Il ricordo dell’avv. Francesco Squillace
Avrebbe compiuto 100 anni oggi

Avrebbe compiuto oggi, 6 novembre 2025, 100 anni. I figli dell’avv. Francesco Squillace lo ricordano con immutato affetto: non soltanto un grande uomo e giurista, ma anche un vero e proprio modello di professionista che, per tutelare i diritti e le libertà degli individui ma al tempo stesso l’indipendenza del potere giudiziario, ha svolto due ruoli, quello di avvocato e quello di grande politico, entrambi con la stessa passione civile.

In lui le due dimensioni, di uomo dedito alla cosa pubblica e di professionista del foro nell’arco della lunga e laboriosa esistenza (1925 – 2020) si sono talmente compenetrate e alimentate l’un l’altra che è difficile darne una reciproca preminenza, finanche biografica.

Francesco Squillace era nato a Chiaravalle Centrale e nello stesso centro delle Preserre è morto novantacinquenne, legandosi alla Città alla quale ha dedicato molta dell’energia fisica, nella dedizione pubblica e nella grande cultura e intelligenza di cui era capace, manifestata anche in una vasta produzione pubblicistica volta sia alla storia locale sia alla memorialistica politica regionale e nazionale.

Di Chiaravalle è stato sindaco per due mandati non successivi tra il 1952 e il 1964, prima di approdare nel Consiglio della grande Provincia di Catanzaro nel 1966, ente di cui sarà presidente nel 1975. Temperamento determinato e appassionato, espressione fin da giovane universitario napoletano di quella Democrazia Cristiana che accompagnò la crescita sociale ed economica del Paese nel secondo dopoguerra.

Francesco Squillace, democristiano vero, fu definito politico “civile e cortese”, uomo di grande umanità, che ha sempre messo al centro la dignità e il benessere delle persone, soprattutto dei suoi concittadini chiaravallesi.

I due figli Gianfranco, Maria e Laura tengono vivo il suo ricordo con molto orgoglio, certi che questa figura potrebbe essere tuttora un utile esempio a tutti.

Soverato piange Gianfranco Maiolo

di FRANCO CIMINO – È morto Gianfranco Maiolo. Soverato è più povera. Se n’è andato così, improvvisamente.
Il giorno stesso – sette giorni fa – dell’attacco violento che l’ha colpito in piena vitalità, mentre continuava il progetto della sua vita, e della sua vita spesa per gli altri.
I sei giorni di lotta clinica per restare qui non contano. Conta quell’attimo in cui Gianfranco se n’è andato. E facendo rumore, lui che è stato per tutta la vita timido, discreto, riservato, quasi in soggezione. Mai, appunto, facendo rumore.
E invece ora chiasso da vivacità incontenibile, turbolento, per quell’istinto che si accende in tutti noi quando vogliamo per forza litigare su qualcosa, con qualcuno, per qualcosa e per qualcuno.

Rumoroso, turbolento, chiassoso: Gianfranco non lo è stato neppure per quella passione e per quell’amore sempre accesi, da quando praticamente è nato, cioè nato alla vita sociale, all’impegno per gli altri, alla comprensione del ruolo che ciascuno di noi deve avere nella società per poterla servire secondo gli ideali palpitanti in noi.
La sua grande passione: la Politica.
Il suo grande amore: la Democrazia Cristiana.
La sua passione: il Comune.
Il suo amore infinito: Soverato.
E di queste passioni, di questi amori soltanto dico, perché non posso neppure mentalmente raggiungere quelli che lui nutriva per la sua famiglia.
Quella originaria – genitori, fratelli, cugini, nipoti – e quella costruita dalle sue mani e dal suo cuore: l’amore per la moglie, inseparabile, compagna anche nelle cose più semplici della quotidianità, come andare a mangiare con gli amici, al cinema, al teatro. Oppure a prendere un gelato al bar. Andare a fare la spesa. Sempre insieme. E sempre insieme nella passeggiata di tutti i giorni, per tutta la loro vita.
E sempre passeggiata nella sua amata Soverato, della quale conosceva tutto e tutti.
In quel “tutti” c’erano anche i soveritani di adozione, di scelta, di residenza, di turismo. Se volevi sapere qualcosa – fatti, storie, storia, cultura, tradizioni e persone – bastava domandare a lui, e ricevevi notizie precise, dettagliate, pulite, serie, oneste.
Notizie e fatti mai attraversati da pettegolezzo, dai quali la sua serietà informativa salvava tutti: fatti e persone.
Per ognuno aveva comprensione e giustificazione; per ogni fatto, la capacità di analisi e di interpretazione.
Gianfranco, sempre al lavoro per Soverato.
Nel Comune, dove umilmente era al servizio di ogni settore per rispondere alle esigenze di ogni cittadino. Sempre in attività. Sempre al servizio dei bisogni e dei sogni. Mai degli interessi.
Io, segretario provinciale di quel suo partito, lo vedevo sempre presente a tutte le nostre più importanti manifestazioni, dovunque in provincia si celebrassero: comizi, congressi, convegni, dibattiti di vario genere.
Lo ricordo ancora più particolarmente quando seguivo le vicende del Comune di Soverato, in quegli anni accesi di politica vera, nei quali la Democrazia Cristiana aveva un ruolo predominante, con la sua forza preponderante, quasi maggioritaria.
Di quel Comune, tranne pochi anni, la DC aveva la guida.
E, come nei grandi partiti, le divisioni e qualche conflitto erano di casa.
In tutte queste riunioni, tra le più vivaci, lui era sempre moderatore. Operava per realizzare accordi nell’interesse esclusivo della città. Non partecipava alle piccole liti interne e, per il superamento delle stesse, personalmente si impegnava.
Di lui si fidavano tutti, per la sua onestà e sincerità, innanzitutto.
E per il suo totale disinteresse personale riguardo agli equilibri cosiddetti di potere. Potere che non ha mai cercato per sé in alcun modo.
Eppure, per il prestigio di cui godeva, per l’intelligenza di cui nutriva la sua azione, per la sua coerenza e fedeltà, di certo lo avrebbe meritato, ottenendolo pure.
Ma Gianfranco era così come lo si vedeva: semplice, umile, buono, generoso, cortese, affabile, educato.
Rispettoso di persone e istituzioni. Rispettoso soprattutto verso l’autorità: autorità in quanto figura nella quale si concentravano carisma e regole, responsabilità e capacità di guida.
Dicevo di Gianfranco: tipo particolare. E lo era davvero.
“Tipo” perché aveva una fisionomia complessiva tutta sua, da quella fisica a quella caratteriale. “Tipo particolare” perché una figura come la sua, così piena di qualità umane, è davvero difficile trovarla.
Gianfranco, oserei definirlo figura identitaria.
Una di quelle che racchiudono in sé tanti elementi di quell’identità nella quale ci si possa riconoscere.
Ecco, lo dico: un uomo autentico della Soverato calabrese, nazionale, si dica pure internazionale; in lui si può riconoscere, riconoscendo Soverato.
Bello, eh!
Basterebbe soltanto questo perché si sia vissuti pienamente. E lui ha vissuto pienamente.
Basterebbe solo questo, per chi l’avesse conosciuto, per sentire amore per lui. E gratitudine.
Basterebbe soltanto questo per portare ciascuno di noi a dirgli due parole, entrambe capaci di metterlo in difficoltà.
La prima: grazie, e vederlo schernirsi, e con il suo sorrisetto ironico fare un passo indietro, quasi a nascondersi dietro una parete.
La seconda: “Gianfranco, ti voglio bene”, per vederlo arrossire come un bambino.
E allora, inizio io, in questo giorno dell’ultimo saluto:
“Ciao, Gianfranco. Grazie. Ti voglio bene.”   (fc)

Addio a Saverio Abenavoli Montebianco

di FRANCO CIMINO – Con Saverio Abenavoli Montebianco scompare un grande calabrese.

Eravamo amici, noi due.
Amici come si può essere tra due persone – potrei dire due personalità – diverse. Distinti e distanti sotto quasi tutti i profili.
Saverio ed io siamo sempre stati, per la differenza d’età, il vecchio e il giovane. Il saggio e l’istintivo. Lo scienziato e l’umanista. Lo storico e – mi si lasci passare il termine – il poeta, così almeno alcuni mi definiscono, io vergognandomi. Il medico e il professore. Il maestro e l’allievo.
Il carattere, per quanto aperto e socievole in entrambi, era diverso: rigoroso il suo, parecchio leggero e quasi concessivo il mio.
Nonostante queste differenze, Saverio ed io eravamo diventati amici. Ma a distanza, però, perché tranne rare occasioni – per quanto ce lo promettessimo – non ci vedevamo mai.
Tuttavia, la nostra amicizia maturò nel rapido passaggio da una forte stima reciproca a una sorta di affetto crescente.
Ci si parlava tramite messaggi WhatsApp. Brevi, ma intensi.
Ci si scambiava scritti ed opinioni – Saverio, in particolare, di carattere storico. Storia antica e medievale: la sua area di ricerca e di studio. L’epoca normanna: la sua passione.
E in qualche modo anche la sua forte simpatia per alcuni personaggi di quell’epoca.
Attraverso le sue ricerche storiche, i suoi studi rigorosi, egli perlustrava da cima a fondo la storia della Calabria.
Ne coglieva gli aspetti più salienti e quelli che, a lui, risultavano più interessanti. E li esaltava.
Li sottolineava anche nel racconto parlato, che faceva nelle diverse conversazioni, e che l’interlocutore ascoltava rapito per la sua straordinaria capacità affabulatoria.
La Calabria che ne veniva fuori è una Calabria di cui andare orgogliosi.
Una Calabria coraggiosa, anche guerriera, delle fazioni in lotta e delle occupazioni.
Della difesa strenua contro le diverse forme di dominazione.
Una Calabria religiosa e colta. Ambiziosa e volenterosa.
Una Calabria di regnanti e del popolo. Terra ricca. Anche della fruttuosità di se stessa.
Terra piena di risorse e baciata dal sole più bello.
Coperta dal cielo più bello. Accarezzata dal mare più bello.
Calabria della buona nobiltà, quell’antica e gelosa del proprio onore.
Una terra grande. Da amare.
E qui il ricercatore si fa maestro, quando afferma con severità che per amarla, la Calabria, devi conoscerla a fondo. In particolare in quell’epoca straordinaria di passaggio.
La crisi – sempre più profonda – in cui da molto tempo versa la Calabria, lui la spiegava soprattutto con questa mancanza d’amore. Quasi identitario, ironizzava.
Una mancanza di sentimento dovuta essenzialmente alla mancata conoscenza della storia di questa terra, per natura meravigliosa.
La debolezza progressiva delle classi dirigenti aveva, secondo lui, un’origine ben precisa: l’ignoranza.
E non c’è nulla di peggio di chi non conosce se stesso. Di chi non conosce la propria origine.
Infatti, chi non sa da dove viene, non saprà dove andare.
E infatti, la Calabria ancora non lo sa.
Questo amore pedagogico di Saverio mi aveva catturato.
Come la caparbia insistenza nel voler coinvolgere anche me, nonostante la mia iniziale disattenzione, verso questo amore pulsante di ragione. Al ritmo frenetico di una storia dimenticata.
Non si arrendeva, Saverio.
Se pensava che tu potessi fare qualcosa per migliorare questa terra – soprattutto sul piano culturale, prima ancora che morale – non ti mollava affatto.
Ti scriveva. Ti inviava libri. Ti stimolava alla lettura.
Ti interrogava con il suo metodo raffinato, da persona gentile e rispettosa.
Domande corrette, educate, accompagnate da discrezione, per non metterti in difficoltà. E, però, assai stimolanti.
E messe lì, come un leggero rimprovero.
Per quanto mi giustificassi con le solite scuse dell’uomo super impegnato, nella gentilezza con cui lui mi si rivolgeva, mi sentivo sempre in imbarazzo. E in colpa.
Così andavo a leggere almeno in parte i suoi voluminosi libri, e le pagine più importanti – almeno quelle che più mi interessavano – delle sue opere straordinarie.
Non gliel’ho detto, perché non me l’ha domandato, che l’ultimo libro che mi ha spedito per posta è ancora dentro il plico e la busta che lo conserva.
Plico rimasto sepolto sotto la montagna di scartoffie e disordine, con cui copro il mio disordine generale e il mio vertiginoso voler fare cento cose in una stessa giornata, che di ore ne ha sempre e solo ventiquattro.
Ma, non risultando un’offesa contro di lui, questa mia disattenzione mi sarà molto utile, perché con l’improvvisa scomparsa di questo intellettuale straordinario – oserei dire figura davvero rara nel panorama culturale italiano – mi si imporrà l’obbligo di andarlo a leggere.
E con più profondità e attenzione.
Con maggiore curiosità verso questa montagna di sapere e di sentimenti che, in tanti, abbiamo sottovalutato.
Mi auguro fortemente che le istituzioni – in particolare quelle culturali, dai centri di ricerca alle università, dalle scuole alle biblioteche – si impegnino nella stessa direzione, per scoprire e valorizzare le qualità di uno storico possente e di un intellettuale inquieto, che tanto ha fatto per la nostra terra.
Non solo dal punto di vista scientifico ma anche culturale. Il patrimonio che ci lascia è una ricchezza inestimabile, che dovrà essere messa in evidenza affinché concorra alla crescita complessiva della nostra regione.
A me, personalmente, la sua improvvisa scomparsa lascia una tristezza profonda e inaspettata.
E la domanda “bambina” su quegli 87 anni bugiardi, per l’illusione che la sua creatività ed efficienza ci dava nel vederlo sempre giovane e vivace. Ottimista ed eterno.
Ah, dicevo della nostra amicizia.
Che c’era davvero.
Due persone sono amiche quando, fuori dalle convenzioni, uno apre il cuore all’altro e viceversa.
Il campo migliore in cui farla germogliare è quello in cui si parla dei figli.
E dei figli dell’altro si domanda.
Saverio, di Lodovico ed Elena, ne parlava con una gioia contagiosa.
Orgoglioso com’era dei risultati conseguiti da loro.
In particolare, sempre fiero del primogenito, medico, docente, scienziato.
“Complimenti, Saverio” – gli dicevo ad ogni comunicazione sui successi dei suoi ragazzi –
“Molto merito è tuo”.
La sua risposta non cambiava mai:
“No, Franco. Il merito è tutto loro. Io li ho aiutati soltanto a crescere”.  (fci)

Giovanni Valea, l’architetto delle parole che visita la Calabria tre volte l’anno

di BRUNELLA GIACOBBEFiglio di un uomo calabrese di Botricello, in provincia di Catanzaro, Giovanni Luca Valea nasce a Firenze nell’88 e nella culla della lingua italiana ha sempre coltivato l’amore per le parole: nelle sue poesie, all’università con una laurea in lettere, nel lavoro come docente della stessa materia e ora anche in musica.

Cantautore, poeta e scrittore, lo abbiamo conosciuto con l’album Canzoni uscito nel 2023, prodotto e distribuito da La Stanza Nascosta Records, preceduto dal singolo La costellazione del cane, il cui videoclip della Pixel Studio è stato anche trasmesso in anteprima da Tgcom24.

Valea è stato definito dalla stampa un outsider della nuova canzone d’autore italiana, tratto spesso caratteristico dei calabresi autoctoni o di origine, persone che affondano le loro radici in una terra che ha sempre coltivato la cultura come valore primario ed il legame con la terra, con l’umanità come motore che accende le intuizioni artistiche.

Sul noto Blog della Musica, dichiarò poco dopo l’uscita dell’album: «Canzoni è un album scritto essenzialmente a quattro mani e deve molto alla fortuna. Ho scritto le parole di tutti i brani in circa due anni e, quando balbettavo musicalmente, ho avuto il privilegio di conoscere Nuccio Corallo. Abbiamo lavorato duramente, senza tregua, tra chitarra e pianoforte. Il suo talento come compositore si è dimostrato fondamentale per dare una veste a certe canzoni. Qualche volta abbiamo collaborato persino su questo fronte e non posso che definirlo un onore. Si è instaurato un rapporto di sincera stima e di reciproco apprezzamento, tanto artistico quanto umano. Ne sono davvero felice. I nostri modi di interpretare e intendere questo lavoro si incroceranno di nuovo, molto presto.

Le canzoni, a ogni modo, dovrebbero parlare da sole o, almeno, così spero.
Vorrei sottolineare, nel caso non fosse abbastanza chiaro, che c’è senz’altro molta politica nell’album. Non è soltanto un disco fatto di canzoni d’amore, che avrebbe, in ogni caso, la sua assoluta dignità. C’è della rabbia per la situazione attuale, c’è la vendetta personale. E poi, da qualche parte, come sempre, l’amore. Sembra proprio che non se ne possa fare a meno… ed è, in definitiva, giusto così. Qualcuno lo ha definito “il motore del mondo”. Non posso che concordare e sottolineare, ancora una volta, che per fare certe scelte, a qualsiasi altezza, serve proprio l’amore. Nella vendetta, nella rabbia e persino nell’odio c’è una luce d’amore.

È da quella parte che veniamo e, probabilmente, i più fortunati si allontaneranno in quel bagliore. Gli arrangiamenti di Salvatore Papotto hanno dato una veste insospettabile e meravigliosa a queste dieci canzoni. Volevo un disco che avesse delle sonorità particolarmente contemporanee senza, tuttavia, tradire la mia natura. Desidero dedicare questo lavoro alla disperazione che attraversa il mare su barche di fortuna. Nel mio piccolo – conclude Giovanni Luca Valea – vorrei che queste donne e questi uomini sapessero che La Costellazione del Cane esiste anche per loro e, da qualche parte, magari più remota, una buona stella»
Sempre nel 2023, a novembre, ha pubblicato il romanzo Una vecchia valigia (NeP Edizioni) e ha all’attivo anche la pubblicazione di tre raccolte di poesie con case editrici indipendenti del territorio toscano: Canzoni di rabbia, poesie d’amore (2016), Una Storia che credevo di aver dimenticato (2019) e Una rosa al Padrone (2021).

A livello musicale ha pubblicato gli ep Iniziali (2021) e La disciplina del sogno (2023), sempre prodotti e distribuiti da La Stanza Nascosta Records.

Mentre a novembre 2024 è uscito con Dicembre, metà anticipando l’uscita del nuovo lavoro in studio del cantautore, atteso per gennaio. Il brano è accompagnato dal videoclip ufficiale firmato dal regista Marco Gambineri. A fare da filo conduttore è il pianoforte, avvolto da un pad di synth e sostenuto da una sezione ritmica incalzante. L’apertura melodica è affidata a suggestive architetture d’archi, che introducono sin da subito un’atmosfera sospesa e intensa.

Con Dicembre, metà  Valea ha tratteggiato un bozzetto poetico intimo e raccolto, che ci ha fatto pensare che la Calabria sia proprio come un seme, che sa crescere bene dove trova terreno fertile, e quando incontriamo sprazzi di calabresità come questo, ci fa piacere condividerli con i nostri lettori.

Valea viene a trovare la terra di suo padre almeno tre volte l’anno, ci auguriamo che sia noi che voi possiamo incontrarlo in qualcuno di questi viaggi, ancor meglio se ad un suo concerto. (bg)

 

L’ADDIO / Padre Ermolao Portella, missionario calabrese in Colombia

di PINO NANOSe ne è andato via in silenzio, senza disturbare nessuno, nella sua vecchia casa di Santa Caterina Albanese dove era nato e cresciuto, ma questo lui in realtà desiderava fare. Ma questo straordinario missionario calabrese è morto in Calabria quasi per caso, perché in realtà il suo progetto ideale era quello di tornare in Colombia per essere seppellito «nel fango che per lunghi anni lo aveva visto missionario e apostolo della Chiesa di Francesco, in uno dei posti più lontani e più infelici della terra».

C’è un libro bellissimo che oggi ce lo ricorda come se fosse ancora qui presente tra di noi, pubblicato da Demetrio Guzzardi, direttore Editoriale di Progetto 2000 e che con lui aveva un rapporto antico e quasi intimo.

«Sebbene la sua famiglia – racconta Demetrio Guzzardi – gli abbia chiesto di tornare in Italia, Padre Ermolao Portella desiderava in realtà morire in Colombia, dove aveva svolto la sua missione evangelizzatrice tra i contadini di quella terra. A 82 anni, Padre Ermolao Portella, testimone e guida spirituale della Comunità Missionaria Ardorino dei Pie Catechisti Rurali, desiderava continuare a lavorare in Colombia e voleva morire vicino alle comunità rurali che lui stesso e da solo aveva evangelizzato, instancabilmente, e con lo stesso entusiasmo dei suoi primi giorni».

Ma la vita non sai mai cosa ti riserva, e Papa Francesco un giorno lo richiama a Roma, e dopo oltre dieci anni nella missione colombiana, lui torna in Italia per sei anni come superiore generale della sua comunità. Poi, al termine del suo mandato, comunica al nuovo superiore in una lettera di grande impatto emotivo la sua disponibilità a recarsi in qualsiasi missione “Perché un missionario di Cristo- predicava- non può fermarsi mai”.

È così che nel 2016 torna nel comune di Garzón, situato nel dipartimento di Huila, praticamente a ridosso delle Ande.

«La mia famiglia – racconta a Demetrio Guzzardi in una intervista che potete anche cercare e trovare in rete su YouTube – sta ormai molto lontana dalla parrocchia di Cosenza dove io sono cresciuto come sacerdote».

Il padre missionario calabrese non fa che ripetere con insistenza: «La mia vera famiglia oggi è quella dei Garzoneños. Ho rinunciato alla mia famiglia di sangue per scoprire una famiglia spirituale», dice questo sacerdote italiano nato a Santa Caterina Albanese. E come tutti i figli migliori della terra d’Arberia Padre Portella andava fiero e orgoglioso delle sue origini arberesche e del passato del suo popolo.

«Ricordo – dice Demetrio Guzzardi – che Padre Ermolao mi raccontava che quando arrivò in Colombia, celebrava tre Messe ogni domenica in campagna e in montagna. Si recò anche in villaggi sperduti, lontanissimi, a volte inaccessibili, ma era questa la cosa che più lo affascinava. Ho conosciuto padre Ermolao Portella nel 1975, quando iniziai a seguire un’importante esperienza ecclesiale e con alcuni amici mi recavo domenicalmente a Taverna di Montalto Uffugo – allora semplicemente Bivio Acri – per un momento di condivisione e di amicizia con i ragazzi della parrocchia dell’Immacolata Concezione guidata da padre Portella. Il suo vice parroco era padre Gianfranco Todisco, che pochi anni dopo partì missionario, prima in Canada per seguire gli emigrati montaltesi, poi nel 1988 in Colombia per aprire la missione di Garzón e dal 2003 è vescovo in Basilicata a Melfi».

«Di quegli anni ricordo che la scelta di fare la caritativa dagli ardorini nasceva sia dal fatto che a Taverna abitava un nostro amico che si stava per laureare a Torino, ed aveva il desiderio di ritornare al Sud, sia per una sorta di imitazione milanese, perché i primi studenti che seguivano l’esperienza nata dal carisma di don Luigi Giussani, domenicalmente si recavano nella Bassa milanese, un luogo dove la ruralità – siamo nei primi anni Cinquanta del Novecento – era ancora viva. Dalla voce di padre Portella sentii la prima volta la frase simbolo del fondatore degli ardorini, il servo di Dio don Gaetano Mauro: «La vita rurale o è vita di fede, o è vita di tormento. Le privazioni che impone il vivere tra i campi, se non confortate, impreziosite dalla fede, diventano insopportabile strazio. La solitudine dei casolari isolati, se non è riempita di Dio, è desolante deserto».

Ma Demetrio non ha mai dimenticato il passato di Padre Portella nella parrocchia di Serra Spiga a Cosenza: «Sono stato suo ospite qualche volta anche a Roma in via della Lungara; ma quando è partito per la Colombia ed ha iniziato ad inviare mensilmente alla comunità parrocchiale cosentina di San Giuseppe, tramite il parroco, padre Pietro Giorno, una lettera familiare e molto attesa da tutti, in cui raccontava le sue esperienze missionarie, ho apprezzato moltissimo non solo il suo stile… letterario, ma anche la sua capacità di testimoniare, raccontando un «Vangelo vivo». 

Ma c’è dell’altro ancora. «L’altra cosa che ho sempre apprezzato- mi ripete Demetrio Guzzardi- e che mi permetto di chiamare teologia delle piccole cose, è quella di far vedere come vive ed opera un cristiano vero, nelle diverse situazioni in cui è chiamato ad operare. In molte delle missive – io che amo gli scritti di don Lorenzo Milani – ho ritrovato il cuore del priore di Barbiana, quando scriveva alla mamma o agli amici, ed il primo sentimento era sempre per i contadini che, lavorando la terra, hanno a cuore le meraviglie del creato. Credo che questo esempio valga molto al giorno d’oggi, la responsabilità personale è l’elemento fondamentale per costruire vere relazioni, perché nessuno vive solo, per la propria felicità». Oggi pomeriggio i suoi funerali nella chiesa di Montalto Uffugo. (pn)

La catanzarese Marisa Fagà ai vertici dell’Associazione Ande

di PINO NANO – «Siamo una associazione politica apartitica unica in Europa, fondata nel 1946 a Roma da Carla Orlando Garabelli, che aveva conosciuto da vicino, negli Stati Uniti, la “League of Women Voters”. Oggi le associazioni aderenti, sparse in tutta Italia da Trieste a Marsala, continuano l’impegno di sempre, a favore della partecipazione al voto, favoriscono il dialogo con le forze politiche e si dedicano alla riflessione ed alla formazione sui temi grandi e piccoli legati alla qualità della vita ed alla giustizia sociale per una valorizzazione della persona in un contesto di civile convivenza. Particolare attenzione è dedicata alla discussione sulla parità di genere in una realtà in rapidissima, sostanziale trasformazione».

Marisa Fagà non ha mai perso il carisma della donna guerriera, e oggi all’età di 82 anni torna protagonista assoluta del dibattito politico nazionale da Presidente dell’Associazione Ande, Associazione Nazionale Donne Elettrici, e che da sempre difende i diritti delle donne. 

Proprio in questi giorni, l’Ande Nazionale ha rinnovato, al suo interno, le cariche elettive e Marisa Fagà è stata riconfermata presidente. È stato anche eletto il nuovo Direttivo così composto: Pina Amarelli, Vice-Presidente Vicaria; Fausta Luscia, Vice-Presidente; Patrizia Ferro, Segretaria; Nadia Longo, Tesoriera. 

«Discutiamo in pubbliche assemblee delle tematiche fondamentali che coinvolgono la polis – sottolinea Marisa Fagà ragionandone insieme ad esponenti di partiti e di studiosi dei processi socio-politici di ogni orientamento, con l’obbiettivo di formare opinione, di fare brainstorming della borghesia. Ci serviamo dei media ed in particolare del mezzo televisivo (in alcune regioni abbiamo rubriche fisse Ande), che è oggi uno dei mezzi più efficaci per orientare il pensiero, tra i più capaci di dare visibilità».

Ma non solo questo. «Partecipiamo – aggiunge la neo presidente – a progetti comunitari, con finalità riconducibili alla necessità di formazione di cultura politica, convinte come siamo che far politica non sia un mestiere, bensì un servizio, che non sia improvvisazione, approssimazione, o carriera, bensì studio, elaborazione, confronto, preparazione».

L’Associazione Ande, in campo da 79 anni, fondata da Carlotta Orlando nel 1946 con l’intendimento di offrire uno spazio fisico ed ideale di formazione e partecipazione, rivendicando una convinta autonomia dai partiti è una realtà profondamente politica. Nel triennio scorso ha continuato a combattere l’indifferenza e l’assenteismo nell’elettorato per assicurare alle donne italiane ordine democratico e progresso sociale nelle libertà individuali. 

«In questa stagione in cui la politica è caratterizzata da linguaggi violenti  – e qui Marisa Fagà rispolvera il carisma della sua storia politica e di donna di governo –  è cambiata la natura del confronto, in quanto, spesso, essa non è in ascolto della società e i partiti sono sintonizzati su una frequenza più burocratica. Pertanto l’Ande è impegnata a promuovere l’attività delle cittadine italiane che desiderano acquisire maggiore coscienza politica e a difendere la tutela delle libertà democratiche, premessa di ogni processo civile».

«Ma noi – sottolinea Marisa Fagà – siamo soprattutto un’associazione europeista, importante è il nostro ruolo a difesa dei valori istitutivi dell’Unione Europea; molto significativi sono i convegni realizzati recentemente, a Napoli (L’Europa siamo noi), Milano (Europa: quali prospettive?) e Bologna (Europa ed Occidente nel nuovo ordine mondiale), per individuare percorsi che possano rendere l’Europa di oggi più coraggiosa, realizzando un piano di azione volto ad affrontare questa fase difficile e delicata di transizione».

È stato eletto anche il nuovo Consiglio composto da 25 Consigliere rappresentative delle numerose associazioni territoriali presenti in tutto il Paese (da Marsala a Trieste) nelle persone di: Ombretta Natali – Abruzzo; Carolina Depaoli – Agrigento; Carmela Moretti – Bari; Luigina Meneghetti – Bassano; Stefania Alfieri – Bologna; Fausta Luscia – Brescia; Carmelina Luigina Audino – Catanzaro; Rosanna Labonia – Cosenza; Anna Dongarrà –Enna; Milena Romagnoli – Genova; Nadia Longo – Lecce; Cristina Caiulo – Lecce; Simona Maddalena Manca –Lecce; Clara Ruggieri – Marsala; Pinarosa Cerasuolo – Milano; Giuseppina Amarelli Mengano – Napoli; Clarissa Campodonico – Napoli; Agnese Battistuzzi – Padova; Marianna Amato – Palermo; Paola Catania – Palermo; Maria Anna Fanelli – Potenza; Francesca Piazza – Roma; Marialuisa Lagani – Soverato; Marina Cioli – Trieste; Martin Roberta – Verona.

Sono state, altresì, nominate le Consigliere d’Onore nelle persone di: Etta Carignani, Adele Campagna Sorrentino, Pina Grasso, Maria Luisa Capasa, Marina Lilli Venturini e Benedetta Castelli.

La Presidente Fagà, ringraziando l’Assemblea per la stima e la fiducia riconfermatele, ha quindi auspicato di «promuovere nuovi futuri incontri per seminare il domani, con l’obiettivo di accendere un sogno collettivo che dia sicurezza e speranza in questa fase storica in cui è urgente riprendere un negoziato globale in un mondo multipolare». (pn)

L’ADDIO / Giancarlo Susinno, prof. emerito dell’Unical

di FRANCO BARTUCCI – L’Università della Calabria più sola per la scomparsa del prof. Giancarlo Susinno, una delle figure più rappresentative, molto vicina all’Università della Calabria fino agli ultimi giorni della sua vita, scomparsa a Roma circondato dall’affetto dei suoi familiari.

Il prof. Susinno è stato per l’Università della Calabria una figura di prestigio che per la sua area di ricerca l’ha inserita nei circuiti internazionali.  Arrivò all’UniCal nel 1987 con l’incarico di docente straordinario di Fisica Generale, proveniente da un’esperienza ventennale presso il CNEN e l’INFN nel campo della Fisica Subnucleare. L’anno successivo viene nominato direttore del dipartimento di fisica.

In qualità di direttore del dipartimento di fisica promuove a metà maggio del 1988  un convegno dibattito sul tema: “Il ruolo nuovo delle scienze nei grandi progetti di collaborazione internazionale”, avendo come ospite il prof. Antonino Zichichi per parlare dei “Grandi progetti della fisica subnucleare”; mentre lo stesso prof. Susinno illustra i contenuti della partecipazione del dipartimento di fisica al progetto LAA del Centro Europeo di Ricerca Nucleare. In quella circostanza il prof. Zichichi disse dell’UniCal e del prof. Susinno: «Il fatto che l’università della Calabria sia presente con un gruppo di validi ricercatori, guidati dal prof. Susinno, in un progetto di così vasto interesse come la fisica subnucleare, che rappresenta la nuova frontiera della scienza, è segno di coraggio e capacità a sapere affrontare i problemi più difficili. La strada dell’inserimento nei circuiti internazionali della scienza e della ricerca passa proprio attraverso l’impegno costante verso i problemi difficili che questa presenta. La scoperta di nuove leggi fondamentali della natura e di nuovi fenomeni è sorgente di nuove autentiche innovazioni di pensiero e sviluppo civile. Per progredire in tale cammino sono necessari laboratori complessi ed acceleratori di grande energia».

Il 30 maggio 1991 viene eletto Preside della Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali per il triennio accademico 1991/1994, subentrando al prof. Nicola Uccella. Il suo curriculum è abbastanza nutrito per esperienze internazionali, partendo dal progetto “Gran Sasso” LAA-ZEUS, ricoprendo la funzione di responsabile della componente “Large Area Devices for Muon Detection. Ha, inoltre, ricoperto la responsabilità della realizzazione della strumentazione necessaria al riconoscimento dei muoni, prodotti nell’esperimento ZEUS, in preparazione per lo studio delle interazioni elettrone – protone presso il collisionatore HERA nel Laboratorio DESY di Amburgo.

Durante la presidenza della Facoltà di Scienze ha garantito la sua presenza in tutti gli organismi in cui era necessaria la sua partecipazione di conoscenza scientifica. Mi piace ricordarlo anche in una delle ultime conferenze stampa che ho curato per l’Università e precisamente il 9 ottobre 2008 nel corso della quale ebbe modo, alla presenza del rettore Giovanni Latorre, di illustrare il contributo scientifico che l’UniCal ed in particolare il dipartimento di fisica, diretto in quel momento dal prof. Pierluigi Veltri, davano alla realizzazione del progetto del super acceleratore di particelle LHC (Grande Collisore di Adroni) presso il Cern di Ginevra. Si tratta del gigantesco anello, composto da quattro rivelatori, lungo 27 km e sepolto a circa 150 metri di profondità, con il quale si è dato inizio ad una nuova era della ricerca scientifica mondiale; nonché alla realizzazione del più grande e sofisticato rivelatore, denominato Atlas.

In questo momento mi piace ricordare anche il suo impegno diretto che diede alla costituzione dell’Associazione Internazionale “Amici dell’Università della Calabria” fin dagli inizi come socio promotore, in quanto atto di amore verso l’UniCal, nella quale ha creduto fino all’ultimo respiro della sua vita e vi spiego il perché, tanto che la presidente, prof.ssa Silvia Mazzuca, della stessa Associazione, nell’apprendere la notizia, mi ha informato e stimolato a tracciarne la memoria.

Una volta terminato il suo impegno di lavoro nell’UniCal, in quanto entrato in quiescenza, pur tornato a vivere nella sua Roma, ci ha sempre stimolato ad occuparci nel raccontare la storia dell’Università della Calabria e promuoverne l’immagine in positivo con orgoglio. Cosa che ho fatto soprattutto, grazie all’accoglienza di “Calabria live”.

Nel momento in cui l’Associazione “Amici UniCal” decise il 10 giugno 2024 di conferirmi la pergamena alla carriera di responsabile dell’Ufficio Stampa dell’UniCal, tenne a voler partecipare all’evento ricamandomi dei meriti quale primo responsabile di tale ufficio della nostra Università, che fu la prima nel 1980 con Bucci Rettore ad istituirlo in campo nazionale tra le Università Statali. Mi ha manifestato grande interesse ogni qualvolta uscivano i miei servizi su “Calabria.Live”, in cui parlavo degli eventi del nostro Ateneo. Come ha detto la prof.ssa Silvia Mazzuca, attuale presidente dell’Associazione Internazionale “Amici dell’UniCal”, ci mancherà molto e non solo per noi, a seguito del suo modo di essere uomo di scienza e maestro educatore, oltre che per la sua umanità.  (fb)

Il crotonese Massimo Proietto nuovo Vice Direttore di Rai Sport

di PINO NANOIn Rai è tempo di nomine e quindi di addii e di nuovi arrivi. Ieri i nuovi direttori delle quattro testate giornalistiche, Pierluca Terzulli (Tg3), Roberto Pacchetti (Tgr), Federico Zurzolo (RaiNews) e Paolo Petrecca (RaiSport) hanno presentato nella giornata al consiglio di amministrazione Rai il loro rispettivo piano editoriale con il pacchetto dei vicedirettori prescelti, nomine che verranno presentate ai rispettivi cdr, sono gli organismi sindacali, nelle prossime ore.

A RaiSport la squadra dei vicedirettori a disposizione di Paolo Petrecca vede in campo insieme a Marco Lollobrigida, Auro Bulbarelli, Riccardo Pescante, Annalisa Bartoli, Andrea De Luca il giornalista calabrese Massimo Proietto, crotonese dalla testa ai piedi.

Nato a Crotone il 20 gennaio 1974, giornalista professionista iscritto all’Ordine della Calabria dall’11 marzo 2009, Massimiliano Proietto dopo una lunga gavetta nelle emittenti televisive private, è approdato a Rai 1 lavorando per quasi cinque anni a Bologna nella Testata Giornalistica Regionale della Rai. Dal 2018 è Cavaliere al Merito della Repubblica per riconosciute qualità professionali.

Tra le ultime esperienze ricordiamo quella di giornalista e inviato su Rai1 de “La Vita in diretta”. Tra gli appuntamenti più importanti della sua carriera Massimo ha condotto dallo Sferisterio di Macerata “Musicultura”, il festival della musica popolare e d’autore, trasmesso dalla Rai. 

La sua gavetta inizia a 16 anni nelle tv private, per poi approdare dopo anni come inviato, a Rai1 in programmi quali “Sabato&domenica”, “Uno Mattina in famiglia” e “Linea Verde”, conducendo inoltre importanti programmi dedicati al festival di Sanremo. Per Rai1 e Rai International ha condotto da Loreto il primo concerto in memoria di Giovanni Paolo II “Totus Tuus”. Conduttore e autore storico del premio televisivo “Meeting del Mare”. 

Ha trascorso cinque anni a Bologna, alla Tgr Emilia Romagna, per poi passare a RaiNews nella testata AllNews, con l’allora direttore Antonio Di Bella. Recentemente ha condotto dal Teatro Ariston di Sanremo il festival “SanremocantaNapoli”. Ha condotto la prima e seconda edizione del festival cinematografico “CineMediterraneo” con la presenza di Pupi Avati, Michele Placido, Laura Morante, Isabella Ferrari, Alessandro Preziosi, Francesco Scianna, Adriano Giannini, Giorgio Verdelli e Ricky Tognazzi. 

Conduttore della decima edizione de “La Primavera del cinema italiano“ a Cosenza con la partecipazione di Lodo Guenzi, Pupi Avati, Pilar Fogliati, Edoardo Leo, Mario Martone, Roberto Andò, Giulia Andò, Marco Bellocchio, Riccardo Milani e Matteo Garrone. Da diverse edizioni è alla conduzione del “Bergafest” di Reggio Calabria dove è stato insignito dall’Accademia del Bergamotto quale Ambasciatore del prezioso agrume nella sezione “Giornalismo televisivo”. Proseguendo con i riconoscimenti ha vinto il premio “Massimo Marrelli” per la “Comunicazione e giornalismo” e il premio “CrotoneOk 2021” quale personaggio dell’anno insieme al cantautore Sergio Cammariere. 

Ma è stato anche inviato su Rai2 del programma “I Fatti Vostri “ diretto da Michele Guardì. Attualmente è in forza a Rai Sport, nella redazione calcio, alla conduzione di “C Siamo” storica trasmissione dedicata alla serie C girando i campi d’Italia. Al neo Vice direttore calabrese di Rai Sport gli auguri e i complimenti di tutti noi. (pn)

L’ADDIO / Mario Carbone, scompare un testimone del ‘900

di PINO NANOSe ne è andato anche lui, il grande Mario Carbone, fotografo regista e direttore della fotografia tra i più famosi del 900, aveva appena compiuto i suoi primi 101 anni di vita, era nato in Calabria, a San Sosti nel 1924, e da lunghissimi anni viveva ormai a Roma in uno dei quartieri più belli della capitale, e dove ieri è morto.

Le sue opere sono oggi conservate in importanti archivi e collezioni, tra cui il MoMA di New York, e sono oggetto di crescente interesse da parte della critica e del pubblico di mezzo mondo.  

La grande mostra che nel 2024 l’Archivio insieme alla Galleria d’arte Ellebi di Cosenza gli ha dedicato in occasione dei suoi 100 anni, rimane una testimonianza preziosa del suo straordinario lavoro, del suo sguardo e del suo impegno. Il progetto Carbone 100, una grande mostra diffusa, realizzata in vari luoghi istituzionali della sua terra natale, ha avuto il merito di riportare all’attenzione nazionale l’attualità e la vastità dello sguardo di Carbone, e ha dato avvio a un percorso di valorizzazione e diffusione della sua opera che si intende proseguire in altre regioni italiane.

Mario Carbone è stato uno dei protagonisti della fotografia e del cinema documentario italiano del secondo Novecento. La sua lunga carriera lo ha portato ad attraversare il Paese con uno sguardo lucido e partecipe, capace di restituire per immagini i mutamenti più profondi della società, della politica, dell’arte e della cultura italiana. 

Giovanissimo, Mario Carbone apprende il mestiere fra Cosenza e Milano, per poi stabilirsi a Roma, città in cui vive fino alla morte e nella quale si immerge, sin dagli anni Cinquanta, nella scena culturale più vivace dell’epoca, senza mai recidere il legame con la sua terra natale, e il Sud. 

E’ a questi anni, infatti, che risale l’incontro con Carlo Levi, con cui compie un viaggio in Lucania nel 1960. Le fotografie realizzate in tale occasione sono entrate nella storia, non solo per il loro valore – artistico, umano, sociale – intrinseco, ma anche per aver accompagnato il grande telero di Levi oggi esposto a Palazzo Lanfranchi, a Matera.

Nei decenni successivi, Mario Carbone documenta con sensibilità e rigore eventi fondamentali del nostro tempo, dalle lotte contadine, operaie e sociali del secondo Novecento all’alluvione di Firenze, fino ai movimenti artistici contemporanei. Insieme ad Elisa Magri, compagna di vita e direttrice della Galleria d’Arte Ciak, punto di riferimento tra gli anni Sessanta e Ottanta per gli artisti della cosiddetta Scuola di Piazza del Popolo, Carbone tesse legami profondi nel mondo dell’arte.  Documenta instancabilmente performance ed eventi artistici di grande rilievo, quali il Decennale del Nouveau Réalisme (Milano, 1970) la Prima Settimana della Performance (Bologna, 1977). 

Regista e direttore della fotografia di numerosi film e documentari, a Mario Carbone si devono cortometraggi e serie educative per la scuola e per la Rai, tra cui Artisti allo specchio, e opere premiate nei più importanti festival nazionali: Tra i numerosi riconoscimenti ricordiamo tre Nastri d’Argento, per I vecchi (1959), Stemmati di Calabria (1964) e Firenze, novembre ’66, film con cui vinse anche il Premio San Marco alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1967.

Mario Carbone è stato un grande testimone del suo tempo, un interprete attento delle trasformazioni individuali e collettive del nostro Paese. La sua macchina da presa e il suo obiettivo hanno saputo cogliere con intensità il movimento della storia e il volto delle persone che quotidianamente, con piccoli e grandi gesti, hanno contribuito alla sua scrittura.

C’è solo da augurarsi che il Grande Archivio che oggi porta il suo nome continuerà il lavoro di tutela, di valorizzazione e di diffusione della sua eredità culturale, nella consapevolezza- dice suo figlio Roberto- che il patrimonio da lui costruito rappresenta oggi un bene collettivo da restituire, custodire e tramandare. (pn)

 

IL RICORDO / Antonio Golini, insigne demografico calabrese

di GIUSEPPE DE BARTOLO

Si è spento a Roma alletà di 87 anni Antonio Golini, noto demografo di origine calabrese. Golini era nato infatti a Catanzaro nel 1937 e di queste sue origini calabresi andava molto fiero.

Si era laureato giovanissimo a Roma in Scienze statistiche ed attuariali e fresco di laurea era entrato a far parte dellentourage di Nora Federici, la più autorevole demografa del secondo dopoguerra, che era stata a sua volta allieva di Corrado Gini, il più illustre e autorevole tra gli studiosi di statistica e demografia della prima metà del Novecento, conosciuto in tutto il mondo scientifico per il suo coefficiente di Gini“ sulla distribuzione della ricchezza.

Entrato nel mondo accademico come assistente, collabora insieme al compianto Marcello Natale, altro assistente della Federici, alla terza edizione delle Lezioni di Demografia, il primo e più completo manuale di demografia del secondo dopoguerra. La Federici nella prefazione al volume li ringrazia entrambi per aver contribuito alla redazione dellopera con una accurata revisione critica del testo e con intelligenti suggerimenti”.

Quella di Golini è stata una brillante e veloce carriera accademica: giovanissimo diventa professore ordinario e successivamente, dal 1982 al 1987, Preside della Facoltà di Statistica. Ha svolto le funzioni di Presidente dellIstat per due anni ed è stato il Fondatore dellIstituto di Ricerca della Popolazione Irp, Istituto nato per promuovere i rapporti tra demografia e società, di cui è stato Presidente per molti anni. Accademico dei Lincei, Golini univa alle grandi capacità di studioso della Demografia, scienza alla quale ha apportato importanti contributi, altrettanti eccezionali doti di divulgatore dei fenomeni demografici, infatti è stato uno dei primi studiosi a denunziare allopinione pubblica le conseguenze della denatalità in Italia.

Molto noto anche a livello internazionale, ha rappresentato lItalia nella Commissione delle Nazioni Unite sulla popolazione. Antonio Golini veniva volentieri nella sua terra di origine e a questo proposito mi piace ricordare che negli anni 90, in occasione di un incontro da me promosso sul tema a lui caro dellinvecchiamento demografico, volle recarsi nella sua natia Catanzaro, utilizzando addirittura la ferrovia a scartamento ridotto che allepoca, attraverso un suggestivo territorio, collegava ancora senza interruzioni Cosenza con Catanzaro. (gdb)

[Giuseppe De Bartolo è già ordinario di Demografia all’Unical]