AUTONOMIA, DOPO SENTENZA CONSULTA
IL REFERENDUM NON È PIÙ ATTUABILE

di ERNESTO MANCINIDopo la sentenza della Corte Costituzionale del 14 novembre scorso che, pur non avendo dichiarato illegittima l’intera legge sull’autonomia differenziata ne ha censurato tutti gli elementi più significativi, c’è da chiedersi se il referendum abrogativo dell’intera legge sia ancora ammissibile e se, pertanto, si debba svolgere o meno.

Si ricorda che la legge n. 86 del 26 giugno 2024, detta anche legge Calderoli, stabilisce la possibilità di trasferimento alla competenza esclusiva delle Regioni di intere materie legislative ed amministrative previste invece come competenza in concorso tra Stato e Regione. Addirittura, la legge consente il trasferimento di tutte le ventitré materie come richiesto dalla Regione Veneto ovvero una gran parte di esse – quindici – come richiesto dalla Regione Lombardia.  Tra le materie trasferibili spiccano, per importanza strategica, istruzione, sanità, ambiente, trasporti, le quali sono già state oggetto delle preintese 2018 ed ora sono confermate dalla legge Calderoli all’art.11.

Si ricorda pure che la legge è stata impugnata per incostituzionalità ai sensi dell’art. 127 Cost. dai ricorsi di alcune regioni (Toscana, Puglia, Campania e Sardegna) ora decisi dalla Corte Costituzionale con la già menzionata sentenza del giorno 14. La legge è tuttora avversata dalla proposta di referendum abrogativo avanzata dal Comitato Promotore formato da partiti, sindacati, associazioni e comitati NO AD (no a qualunque autonomia differenziata) che ha raccolto oltre 1.300.000 forme durante la scorsa estate. La procedura per l’ammissibilità di tale referendum è in corso e dovrà definirsi entro il mese di dicembre a cura della Corte di Cassazione ed eventualmente della Corte Costituzionale.

I precetti della Corte Costituzionale

Per capire se il referendum sia ancora attuale dopo la sentenza della Corte va chiarito che tale organo (detto anche Giudice delle Leggi perché non giudica uomini ma, appunto, leggi) ha colpito e si può dire “affondato”, i punti principali della legge dettando anche princìpi vincolanti per qualsiasi attuale o futuro progetto di autonomia. 

La Corte ha sentenziato che in ogni caso si devono osservare i princìpi dell’unità della Repubblica, della solidarietà e non della competitività tra Regioni, dell’eguaglianza, della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio. Tutti princìpi esattamente opposti a quelli che caratterizzano la legge Calderoli.

Ma, a parte l’affermazione dei princìpi ora ricordati, il Giudice delle Leggi ha colpito al cuore la legge Calderoli stabilendo testualmente che una normativa sull’autonomia non può trasferire intere materie legislative ed amministrative (sanità, istruzione, ecc.) alla competenza esclusiva di singole Regioni ma solo particolari funzioni relative a tali materie. 

Peraltro, tale trasferimento di particolari funzioni non è libero ma, continua il Giudice Costituzionale, deve essere “giustificato” dalla necessità rispetto alle esigenze dello Stato e del bene comune. Deve inoltre osservarsi il principio di sussidiarietà e cioè si deve dimostrare che la singola funzione sia meglio attuata esclusivamente a livello territoriale rispetto al concorso Stato/Regione.

L’esempio su quanto stabilito dalla Corte è agevole: non può trasferirsi la “materia sanità” che, in quanto materia di rilevanza costituzionale (art.32) è affidata all’intera Repubblica (Stato-Regioni-Comuni-Città Metropolitane). Né possono trasferirsi singole funzioni in cui si articola la sanità come l’assistenza ospedaliera, l’igiene pubblica, l’assistenza farmaceutica, l’assistenza medica di base, quella specialistica, la funzione veterinaria, e molte altre, in quanto si tratta di funzioni non specifiche alla singola regione ma comuni a tutte. 

Peraltro, il principio di sussidiarietà che valorizza le autonomie territoriali non può spingersi fino al punto da escludere lo Stato abolendo di fatto il Servizio Sanitario Nazionale ex art. 32 Costituzione e leggi di riforma sanitaria 833/78 e 502/92. Tutto ciò vale anche per l’istruzione, “spina dorsale del Paese” (Asor Rosa, intervista al Corriere del 2.11.2018) ed anche per l’ambiente, oggi da proteggere efficacemente soprattutto con politiche comuni sovrastatali. Così, insomma, vale la giusta applicazione del principio di sussidiarietà per ogni altra materia di rilevanza costituzionale.

Ma il Giudice delle Leggi, nonostante questi parametri siano di per sé già sufficienti per bloccare la legge Calderoli, non si è fermato qui.

Egli ha infatti stabilito che per i Lep (livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali) spetta al Parlamento e non al Governo fissare i princìpi ed i criteri direttivi per la loro determinazione. Ha precisato che l’aggiornamento dei Lep non può farsi con atto governativo (DPCM) bensì con atto del Parlamento e ciò vale anche per le aliquote di compartecipazione al gettito tributario. I finanziamenti non vanno peraltro determinati in base alla spesa storica ma sulla base di costi e fabbisogni standard, il che rende peraltro giustizia alle regioni del sud che, sulla base della spesa storica, possono solo perpetuare la loro insufficienza nei servizi pubblici (es: servizi sociali) senza alcuna implementazione che soddisfi il vero fabbisogno come certificato dai Lep.

Inoltre, le Regioni non hanno la facoltà (come vuole Calderoli nella sua legge) bensì l’obbligo di concorrere agli obbiettivi di finanza pubblica, né il Governo è esclusivo titolare del potere di iniziativa per le intese sulle autonomie particolari.

C’è dell’altro nella massima della Corte Costituzionale ma qui non mette conto di parlarne perché quanto evidenziato basta e avanza per dire che la legge Calderoli non esiste più dovendosi, affinché sia immune da vizi di illegittimità costituzionale, apportare tutte le modifiche e le integrazioni sostanziali volute dalla Corte medesima. Cha la legge sia stata demolita dai dicta della Corte Costituzionale è peraltro opinione comune della stragrande maggioranza dei costituzionalisti che in questi giorni hanno fatto sentire la loro voce.

Dunque, il referendum?

Ed allora possiamo tirare le somme per rispondere alla domanda iniziale che ci siamo posti.

A nostro avviso il referendum non è più attuale perché interverrebbe su una legge che, seppure formalmente ancora in piedi, non è più applicabile nelle sue parti fondamentali. Sono stati introdotti dal Giudice Costituzionale tali e tante modifiche ed integrazioni sostanziali e non certo marginali che fanno venire meno proprio l’oggetto del referendum.  

In altri termini si voterebbe su una legge che in gran parte non esiste più anche perché alcuni princìpi introdotti dalla Corte devono già considerarsi del tutto simili al c.d. ius superveniens: il noto  articolo 116, terzo comma  del titolo quinto della Costituzione che prevede la possibilità di autonomie particolari (e non differenziate), dovrà interpretarsi per il futuro come se ci fosse un ulteriore comma il quale stabilisce  che le “materie” di cui all’art. 117 non sono trasferibili alla esclusiva competenza delle regioni, che le “funzioni”  devono essere specifiche e non comuni (es.: minoranze linguistiche, luoghi di confine o con esigenze particolarissime, ecc. ) ed in ogni caso anche le funzioni devo essere giustificate dalla perfetta applicazione del principio di sussidiarietà.

 

La giusta autonomia regionale

Molti firmatari della richiesta di referendum, tra cui il sottoscritto, sono favorevoli allo sviluppo dell’autonomia regionale ma non certo nella forma voluta da Calderoli giustamente definita secessionista o frantumatrice dell’unità della Repubblica.  Essi sono contrari allo statalismo di massima centralizzazione ma pure al secessionismo ed alla competitività tra Regioni. 

Essi vogliono l’autonomismo regionale come disegnato dai Padri Costituenti nel 1948 eventualmente aggiornato dal legislatore del 2001(nuovo titolo V) ma a condizione che tale aggiornamento sia interpretato ed applicato secondo le odierne ed inderogabili direttive del Giudice delle Leggi.

Ben vengano perciò i Lep (livelli essenziali delle prestazioni e relativi fabbisogni e costi standard); così si “certificherà” una volta per tutte quale sia il bisogno effettivo di ciascuna regione rispetto agli standard, quale e quanta differenza via sia tra regioni ricche e regioni povere, come debba assolutamente abbandonarsi il criterio assurdo della spesa storica che nulla aggiunge alle regioni povere ed anzi le costringe ad un permanente distacco dalle regioni ricche.  Ben venga tutto ciò, così sarà meglio misurabile anche la performance della classe dirigente territoriale politica e tecnico-burocratica.

I Lep, insomma, non servono per favorire autonomie differenziate ma sono necessari per avere chiaro quanta esigenza vi sia di riequilibrio tra i diversi territori in cui si articola la Repubblica. 

Cosa succederà ora? 

Se i supremi giudici dichiareranno inammissibile il referendum resta comunque al Parlamento l’onere di introdurre tutte le direttive costituzionali imposte dalla sentenza sapendo che ogni deroga sarà illegittima stante questo precedente tassativo; se il Parlamento non correggerà la legge nel senso indicato, la stessa resterà lettera morta (come già è successo per altre leggi) in quanto non applicabile essendo stati già espunti tutti i punti essenziali che la caratterizzavano.

Se invece i supremi giudici dichiareranno ammissibile il referendum su quel nulla che resta della legge sarà ancora più difficile raggiungere il già difficilissimo quorum (circa 25 milioni di cittadini) stante la scarsa partecipazione alle urne registratasi negli ultimi anni ora vieppiù sostenuta dal fatto che la legge Calderoli è stata già cassata dall’organo di verifica della illegittimità costituzionale e di essa non resta più nulla. Ma si può fare.

Intanto qualcuno dica a Calderoli & Co (Salvini, Zaia, Fontana e maggioranza governativa) che la partita in ogni caso l’hanno già persa e che finalmente l’autonomia regionale non sarà mai differenziata come loro avrebbero voluto con uno spirito anticostituzionale e spezzaitalia mai visto dal 1948 ad oggi. (em)

 

REGGIO – I consiglieri di IV: Decisione Consulta chiara bocciatura linea politica della Lega

Per i consiglieri comunali di Reggio di Italia Viva, la bocciatura della Consulta dell’autonomia «rappresenta un freno alla politica promossa dalla Lega».

«Si tratta, quindi – si legge nella nota – di una bocciatura chiara di quella linea politica. E deve far pensare anche sulle posizioni espresse da Forza Italia e dal presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto».

«Ora – hanno sottolineato – è necessario che i parlamentari del Sud riflettano e che la pericolosa idea dell’autonomia differenziata venga definitivamente messa da parte».

«Sebbene i giudici non abbiano ritenuto fondata la questione di costituzionalità riguardante l’intera legge – hanno detto – alcune sue parti fondamentali sono state dichiarate illegittime. Alla base della decisione la Consulta ha ribadito tre principi cruciali: l’unità indissolubile della Repubblica, la solidarietà tra le regioni e l’uguaglianza dei diritti di tutti i cittadini italiani».

«Un’altra criticità fondamentale sollevata dalla Corte riguarda la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP), ovvero gli standard dei servizi che devono essere garantiti uniformemente su tutto il territorio nazionale. La Consulta ha evidenziato che tali livelli non possono essere fissati da una delega legislativa generica o da un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, poiché questo limiterebbe il “ruolo costituzionale del Parlamento” e svuoterebbe la sua funzione legislativa, che spetta al Governo».

«Di fronte a ciò – hanno detto – si ribadisce l’importanza di mantenere la gestione di settori come sanità e istruzione sotto il controllo statale, poiché le regioni più in difficoltà necessitano di un sostegno maggiore. Molti servizi, come gli asili nido, sono più sviluppati al Nord, ma non nelle regioni del Mezzogiorno, e la spesa storica va riformata per garantire opportunità e risorse a chi è rimasto indietro». (rrc)

L’OPINIONE / Mimmo Praticò: Autonomia inciderebbe in modo determinante sull’attività sportiva

di MIMMO PRATICÒ – Premesso che, ritengo, l’autonomia differenziata importante per lo sviluppo
dello Sport sul Territorio, mentre lo Sport è importante per migliorare la salute dei
cittadini.

Sull’Autonomia Differenziata, fino ad oggi, si sono dette un mare di parole, una montagna di discorsi, senza, a mio parere, mettere in pratica la vera realtà che vive il nostro Territorio. Un Territorio ultimo in tutto, penalizzato dai “migranti italiani” che (fortunatamente non partono più con la valigia di cartone legata con i lacci),sempre più numerosi sono costretti a partire per i lidi del Nord Italia, quando va bene, altrimenti sono “costretti” a volare verso terre lontane, non in cerca di fortuna, bensì per “esportare” le proprie intelligenze, le proprie capacità, il proprio sapere, riuscendo ad “ingegnarsi” per raggiungere traguardi professionali orgogliosamente prestigiosi.

Io sono sicuro che noi saremmo pronti ad accettare la sfida che rappresenta l’Autonomia Differenziata, purché, prima di farla diventare operativa, lo Stato ci mettesse nelle condizioni di poter partire ad armi pari. Se così fosse “ce la giocheremmo” senza paura, perché il nostro Territorio, meglio di tanti altri, conosce il senso del sacrificio, le aspre difficoltà della sofferenza, l’amarezza delle privazioni che dobbiamo affrontare giornalmente.

Lo Stato, se veramente volesse che il nostro Territorio uscisse dal vassallaggio in cui è stato confinato, dovrebbe prima metterci sulla stessa linea di partenza per poter “combattere” con gli stessi mezzi. Noi ci possiamo domandare: che c’entra la Sport con l’Autonomia Differenziata? C’entra, eccome se c’entra!
Basterebbe mettere a norma i tanti impianti sportivi per garantire l’uso in sicurezza. Costruire impianti prendendo in considerazione tutte, o la maggior parte, delle discipline sportive, affinché i giovani e tutti i cittadini avrebbero la possibilità di scelta (senza costruire, in linea di massima, campi di Calcio a pochi chilometri uno dall’altro).

Dare la possibilità e l’opportunità ai diversamente abili di accedere a qualunque impianto, gratificandoli nelle loro scelte, accentuando le loro capacità e loro attitudini. Recuperare le decine o centinaia di opere sportive iniziate e mai completate; sul nostro Territorio ce ne sono diverse in queste condizioni. Mettere in condizioni la Cittadinanza di utilizzare gli impianti applicando “prezzi sociali”, in modo da permettere a tutti di praticare l’attività sportiva, considerato le difficoltà economiche di una buona percentuale di famiglie che vivono in uno stato di indigenza.

Altra importante considerazione, ma non ultima, è la definizione della gestione degli impianti, dato per scontato che, ormai, i Comuni hanno abdicato a tale compito, è giusto aprire alla gestione dei privati purché applichino prezzi agevolati per soddisfare tutti i ceti sociali. È di fondamentale importanza, in questa scelta, che i Comuni si impegnino, tramite i propri funzionari, di controllare, almeno ogni 6 mesi, l’andamento e il mantenimento qualitativo della struttura.

Spesso i Comuni concedono gli impianti sportivi in gestione ai privati per togliersi un peso o perché non hanno un numero di personale in condizioni di poter fare le dovute verifiche.Pertanto può succedere ( o succede) che gli impianti appena costruiti non sono soggetti a controllo e, a lungo andare, la struttura inizia ad andare in malora sempre di più,fino a quando non si è costretti ad abbandonarla o a chiuderla per inagibilità.

Parlare degli innumerevoli benefici che porta lo Sport, credo li conosciamo tutti: l’attività fisica contribuisce a mantenere e migliorare il benessere psico-fisico a qualunque età. Lo “stare insieme” dello Sport evita la depressione, la solitudine, la sedentarietà e ti permette di confrontare  con gli altri le tue capacità motorie. Lo Sport ti insegna il rispetto delle regole, attività sociale importante per una collettività che perde, ogni giorno di più, il senso di questo Valore sociale.

Nello Sport è difficile che vinca chi non è nelle condizioni di esprimere al meglio le sue qualità fisiche e mentali.Nello Sport non ci sono raccomandazioni e, laddove ci fossero, sarebbero come le bugie:”hanno le gambe corte”. Lo Sport, come la Scuola e la  musica, fa nascere amicizie spontanee che  spesso si trasformano in rapporti che durano per tutta la Vita. Considerato che il Mondo in questo periodo sta vivendo conflitti devastanti, mi permetto aggiungere che: «nello Sport si vince senza uccidere, in guerra si uccide senza vincere».

Insomma, l’Autonomia Differenziata inciderebbe in modo determinante sull’attività sportiva non solo perché combatte le malattie, bensì perché offre un grande contributo al benessere sociale; tant’è che, è universalmente riconosciuto, incide del 1,3% sul Pil Italiano. Così, mentre lo Sport offre il proprio contributo per il benessere degli Italiani la Sanità segue una strada molto perigliosa creando molto disagio ai malati, non garantendo la possibilità di curarsi quando è necessario. Chiudendo le guardie mediche, primo baluardo del soccorso al cittadino.

Non garantendo la qualità dei Pronti Soccorso che diventano, spesso,”hub” ingestibili o una “casba”dove ognuno ritiene di comportarsi come meglio gli pare, mentre i medici, oltre a svolgere la propria attività, in diverse occasioni, si vedono costretti a lavorare a rischio della propria incolumità, per le intemperanze dei malati o dei loro parenti accompagnatori.

Un altro problema diventato negli anni una costante negativa è la gestione delle Asp, che sono quasi sempre in deficit economici, che approvano, in alcuni casi, bilanci orali, che pagano più di una volta i crediti ad un fornitore, che spesso sono soggetti a commissariamenti non adeguati che rischiano di peggiorare la situazione.

Tutto ciò creando uno scarso servizio ai degenti, costringendo i medici ed gli addetti al servizio di dare appuntamenti per gli esami e controlli a chi soffre in tempi siderali. Sarei curioso di sapere, grazie, purtroppo, a questa condizione sopra umana inaccettabile, quante persone muoiono ogni giorno tra  coloro i quali non possono curarsi nei tempi giusti e necessari, a danno della sacralità della vita umana.

Spesso si tratta di attendere tempi inaccettabili (mesi, trimestri, semestri, ed oltre) per le visite oncologiche, per avere quanto è necessario per ricevere un piano terapeutico per esami per malattie gravi che rischiano di diventare terminali che, purtroppo, conducono alla morte il malato, non rispettandolo nel fisico e nella dignità.

Il nostro disastrato Sistema Sanitario Nazionale non è in grado a riconoscere a 360 gradi il merito dei medici ospedalieri, non è in grado di assumere medici, anche perché, una volta laureati, scappano verso lidi più professionali, più specializzati che riconoscono il proprio lavoro professionale anche sotto l’aspetto economico.

Purtroppo, sperando che le mie fonti siano esatte, nel 2023 quasi 4 milioni e mezzo di italiani hanno rinunciato alle cure  e le spese per la prevenzione sono state ridotte del 18,6%,mentre la spesa privata è aumentata del 10,3%. Pertanto, ad oggi, se non si riesce a cambiare questo “status”, lo Sport continua a fare ed a dare il massimo nel Sociale, mentre per la Sanità dobbiamo confidare nella provvidenza divina.

Se non ci sarà, quindi, una vera, reale e concreta Autonomia, purtroppo, ai nostri giovani rimane soltanto “l’Autonomia” di andare in giro per il Mondo per cercare un lavoro che gli permetta di poter vivere una Vita di qualità culturale e sociale degna del loro impegno professionale, altrimenti saranno costretti ad accettare di rimanere nel “guscio” della città natia con la speranza di potersi arrangiare meglio possibile, ed, in qualche caso, speriamo mai, di essere costretti a delinquere, perché non hanno più fiducia nella vita che ha frantumato i sogni di ognuno di loro.

Lo Sport, dunque, deve continuare la sua missione sociale e culturale, senza se e senza ma, ben sapendo che deve svolgere il suo ruolo di ente formatore di giovani atleti, di professionisti, di imprenditori che grazie ai suoi insegnamenti potranno affrontare l’oggi ed il loro futuro di donne e uomini che “non mollano mai”pronti a combattere per un Mondo migliore, per i loro ideali, per consentire a loro ed ai loro figli una prospettiva rosea, radiosa ricca di speranze che devono diventare realtà!

Viva lo sport, sinonimo del latino “mens sana in corpore sano”. Chiudo con un appello: Investire nello sport per una sanità al servizio di tutti è investire nel benessere di tutti. Autonomia non deve significare disuguaglianza, ma crescita condivisa. Anche perché, purtroppo, «la vita è come una foglia, che basta un alito di vento per farla volare via». (mp)

[Mimmo Praticò è presidente Onorario del Coni Regione Calabria e  già Presidente della Reggina 1914]

AUTONOMIA: LA CONSULTA HA BOCCIATO
UN’IDEA SBAGLIATA DELLO STATO ITALIANO

di ERNESTO MANCINI – L’insegnamento della Corte Costituzionale in tema di autonomia regionale differenziata, così come sintetizzato nel comunicato stampa emesso dalla medesima Corte il giorno 14 u.s., è chiarissimo.

La Corte, nell’incipit della propria decisione, afferma “che l’art. 116 terzo comma, della Costituzione (che disciplina l’attribuzione alle regioni ordinarie di forme e condizioni particolari di autonomia) deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana”.

Tale forma di Stato, dice la Corte, “riconosce, insieme al ruolo fondamentale delle regioni e alla possibilità che esse ottengano forme particolari di autonomia, i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio”.

Dunque, autonomia sì, quanto possibile – e ciò va condiviso da chi, come il sottoscritto, è autonomista convinto – ma non fino al punto da stravolgere la forma di Stato introducendo un regionalismo competitivo ed egoistico in luogo di quello solidale e cooperativo nonché in violazione dei princìpi di unità della Repubblica e di uguaglianza dei diritti così come voluti dai Padri Costituenti del 1948. (artt. 2, 3 e 5 Cost.)

La Corte enuncia ben sette motivi di incostituzionalità della legge Calderoli svuotandola dei suoi contenuti essenziali; si può dire perciò che questa legge non esiste più se non solo formalmente o comunque non è più eseguibile (sul punto la valutazione dei costituzionalisti è pressoché unanime).

Tra i sette punti di incostituzionalità ci si deve soffermare sul primo sia per motivi di tempo necessario per gli ulteriori approfondimenti sia perché, ammesso che si possa fare una graduatoria di gravità incostituzionale, questo motivo primeggia e assorbe tutti gli altri.

Dice la Corte: «è incostituzionale (…) la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la Regione trasferisca materie o ambiti di materie, laddove la devoluzione deve riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e deve essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del principio di sussidiarietà».

Ciò significa: che non possono trasferirsi dallo Stato alle Regioni intere materie (es.: istruzione, sanità, ambiente, lavoro, energia, ecc.); che possono trasferirsi solo specifiche funzioni legislative od amministrative; ma ciò, in ogni caso…; b.1) …deve avere una specifica giustificazione (“dimostrazione” –  “motivazione”) in relazione alla singola regione…; b.2)  .e, comunque, deve osservarsi il principio di sussidiarietà.

Così, per esempio, la “materia sanità” non è trasferibile in via esclusiva alla singola regione né può trasferirsi la “funzione assistenza ospedaliera rientrante in tale materia” perché non è specifica della singola regione ma comune a tutte le altre.

Può invece trasferirsi, continuando nella necessaria esemplificazione, la funzione legislativa ed amministrativa (prendiamo in prestito un esempio ricorrente nel dibattito degli scorsi mesi) relativa alle cave di Toscana (Carrara-Volterra) perché specifiche di quel territorio, sempre che se ne dimostri la convenienza per lo Stato e che vi sia pertinenza col principio di sussidiarietà (es.: specificità locale, dimostrazione che a livello locale si può svolgere meglio la funzione rispetto alla competenza concorrente tra Stato e Regione, costi-benefici, criticità, opportunità, ecc. ecc.).

Con la sentenza qui in esame, dunque, la Corte chiarisce una volta per tutte come deve intendersi l’espressione usata nella riforma del 2001 all’art. 116 della Costituzione: “ulteriore forme e condizioni particolari di autonomia”.

Al riguardo il Giudice delle Leggi demolisce la possibilità che singole regioni “ricche” si approprino disinvoltamente, con la collaborazione di un Ministero compiacente, di intere, grandi e strategiche materie e di molteplici funzioni; impedisce che le Regioni entrino in competizione tra loro, che lucrino sui relativi proventi indebolendo simmetricamente il resto della finanza pubblica, che estromettano lo Stato da ogni potere, pregiudicandone  la prerogativa di stabilire i principi fondamentali della materia stessa ed impedendogli di creare un quadro normativo di base comune per tutti i territori.

Con tutto ciò creando piccole repubblichette l’una contro le altre armata e “tutte insieme appassionatamente” contro lo Stato.

Va da sé che qualsiasi correzione della legge che non ottemperi al principio affermato dalla Corte sarà costituzionalmente illegittimo. Calderoli deve ridisegnare la legge ma in modo esattamente opposto a come l’aveva concepita e non gli sarà perciò congeniale.

Le pre-intese non sono più attuali ed anzi contrarie alle regole ora imposte dalla Corte Costituzionale; lo stesso referendum può non essere più attuale votandosi su una legge che è ben lontana, direi svuotata, rispetto a quella avversata con la raccolta delle firme.

Degli altri sei motivi di incostituzionalità, come eccepiti dal Giudice delle Leggi, se ne può parlare in altro momento per non appesantire il lettore non giurista che in questa materia deve avere molta pazienza.

Per il momento il pericolo è scampato ma le vie della prepotenza, degli attacchi alla Costituzione e della involuzione sono infinite. La guardia deve perciò restare alta. (emn)

Autonomia, Occhiuto: Occasione per superare la spesa storica

Con la sentenza della Corte Costituzionale sull’autonomia, «ora andrà in Parlamento e si modificherà questa legge, attuando davvero il Titolo V della Costituzione: quindi non solo l’autonomia differenziata ma anche il superamento della spesa storica». È quanto ha detto il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, intervenendo a Start su TgSky24.

«Avevo invocato un supplemento di riflessione sulla legge Calderoli – ha ricordato il Governatore – e la Corte Costituzionale ha disposto di fatto la moratoria che avevo più volte invocato: la Consulta ha detto che non si possono trasferire materie ma soltanto funzioni. Adesso c’è una grande opportunità per il centrodestra, perché c’è la possibilità di approfondire realmente questa legge in Parlamento».

Occhiuto, ribandendo di non avere «pregiudizi nei confronti dell’autonomia differenziata: ma ho sempre detto, dal primo giorno, che il tema era l’attuazione dell’intero Titolo V. Invece nella legge Calderoli si è parlato solo di autonomia differenziata, mai dei Lep, mai dei diritti sociali e civili che vanno garantiti – e su questo la Costituzione prescrive degli obblighi – a tutti i cittadini».

«La cosa che mi è piaciuta di più della sentenza della Corte Costituzionale è che ha focalizzato l’attenzione soprattutto sui Lep, sulla necessità di garantire e finanziare i livelli essenziali delle prestazioni», ha detto Occhiuto, aggiungendo: «Calderoli dice che andrà avanti con le intese sulle materie non Lep? Consiglierei al ministro un po’ di prudenza, perché è importante attuare il titolo V della Costituzione, ma è importante, soprattutto, farlo in maniera tale che l’autonomia non sembri divisiva per il Paese».

«Credo però che ora, dopo la sentenza della Corte Costituzionale – ha spiegato il Governatore – della quale lui come altri della Lega si dichiarano giustamente soddisfatti perché la legge non è stata giudicata incostituzionale, forse un bagno di umiltà rispetto alle parti che dovevano essere approfondite e invece sono state trascurate dovrebbe pur farlo. I toni, a volte, sono importanti per ottenere il consenso più largo in Parlamento».

Per Occhiuto «forse le accelerazioni degli ultimi mesi sulle materie non Lep hanno generato tra i cittadini, soprattutto tra quelli del Mezzogiorno, la convinzione che si volesse andare avanti senza curarsi troppo dei diritti e dei doveri che lo Stato deve assicurare al Sud. Quindi, suggerirei un po’ di prudenza per evitare che questa legge venga rappresentata in maniera più divisiva di quando invece non sia».

Alla luce della sentenza della Consulta, per Occhiuto «ora il referendum sull’autonomia differenziata non abbia più alcun senso, perché la legge andrà profondamente modificata dal Parlamento, in parti essenziali».

«Si dovranno riformare tutte le parti che riguardano la definizione dei fabbisogni, dei Lep – ha concluso – il loro finanziamento, il trasferimento delle funzioni invece che delle materie. Quindi credo che non ci sarà più materia per il referendum. La sinistra, sbagliando, ha fatto di questo tema un tema ideologico». (rrm)

L’OPINIONE / Giuseppe Falcomatà: Meloni e colleghi chiedano scusa e facciano dietrofront

di GIUSEPPE FALCOMATÀ – È una bocciatura senza appello quella della Corte Costituzionale sull’autonomia differenziata. La Consulta ha infatti dichiarato incostituzionali praticamente tutti i pilastri fondanti del testo voluto dal governo delle destre, cassando si spera in maniera definitiva ogni rigurgito secessionista.

Quanto dichiarato dalla Corte è la conferma tecnica di quanto da lungo tempo sosteniamo dal punto di vista politico, cioè che questa legge sarebbe stata un colpo mortale ai diritti socioeconomici e di cittadinanza per milioni di italiani, una sorta di secessione mascherata che avrebbe minato alle fondamenta la solidarietà e l’unità nazionale.

Adesso si spera il Governo possa rendersi conto compiutamente degli enormi e gravissimi rischi ai quali ha esposto l’intera comunità nazionale. Chissà cosa ne pensano i tanti parlamentari calabresi e meridionali che sventolavano trionfanti le bandiere delle regioni il giorno dell’approvazione della legge. Da questo punto di vista ci attendiamo che Meloni e colleghi gettino definitivamente la maschera, chiedano scusa per questo gravissimo affronto ai diritti costituzionali e facciano un immediato dietrofront.

[Giuseppe Falcomatà è sindaco di Reggio]

L’OPINIONE / Nicola Fiorita: Inascoltato l’appello dei sindaci su ricorso a Consulta

di NICOLA FIORITA – La Calabria poteva essere alla guida della battaglia per fermare l’Autonomia differenziata e non lo ha fatto, lasciando alle altre Regioni il compito di ricorrere alla Consulta.

È mancato il coraggio e oggi, davanti al pronunciamento della Corte che demolisce la legge Calderoli nei suoi punti centrali, la nostra Regione appare debole e contraddittoria. Peccato, perché l’appello che avevo lanciato,e poi sottoscritto da 130 sindaci tra cui tutti quelli delle grandi città, aveva indicato una strada istituzionale, il ricorso alla Consulta, invocando una sostanziale convergenza tra centrodestra e centrosinistra per l’interesse della Calabria. Si è scelto invece di annacquare tutto con il ricorso a fantomatici “osservatori”, linea purtroppo sposata anche da Anci Calabria.

E, mentre in Calabria si osservava, le altre Regioni hanno fatto sul serio e la Consulta ha praticamente demolito l’impianto di Calderoli. Io penso che le preoccupazioni del presidente Occhiuto sugli effetti nefasti dell’Autonomia siano sincere e oggi, dopo l’illuminante pronunciamento della Consulta, mi sento di chiedergli un forte impegno politico, anche nel suo ruolo di leader nazionale di Forza Italia, perché la legge sull’Autonomia venga riscritta nel rispetto dell’unità nazionale e degli interessi del Meridione, salvaguardando i diritti fondamentali dei cittadini calabresi. (nf)

[Nicola Fiorita è sindaco di Catanzaro]

L’OPINIONE / Franz Caruso: Ma come fa Occhiuto a rallegrarsi per la Consulta?

di FRANZ CARUSO – Stupisce davvero che il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, si rallegri dello stop parziale della Consulta all’autonomia differenziata. Persino, addirittura, autoassegnandosi il ruolo di saggio premonitore.

Al paradosso delle giravolte lessicali c’è un limite, non fosse altro che per decenza. E Occhiuto la sfida spesso. Se siamo arrivati per fortuna a questa pronuncia della Consulta lo dobbiamo solo ed esclusivamente ai presidenti di Regione che hanno avuto visione, lealtà e coraggio politico avanzando ricorso.

Sono stato il primo sindaco a mobilitare le altre fasce tricolori contro quello che allora era solo un disegno di legge. Così come sono stato il primo a chiedere personalmente e in tempi non sospetti al presidente Occhiuto di firmare il ricorso insieme agli altri presidenti di Regione. Invito che ovviamente non ha accolto, avendo lui stesso firmato il sì all’autonomia differenziata in conferenza delle Regioni.

Della serie, ci ha messo la faccia così come ha fatto del resto lo stesso fratello del presidente, il senatore Mario Occhiuto. Che in aula ha preso addirittura la parola, con a fianco Lotito, questa volta in modalità “sveglio”, per una dichiarazione di voto a favore dell’autonomia differenziata. Questi i fatti. Non si può essere a favore dell’autonomia differenziata nelle sedi competenti, non seguire formalmente i presidenti di Regione che avanzano ricorso e poi rallegrarsi per la Consulta che boccia sostanzialmente il decreto Calderoli. Delle due l’una. Non sempre si può confondere i cittadini. (fc)

[Franz Caruso è sindaco di Cosenza]

Autonomia, Occhiuto: Avevo chiesto moratoria, oggi la impone Consulta

«Avevo suggerito al governo un surplus di riflessione e una moratoria sull’Autonomia differenziata. La moratoria, con molta più autorevolezza del sottoscritto, la impone la Corte Costituzionale». È quanto ha detto il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, in una intervista a Il Mattino.

«Io mi ero permesso di suggerire al governo una pausa di riflessione dopo l’ok alla Camera. E poi avevo chiesto con i colleghi di Forza Italia della mia regione una moratoria sulle materie non Lep – ha ricordato –. I pericoli c’erano ed io dicevo solo di fermarsi un attimo. Ora queste cose le mette nero su bianco la Corte Costituzionale con maggiore autorevolezza».

Il testo della riforma «deve tornare in Parlamento e ci sarà spazio per accogliere i rilievi e svolgere il giusto approfondimento di tutte le questioni. Come poteva essere fatto mesi fa senza arrivare a questo punto», spiega ancora Occhiuto sottolineando che Forza Italia e Tajani «hanno avuto sempre una posizione equilibrata. Io chiesi di non avere fretta sul trasferimento delle funzioni non Lep che potevano generare sperequazioni e lui capì queste preoccupazioni».

Secondo il governatore, «non credo» che la sentenza avrà contraccolpi politici sulla maggioranza.

«Qui nessuno mette in dubbio l’attuazione della modifica del Titolo V della Costituzione – ha concluso – ma si deve procedere nella sua interezza. Ci si è troppo concentrati ad andare incontro alle richieste di alcuni governatori e troppo poco per realizzare gli obblighi invece previsti. Lo sbaglio è tutto qui». (rrm)

Autonomia, il PD Calabria chiede lo stop definitivo

Per il PD Calabria «la pronuncia della Corte Costituzionale deve aprire la strada a una seria riflessione politica: è necessario fermare questa scellerata riforma».

La Consulta, infatti, ha dichiarato l’incostituzionalità di alcune disposizioni della legge n. 86 del 2024 sull’autonomia differenziata. «Questa pronuncia – si legge nella nota dei dem calabresi – rappresenta un’importante vittoria per chi, come noi, ha sempre sostenuto che l’autonomia differenziata, così come concepita, rischia di accentuare le disuguaglianze tra le regioni, penalizzando soprattutto il Sud e le aree più fragili del Paese».

«La Corte Costituzionale – prosegue la nota dei consiglieri dem – ha evidenziato che l’autonomia deve essere garantita nel rispetto dei principi fondamentali di unità della Repubblica, solidarietà tra le Regioni e uguaglianza dei cittadini. In particolare, sono state bocciate alcune norme che avrebbero permesso di modificare i livelli essenziali delle prestazioni (Lep) senza un’adeguata base legislativa, ma solo attraverso un Dpcm, e quelle che, con lo stesso sistema di delega, avrebbero consentito un sistema di fiscalità differenziata, rischiando di premiare le regioni più efficienti, penalizzando i territori in difficoltà, aggravando ulteriormente le disuguaglianze».

«Questa sentenza rappresenta una conferma dei rilievi che il Pd ha sollevato fin dall’inizio su questa legge – hanno ricordato i consiglieri – considerandola un pericolo per la coesione sociale e territoriale del nostro Paese e fortemente antimeridionalista, in perfetta sintonia con la linea della Lega e del governo di centrodestra. Il principio di autonomia non può e non deve trasformarsi in un elemento divisivo, che mette in secondo piano i diritti dei cittadini e le garanzie costituzionali».

«Il nostro ringraziamento – hanno concluso – va alle Regioni che hanno inoltrato il ricorso davanti alla Corte, al contrario della Calabria di Occhiuto che ha deciso di obbedire ai comandi di Roma anche davanti a evidenti ripercussioni sui diritti fondamentali dei calabresi. Speriamo che almeno adesso il governatore prenda una posizione chiara, ferma e contraria rispetto alla secessione perseguita da Salvini». (rrc)