ADOZIONI, IN CALABRIA LA RETE WELFARE
È PARI A ZERO: POTENZIARE I CONSULTORI

di ANNA COMI – A proposito di adozioni, a settembre scorso, da queste colonne, avevamo fatto appello alle istituzioni regionali per chiedere loro di farsi promotori di unazione forte nei confronti del Governo, affinché single e coppie di fatto tutte, potessero avere lopportunità di accogliere un bambino.

Come sempre, la politica è sorda alle istanze dei cittadini e così capita che donne poco arrendevoli si rivolgano direttamente ai Tribunali per veder riconosciuti diritti che la politica stessa nega.

È accaduto di recente, giusto per fare qualche esempio, con  il cognome delle donne: è stata la pronuncia della Corte costituzionale del 27 aprile 2022, che ha dichiarato illegittime le norme impedenti alla madre di attribuire il proprio cognome al figlio.

Ed è sempre stata una donna, una magistrata, che si è rivolta al Tribunale contro il divieto di adozione  imposto perché single. La Consulta le ha dato ragione. La sentenza cita le adozioni internazionali perché risponde  al quesito posto, ma è evidente che anche nei casi di adozione nazionale si potrà fare riferimento a quanto pronunciato dalla Corte Costituzionale.

Un punto importante della sentenza è l’aver riconosciuto che la società è cambiata e che esistono diversi modelli familiari. Pertanto, sollecita il Parlamento a valutare un aggiornamento della normativa, per adeguarla alla realtà sociale attuale e ai principi costituzionali.

Questa sentenza, molto importante,  potrebbe stravolgere il trend negativo che si registra sulle adozioni.

Negli ultimi anni, l’adozione in Italia e nella nostra Regione,  ha affrontato sfide significative, evidenziate da una diminuzione delle domande e delle adozioni concluse, sia a livello nazionale che internazionale. Le disponibilità all’adozione nazionale segna una riduzione del 35%. Ancora più marcato è il calo nelle adozioni internazionali dove le  adozioni effettive sono scese dell’88%.

Questo trend negativo è attribuibile alla percezione che si ha sulle procedure adottive molto spesso complesse e onerose, sia in termini di tempo che di risorse economiche, scoraggiando molte coppie dall’intraprendere questo percorso che invece va rafforzato e sostenuto.

In Calabria, il Servizio Regionale per le Adozioni Internazionali è l’organismo pubblico incaricato di promuovere e supportare le adozioni internazionali. Questo servizio fornisce informazione, formazione, accompagnamento e sostegno alle coppie che intendono intraprendere un percorso di adozione internazionale.

Lesistenza e la funzionalità dellente regionale per le adozioni è di fondamentale importanza per chi vorrebbe adottare un bambino seguendo il percorso delladozione internazionale e per questo deve essere potenziato e il suo finanziamento reso strutturale. È importante, quindi, stabilizzare una volta per tutte il servizio dell’Ente regionale che, attualmente, procede con una programmazione proiettata in avanti soltanto di due anni.

Inoltre, non ci stancheremo mai di ribadire il ruolo fondamentale che ricoprono i  consultori familiari nell’iter da seguire per iniziare il percorso dell’adozione.

C’è da specificare che le coppie, e da oggi anche i single, che vogliono adottare devono essere in possesso di una idoneità derivante da una serie di relazioni attitudinali e quindi, dopo aver presentato domanda presso il Tribunale per i Minorenni, si devono rivolgere ai servizi sociali del territorio di appartenenza.

Ed è già qui che sorgono le prime difficoltà: in Calabria la rete welfare legata agli Enti locali è pari a zero, aggravata dai continui tagli alle risorse. Unico supporto potrebbero essere proprio i consultori ma, come evidenziato da un report presentato proprio dal Coordinamento Pari Opportunità della Uil Calabria, a causa di poco personale, tendono a limitare le attività provenienti sia da enti locali che da tribunali per i minorenni cercando di attenersi strettamente alle loro competenze specifiche.

La conseguenza è un serio rallentamento di una procedura già difficile di suo e che porta sconforto e frustrazione.

Pertanto, per favorire le adozioni, il primo passo da compiere è migliorare il sistema quindi rendere più operativi i Consultori attraverso lassunzione di assistenti sociali e psicologi, figure professionali carenti ovunque nella nostra regione.

La carenza di personale specializzato e la limitata diffusione territoriale riducono le opportunità di informazione, preparazione e accompagnamento per le famiglie interessate all’adozione. Di conseguenza, le coppie e i single, possono sentirsi disorientate e poco sostenute, contribuendo al calo delle adozioni registrato negli ultimi anni.

Per invertire questa tendenza, è fondamentale rafforzare il ruolo dei consultori familiari, garantendo una presenza capillare sul territorio e dotandoli delle risorse necessarie per offrire un supporto completo alle coppie  e ai single aspiranti all’adozione.

Inoltre, è essenziale snellire e rendere più accessibili le procedure adottive, al fine di incentivare le famiglie, anche quelle monogenitoriali, a intraprendere questo importante percorso di accoglienza. (ac)

[Anna Comi è coordinatrice Cpo Uil Calabria]

Riaprire i Consultori familiari: lettera aperta ai Commissari Asp

Una lettera aperta – già firmata da 78 medici e specialisti e rappresentanti di associazioni – è stata ai commissari delle Aziende Sanitarie Provinciali per la riapertura dei Consultori familiari.

«Il 16 febbraio 2021 – si legge nella lettera – si è svolto un incontro webinar molto partecipato da numerose Associazioni e da operatori consultoriali sul tema del “valore culturale dei Consultori familiari” organizzato da Donne e Diritti e “Comunità Competente” per riflettere sul ruolo del Consultorio Familiare in Calabria alla luce dei futuri “Atti Aziendali” che i Commissari delle Aziende Sanitarie dovranno elaborare entro 50 giorni. Da tale incontro è emerso con forza che anni di “Piano di rientro”, con il blocco del turnover, hanno “desertificato “i Servizi Territoriali” svuotando di personale i Consultori, favorendo una errata cultura “ospedalocentrica” che ha messo in crisi il ruolo fondamentale delle “Strutture sociosanitarie territoriali intermedie” e intasando gli ospedali con prestazioni prettamente territoriali». 

«È opportuno ricordare che – continua la lettera – il Consultorio familiare previsto da leggi nazionali (405/75; 34/96; 194/78), regionali (26/77), progetti obiettivo (POMI), deve svolgere le sue attività in locali ben definiti, con una dotazione di personale precisa e strumentazione ad hoc (Decreto del Presidente della Giunta Regionale 28/12). Questa peculiarità deve essere rivendicata con forza nella nostra Regione rammentando che, questi atti normativi, nascono in seguito alle lotte dei movimenti femminili che hanno preso vigore a partire dagli anni ’60. Ricordiamo, inoltre, che l’Accordo Stato-Regioni del 16/12/2010 stabilisce la presenza di un Consultorio h 12 laddove è stato soppresso un Punto nascita, come, purtroppo, si è verificato in molti territori della nostra Regione».

«Il Consultorio – continua la lettera – attraverso un modernissimo modello di servizio sociosanitario, è dotato di una equipe multidisciplinare in cui le varie figure professionali (Assistente sociale /Ginecologo/Infermiere professionale/Ostetrica/Pediatra e Psicologo) interagiscono tra loro con una visione olistica della persona, garantendo funzioni sociosanitarie che, offrendo gratuitamente assistenza al singolo, alla coppia, alla famiglia, ai gruppi sociali, forniscono risposte efficaci alla tutela della salute della donna e alla sua soggettività, al percorso nascita, alle relazioni familiari, alla promozione della salute e prevenzione della malattia, al fenomeno, purtroppo, crescente della violenza sulle donne e le successive sequele, alle problematiche adolescenziali, alle esigenze legate ai rapporti con i Tribunali minorili e molto altro. L’equipe del Consultorio, a nostro parere, deve avvalersi, in qualità di consulenti, di altre figure professionali quali il mediatore linguistico-culturale, il legale, il neuropsichiatra infantile, l’andrologo, il genetista». 

«Malgrado ciò – prosegue la lettera – lo stato in cui versano i Consultori in questa sciagurata Regione è desolante: da alcuni anni in qua, i Consultori sono stati in gran parte smantellati e, laddove sono ancora esistenti, si è andato progressivamente snaturando il loro ruolo centrale come servizi di prevenzione e accoglienza delle istanze territoriali, la loro natura socio-sanitaria, laica, libera e gratuita; le figure professionali presenti risultano inferiori agli standard previsti; i pochi psicologi rimasti in servizio sono totalmente assorbiti delle numerose prestazioni richieste dagli Uffici Giudiziari, con ciò dovendo, di fatto, sacrificare le attività prettamente consultoriali, lo stesso dicasi per le assistenti sociali e le ostetriche. I ginecologi sono nella quasi totalità “obiettori di coscienza” e ciò determina un disservizio che impedisce la piena applicazione della legge 194/78 e quindi nega il diritto delle donne all’autodeterminazione e le costringe ad una mobilità forzata per accedere alle prestazioni sull’I.V.G».

«È fondamentale – viene sottolineato – contrastare la medicalizzazione del Consultorio valorizzando il lavoro in equipe con la cura delle relazioni familiari in momenti cruciali del loro ciclo vitale (nascita, adozioni, affidi, fertilità assistita, educazione dei figli, divorzio) ricordando che il Consultorio Familiare è l’unico Servizio in cui è permesso l’accesso ai minorenni anche in assenza del consenso degli esercenti la  “responsabilità genitoriale”. Se a questo depauperamento del Servizio si aggiunge la crescente complessità dei rischi e dei bisogni, l’aumento delle disuguaglianze, la galoppante povertà economica ed educativa, l’emersione di nuove soggettività e, soprattutto, l’incalzante predominio delle strutture private, il quadro che ne emerge è desolante».

«Tutto questo, per noi è inaccettabile – continua la lettera –. Mai come in questa fase storica mondiale, si è compreso il ruolo centrale della salute pubblica, la necessità dell’offerta attiva territoriale, l’imprescindibilità dell’appropriatezza dei servizi sanitari di prossimità e i consultori non possono essere, come stanno diventando, nelle migliori delle ipotesi “ambulatori ginecologici”.  Pertanto, come Associazioni firmatarie, intendiamo richiamare le Ss.Ll., che si apprestano ad elaborare gli “ Atti Aziendali”, ad un’assunzione di responsabilità perché si impegnino a ripristinare in tempi rapidi il ruolo e la funzione dei Consultori Familiari che, lo stesso ministro Speranza, il 5 febbraio 2020 in occasione dell’Assemblea Nazionale sui Consultori, ha definito “pilastri del welfare sociosanitario” e il presidente del Consiglio Mario Draghi nelle dichiarazioni programmatiche del 17 febbraio scorso in Senato ha rammentato». 

«Chiediamo – si legge – che i Consultori siano adeguanti ai nuovi bisogni che i mutamenti sociali hanno prodotto in questi anni, alle nuove soggettività, alle conoscenze basate sulle evidenze scientifiche e all’epidemiologia, nonché alle molteplici funzioni richiamate dai Lea, dal Progetto Obiettivo Materno Infantile (Pomi) che indica, con estrema chiarezza e proposte operative la necessità di: integrare i Servizi di 1°livello (promozione della salute), 2° livello (cure specialistiche e diagnostica ambulatoriale) e di 3° livello ( cure intensive e diagnostica complessa); Operare secondo il modello dell’empowerment e con le modalità della offerta attiva». 

«Per quanto sinteticamente espresso – si legge ancora – chiediamo che gli Atti Aziendali stabiliscano: la riapertura, accessibile e gratuita, dei Consultori chiusi e l’adeguamento alla legge 34/96 che prevede un Consultorio ogni 20mila-25.000 abitanti nelle zone urbane metropolitane e uno ogni 10mila nelle zone rurali e semi-urbane, con una rinnovata attenzione riguardo alle giovani generazioni ed alle donne migranti; lo sblocco del turnover, le assunzioni e l’adeguamento dell’organico dei consultori, rivedendo il “Piano del Fabbisogno del personale” alla luce della Legge 27/2020;  la formazione e l’aggiornamento continuo del personale sui programmi di educazione alle differenze, all’affettività e alla sessualità, alla medicina di genere, alla sanità umanizzata; la ripresa dei programmi di screening per la prevenzione del tumore della cervice uterina e del tumore della mammella».

E ancora, viene chiesta «la ripresa dei programmi per il post-menopausa; la ripresa dei programmi di educazione e prevenzione del rischio (alimentazione, sessualità, dipendenze) per gli adolescenti a scuola; la prima accoglienza, l’orientamento e l’assistenza integrata in codice rosso delle donne vittime di violenza e dei loro figli; l’applicazione ed il monitoraggio delle Linee guida per la riorganizzazione del percorso nascita di cui al Dpgr n. 28 del 21/03/2012 dove la figura della ostetrica ha un ruolo pivotale in tutto il percorso nascita; la rilevazione precoce del rischio e l’assistenza integrata per quanto riguarda la depressione post-partum; la piena applicazione della L. 194/78: presenza di medici non obiettori, sostegno alla donna rimuovendo, laddove possibile, (attraverso interventi di natura sociale e socio-sanitaria integrata) le cause che potrebbero indurla all’interruzione di gravidanza e seguendola adeguatamente sia da un punto di vista medico che psicologico nell’intero percorso che va dal front-office iniziale ai controlli post-Ivg; somministrazione della Ru486 nei Consultori;  l’attuazione dell’art. 3 della legge 11/01/2018 (Applicazione e diffusione della medicina di genere nel Servizio sanitario nazionale); la trasparenza sui finanziamenti finalizzati ai programmi consultoriali e sul relativo utilizzo». 

«Infine – conclude la lettera – chiediamo che, istituito il Dipartimento Materno Infantile interaziendale come previsto dalle “ Linee guida degli Atti Aziendali”, sia attivata una Consulta di Dipartimento costituita dal Direttore del Dipartimento o suo delegato, dai Rappresentanti degli operatori per profili professionali e dalle Associazioni di donne attive sul Territorio». (rrm)