di PIETRO MASSIMO BUSETTA – «Partono ‘e bastimente, pe’ terre assaje luntane, cantano a buordo: sò napulitane! Cantano pe’ tramente’, o golfo già scumpare, e ‘a luna ‘a ‘mmiez’ ô mare’, nu poco ‘e Napule lle fa vedè».
Si chiama “Santa Lucia lontana” questa canzone ed è scritta da E.A. Mario nel 1919. Che insieme a Salvatore Di Giacomo, Ernesto Murolo, e Libero Bovio è da annoverare tra i massimi esponenti della canzone napoletana della prima metà del Novecento.
Siamo appena dopo la prima guerra mondiale e comincia un’emigrazione di massa soprattutto verso le Americhe da tutto il Sud ma anche dal Nord, in particolare dal Veneto ma anche dal Piemonte. Bergoglio è figlio di emigranti piemontesi. Sono quattro fratelli nati a Buenos Aires. Il padre Mario era un funzionario delle ferrovie, la madre, Regina Sivori, una casalinga con sangue piemontese e genovese.
Quando si partiva non si tornava più. Ovviamente Papa Francesco rappresenta un’eccezione dovuta alla chiamata dello Spirito Santo a Roma.
Qualcuno ancora afferma che la mobilità arricchisce ed è vero. Ma quando si tratta di fenomeni monodirezionali è falso parlare di mobilità. In questo caso si tratta di emigrazione, quel fenomeno che riguarda i paesi poveri, che non riescono a dare un progetto di futuro ai propri abitanti, che sono costretti a lasciare tutto per avere una possibilità di sopravvivenza.
Ha un solo flusso verso l’esterno, difficile che vi sia un flusso contrario. Arricchisce i Paesi che ne usufruiscono, soprattutto nel caso in cui questi sono in condizione di scegliere le migliori professionalità, in termini di età e di preparazione, da far entrare nel Paese.
Subito dopo la seconda guerra mondiale negli anni ’50-’60, il fenomeno diventa epocale e una massa di meridionali si sposta in pianura padana, per cui Torino diventa la città con più meridionali in Italia.
Sradicamento, legami che si perdono, in un processo ben rappresentato da Luchino Visconti nel capolavoro “Rocco e i suoi fratelli”. Manodopera che consente all’Italia di essere protagonista del miracolo economico con tassi di crescita annuali vicini al 5%, in un percorso che, invece di portare il lavoro dove c’era il capitale umano, preferisce trasferire quest’ultimo con una serie di problematiche importanti che evidenziano le proprie conseguenze anche oggi.
Allora si partiva con le valigie di cartone e prendendo un treno di seconda classe. Inizialmente la famiglia rimaneva nei paesi d’origine e con sacrifici incredibili si riusciva ad inviare qualcosa di quello che si guadagnava a casa. Quelli che migravano erano i più poveri, anche i meno istruiti e conseguentemente l’immagine che si creò fu quella del meridionale ignorante, cafone e spesso con famiglie numerose. Eh sì, perché nella seconda fase, quando riusciva a stabilizzarsi, l’emigrato faceva salire la famiglia e abitava le periferie dormitorio delle città del Nord. Da cui le scritte “non si affitta a meridionali”.
Dagli anni ’70 in poi la seconda ondata ha riguardato nella maggior parte dei casi giovani istruiti, 100.000 persone l’anno che dal Mezzogiorno si trasferiscono nelle regioni settentrionali, in particolare in Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. Ma la frase per coloro che erano bravi “non sembri nemmeno meridionale” fa capire quale era il sentimento nei confronti dei nuovi arrivati.
Questa seconda ondata è formata da giovani che hanno perlomeno la scuola media superiore e il costo per le regioni di appartenenza, considerato che ognuno di loro per essere portato a tale stato costa 200.000 €, è di circa 20 miliardi l’anno. Una cifra enorme che nessuno pensa di farsi restituire.
La differenza tra la prima emigrazione e la seconda è importante. Perché nella prima vi erano trasferimenti di risorse dal Nord al Sud con le rimesse verso le famiglie di provenienza. Nella seconda avviene il contrario. La famiglia invia i soldi per fare vivere il ragazzo o la ragazza che inizialmente ha uno stipendio tale da non poter sopravvivere. In un secondo momento la famiglia compra loro la casa, magari vendendo quella di proprietà al Sud, impoverendone il mercato Immobiliare.
E spesso alla fine del percorso anche i genitori si trasferiscono al Nord per stare vicini ai figli e ai nipoti. Quindi una operazione in totale perdita per i territori. Ma spesso il trasferimento avviene già con la frequenza in un’università del Nord, in maniera tale da poter entrare più facilmente nel mercato del lavoro.
Ormai la vulgata che viene diffusa al Sud è quella che chi rimane è uno sfigato. E che chi vuole riuscire deve assolutamente emigrare. Una costruzione che prevede di non mettere a regime il 40% del territorio e il 33% della popolazione, adottando un modello di sviluppo kamikaze, che prevede l’affollamento di una parte con problemi di convivenza non facili e l’abbandono di un‘altra.
In un percorso in cui il Nord pensa al suo Mezzogiorno come a una colonia interna, dalla quale estrarre capitale umano formato, energia, invadendo il territorio di pale eoliche e impianti solari, da cui far arrivare pazienti per le proprie cliniche e ragazzi che frequentino le proprie università.
E adesso il fenomeno riguarda anche i cinquantenni, ripercorrendo le strade della prima emigrazione verso le Americhe. Ma d’altra parte se non hai possibilità di un progetto di futuro nella tua terra, della dignità di un lavoro riconosciuto e remunerato, un volo low cost diventa un salvacondotto.
Qualcuno ci potrà anche guadagnare il Paese perde sicuramente le sue chances di competere non solo con gli altri Paesi fondatori europei ma anche con il mondo. (pmb)
[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]