IL RICORDO / Elisabetta Barbuto: Due anni fa l’alba terribile a Cutro

di ELISABETTA BARBUTOIn genere l’Alba viene utilizzata da chi scrive come metafora per evocare nuovi inizi. Una speranza nel futuro dopo una notte buia e burrascosa quale la vita può essere in alcune circostanze. Ma l’alba del 26 febbraio 2023 sulla spiaggia di Steccato di Cutro non ha regalato un nuovo inizio alla vita.

Ha regalato morte, disperazione, buio e dolore, tanto dolore. Negli occhi e nel cuore di tutti restano le immagini di quelle onde gonfie e grigie che portavano a riva i resti dell’imbarcazione del migranti ed i corpi, tanti, troppi, corpi di uomini, donne e bambini che l’alba non l’avrebbero vista mai più. E non solo in senso metaforico. In senso tragicamente reale, come testimoniarono tristemente nei giorni successivi le bare che si andavano allineando nel palazzetto dello sport di Crotone. 

Sono passati due anni. Crotone fa memoria delle vittime innocenti di quell’alba terribile. Ma la memoria non basta. Perché la memoria dovrebbe aiutare tutti noi ad intraprendere una strada diversa. Dovrebbe aiutare a tendere la mano a chi soffre, a chi scappa dalle guerre, a chi scappa dalla miseria. Dovrebbe ricordarci  che accogliere chi soffre, giorno per giorno, non è un segno di debolezza, ma al contrario, è l’essenza della vera Umanità. Dovrebbe insegnarci che i muri si abbattono per accogliere e non si costruiscono per respingere.

Ma di questo messaggio i soccorritori del 26 febbraio e la tanta gente semplice che in quei giorni si è prodigata per aiutarli, non avevano allora e credo, neanche oggi, abbiano necessità. Loro lo sanno bene. Perché hanno vissuto, sofferto, pianto insieme ai superstiti aspettando che il mare restituisse la vita o la morte. E sono esperienze che non si possono davvero dimenticare.

Altrettanto non si può dire di tutti coloro che in questo triste scenario nazionale e internazionale che si va delineando con estrema brutalità , facendo leva sulla paura del diverso, del migrante invasore e delinquente, seduti comodamente sulle loro poltrone ed ignorando la sofferenza delle persone, pontificano di respingimenti, di chiusure, di inseguimenti per l’intero globo terracqueo dei trafficanti umani  e costruiscono ghetti, addirittura fuori dal territorio italiano, che dovrebbero essere l’anticamera dei rimpatri verso i loro paesi “sicuri”, senza se e senza ma, se non fosse per la Magistratura che ci ricorda con le sue decisioni come l’Italia sia ancora, fino a prova contraria,  uno Stato di diritto. Altro che decisioni politiche. 

Come non restare basiti, poi, difronte alle immagini di quegli uomini in catene, come nelle aule dei nostri processi penali tanti anni fa o nelle piantagioni di cotone negli stati confederati americani, in fila sulle scalette degli aerei pronti a partire per renderli al loro inferno?  Peccato che non siano filmati “storici” ma immagini recenti di paesi  che fino a ieri simboleggiavano la Libertà.

E peccato anche che ci sovvengano altre immagini, purtroppo tutte nostrane. Quelle di un migrante per diletto in Europa che rientra, senza catene e con un volo di Stato, nel suo Paese, accolto dai suoi come un trionfatore, e magari pronto a ritornare alle sue quotidiane attività in barba alla Corte Penale Internazionale e al grido terribile di denunzia, ed inascoltato, di coloro che hanno ricevuto le sue attenzioni.

Noi del Movimento 5 stelle di Crotone vogliamo ricordare. Oggi, come allora, e sempre il nostro pensiero va alle vittime innocenti del 26 febbraio con la speranza che l’ Alba torni ad avere il significato di un nuovo inizio. Per l’Umanità. 

[Elisabetta Barbuto è Coord. Prov. M5S Crotone – Gruppo Territoriale M5S Crotone]

IL RICORDO / Caterina Capponi: Vent’anni di Memoria e Riflessione sul Giorno del Ricordo

di CATERINA CAPPONI – La storia delle foibe è un monito sulla fragilità dell’identità: essa può essere minacciata, ma può anche rinascere attraverso il dialogo e la comprensione reciproca.

Riflettere, oggi, sulle foibe è confrontarsi con le ombre del passato, ma è anche un atto di coraggio per affrontare le divisioni del presente. Oggi, 10 febbraio 2025 (ieri ndr), celebriamo con profonda emozione il ventesimo anniversario del Giorno del Ricordo, una ricorrenza che ci invita a non dimenticare le atrocità e le sofferenze subite da migliaia di italiani durante il tragico periodo post-bellico, in particolare le vittime delle foibe e l’esodo forzato degli istriani, fiumani e dalmati. La legge 92/2004 che ha istituito questa giornata, rappresenta un passo fondamentale nella nostra storia recente.

Essa non solo riconosce il dolore di chi ha subito ingiustizie, ma promuove anche la consapevolezza e il rispetto per la memoria di coloro che sono stati costretti a lasciare la loro terra natale, spesso in circostanze inumane e violente. Le foibe non sono solo un capitolo oscuro della nostra storia, ma un monito che ci esorta a riflettere sulle conseguenze della guerra e dell’odio. In questi vent’anni, abbiamo lavorato incessantemente per garantire che la memoria di queste vittime non venga offuscata.

Abbiamo organizzato eventi commemorativi, incontri nelle scuole e iniziative culturali per educare le nuove generazioni sull’importanza della memoria storica. È fondamentale che i giovani comprendano il valore della pace e della coesistenza, affinché simili tragedie non si ripetano mai più. Quest’anno, ci uniamo in un momento di riflessione collettiva. Invitiamo tutti i cittadini a partecipare alle commemorazioni locali, a condividere storie e testimonianze, e a dedicare un pensiero a coloro che hanno perso la vita o sono stati costretti ad abbandonare le proprie case.

La memoria è un patrimonio comune che ci unisce, indipendentemente dalle nostre origini. Rinnoviamo il nostro impegno per costruire una società che riconosca e rispetti le diversità, che promuova il dialogo e la comprensione reciproca. Solo così potremo onorare adeguatamente la memoria delle vittime delle foibe e degli esuli, facendo di questa giornata non solo un momento di lutto, ma anche un’opportunità di crescita e unità.

Insieme, continuiamo a scrivere una storia di pace e di rispetto, affinché il Giorno del Ricordo rimanga un faro di speranza e di riflessione per le generazioni future, in un mondo che spesso dimentica è necessario mantenere viva la fiamma della memoria, affinché le ingiustizie non si ripetano. (cc)

[Caterina Capponi è assessore regionale alla Cultura]

IL RICORDO / Pasquale Amato: Il terremoto di Reggio e Messina del 1908

di PASQUALE AMATO – Le immagini parlano della tragedia che colpì la regione dello Stretto, con la perdita del 95% degli edifici e con essi di tutti quegli oggetti della memoria di vita di ciascuno; con quasi tutte le famiglie distrutte o mutilate di alcuni membri; con la moltitudine di orfani rimasti senza genitori; con tanti genitori privati dei figli; quindi distruzioni di case con tutti gli oggetti cari e perdita di affetti familiari.

Nel contempo ci raccontano dell’enorme mobilitazione di solidarietà nazionale e internazionale che suscitò; dell’epopea delle città di legno in cui i superstiti vissero non tanto provvisoriamente complice la grande guerra che interruppe l’avvio della ricostruzione. Ci fanno infine intendere quanto fu dura la ricostruzione e quanta determinazione ancora una volta fu necessaria ai popoli dello Stretto di Scilla e Cariddi per risollevarsi e rinascere.

Emersero in quella fase storica personalità forti che in mezzo alle macerie non si persero d’animo e riuscirono ad immaginare la rinascita coadiuvate da personalità che accorsero da lontano e si legarono a noi collaborando per una splendida ricostruzione.

A Reggio furono decisivi gli apporti del Ministro Giuseppe De Nava, dell’Assessore e poi grande sindaco Giuseppe Valentino e dell’ing. Pietro De Nava autore del piano di ricostruzione; di personalità che pur venendo da lontano scelsero di porsi al nostro fianco come Umberto Zanotti Bianco e Don Luigi Orione; di tecnici di grande valore che, sebbene inviati dallo Stato, si impegnarono prendendo a cuore la missione e lasciando un segno indelebile nella caratterizzazione liberty delle nuove città.

Se ci riuscirono allora i nostri antenati dopo una tragedia di quelle proporzioni, è inaccettabile che di fronte a problematiche molto meno gravi di quelle ci siano reggini e messinesi che dicono che “non si può”. Si può se si ama la propria comunità. E se si è animati dall’amore riesce tutto. (pa)

IL RICORDO / Gregorio Corigliano: Addio grande Rino, l’amerikano

di GREGORIO CORIGLIANOMi ha telefonato mia cugina da Gioia Tauro per dirmi che il marito della sorella, Rino, che è tuo cugino, è salito in Cielo. Ohhh, la risposta all’autore della telefonata mio cugino Pasquale Loiacono.

Non poteva essere un’altra. Senza parole possibili. E quindi scoppiano i ricordi perché non vedevo Rino da trent’anni. Rino era nipote di mio padre, più piccolo di soli dieci anni. Ne aveva 98 appena è morto alcuni giorni fa. Io l’ho conosciuto nel 1959 quando la madre, Giuseppina, sorella di mio padre, lo aveva mandato in Calabria perchè prendesse moglie al paesello.

L’altro fratello, conosciuto da tutti noi come Ciccilluzzo, si era sposato negli States, dove erano emigrati con madre e padre, alla fine della seconda guerra mondiale. Si erano cosi ricongiunti con gli altri fratelli Corigliano: Dominick, Maria, Frank, Carmelo, Rosario, che avevano raggiunto Brooklyn, qualche anno prima. Prima che arrivasse a trent’anni, Rino piombò nella casa dei nonni, poi casa dei miei, adesso mia, in seguito delle mie figlie, ma non sarà più casa Corigliano.

Un erede maschio, mai nato. Rino stette sei mesi alla ricerca della moglie, cosa non facile nel 1959, ma meno difficile rispetto ad oggi. Passava il tempo andando a pesca con mio padre, spesso a caccia, due sport che lo zio aveva trasmesso al nipote, di cui era la fotocopia, è un assunto questo di mia moglie, quando anni dopo si sono conosciuti al ristorante di Pino il mammino. Rino, che era, allora compositore linotype, a casa leggeva, leggeva. Il suo gusto era scartabellare nella libreria di mio padre alla ricerca dei suoi libri da studente ginnasiale a Nicotera da Caparrotti (chi lo ricorda?).

Si emozionava man mano che ne trovava qualcuno. Anche a lui, ormai ‘mericano, faceva un certo effetto tornare indietro con la memoria. Una volta con Pietro, marito di un’altra nipote di mio padre, anche lei più grande di lui, Rino volle andare al bosco, alle Colline, in un terreno che era di sua madre. Si ricordava che con gli ulivi c’erano le piante di fico e pregò mia madre di fornirlo di panari (appositi recipienti per sistemare i fichi appena raccolti).

Così in tre ci avventurammo nel bosco pieno di “pida” sabbia nera con polvere. Senz’acqua. Peccato che non avevamo portato un “uncino”, stava dicendo Pietro, interrotto subito da Rino: “ed io che sono, dall’altro del mio metro e 93?” Aveva ragione. Non c’era bisogno. Non vedevamo l’ora di tornare a casa per lavarci. Eravamo impolverati e pieni del miele che lasciano i fichi. I fichi ottimi da mangiare, venivano usati da mia madre, per fare le classiche crocette. Rino, gira che ti gira, aveva trovato la ragazza su cui puntare gli occhi. Si chiamava Nicoletta ed era una maestra.

Valla a convincere che avrebbe dovuto lasciare quella che era la metropoli di Gioia Tauro per trasferirsi a Brooklyn, nelle lontane Americhe. Vedremo se Rino con le arti calabro americane ci riuscirà. Era troppo serio Rino ed è riuscito a fare innamorare la bellissima Nicoletta che, convolò a nozze e volò per gli States. Lasciando madre, padre due fratelli ed una sorella. Lei veniva un anno sì ed un anno no, il padre la raggiunse qualche volta.

Non so dei fratelli. Prima di Rino, era venuto a trovare il parentado il fratello di Rino, Frank, che noi, come ho già detto, chiamavamo Ciccilluzzo. Un paio di giorni perché era arruolato fra i marines e mandato a Napoli da New York. Alto quasi due metri, era un giovane di belle speranze, innamorato di mio padre. Lui ricordava mia madre seduta sull’uscio di casa a ricamare. Come era bella zia Titina, mi disse l’unica volta che l’ho visto a Brooklyn.

Era il 1970: ero andato a trovare i Corigliano’s come regalo per la laurea. Ciccilluzzo non l’ho più visto, Rino, dopo la festa di nozze, al Jolly hotel di Gioia Tauro, è venuto parecchie volte anche con la prole. Adesso dei Corigliano’s non c’è più nessuno, due con il mio stesso nome e cognome sono volati in Cielo. Uno vive in California: grazie a Facebook ci scriviamo un paio di volte all’anno, mentre un tempo c’erano lettere air mail e le post card. Ed anche con la sorella Angela, professoressa di non so cosa.

Poi ci sono tre signorine Corigliano ed una cugina più che ottantenne, non sposata, anche lei Angie, professoressa di francese, Dei parenti originari di Stromboli e di Filicudi si sono perse le tracce. Con altri e altre, purtroppo, è calato il silenzio di… vita. (gc)

 

Otto anni fa scompariva Mario Foglietti, il ricordo di Santacroce e Pisano

Otto anni fa scompariva Mario Foglietti, «una figura indimenticabile per la nostra città e per il Teatro Politeama», ha ricordato Antonietta Santacroce, che ha di recente intrapreso il percorso di Sovrintendente, grazie alla fiducia accordata dal sindaco e Presidente della Fondazione Politeama, Nicola Fiorita.

«Un ruolo che è stato tracciato, in maniera indelebile, da Mario Foglietti in tutto il primo arco di vita del teatro pubblico di Catanzaro – ha aggiunto –. A lui si devono le intuizioni, le scelte artistiche, i tanti spettacoli che hanno contribuito a lanciare il nome del Politeama e della città nel grande circuito dei teatri del Sud. Maestro del giornalismo e della tv, Foglietti ha raccolto anzitempo una sfida che sembrava impossibile e che, grazie alla sua impronta visionaria, si è tramutata in realtà. Con grande orgoglio ed emozione, ricordo l’esperienza vissuta al suo fianco, negli anni in cui ho rivestito l’incarico di direttrice artistica, che mi ha permesso di costruire un bagaglio di conoscenze davvero prezioso».

Al ricordo si è associato anche il direttore generale della Fondazione, Settimio Pisano: «Oggi il Politeama si accinge a vivere una nuova stagione, consapevoli dei profondi cambiamenti in atto nel mondo dello spettacolo dal vivo e nelle abitudini del pubblico».

«Ricordare la testimonianza di Mario Foglietti – ha sottolineato – assume, quindi, un significato ancora più grande se calato nel nostro presente. Il legame con la città, l’estro, il coraggio di puntare sempre in alto sono doti che non si possono dimenticare e che rappresentano, tuttora, dei valori di riferimento nell’azione di rilancio e programmazione del Teatro Politeama».

IL RICORDO / Franco Cimino: Antonio Guarasci, il primo presidente della Calabria del riscatto e della democrazia

di FRANCO CIMINOAntonio Guarasci, chi è costui? Chi lo conosce? Salgo per un momento in cattedra e faccio la domanda da prof. A tutti gli uomini e le donne della Politica, innanzitutto. Lo domando a voi, assessori della giunta e ai trenta consiglieri regionali. Allora, chi è Guarasci? Va bene, non rispondete, lo domando adesso ai sindaci della regione, ai consiglieri comunali e se non mi risponderanno ai deputati calabresi e ai rappresentanti di partito.

Dinanzi a questo silenzio, andrò in tutte le nostre scuole e università, e troverò qualcuno che mi saprà dire una parola su quest’uomo. E che diamine! Niente! Scena muta. Eppure, sarebbe bastato andare su Wikipedia, per averne una qualche notizia di quella pure assurdamente troppo brevi e sintetiche. Si sarebbe, però, potuto apprendere due cose importantissime, anzi tre. Antonio Guarasci (Rogliano, 7 maggio 1918- Polla, 2 ottobre, 1974) è stato un politico italiano. Copio e incollo, in forma retorica evidentemente, ché io lo so bene questo è molto altro di lui. L’anagrafe dice che egli sia stato un uomo per intero del secolo scorso e che lo abbia attraversato in alcune delle sue fasi storiche più importanti per il Paese. Ha fatto in tempo, prima che la sua vita si arrestasse a soli 56 anni. A Polla. Un nome di una località apparentemente insignificante, ma che tra un momento ci dirà di lui. Essere nato nel 1918 lo costringe ad andare in guerra e a vivere la sua giovinezza per tutto il tragico tempo del nazi-fascismo. Inviato in Africa – dice la biografia ufficiale –partecipa alla battaglia di El Alamein contro gli inglesi. Fatto prigioniero sconta un non breve tempo di prigionia negli Stati Uniti. Durante questo periodo incontra alcuni antifascisti, che rafforzano in lui la già forte sensibilità democratica e la coscienza che la Libertà è della Democrazia l’unica essenza. Finita la guerra, torna in Calabria dove sposa la figlia di Buffone, un autentico antifascista prigioniero con lui a Seattle.

Si impegna subito in politica e aderisce già dal 1946 alla Democrazia Cristiana, di cui sposa pienamente i principi cristiani ispiratori applicandoli a una chiara concezione laica dell’impegno politico. Anzi, della politica, il luogo in cui ogni fede, religiosa o ideologica, si fa parte di un discorso comune, che trova nelle istituzioni il tempio proprio della laicità e della laica ricerca del Bene Comune. Valore fondamentale nel quale si racchiudono i beni comuni, ciascuno dei quali va difeso e valorizzato in quanto patrimonio di tutti. Quali erano per Guarasci, giovane consigliere provinciale nel periferico collegio di Rogliano e, poi, assessore e quindi presidente di quell’ente, questi beni? Docente di storia e filosofia più la fede cristiana, dai licei all’Università, democristiano coerente più la passione accesa per la Politica, ebbe facile modo per riconoscerli e declinarli.

I suoi “preferiti”: il territorio, in cui il paesaggio rappresenta il quadro di un dipinto pregiato; gli enti locali, i comuni in particolare, quali strumenti in cui quel primo bene potesse essere difeso attraverso la diretta partecipazione dei cittadini. Ché nessuno come loro potrebbe avere la forza e il dovere, con la gioia e la responsabilità, di prendersene cura. Enti locali, territorio, cittadino, il triangolo perfetto della Democrazia. Cultura, tradizione e religiosità popolare, un altro triangolo perfetto, dell’identità sociale. Dell’appartenenza buona, libera e solidale al proprio luogo. Coscienza, responsabilità, cittadinanza, altro triangolo perfetto, quello della politica. Politica che è partecipazione, divisione nella distinzione, unità, altro triangolo perfetto. Quello del pluralismo, l’Unione articolata di tre autonomie, quella dei comuni, della persona, dei partiti e delle forze sociali accanto ad essi. Triangolo perfetto, ancora, e qui ci si potrebbe fermare, ma continuiamo.

E, quindi, ideali, ideologie, idee, che sono l’organizzazione programmatica di queste. E, ancora, pensiero, pensato, azione. Il primo è la filosofia, il secondo la politica, il terzo il governo. E, ancora, assemblea elettiva, giunta, maggioranza-minoranza come unico soggetto democratico. E ancora, lavoro, lavoratori, ricchezza, altro triangolo quello della Costituzione che prende corpo. E, ancora, democristiano, democratico, membro eletto. E finisco(solo, però, per mia personale stanchezza di scriverne), l’ultimo triangolo perfetto, mare, monti, beni culturali. E per essi, pesca, agricoltura, turismo. E terra, acqua (fiumi, mare fiumare)cielo. Cioè la natura, il grande patrimonio della Calabria, quella della poesia di Costabile e Repaci. La Natura che va difesa e riconsegnata intatta alle nuove generazioni. In questa molteplicità di triangoli, che mi sono dialetticamente costruito per meglio rappresentare la straordinaria personalità di un uomo nato per la politica, di un pensatore corredato dal pensiero profondo, di uno studioso vissuto per la conoscenza, vi è Antonio Guarasci. Il gigante vero di una Calabria che grazie a lui iniziava a liberarsi da ogni sudditanza per diventare protagonista del suo riscatto e della sua dignità riscoperta. Sudditanza verso i poteri esterni, che l’hanno sfruttata e derubata.

Sudditanza verso i poteri interni, che l’hanno assoggetta a comandi e comandanti di poteri violenti e paralleli al potere legale, con i quali non poche volte si confondeva. La mafia, non era il solo. Sudditanza verso l’ignoranza, nella quale placidamente la Calabria stava tra il sonno della ragione e l’abbandono della speranza. Questa immensità di valori e di energie vitali Antonio, Tonino, Guarisci si è portato alla Regione, della quale divenne il primo presidente. Qui, quella profonda ansia di riscatto, molto sostenuta sul terreno morale e culturale, si fece subito progetto di crescita attraverso la valorizzazione delle risorse territoriali, tutte. Lo scopo era primariamente politico. Esso si articolava in due momenti “contestuali”, mi verrebbe di dire “paralleli”. Crescere con le proprie forze significava costruire dal basso un nuovo modello di sviluppo regionale. Questo, avrebbe favorito la prima necessità dei calabresi, l’unità. Unità territoriale, politica e culturale. Realizzare la propria crescita senza più le mance di un governo centrale ingiusto e storicamente divisivo, che alla Calabria chiedeva, e prendeva, solo le braccia in cambio di scarse rimesse“ postali”, avrebbe consentito che la nostra terra divenisse protagonista di un nuovo Mezzogiorno.

La nuova realtà socio-economica, che unitariamente al Paese avrebbe dato in termini di risorse fondamentali per un suo più forte protagonismo in Europa. Perché si potesse realizzare tutto questo ben di Dio, era necessario, per quel grande Presidente, che la Calabria crescesse in spazi di libertà, che significa anche conquista di diritti, e di Democrazia, enti locali rivitalizzati. Partiti vivi e vitali, forze sociali moderne, associazioni libere e organizzate, Chiesa locale aperta al sociale, ma soprattutto scuole diffuse e università, rappresentavano per lui i luoghi della partecipazione reale dei cittadine e per la formazione di una vera coscienza democratica. Su questo mare oceanico si muoveva l’intelligenza politica e il coraggioso lavoro del presidente illuminato da una grande fede e una robusta ragione. Il politico delle grandi visioni e delle grandi intuizioni, il pensatore delle grandi prospettive della Politica, e, da qui, il primo edificatore, in Italia, dell’alleanza tra Democrazia Cristiana e Partito Socialista, (e, con uno sguardo più lungo, del rapporto fecondo tra l’area cattolica e riformista e la sinistra, anche comunista) viene un attimo dopo. O, forse un attimo prima, quale metodo e strumento e sostanza( un altro triangolo perfetto) della sua lungimirante azione politica e di governo.

Un uomo forte e coraggioso, dotato di un pensiero e di una parola possenti. Un principe e un lottatore, un gigante e un fanciullo, che avrebbe fatto grande la nostra Calabria, se quella notte del 2 ottobre del 1984, non fosse morto nello schianto della sua automobile sulla strada di Polla. Andava a Roma per difendere il lavoro di duemila operai di un’ impresa operante a Cetraro. In quel viaggio, in quella battaglia, in quell’idea, lavoro, persone, ricchezza, c’era tutto quel triangolo perfetto che aveva in ogni sua punta la triade della bellezza. (fc)

IL RICORDO / Filippo Mancuso: Antonio Guarasci e il suo impegno politico e umano per la Calabria

di FILIPPO MANCUSO – A cinquanta anni dall’incidente stradale del 2 ottobre 1974  avvenuto a Polla,  che ha visto la morte del primo Presidente della Regione Calabria durante un viaggio a Roma per difendere il posto di lavoro di migliaia di tute blu del tessile di Cetraro, il Consiglio regionale – nel ricordare il tragico evento e osservare un minuto di raccoglimento – esprime sentimenti di sincera gratitudine per l’impegno, politico e umano, dispiegato a favore delle comunità calabresi dal prof. Antonio Guarasci.

Antonio Guarasci è stato un  lungimirante uomo delle Istituzioni, che ha saputo agire per il bene comune, adoperandosi a traghettare la Calabria verso nuovi orizzonti, riuscendo a interrompere, a pochi anni dall’istituzione delle Regioni, il centralismo statale e a  dare voce e spazio all’autonomia decisionale dei territori, affrontando anche la piaga della disoccupazione e delle ‘storiche arretratezze’ della Calabria.

Antonio Guarasci, con il suo profilo umano e la sua storia politica, rimane tutt’oggi un esempio di integrità etica a cui ispirarci nel quotidiano svolgimento delle nostre prerogative e, allo stesso tempo, rappresenta un monito, per tutti noi, a fare di più e meglio, ampliando la partecipazione dei cittadini alle scelte della Regione, e per dare, con la necessaria spinta all’innovazione che il nostro tempo esige, risposte ai problemi attuali della nostra Calabria.

In questa circostanza, ricordiamo anche le figure di altri tre consiglieri regionali della prima legislatura venuti a mancare agli inizi degli anni ’70, anche loro convinti regionalisti: Giorgio Liguori, Consolato Paolo Latella e Giuseppe Fragomeni. I primi due morti nell’adempimento del loro mandato istituzionale: Liguori, membro della Commissione Statuto, il 21 dicembre 1970, in un incidente stradale mentre si recava alla seduta del Consiglio regionale; Latella, assessore alla sanità, il 3 gennaio 1974, a seguito di un’emorragia cerebrale che l’aveva colpito sei giorni prima nell’aula del Consiglio regionale; Fragomeni, il 21 aprile 1975, a poche settimane dalla fine della legislatura. (fm)

[Filippo Mancuso è presidente del Consiglio regionale]

IL RICORDO / Graziella Tedesco: Giuseppe Marino, 100 anni dalla nascita

di GRAZIELLA TEDESCOSabato scorso, nella Piazza municipio di Gallina un nutrito gruppo di politici, scrittori, medici, musicisti e giornalisti hanno onorato e ricordato, a cent’anni dalla sua nascita, la figura del prof. Giuseppe Marino, psichiatra, giornalista, poeta, mecenate ma, soprattutto un uomo di sconfinata umanità e finezza intellettuale.

Non appena ho letto la notizia in merito a questo evento, mi è venuto in mente il periodo in cui ho incontrato il professore Marino verso la fine degli anni Ottanta. Era un momento drammatico per la mia famiglia, poiché mia zia Azzurrina, la sorella di mia madre,  affetta da oligofrenia dalla nascita, aveva perso ogni freno inibitore dando il meglio di sé. Non sapendo a quale e Santo votarci, a quale specialista medico rivolgerci, ogni nostro tentativo era vano e intanto, mia zia ci toglieva il sonno, sfasciava i mobili e reagiva in maniera violenta contro tutti noi. Su consiglio di un amico, arrivammo allo studio del professore Marino in un pomeriggio di ottobre di tanti anni fa. Il professore guardò mia zia, che era visibilmente alterata, notò l’occhio nero di mia madre e il mio labbro tumefatto e, con una battuta dialettale smorzò la tensione di quel momento. Ci disse: «Vi resi o boni o nenti». In effetti mia zia ce le aveva date o “boni o nenti”. Comunque, il professionista prescrisse la sua terapia, ascoltò tutti i presenti e ci diede appuntamento da lì a quindici giorni.

Quando chiedemmo la parcella, il professore sorrise e ci accompagnò delicatamente all’uscita della sua casa-studio. Mia zia grazie a quella terapia, migliorò nel giro di ventiquattro ore e quando andammo al controllo come previsto, mia zia aveva recuperato buona parte della sua normalità. Il professore ci spiegò in seguito, con calma che cosa le era accaduto, definendo con acume la sua come una malattia degenerante e che purtroppo, era in fase di declino. Da quel giorno, si instaurò un’amicizia profonda con il professore anche perché, da profondo conoscitore del suo mestiere sapeva che il malato psichiatrico logora la famiglia quando questa non è supportata ed aiutata. E lui fece questo: curò mia zia e supportò la famiglia.

Mia zia morì venti anni dopo ma, nonostante tutto la grande amicizia, la stima e la riconoscenza nei confronti di Giuseppe Marino rimase sempre invariata. Il disagio mentale non è soltanto il risultato di formule, prescrizioni, diagnosi. Il disagio mentale è sofferenza per il malato e per le famiglie che, spesso ne escono devastate. Il professore, questo concetto lo aveva incamerato nella sua mente ed esposto abilmente nelle sue opere. Il malato e la sua famiglia erano uomini e donne da rispettare e supportare.

Ecco perché ho avuto la fortuna di incontrare lui, i suoi figli e suo genero che continuano egregiamente la sua professione con gli stessi insegnamenti e con lo stesso spirito, benedicendo davanti a Dio  il giorno  in cui mi sono imbattuta nel loro cammino. (gt)

IL RICORDO / Santo Gioffrè: A un anno dalla morte di Otello Profazio

di SANTO GIOFFRÈOtello Profazio fu uno Spirito Libero, cantore della sapienza popolare mai inficiata da qualunquismo o da credulonerie ciarlatane. Nelle sue ballate, l’ansia di in Popolo comunque proiettato al riscatto sociale. Egli fu un solitario Socialista libertario, figlio di quella formazione politica che aborriva totalmente il fascismo e il leghismo.

Avevo conosciuto Otello 26 anni fa, nell’aula magna dell’Università di Siena mentre, con i suoi stornelli, incantava l’auditorium composto dalla migliore intellighenzia snob della Sinistra Toscana. Da subito, c’intendemmo. Tutti e due eravamo preda di epidermite reattiva verso quel mondo. Fummo amici, spontanei e sempre critici. L’ho accompagnato in tutta la sua lucida vecchiaia. Mi raccontò della sua vita, i viaggi, la gente incontrata all’estero, il suo amore per la chitarra alla quale dava vita sol perchè della sua vita faceva parte.

Osservava la realtà attraveso i silenzi e le pause stampate nello sguardo degli uomini normali, come pittore di nature vive, e, poi, ne traeva testi, sonorità e ballate che trasformava in forza dirompente in ogni palco. Mi diceva: «come tu fai partorire e dai vita, io, osservando le molteplici realtà in cui viviamo, voglio far partorire, attraverso la riflessione di chi mi ascolta, la voglia di riscatto, anche in chi ha difficoltà alla presa di coscienza…».

Molto riservato, non approfittò mai delle numerose ed importanti amicizie cui godeva. Mi parlava di tutti i grandi artisti incontrati, soprattutto di Gaber e De Andrè. Mi raccontò di quando, per la prima volta, si vide tanti soldi in tasca. Glieli aveva dati il produttore perché aveva composto la colonna sonora del bellissimo film “l’Amante di Gramigna”. E, poiché stava in un katoio, si comprò una casa a Roma. Mi diceva: «Io non sono Comunista come te. Sono stato sempre un socialista libertario, ma pure gli Anarchici, come De Andrè, mi piacciono molto e mi piace, sempre, ascoltarvi».

Da Assessore Provinciale alla Cultura, un giorno venne a trovarmi e mi propose un tour, nella Provincia di Reggio Calabria, dei maggiori Cantautori di musica etnica e popolare dell’Italia meridionale. Gli dissi che aveva carta bianca. Vennero tutti e fu un successo incredibile. Quando presentò la nota spese per il rimborso, mi accorsi che era meno del badget che il mio Assessorato gli aveva deliberato. Gli chiesi… Mi rispose che si erano arrangiati col vitto e l’alloggio per tutto il tour, facendomi perdere la faccia per lo scorno visto il calibro dei partecipanti, come Rosa Balistreri. Ma Otello era così. Memorabile fu un dibattito organizzato dal Teatro dei Semplici, a Gallina, nel 2009. Si dilettava, in relazione alla fiction tratta dal mio romanzo, Artemisia Sanchez, da poco andata in onda, a dirmi del Filo di Seta, la sua bellissima ballata, e quando si ruppe tra Don Angelo e Artemisia… Andavo a trovarlo a Pellaro, perché l’unica cosa che voleva, era il mio olio e lui mi compariva con un gran cappellaccio australiano. Stavano giornate intere assieme. L’ho visto prima che stesse male e mi sorrise, in quella stanza-cucina in disordine.

Mondi belli che vanno via. Ma Tu, carissimo amico mio, se pur riservato, hai dato, alla Calabria e all’Italia, la parola giusta perché, se qui si campa d’aria, negli Spiriti Liberi alberga, sembra, la fame del riscatto e della Rivolta, persino contro gli ignoranti. Ciao Otello.

IL RICORDO / Ermanno Profazio: Un anno fa ci lasciava mio padre, Otello

di ERMANNO PROFAZIO – Un anno é passato dall morte di mio padre. È stato un anno intenso di emozioni e di riflessioni in cui, sia pur lentamente, abbiamo tentato di avviare una serie di progetti per ricordare e salvaguardare l’immenso archivio di canzoni e ricerche che ha lasciato.
Molti progetti sono ancora in divenire e richiederanno del tempo per essere pienamente realizzati. Comunque già oggi possiamo citarne 2 che sono visibili e ci rendono orgogliosi: Il tributo-ricordo Ciao Otello: una pubblicazione realizzata da Santo Strati con la nostra collaborazione che contiene contributi di tante persone che hanno conosciuto e apprezzato l’attività 70ennale di mio padre. Da diversi mesi é disponibile e può essere ordinato su Amazon.
La creazione di un canale Youtube (https://www.youtube.com/@ermannoprofazio7066) dove sto pubblicando, a poco a poco, i video e tutte le canzoni, corredate da spiegazioni documentate, testi, traduzioni in italiano e, ove richiesto, anche in inglese. (ep)