Vittorio Sgarbi: «Rifondare l’Europa partendo dalla Magna Grecia»

di MAURO ALVISIPuò capitarvi, ancora per poche ore, di vederlo sfrecciare per le strade degli Appennini e delle coste meridionali, nei tanti entroterra delle terre di mezzo e degli splendidi borghi abbandonati del meridione, con la sua capramobile. Indice della sua autentica ironia. Nel caso in questione auto-ironia. Sempre pronto a scendere, a cambiare programma, con improvvisi intermezzi tra la gente o attratto da una promessa di scoperta negli immensi e sconosciuti anfratti di un museo all’aperto diffuso, qual è il nostro Bel Paese. Chi ne segue il percorso e la scaletta quotidiana, alla fine dovrà forse fare ricorso ad un periodo di assoluto riposo.

La passione logora chi non ce l’ha. Parafrasando Belzebù che ormai non c’è più. Vittorio Sgarbi è ormai il meme di sé stesso. Il sembiante di un oracolo dell’arte. Enciclopedia vivente della cultura agita su tela o con scalpello. Anzi di più. Una Sgarbipedia che s’aggiorna ad ogni chilometro tra il patrimonio culturale più grande al mondo. Quello italiano in primis e quello continentale. L’icona geniale e sregolata, significante e significato della conoscenza del bene culturale, che ora promette di rifondare l’Europa partendo dalla Magna Grecia. Il suo potrebbe assomigliare allo sbarco d’un alieno a Bruxelles. Ascoltiamolo.

-In questi giorni di campagna elettorale, lei gira in lungo e in largo il Mezzogiorno peninsulare. Con una forte attenzione al riscatto culturale del Sud. Tutta la cultura occidentale e quella europea sono figlie di un pensiero agito in aree del Paese come la Puglia e la Calabria, in Magna Grecia, ma l’Europa sembra non averne coscienza. Che fare?

«È indubbio che esistano alcuni principi, pure importanti, che indicano cose in comune tra i popoli della Ue. La vera integrazione in una Euro-Nazione non è mai partita, perché passa necessariamente attraverso una esaltazione delle diversità. Di ciò che distingue e caratterizza le aree dove il pensiero è nato e dove la civiltà si è creata, che sono guarda caso proprio nel Meridione e nella Magna Grecia che vede nella Calabria la regione più difficile d’Italia e la sua rappresentazione più riconosciuta nel mondo che sono i Bronzi di Riace. Questo paradosso vede una delle cose più importanti che l’uomo abbia mai immaginato e creato in una regione che ha molti problemi da risolvere. Allora l’orgoglio della Magna Grecia che è lo stesso della Calabria è giusto sia rappresentato in Europa da chi da sempre avverte e promuove il valore della diversità. Con una strategia di valorizzazione che possa rovesciare il rapporto tra aree d’Europa egemoni, o economicamente più avanzate, e aree d’Europa che hanno vissuto una lunga sofferenza da cui devono essere riscattate».

-Quindi il Mediterraneo, che in questo momento si trova al centro delle agende geo-politiche e strategiche di tutto il mondo, ci sta indicando che forse parte da Sud anche un futuro nuovo rinascimento? Parte da questo Sud un possibile cambiamento radicale del pensiero e dell’azione politica comunitaria?

«Che il Mediterraneo sia centrale nel mondo è ormai cosa nota, che sia anche il luogo che rappresenta il punto più critico dell’Europa è provato da Lampedusa e dal tema degli sbarchi che vedono un ampio conflitto in essere, tra il nostro mondo, l’Europa, e l’Africa. Il momento più dolente e più pericoloso perché è quello da cui passa non solo una forza lavoro che dev’essere comunque organizzata, ma anche un passaggio di civiltà, di valori, di comportamenti che possono essere pericolosi per l’Occidente. Il Mediterraneo è occasione di unione ma anche di divisione, di separazione».

-È immaginabile utilizzare la parola rinascimento, entrata ormai a far parte, come meme molto forte per tutti ancora, dell’immaginario collettivo, per poter parlare di un’Europa che debba in qualche modo contemplare nella bellezza, nell’arte, nella cultura la sua rinascita?

«La parola rinascimento è un etimo per me molto chiaro, occorre definire pienamente se abbia a che fare con il destino della Magna Grecia, della Calabria e del Meridione, certamente il risultato e l’effetto dell’operare in Europa dev’essere quello, cioè di rinnovare, esaltare e far capire fino a che punto ci siano qualità, risorse e potenzialità, largamente ancora inespresse, nel meridione. Il punto è disegnare uno sviluppo e un progresso comune che tenga conto di queste diversità, come una nuova prospettiva».

-Vi è in atto un forte e progressivo impoverimento sociale e relazionale, diffuso anche in Europa come nella nostra Italia, cui si coniugano una serie di derivate come il bullismo, le baby gang, le azioni e le incursioni di terrorismo deturpativo nell’arte, forme di razzismo sempre più ricorrenti. Può dirsi questo il frutto noncurante di un deficit culturale e interculturale, di aver trascurato una educazione aggregante che la coscienza del bello e di una fraternità necessaria tra sconosciuti, promuove e insedia, scongiurando questo grande impoverimento dell’uomo?

«Diciamo che è la coscienza e la conoscenza sono elementi nevralgici, quelli per cui il riscatto è più difficile. Perché il lamento, il piagnisteo, la richiesta passiva e ossessiva di assistenza prevalgono sopra l’orgoglio e la passione, vi è l’esaltazione di quello che il meridione rappresenta. Quando questo avviene il risultato è straordinario. Quando vi siano una scienza, una coscienza e una conoscenza del valore dei luoghi, del valore delle produzioni economiche e agricole, prevalentemente biologiche e identitarie, si eleva il meridione alla massima potenza. Quindi occorre un’iniezione di fiducia, competenza guidata dalla conoscenza».

-Un’iniezione di fiducia, in termini pratici e usando la metafora, cos’è in termini pratici? Un’intramuscolare? Quali vie e pratiche dobbiamo utilizzare per iniettare fiducia in queste genti? Perché la sfiducia è un virus che infetta su larga scala ormai.

«È fondamentalmente una operazione di educazione alla consapevolezza del proprio patrimonio culturale. Un fare in modo di sedurre e innamorare il Meridione di sé stesso. Dalle istituzioni, alle famiglie, alle scuole, alle università al mondo del lavoro. Per poi tornare a sedurre di nuovo l’Europa».

-Quali sono i punti cardinali che fondano il suo impegno una volta dovesse essere eletto alle europee e approdare a Bruxelles?

«Senza dubbio la proposta di certificare la Magna Grecia come patrimonio dell’umanità. Attraversa un’area così vasta rispetto a quella del Prosecco o delle Langhe, che riguarda cinquanta luoghi che sono inevitabili. Da Sibari a Metaponto, a Riace, a Paestum, al museo di Taranto. Una quantità di siti storici, archeologici e museali inimmaginabile. Quando noi banalmente e spesso restringiamo la narrazione del nostro patrimonio culturale ad alcune grandi icone stereotipo. Come gli Uffizi a Firenze, Capodimonte, o Brera a Milano, ci rendiamo conto che nel mezzogiorno esiste una rete di luoghi che non hanno paragone al mondo e neanche in Italia. Pertanto l’identificazione di cinquanta riferimenti, come in Calabria ad esempio Altomonte o Palmi, la prima capitale del regno normanno degli Altavilla a Mileto, i grandi segni della presenza federiciana, alcuni conosciutissimi e altri no, (come il castello sul mare di Roseto Capo Spulico ndr.), tra tradizioni religiose e civiltà antica».

-È proprio il baricentro del suo agire politico in Europa quello di portare o riportare la cultura, quasi dimenticata, della Magna Grecia al centro della percezione, della conoscenza e della coscienza europea?

«Certamente. Se solo si pensasse di fare un incontro di figure iconiche, a partire da Gioacchino da Fiore e tutto quello che ha indicato come principi di una società basata non solo sui principi religiosi. Ci fa velocemente arrivare al cuore dell’Europa che è l’emblema di Castel del Monte e di Federico II di Svevia, stupor mundi, come il primo costituente dell’Europa. Quindi tutto può trovare nome, luogo, storia, pensiero, nel Meridione».

-Parlando di intelligenze e di storia della cultura e passando un attimo ad un tema di grande attualità, che va riempendo i media e l’intera comunità digitale: quello dell’intelligenza artificiale e l’affacciarsi, in contrasto, di un nuovo umanesimo. Dignità dell’uomo e democrazia sono a rischio, in un apparato diventato sintetico, dove le tecnologie la fanno da padrone? Bellezza e Cultura possono agire da costanti del progredire umano? Sono costanti vitali di cui non possiamo privarci, anche in Europa?

«Sì, a patto che siano ben lette e quindi interpretate. Il testimone che è al parlamento dev’essere ben convinto di questo ed in grado di difenderlo. Per questo il voto che viene dato alla mia persona è l’affidamento e l’incarico a una voce autorevole di interpretare quello che molti pur sanno o pensano si dovrebbe affermare con forza. La traduzione di una tradizione culturale, largamente tradita nei fatti e negli anni. Va spiegata e poi amplificata.

-Passando all’economia e alla giustizia sociale, piani tra loro molto collegati, oggi l’Europa mostra alcuni indicatori economici finanziari che apparentemente e nel complesso sono in lieve crescita. In realtà aumentano le differenze d’impatto e progresso economico tra gli stati dell’unione. E vi sono larghissime differenze della distribuzione e del livello di reddito tra Nord, Est e Sud dell’Europa. Alla base di questi larghi divari sociali in Europa, c’è forse la mancanza di una ‘cultura di coesione’? La dimensione economica è mossa da un vettore culturale. In questo caso un deficit evidente di una politica interculturale tra le nazioni europee?

«Esiste una intuizione di un’Europa che non è stata realizzata in cui il meridione d’Italia è del tutto assente. E’ impossibile che lo sia ma così accade».

-Dopo il fallimento dell’Onu come decisore della mediazione e un’Europa largamente discorde, al suo interno, su molte azioni e risoluzioni politiche, che riguardano la difesa e i drammatici conflitti in corso, in Ucraina e in Medio Oriente, pensa sia più funzionale parlare di un corpo civile di pace e mediazione, di una Diplomazia della Cultura o di un vero e proprio schieramento e corpo militare dell’Unione Europea?

La cultura, sia chiaro, esclude la guerra. La cultura propone l’intelligenza, la dialettica, la persuasione, la capacità di convincere, la maieutica, quindi tutti gli strumenti che provengono dal pensiero antico e lo proiettano nella contemporaneità che, come nelle civiltà primitive, pensa che la guerra sia l’unica soluzione. È inverosimile che noi si pensi di affidare la soluzione dei problemi alla guerra, quando si può adoperare l’intelligenza persuasiva e la mediazione. Il tema è che lo sviluppo dell’Europa è uno sviluppo cieco, sordo, con una sola idea di avanzamento che viene chiamato sviluppo sostenibile. In realtà occorre uno sviluppo compatibile con le differenti aree e luoghi, che studi e includa quello che i luoghi possiedono come loro vocazione (genius loci), li faccia produrre ciò che essi sono. Diventa quello che sei diceva Nietzsche. La sorgente di pensiero del mondo meridionale può diventare la soluzione per risolvere i grandi conflitti. Se si usano, al posto della ragione e del pensiero profondo, la violenza, la forza, le armi e la catastrofe della guerra, è evidente che noi tradiamo anche le premesse di un grande pensiero filosofico che è nato in Grecia e in Magna Grecia». (ma) 

 

LA STATALE 106, QUELLA STRADA UNISCE
3 REGIONI, COLPEVOLMENTE INCOMPLETA

di ERCOLE INCALZA – Molti anni fa nella definizione delle Reti Ten – T e poi nell’inserimento delle opere strategiche della Legge Obiettivo, ho approfondito la rilevanza geo economica del sistema idroviario padano – veneto; cioè della incidenza socio economica del fiume Po nel vasto territorio attraversato. Forse pochi ricordano che complessivamente il Po attraversa (dalla sorgente alla foce) 13 province: Cuneo, Torino, Vercelli e Alessandria (ubicati Regione Piemonte), Pavia, Lodi, Cremona e Mantova (ubicati nella Regione Lombardia), Piacenza, Parma, Reggio Emilia e Ferrara (ubicati nella Regione Emilia-Romagna) e Rovigo (ubicato nella Regione Veneto).

Molti studi sociologici confermano che il fiume svolge un ruolo di “aggregante” delle culture, delle abitudini e, al tempo stesso, annulla i confini regionali delle varie realtà urbane attraversate. Per i sociologi questo è un fenomeno naturale perché la forza di un fiume, come il Po, oltre ad incidere sulla memoria visiva incide anche sulle tradizioni e sulla evoluzione storica locale.

Ricordo che sono anche interessanti i romanzi che parlano della vita lungo il fiume, penso sia sufficiente citarne uno solo come il Mulino del Po di Riccardo Baccelli, un libro che è diventato, nel tempo, un classico della letteratura italiana. Quindi, un fiume rappresenta un forte legante fra realtà urbane ubicate in ambiti regionali diversi ed in particolare ha la capacità di mantenere inalterate le tradizioni di ogni realtà urbana anche piccola ma di offrire, contestualmente, alle stesse realtà una omogeneità sociale ed umana davvero incredibile.

Ora più volte mi sono chiesto se un fenomeno del genere sia possibile anche per un asse stradale, per un impianto infrastrutturale creato dall’uomo ma che con il tempo è diventato una condizione per muoversi, per interagire con ambiti territoriali diversi, per essere direttamente o indirettamente coinvolti in ciò che è un determinato teatro socio economico.

Ebbene, potevo scegliere tanti esempi di strade che hanno segnato la crescita e lo sviluppo del Paese, potevo prendere come riferimento, senza dubbio ricco di storia, l’Appia o la Salaria, cioè due assi viari che testimoniano la grande forza strategica dei Romani e, al tempo stesso, la capacità dei territori attraversati di sentirsi più legati alla forza dell’itinerario viario che al loro ambito, al loro feudo, invece ho preferito soffermarmi su una strada ubicata nel Mezzogiorno; ho scelto la Strada Statale 106 Jonica, una strada statale che percorre 481 km da Taranto a Reggio Calabria, percorrendo tutta la costa jonica di Puglia, Basilicata e, soprattutto, Calabria. Questa strada attraversa si tre Regioni ma, forse pochi lo sanno, attraversa ambiti che hanno una loro identità completamente estranea alla loro identificazione regionale, mi riferisco alla Sibaritide, al Crotonese, allo Jonio Catanzarese, alla Locride ed al versante Sud – Orientale dell’Aspromonte.

Ho presieduto, come Capo della Struttura Tecnica di Missione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, nel 2013 e nel 2014, le Conferenze dei Servizi del Terzo Macro Lotto Roseto – Capo Spulico ed ho avuto modo di verificare non un attaccamento dei residenti al proprio territorio, tipico delle realtà locali del nostro Mezzogiorno, ma una difesa dell’intero impianto viario indipendentemente dalla limitata realtà territoriale attraversata.

E sono anche diretto testimone di una vera alleanza fra tutti i residenti dei vari territori attraversati, cioè i pugliesi, i lucani ed i calabresi sia nelle Conferenza dei servizi, sia nelle riunioni programmatiche gestite dall’Anas e dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Ed è a tale proposito che ritengo davvero interessante ricordare, in modo sintetico, la storia di questo asse viario che attualmente, purtroppo, è nei primi posti della classifica nazionale delle incidentalità stradale (addirittura prima per numero di morti).

Su precisa volontà delle tre Regioni (Puglia, Basilicata e Calabria) l’intervento di riqualificazione funzionale dell’asse stradale 106 fu inserito nel 1° Programma delle Infrastrutture strategiche (Delibera Cipe n. 121/2001) nell’ambito della Legge n. 443/2201 (Legge Obiettivo) e nelle Intese Generali Quadro sottoscritte dalle tre Regioni con il Governo nel lontano 2002.

Tale intervento venne inserito nel piano Decennale Anas 2003-2012; per quanto concerne poi il Terzo Macro Lotto, ricordo che il CIPE approvò il Progetto Preliminare (Delibera n. 103) anche ai fini dell’attestazione di compatibilità ambientale e dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, per un importo complessivo di €. 1.234.754.242,86 (G.U. n.123 del 13/05/08). Il progetto definitivo dell’intero intervento fu poi approvato in linea tecnica, per l’avvio delle procedure autorizzative della Legge Obiettivo, dal Consiglio di Amministrazione dell’Anas in data 27/11/2013.

Per sette anni (dal 2013 fino alla approvazione del 2020) tutto si è praticamente fermato come in più occasioni ho ricordato, sia per questo intervento che per tutti gli interventi della Legge Obiettivo. Anche in questo caso sono stati non solo i cittadini interessati dal Megalotto 3 ma tutti i cittadini fruitori di tale asse a chiederne, con la massima urgenza, il completamento dell’intero asse e lo hanno fatto anche i Presidenti delle tre Regioni ed in modo particolare il Presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto che, con la sua tenacia, ha ottenuto un interessante copertura di 3 miliardi di euro per continuare a realizzare questo asse che come un fiume ha la forza di rendere omogenei e coesi i diretti fruitori.

Tutto questo forse perché ciò che chiamiamo Magna Grecia, da Taranto fino a Reggio Calabria, è riuscita a mantenere elevato ed unito il Dna della nostra gente del Sud; d’altra parte gli “ori di Taranto”, i “sassi di Matera” e i “bronzi di Riace” non sono oggetti ma sono la nostra storia. (ei)

Idea Magna Grecia: una Città della Cultura dalla Calabria al Mediterraneo

di PAOLO BOLANO

Si parla sempre meno di Mezzogiorno, eppure è un grosso problema irrisolto, palla al piede, per tutti i governi di destra e di sinistra sin dall’Unità d’Italia. Oggi anche la stampa italiana trascura il Mezzogiorno. Bisogna superare i ritardi in fretta per fermare l’emigrazione giovanile che ha svuotato interi paesi del Sud. Guardare all’Europa, ma allungare l’altro occhio all’Africa. Dove c’è una parte di futuro del Mezzogiorno.

In questo millennio bisogna sanare le ferite Nord-Sud e uscire dal sottosviluppo. Con l’Unità d’Italia abbiamo assistito a una fuga di massa. Un rabbioso addio alla terra che costringeva milioni di contadini poveri a baciare la mano del barone per avere un pezzo di terra e sfamare la famiglia. I ribelli, però, quelli che odiavano il barone, partirono in cerca di fortuna. L’esodo dal Mezzogiorno continua ancora, giovani laureati e diplomati portano il loro sapere oltreoceano e non solo. Bisogna fermare questo esodo!

Un grande meridionalista come Giustino Fortunato, nobile, liberale, proprietario terriero, deputato, illo tempore, cercò di sensibilizzare il Parlamento nato dopo l’Unità d’Italia per dare risposte concrete alla “questione meridionale” e ai tanti ritardi che assillavano – e tutt’ora assillano – il Sud. Chiedeva in Parlamento provvedimenti urgenti per uscire dal sottosviluppo: «…Valli da bonificare, pendii da rimboscare, vie da aprire, attività industriali da avviare…».

A dire il vero, si fece poco o nulla e il problema è ancora lì, irrisolto. Oggi, cosa fare dunque? In questo terzo millennio alla questione meridionale si è aggiunta quella mediterranea. Il nostro futuro è l’Africa. Un continente ricco, pieno di materie prime. Dobbiamo collaborare con questi popoli nell’interesse di tutti i paesi rivieraschi del Mediterraneo per produrre ricchezza e posti di lavoro. Bisogna investire nell’eolico, nel solare, in agricoltura, turismo e cultura.

È giusto il detto che con una fava si possono catturare due piccioni. Infatti, sviluppando queste terre possiamo, da un lato, dare occupazione ai nostri giovani laureati e, dall’altro, offrire lavoro ai tanti disperati immigrati che rischiano la vita ogni giorno per attraversare il Mediterraneo.

Non bisogna, intanto, dimenticare che il Mezzogiorno è la Magna Grecia. Qui, tremila anni fa, queste nostre terre furono invase dai coloni greci in cerca di terreni fertili. Con loro portarono la cultura: la filosofia, la medicina, il teatro, la scultura, la pittura, la musica.

Anche la Magna Grecia divenne una terra di grande cultura nel Mediterraneo. Infatti, anche qui è nato il teatro e il bello che poi, valicando i nostri monti, raggiunse il mondo intero allora conosciuto. Oggi bisogna confrontarsi con tutti i paesi che si affacciano nel Mediterraneo. È fondamentale per stabilire la centralità della cultura mediterranea quale punto di partenza per un nuovo sviluppo di questo sud del mondo.

A questo punto, vorremmo indicare ai nostri governanti, spesso stanchi e incapaci, una prima via per un percorso culturale di crescita e di sviluppo di tutto il Mediterraneo. Un mare di pace, dunque, e di lavoro. Per iniziare si potrebbe costruire una grande Città della Cultura in Calabria: “CinecittàCalabria”. Una Città del cinema, della tv, del teatro, della musica, con la presenza e la partecipazione di tutti i Paesi del Mediterraneo.

“CinecittàCalabria” dovrebbe produrre cinema, televisione, teatro e musica per tutto il Mediterraneo e parte dell’Africa. Una scuola di cinema, di televisione, di teatro e di musica, con il compito di preparare le figure artistiche e professionali che serviranno poi a produrre film, telefilm, sceneggiati, serie televisive, documentari, opere teatrali e musicali e comunicazione.

Questo investimento produrrebbe non meno di diecimila posti di lavoro. È una piccola cosa, ma sarebbe una buona partenza per un Mezzogiorno dimenticato che guarda avanti, guarda all’Africa per scrivere il futuro. Va, dunque, creato un gruppo di lavoro che sostenga quest’idea: enti locali, imprenditori, uomini di cultura e giovani intellettuali: Il dibattito è appena aperto: si attendono idee e suggerimenti.

Nella foto: Il giornalista e regista Paolo Bolano

REGGIO: AL MUSEO LA CASA “OIKOS” NELLA MAGNA GRECIA

10 agosto – Sarà inaugurata questo pomeriggio al Museo Archeologico di Reggio alle 17.30 la bella mostra “Oikos. La casa in Magna Grecia e Sicilia”, curata dal direttore Carmelo Malacrino e dall’archeologo Maurizio Cannatà.Tra le attività di valorizzazione del MArRC, questa esposizione rappresenta il principale evento culturale della stagione.
Tra gli oltre 100 preziosi reperti in mostra, spicca il Mosaico del drago di Kaulon in prestito da Monasterace. Accanto a reperti della collezione del MArRC ci sono numerosi altri prestiti dei Musei Archeologici Nazionali di Napoli e di Taranto, dal Museo Archeologico Regionale “Paolo Orsi” di Siracusa, dai Parchi Archeologici di Paestum e dei Campi Flegrei e dal Museo Archeologico dell’Antica Kaulon, afferente al Polo Museale della Calabria. In un percorso suggestivo viene così illustrato il tema della casa e dell’abitare nel mondo magnogreco e siciliota.
«Sarà un affascinante viaggio nel tempo attraversando la casa greca, per conoscerne la distribuzione degli spazi, gli arredi, gli oggetti d’uso quotidiano comune, ma anche i suoi protagonisti, accolti dal benvenuto dei padroni di casa, con le donne affacciate alla finestra avvolte nei loro himatia», dichiara il direttore Carmelo Malacrino. «L’allestimento è stato concepito con il supporto degli strumenti multimediali per presentare concretamente quale fosse il modo di vivere e di abitare in Magna Grecia». Il filo conduttore è l’oikos, termine che «per i Greci era la casa intesa come spazio fisico di vita dei suoi abitanti e, al tempo stesso, la famiglia con i suoi beni», continua Malacrino. «Attraverso la scelta espositiva dell’allestimento delle vetrine, i pannelli didattici, le ricostruzioni grafiche e digitali architettoniche e i video in 3d di descrizione di momenti di vita quotidiana, abbiamo voluto ricreare le forme dell’abitare nel mondo greco antico».
«La casa è per i Greci antichi l’espressione dell’identità della comunità dei suoi abitanti e si evolve nel tempo a seconda di come cambia la società», afferma Maurizio Cannatà. «Nella lingua greca non esiste un termine equivalente al latino familia. Esiste un unico termine, oikos. E ciò significa che rispetto ai legami di sangue prevale l’appartenenza al gruppo familiare, cellula base della società». Se nel corso dei secoli, nel mondo greco antico in Calabria e in Sicilia, si modifica l’organizzazione strutturale degli spazi della casa – spiega l’archeologo – non cambia la funzione degli ambienti rispetto ai ruoli all’interno della famiglia. «L’uomo, cittadino, politico, atleta e guerriero, vive nell’andron i momenti conviviali, delle relazioni esterne, nel simposio. La donna sovrintende ai lavori domestici e ha nel gineceo il suo regno indiscusso». (rrc)