di GIUSY STAROPOLI CALAFATI – Qualunque intensità di rosso sia, sempre vestita d’azzurro resta. È Briatico, la bella città del mare. Il borgo delle leggende, di Ulisse e delle sue sirene. Una conca di terra travolta dal cielo e dal mare, che per una soffiata di vento avverso, diventa anch’essa vittima degli attacchi vili di un’entità biologica infettante, che anche qui ha deciso di spirare. Come scirocco e come tramontana. Come libeccio e maestrale. Con folate sprezzanti e amare.
Dopo essere uscita indenne dalla prima ondata che vide l’Italia stretta nella morsa del Covid 19, lo scorso marzo 2020, Briatico, per quanto roccaforte sopra il mare, non riesce a superare con la stessa egregia valenza, la seconda ondata a cavallo della terza, da essere dichiarata zona rossa nella scorsa giornata del 2 marzo 2021. Non sono bastati né la brezza né lo iodio e neppure la spettacolarità del suo clima, a rendere immune dal Covid il piccolo centro costiero.
53 positivi al test molecolare, 6 ospedalizzati, 9 positivi all’antigienico in attesa di ulteriore conferma. Motivo per cui, il borgo marinaro che fu dei Pignatelli, subisce, assieme ai centri dell’entroterra, di Dasà, Sorianello e Gerocarne, l’ordinanza con cui il presidente f.f. Nino Spirlì, istituisce le nuove zone rosse sul territorio regionale.
Un colpo di coda che ha effetto su tutta la comunità. La scuola, il commercio e ogni singolo cittadino. Tutti vittime di una stanchezza che dura ormai da troppo tempo. Un anno esatto in cui l’uomo, al centro del mondo, viene con le sue stesse azioni, privato di quasi ogni forma di diritto, come libero individuo, a tutela della propria salute.
Con Briatico, città dalla sublime vista, con i tramonti sopra la bocca dello Stromboli, diventa rosso, più della sciara di fuoco del vulcano, uno dei pezzi di Tirreno più belli della costa degli Dei.
Il Covid non da attenuanti e non ha alibi. Si insinua nella cittadina marinara, come in ogni parte del mondo, in maniera subdola e prepotente. Privo, come è solito dei virus, di ogni possibile dote di discernimento. Un focolaio che parte dalla parte più intima del paese, la chiesa, e dilaga ovunque. Come se nessuno avesse più santi in paradiso.
E accade tutto in tempo di varianti, quando il trasmettersi del contagio risulta più veloce e fatale, mostrando finanche agli increduli la sua esistenza, la sua super potenza e soprattutto la sua efficacia.
Solo pochi mesi fa, il piccolo comune vibonese, aveva superato un evento che, quasi con il grido al miracolo, alcuni avevano letto come presagio di una brutta sventura.
La Statua lignea della Vergine Immacolata, compatrona del centro costiero, la cui storia risale alla vecchia Briatico, onde fu ritrovata illesa tra le macerie dopo il terremoto del 1783, lo scorso dicembre, è stata tratta in salvo dalle fiamme, causate da un incendio spontaneo divampato nella parrocchia.
Un preavviso? Un presagio? La credenza popolare dice di sì.
Ma la speranza tra i briaticesi non muore. E se la Madonna esce illesa dall’ennesima prova, anche per Briatico sarà lo stesso.
La fede è tanta tra, ma lo sono anche la tristezza e lo sconforto. E soprattutto la rabbia, contro gli scapigliati, gli irregolari anonimi e nominativi, che senza un minimo di buon senso contribuiscono alla diffusione del contagio, rendendo così nullo il concetto univoco di libertà: “dove comincia quella degli altri, finisce la mia”.
Aumentano le incertezze e le disillusioni. Per Briatico, come per il resto delle comunità calabresi e italiane. I programmi dei giovani per il futuro prossimo, saltano; i sogni rimangano accatastati nei cassetti. C’è attesa, lentezza e soprattutto solitudine. Perdono ogni principale funzione la scuola, la chiesa, i campetti di calcio, quelli di bocce, gli oratori e tutti i centri di sviluppo e di aggregazione su cui si fonda una vera comunità. Persino i momenti conviviale delle famiglie.
Le strade diventano deserti africani; le barche rimangono ormeggiate silenziose sulla riva, e le saracinesche dei locali, sigillate e chiuse. Eppure l’estate è alle porte. Il mare non ferma la sua rema. Infrange sulla riva e non smette di rumoreggiare. I paguri escono dalle conchiglie, gli animali si svegliano dal letargo, e i gabbiani continuano il loro volo mentre le rondini sono già di ritorno.
Era il tempo della preparazione, marzo. Quello del riavvio e dell’operosità. Ma neppure un marinaio o un contadino possono ritornare tranquilli all’opera loro.
Così, in questo fermo obbligato della vita, nel principiare della più bella stagione, con i campi carichi di acetosella, e i nidi sacri sotto i tetti, il tempo diventa di riflessione e di preghiera. Dopo la tempesta tornerà la quiete, così come dopo la quaresima è sempre Pasqua di resurrezione.
E se trova conferma la tesi che per raggiungere la felicità bisogna passare per il dolore, a Briatico, e nel mondo, dopo il rosso del Covid, non resta che l’azzurro del mare. Il vero colore che porta all’infinito. E rende liberi.
Una nota canzone dice “quando tutto sarà finito, torneremo a riveder le stelle”. Quel giorno, per i briaticesi, l’appuntamento sarà al solito posto. Sutta a turri. Ad accogliere turisti ed emigranti. (gsc)
In copertina, foto del Fondo Ambiente Italiano