protezione delle bellezze paesaggistiche e ambientali della nostra Calabria, i sempre più numerosi lettori e sostenitori di Calabria.Live.
Non sono in molti a sapere che a dispetto dei Cittadini della Calabria, che non si rendono ancora conto che le Fiumare della Calabria non sono e non devono diventare le discariche dei rifiuti solidi urbani, men che meno di scarico di materiale inerte da demolizione e ristrutturazioni edilizie, ogni anno sono in migliaia gli escursionisti e naturalisti, i quali attrezzati di tutto punto, provenienti da ogni parte del mondo, amano fare Trekking nelle suggestive e originali Fiumare ciottolose e sabbiose della Calabria.

Se in prossimità delle foci delle Fiumare vicino al mare, noterete delle macchine e automezzi di ogni genere con targhe straniere parcheggiate, sappiate che sono turisti che a differenza di noi Calabresi, percorrono ore e ore a piedi lungo i greti asciutti delle Fiumare, per osservare, ammirare, fotografare, godere delle presenze botaniche, ambienti ancora per grazia di Dio incontaminati, arbusti e cespugli fioriti di ginestra, origano, menta di montagna, felci europee, margheritoni, castagneti, faggeti, ecosistemi ancora integri e una ricca biodiversità di esseri viventi non riscontrabili in altre aree naturalistiche presenti in giro per l’Europa.

Quello che non è proprio bello a vedersi sono le buste biodegradabili contenenti rifiuti solidi urbani solitamente contenitori di prodotti alimentari, copertoni di auto, elettrodomestici, parti meccaniche, mobilio storico e quant’altro che è meglio tacere, lasciati o meglio abbandonati, chissà dove, da chi e quando, nelle Fiumare della Calabria, quelle di Reggio Calabria e Provincia in primis.

Benedetti signori ma non vi viene in mente che in ogni Città e quasi in ogni Comune superiore a 5000 abitanti, esiste un Centro-Deposito Raccolta Rifiuti Ingombranti dove poter conferire gratuitamente i propri rifiuti di casa di cui si intende disfarsi e i residui da lavoro delle variegate attività d’impresa?

Occorre solo telefonare al numero di pubblica utilità ambientale reperibile tramite telefonini per informarsi come fare chiedendo alle disponibili persone addette dell’Ufficio Comunale e si riceveranno tutte le indicazioni e suggerimenti necessarie delle quali si avverte il bisogno.

La coscienza e l’intelligenza ci dovrebbero indurre a pensare che quei rifiuti che noi abbandoniamo ai margini delle carreggiate stradali, rotatorie, cavalcavia, sottopassi ferroviari e stradali, piazze, giardini coltivati e terreni pubblici e privati, rischiano di essere attrattori di insetti, parassiti, ratti, animali incustoditi, incendiati, oppure alle prime piogge intense invernali finire attraverso la foce dei fiumi, torrenti e fiumare, nelle acque dei fondali marini.

Il caso più irragionevole ed emblematico di quanto è stato più volte detto, ridette e scritto, riguarda le due Fiumara del Torrente Valanidi I e II, fiumare tristemente note perché causa principale della disastrosa e mortale alluvione del 1953, che colpi nella notte dopo quattro giorni di piogge alluvionali, le strade e gli abitanti di Ravagnese-San Gregorio-Mortara e San Leo di Reggio Calabria. Bene come se i ricordi di quel disastro ambientale alluvionale e la memoria non avessero più senso, incivili o come li ha etichettati benevolmente in lingua nota ai più italianizzata, (sporcaccioni ) il carissimo sindaco della Città Metropolitana di Reggio Calabria, l’avv. Giuseppe Falcomatà, ci sono ancora personaggi indefinibili che continuano a lanciare dai finestrini delle auto sacchetti di rifiuti solidi urbani, presso l’uscita dello svincolo San Gregorio provenienti da San Leo o in direzione Pellaro.

Non solo e qui il disastro ambientale è vistoso, dopo che a seguito di tanto lavoro di bonifica ambientale e messa in sicurezza, e rimozione dalle tonnellate e tonnellate di rifiuti di ogni genere e pericolosità (temorcombusti abusivamete) della strada di accesso al Mercato Ortofrutticolo di San Gregorio, grazie anche alle indagini delle Forze di Polizia, Arpacal e Polizia Locale, sono stati liberati dai rifiuti tutte le strade e aree mercatali, dove hanno pensato di attivare la discarica?

Proprio nel greto della adiacente Fiumara Valanidi, quella denominata fiumara della morte che fu causa dell’alluvione di San Gregorio. Guardate il servizio fotografico di qualche giorno addietro. I danni ambientali sono rilevanti e compromettono la salute delle acque di balneazione e pesca.

Essere più protettivi e difensori della natura in cui viviamo e dei cui beni alimentari ci cibiamo, credo che costi pochi sacrifici, di contro i benefici ambientali e sociali per la nostra qualità della vita sono grandi. (ee)

(Emilio Errigo è nato a Reggio di Calabria, docente universitario e studioso di diritto ambientale)

PARCHI EOLICI, IN CALABRIA È PROTESTA
SENZA POLITICHE SERIE È UN SACCHEGGIO

Di VINCENZO IMPERITURA – Se non è (ancora) muro contro muro, poco ci manca. Da una parte, la possibile trasformazione della Calabria in uno degli hub energetici dell’intero Paese – in compagnia di Sardegna, Sicilia e Puglia – inizia  a diventare concreta, con alcuni dei progetti di parchi eolici avanzati dai colossi delle rinnovabili in rampa di lancio per conquistare le caselle rimaste libere sul territorio regionale. Dall’altra, sempre più comitati spontanei a difesa dei boschi e dei mari calabresi si stanno rimboccando le maniche con ferme e pacifiche iniziative di protesta per bloccare i temuti cantieri.

Una presa di posizione netta che ha preso piede in tutte le aree dove sono previsti i nuovi, giganteschi, parchi e che, forse come mai prima in passato, ha visto anche sindaci e amministratori schierarsi decisamente a difesa del territorio. Una protesta compatta che viaggia veloce dal Pollino allo Stretto e che, alle temute speculazioni delle multinazionali americane e nord europee innescate dal decreto energia del ministro Pichetto Fratin e facilitate dal “piano integrato energia e clima” approvato dalla Regione nel luglio dello scorso anno, dice si all’energia pulita e rilancia con la richiesta per le istituzioni delle “comunità energetiche” che, seppur contemplate nel documento rilasciato dalla Giunta regionale, non hanno trovato finora la sponda giusta.

A rinverdire le polemiche legate ai nuovi parchi eolici in attesa di realizzazione è arrivata, storia di una manciata di giorni fa, il primo Sì ministeriale – ma i tempi del progetto sono ancora lunghi – per l’allestimento del gigantesco parco eolico galleggiante che “Acciona” vorrebbe costruire al largo della costa: l’ipotesi presentata dalla multinazionale spagnola prevede un parco galleggiante di 37 turbine per 555 MW di potenza stimata da collegare a terra con un cavidotto sottomarino fino a Scandale. Il nuovo parco dovrebbe sorgere proprio accanto ad un altro parco dalle medesime dimensioni, che la stessa Acciona vorrebbe realizzare poco più sud.
Anche in questo caso le turbine sarebbero 37 per una potenza di 555 MW e sarebbero collegate attraverso un cavidotto sottomarino di 51 km fino a Roccelletta, per poi collegarsi alla rete nazionale a Maida attraverso un nuovo cavidotto di 17 chilometri. Secondo il progetto, la costruzione delle gigantesche turbine è prevista nel porto di Augusta, in provincia di Siracusa. E ancora, i due progetti “Fortevento” che la “Ocean Winds” vorrebbe allestire sempre nel golfo di Squillace per un totale di 78 torri e più di 1000 MW di energia da collegare direttamente all’interno del porto di Crotone, il “Krimisa Floating Wind” (62 torri alte 286 metri da allestire al largo di Isola Capo Rizzuto) a cui si aggiunge un altro parco galleggiante (28 turbine alte più di 300 metri) da realizzare al largo di Corigliano-Rossano.

«L’ipotesi di fare della nostra regione un hub energetico – scrive in una nota Gianmichele Bosco, presidente di quel consiglio comunale di Catanzaro che nei mesi scorsi aveva manifestato il suo convinto No all’opera  –  si è trasformata, in assenza di politiche serie a difesa degli interessi collettivi, in un saccheggio indiscriminato del territorio nell’interesse privato di pochi, che ora guardano anche allo sfruttamento della risorsa mare. Come al solito, chi sa fiutare il business è venuto qui, sapendo anche di poter trovare terreno favorevole per fare e disfare a suo piacimento, come è sempre accaduto in passato. Ma questo non è più accettabile ed è opportuno che si sappia».

Finora, i No di sindaci e amministratori hanno potuto ben poco (in sede di conferenza dei servizi il parere delle amministrazioni comunale non è comunque vincolante a causa delle semplificazioni amministrative dettate dal decreto che regola la transizione energetica) contro l’assalto dei colossi delle rinnovabili al territorio e al mare calabrese, ma la “grana” eolico è già esplosa e i comitati contrari alla costruzione delle gigantesche pale che già soffocano l’intero territorio regionale, promettono un autunno caldo. (vi)

[Courtesy LaCNews24]

MALADEPURAZIONE, IN CALABRIA CI SONO
ANCORA MOLTI CENTRI PRIVI DI IMPIANTI

di GIOVANNI MACCARRONECome è possibile che ogni anno si ripresenti lo stesso identico problema nella stragrande maggioranza della nostra regione?

Negli ultimi giorni ci stiamo ponendo questa domanda con una certa insistenza. Il tutto parte dai diversi maxi blitz dei Carabinieri che quasi ogni anno avvengono in Calabria sulla gestione dei depuratori e dalle recenti notizie sul mare sporco in parecchie zone costiere della nostra regione.

Tutti i cittadini calabresi sono indignati, infastiditi, esasperati (e chi più ne ha più ne metta). A questo proposito, qualche giorno fa è anche intervenuto l’ex pm Luigi De Magistris, il quale nel commentare il mare sporco in Calabria, ha tenuto ad evidenziare: “In 20 anni non è cambiato nulla, avevamo provato a fare pulizia”.

Per dirla tutta, sono passati più di 20 anni. Risale, infatti, al 21 maggio 1991 la Direttiva 91/271/Cee del Consiglio, concernente il trattamento delle acque reflue urbane (Gu L 135 del 30.5.1991, pag. 40-52). Nel 1998, per chiarire alcune norme che avevano portato a interpretazioni divergenti nei paesi dell’Ue, la Commissione ha adottato la direttiva 98/15/Ce, entrata in vigore il 27 marzo 1998.

Dall’analisi dei paesi aderenti alla Cee (ora Ue), già nel 1991 è emersa la necessità di un intervento costante e incisivo sulle acque reflue urbane, anche perché la presenza di acque reflue urbane trattate in modo inadeguato o non trattate rappresenta un grave pericolo per la salute umana.

Le acque che non vengono trattate vengono riversate nei fiumi, quindi in mare La diffusione di materiale fecale nell’ambiente (acque di balneazione e acque potabili) possono causare nell’uomo infezioni da E. Coli che provocano diarrea e dolori addominali e possono causare malattie anche molto gravi come enteriti, colite emorragica, infezioni urinarie, meningite e setticemia.

In Italia la direttiva sopra citata (che, in generale, opera in sinergia con altri atti legislativi dell’Ue e contribuisce fortemente al conseguimento degli obiettivi della direttiva quadro Acque, della direttiva Acque di balneazione e della direttiva Acqua potabile), in un primo momento, è stata attuata con il DLgs n, 152 del 11 maggio 1999 (“Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/Cee concernente il trattamento delle acque reflue urbane…11”, pubblicato, nella Gazzetta Ufficiale n.101/L, del 29/5/99, e ripubblicato nella Gazzetta Ufficiale1 n. 146/L del 30/7/99 con aggiunta di relative note)

Il 18 agosto 2000 è stato poi emanato il decreto legislativo n. 258 recante “Disposizioni correttive e integrative del D.L.gs. 11 maggio 1999, n. 152, in materia di tutela delle acque dall’inquinamento a norma dell’articolo 1, comma 4, della legge 24 aprile 1998 n.128” pubblicato sulla G.U. Supp. Ord. n. 153\L del 18\9\20.

Successivamente, tutta la normativa nazionale di riferimento per lo scarico delle acque, è stata unificata ed inglobata nel D.Lgs. 3 aprile 2006, n.152 (Testo Unico Ambiente) che disciplina totalmente la materia in tutti i suoi aspetti (principi generali e competenze, obiettivi di qualità, tutela dei corpi idrici e disciplina degli scarichi, strumento di tutela, sanzioni).  Segnaliamo anche il D.M. 185/2003, che definisce i criteri tecnici per il dimensionamento, la costruzione, l’esercizio, la manutenzione e il controllo degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane, e il D.M. 186/2003 che determina le metodologie per l’effettuazione delle analisi delle acque reflue, a cui dobbiamo aggiungere – per dovere di informazione – il regolamento (Ce) n. 1882/2003, il quale stabilisce norme comuni per il monitoraggio e il controllo delle acque reflue, e il Regolamento (Ue) 2020/741 del 25 maggio 2020 (che trova applicazione a decorrere dal 26 giugno 2023) recante prescrizioni minime per il riutilizzo delle acque reflue per usi agricoli.

Insomma, come è agevole intuire, in base a tutta questa normativa di riferimento che presiede alla gestione delle acque reflue (e parliamo di tutte quelle che oltre ad essere urbane, possono anche presentarsi solo come acque reflue industriali, e/o di soli servizi e/o anche solo domestiche, ecc), dovremmo stare in una consistente botte di ferro.

Purtroppo non è proprio così. In Italia un terzo degli scarichi urbani e industriali va a finire direttamente nei fiumi o nel mare senza alcuna depurazione: in totale si contano 927 agglomerati di acque reflue non conformi sparsi su tutto il territorio nazionale per un carico generato totale di 29,8 milioni di abitanti equivalenti (sempre per dovere di informazione si evidenzia che l’unità di misura standard per l’inquinamento è l’abitante equivalente” (a.e.). Essa descrive l’inquinamento medio prodotto da una persona/giorno).

Per effetto della mancata o errata attuazione della normativa europea nell’ordinamento nazionale, nei confronti dell’Italia sono state aperte da parte della Commissione europea ben quattro (4) procedure di infrazione (Infrazione 2004/2034 per 75 agglomerati sopra i 15.000 abitanti equivalenti che scaricano in aree non sensibili, infrazione 2009/2034 per 16 agglomerati maggiori di 10.000 abitanti equivalenti, che scaricano in aree sensibili, Infrazione 2014/2059 per agglomerati con popolazione maggiore a 2.000 abitanti equivalenti e infrazione 2017/2181 per 237 agglomerati con oltre 2.000 abitanti equivalenti che non dispongono di adeguati sistemi di raccolta e trattamento delle acque di scarico urbane)

Nonostante i numerosi solleciti, l’Italia è stata però condannata dalla Corte europea di giustizia per non avere completato le fogne e i depuratori di parecchie città, soprattutto in Calabria, dove in larga parte il servizio è gestito direttamente dai Comuni (al riguardo consigliamo di leggere le due sentenze della Corte di Giustizia europea, emesse nel luglio 2022 e nel maggio 2018 e quella  emessa nell’aprile 2014, mentre per la terza infrazione bisogna attendere, dato che la sentenza è ancora in fase istruttoria). 

Attualmente l’Italia è condannata al pagamento di sanzioni pecuniarie pari a euro 257.800.000 nel settore delle discariche abusive, a euro 281.840.000 per quanto riguarda la gestione dei rifiuti in Campania, ad euro 142.911.809 nell’ambito delle acque reflue. 

“E io pago!”, per usare la celebre battuta del barone Antonio Peletti (interpretato da Totò) nel celebre film “47 morto che parla”.

Qualcuno potrebbe dire che qui non c’è (niente) da scherzare e, per la verità, avrebbe pure ragione. Sta di fatto che, per fortuna, il nostro legislatore ha pensato bene di prendere le cose sul serio e dal 2017 in Italia è stato istituito un Commissario unico per la depurazione delle acque (al momento guidata dal Prof. Fabio Fatuzzo e dai due Sub Commissari, dott. Antonio Daffinà e l’avvocato Salvatore Cordaro, nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 7 agosto 2023, di concerto tra il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e il Ministro per gli Affari Europei, il sud, le politiche di coesione e il Pnrr), che si occupa di tutti gli interventi necessari per far uscire le varie zone del Paese dai contenziosi Ue, in sostituzione dei precedenti Commissari nominati con l’art. 7 del D.L. n. 133/2014 (c.d. decreto sblocca Italia). Dal 2019, con il decreto Clima, le competenze si sono estese anche alle procedure 2014/2059 e 2017/2181, per cui sono stati previsti in totale 606 interventi in 13 regioni italiane.

C’è da domandarsi, tuttavia, se è funzionale tale soluzione alla risoluzione della problematica generale relativa agli impianti di trattamento e smaltimento delle acque reflue. Nutro (e non da solo) più di un dubbio in proposito

Innanzitutto, se il legislatore avesse voluto essere coerente fino in fondo, nel rispettare l’impegno preso con l’Unione Europea, non avrebbe dovuto prevedere la figura del Commissario unico solo per la risoluzione delle problematiche emerse dalle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea di cui sopra (e a questo proposito segnaliamo che l’Ispra, a partire dal 2007, raccoglie ed elabora tutte le informazioni trasmesse dalle Regioni e dalle Province Autonome di Trento e di Bolzano, in Sintai – Sistema Informativo per la Tutela delle Acque in Italia – sono disponibili i report di sintesi, inoltrati alla Commissione dell’Unione Europea. L’ultimo report disponibile, trasmesso nel 2020, è relativo ai dati con la situazione al 2018).

Invece, come ben evidenziato nella proposta di revisione della direttiva sulle acque reflue urbane (di recente adottata dal Parlamento Europeo), “gli Stati membri dovranno istituire, entro e non oltre il 1º gennaio 2025, una struttura di coordinamento tra le autorità competenti per la salute pubblica e il trattamento delle acque reflue urbane. Tale struttura stabilirà i parametri da monitorare e con quale frequenza e il metodo da applicare”.

In seconda battuta: emerge la necessità di un intervento costante nel monitoraggio degli impianti di trattamento e smaltimento delle acque reflue al fine di verificare che le diverse figure che operano nella gestione degli impianti di depurazione, pubblici e privati (le figure che operano nell’ambito della gestione dei depuratori sono: 1. il titolare dello scarico ex art.124 D. Lgs. n. 152/2006; 2. il gestore del depuratore; 3. il manutentore del depuratore; 4. il produttore dei rifiuti del depuratore, su cui si innesta la recente Sentenza Tar Calabria (CZ) Sez. I n. 2231 del 9 dicembre 2022), si siano effettivamente adoperati nel seguire i diversi trattamenti impiegando tecnologie adeguate e personale specializzato, effettuando analisi preventive che classifichino gli scarichi e i rifiuti e le lavorazioni ad essi correlate.

Ricordiamo, a tal fine, che l’art, 132 del Tua, al comma 1, prevede quanto segue: «Nel caso di mancata effettuazione dei controlli previsti dalla parte terza del presente decreto, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare diffida la regione a provvedere entro il termine massimo di centottanta giorni ovvero entro il minor termine imposto dalle esigenze di tutela ambientale. In caso di persistente inadempienza provvede, in via sostitutiva, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa delibera del Consiglio dei Ministri, con oneri a carico dell’Ente inadempiente».

Al comma 2, invece, stabilisce che «Nell’esercizio dei poteri sostitutivi di cui al comma 1, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare nomina un commissario “ad acta” che pone in essere gli atti necessari agli adempimenti previsti dalla normativa vigente a carico delle regioni al fine dell’organizzazione del sistema dei controlli».

La direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane è stata adottata proprio allo scopo di proteggere l’ambiente dalle ripercussioni negative provocate dagli scarichi di acque reflue da fonti urbane e settori specifici. Gli Stati membri sono tenuti a garantire che le acque reflue provenienti da tutti gli agglomerati con oltre 2 000 abitanti siano raccolte e trattate secondo le norme minime dell’Ue.

In caso di mancato rispetto della direttiva comunitaria e delle conseguenti legislazione attuativa all’interno del nostro Stato in materia di reti fognarie urbane, depurazione delle acque reflue, adeguatezza degli impianti di trattamento dovrebbe, quindi, inesorabilmente scattare l’intervento sostitutivo di cui sopra oppure la nomina del commissario “ad acta”.

Si può tranquillamente giungere all’adeguata protezione dell’ambiente solo applicando e facendo applicare la normativa sommariamente ricordata a chi di dovere senza varianti di alcun genere.

La qual cosa non credo sia stato fatto finora. Anzi, credo che sia stato fatto proprio il contrario (unica eccezione è rappresentato dall’insistente e quotidiano intervento della Guardia Costiera calabrese, a cui va un doveroso riconoscimento per le frequenti operazioni di tutela dell’ambiente che ogni anno consentono di rilevare i vari illeciti penali e amministrativi a danno di depuratori di acque reflue asserviti ai comuni ricadenti nella propria giurisdizione. A tal proposito, mi piacerebbe che il Capo dello Stato conferisse all’intero corpo un encomio collettivo per tutto il lavoro svolto in questi anni in Calabria). 

Per cui ci siamo trovati tutta l’estate frequentemente con il mare di colore verde, chiazze marroni, depuratori dismessi che continuano a ricevere reflui, liquami fognari provenienti da scarichi abusivi o condutture rotte, ecc. (eppure il Tribunale di S. Maria Capua Vetere nel decreto 5 maggio 2011 ha tenuto a precisare che “sussiste a carico del  Sindaco il fumus dei  reati di danneggiamento e di omissioni di atti d’ufficio nel caso in cui  in assenza di autorizzazione ex art. 124 d.lvo 152\06 attiva uno scarico di reflui fognari provenienti da insediamento urbano con immissione in corso d’acqua superficiale e le cui acque risultano inquinanti per presenza di sostanze che superino i parametri di legge,  perché trattasi di condotta idonea a danneggiare il fiume ricettore e perché viene  omessa l’attivazione dei poteri che il RD 1265\34 Tu Leggi sanitarie attribuisce al Sindaco”).

La qual cosa è anche determinato dal fatto che esistono in Calabria un numero, ancora troppo rilevante, dei centri urbani – piccoli, medi e grandi… – privi di impianti centrali di depurazione fognaria o dotati di impianti parziali (cioè insufficienti a servire tutte le acque reflue urbane prodotte) ovvero a servizio di “sistemi di condotte”, cui non sono ancora allacciati (tutti o parte) degli “agglomerati” interessati.

In generale, poi, gli impianti sono collocati in aree che presentano problematiche di tipo geomorfologico (aree golenali di fiumi, in prossimità della costa o di torrenti, su terreni in pendenza, onde appare ancora urgentissimo, oltre che necessario, provvedere, quanto prima, alla realizzazione di nuove strutture o al miglioramento di quelli già esistenti (che è poi l’Obiettivo dell’Investimento Pnrr 4.4: fognatura e depurazione. per il cui raggiungimento sono destinati interamente al Sud 600 milioni di euro. Ulteriori investimenti saranno ricompresi nell’ambito delle politiche di coesione 2021-2027). 

Infine, segnaliamo che, sebbene la Cedu (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo firmata a Roma il 4 novembre 1950 e entrata in vigore in Italia con legge di ratifica del 4 novembre 1955, n. 848.), non preveda espressamente il diritto a un ambiente salubre, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha deciso diverse cause nelle quali era in questione la qualità dell’ambiente che circondava una persona, e ha ritenuto che condizioni ambientali pericolose o destabilizzanti potevano incidere negativamente sul benessere di una persona (si veda la recente sentenza del 9 aprile 2024, nel caso Verein KlimaSeniorinnen Schweiz and Others c. Switzerland, la Corte europea dei diritti dell’Uomo (Cedu) ha dato ragione all’associazione elvetica. In questa sentenza, la Corte europea citata, con 16 voti favorevoli contro uno, ha affermato che, la mancata adozione delle misure idonee a impedire il surriscaldamento globale e gli effetti negativi dei cambiamenti climatici, costituisce violazione degli articoli 6 ed 8 della Cedu, che riguardano il diritto ad un equo processo e il diritto al rispetto della vita privata e familiare).

Quindi, d’ora in poi, nonostante l’immissione di acque reflue non depurate in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria non sia, di per sé, un diritto tutelato dall’articolo 8 Cedu, «la presenza persistente e duratura di acque reflue non depurate» può avere conseguenze avverse per la salute e la dignità umana, minando di fatto la sostanza della vita privata. Pertanto, qualora siano soddisfatte tali stringenti condizioni, può sorgere, a seconda delle specifiche circostanze della causa, un obbligo positivo dello Stato.

Noi, comunque, nonostante tutto quanto sopra, continuiamo a sperare che le cose prima o poi vadano per il verso giusto

In che tempi si perverrà alla soluzione dei problemi legati alla mala depurazione non possiamo dirlo. È certo, però, che “solo chi sogna può volare” (citazione tratta dal libro di James Matthew Barrie su Wendy e Peter Pan nei giardini di Kensington).

Per cui, continuiamo a sognare. Speriamo bene. (gm)

Siviglia (Dip. Territorio): Regione sempre contraria a scorie Eni Rewind a Crotone

Salvatore Siviglia, direttore generale del Dipartimento Territorio e Tutela dell’ambiente della Regione Calabria, ha ribadito che «la Regione Calabria è sempre stata contraria all’ipotesi di smaltire le scorie Eni Rewind a Crotone, di allargare la discarica esistente o di modificare il nostro Piano rifiuti».

«In merito al decreto direttoriale con il quale il Mase ha dato il via libera ad Eni Rewind per smaltire le scorie della bonifica dell’area industriale dismessa nella discarica Sovreco di Crotone, il viceministro all’Ambiente e Sicurezza energetica, Vannia Gava, non ricorda evidentemente – ha spiegato – la posizione della Regione Calabria espressa in modo chiaro in conferenza dei servizi».

«L’incontro preliminare del febbraio 2024 del quale parla Gava era stato uno step esclusivamente tecnico, durante il quale Eni Rewind aveva illustrato ai rappresentanti di Regione, Provincia e Comune il proprio progetto per la bonifica dell’area in questione», ha detto Siviglia, parlando di «un incontro irrituale che aveva destato sorpresa e durante il quale avevo manifestato la contrarietà della Regione sul merito e sul metodo. Contrarietà ribadite con un esplicito parere negativo della Regione Calabria durante la conferenza dei servizi tenutasi lo scorso 26 giugno: parere negativo correlato da un dossier con relative motivazioni».

«Non capiamo, dunque, a cosa si possa riferire il viceministro Gava – ha concluso – quando nella sua nota parla di ‘processo condiviso’». (rcz)