EOLICO E FOTOVOLTAICO, ENERGIA PULITA
MA ARRECANO DANNI ALLE AREE AGRICOLE

di GIOVANNI MACCARRONEMolti cittadini non si stanno rendendo conto di quanto sta succedendo al nostro territorio. Sempre più società di energia solare ed eolica si stanno espandendo sui terreni agricoli della Calabria. Come già segnalato in un precedente articolo, nel novembre 2023 risultavano già attivi nella nostra regione 440 impianti eolici – il 70% si trova nelle province di Crotone e Catanzaro e sono pure in aumento le richieste di concessioni (attualmente 157 sono in corso di valutazione). Invece, come rilevato dal Rapporto sul consumo di suolo 2023 dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), nel 2021/2022 a livello nazionale risultano consumati dall’installazione di nuovi impianti fotovoltaici a terra circa 243 ettari di suolo. Per la Calabria non risultano dati certi, ma non c’è dubbio che anche nella nostra regione una parte cospicua di terreno agricolo venga consumato da fotovoltaico installato a terra. 

Con la conseguenza che negli ultimi anni si sta assistendo allo sgombero di terreni agricoli per far sempre più posto a impianti di produzione di energia elettrica da “fonti rinnovabili di energia o assimilate”.

Risulta ormai evidente (sia a livello europeo che a livello italiano) che il ricorso a tali fonti energetiche costituisca uno degli strumenti più efficaci per l’affrancamento dalle fonti energetiche fossili ‒ auspicabile anche in chiave di sicurezza degli approvvigionamenti ‒ e per il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra (sul punto si vedano i primi 5 considerando della Direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili).

Così come appare del tutto evidente che soprattutto a livello europeo, oltre ad una riduzione delle emissioni di gas serra, si voglia tendere verso un miglioramento dell’efficienza energetica con una quota di soddisfacimento del consumo energetico da fonti rinnovabili pari almeno al 27 % (cfr. la Comunicazione della Commissione Com (2014) 0015 – Quadro per il clima e l’energia 2030), 

Tuttavia, a fronte di queste valide considerazioni, c’è chi, come me, evidentemente insoddisfatto, tenta di sottolineare gli effetti negativi di un possibile ulteriore aumento dell’installazione sui terreni agricoli di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra

È ormai acclarato, infatti, che il fotovoltaico a terra produca impermeabilizzazione del suolo e impoverimento del terreno e della biodiversità

Da qui l’idea, fatta propria dal legislatore, di impedire che quanto sopra possa concretamente realizzarsi. A questo proposito giova ricordare che con il decreto legge 15.05.2024 n. 63 (DL Agricoltura), convertito, con modificazioni, dalla Legge del 12 luglio 2024 n. 101, (contenente disposizioni urgenti per le imprese agricole, della pesca e dell’acquacoltura, nonché per le imprese di interesse strategico nazionale) è stato previsto all’art. 5, comma 1, che “All’articolo 20 del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199, dopo il comma 1 è aggiunto  il  seguente:  «1-bis.  L’installazione degli impianti fotovoltaici con  moduli  collocati  a  terra  di  cui all’articolo 6-bis, lettera b), del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, in zone classificate agricole dai piani  urbanistici  vigenti, è consentita esclusivamente nelle  aree  di  cui  alle  lettere  a), limitatamente   agli   interventi    per    modifica,    rifacimento, potenziamento  o  integrale   ricostruzione   degli   impianti  già installati, a condizione  che  non  comportino  incremento  dell’area occupata, c), c-bis), c-bis.1), e c-ter) n. 2) e n. 3) del  comma 8 “.

Ne consegue che, a decorrere dal 14 luglio 2024 (data di entrata in vigore della legge), non è più possibile installare i pannelli solari sui terreni agricoli. Anche se, è bene evidenziarlo, nella bozza del Dl l’art. 6 modificava l’articolo 20 del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199 aggiungendo le seguenti parole: “Le zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici sono aree non idonee all’installazione degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra di cui all’articolo 6-bis, lettera b) del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28. I procedimenti di autorizzazione in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto sono conclusi ai sensi della normativa previgente”.

Invece, successivamente, è stata introdotta la possibilità di derogare al divieto di installazione di pannelli solari su terreni agricoli, Secondo quanto prevede l’art. 5, comma 1, secondo periodo, della legge 101/2024 “il divieto in questione non si applica nel caso di progetti che prevedano impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra finalizzati alla costituzione di una comunità energetica rinnovabile ai sensi dell’articolo 31 del decreto nonché in caso di progetti attuativi delle altre misure di investimento del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), approvato con decisione del Consiglio Ecofin del 13 luglio 2021, come modificato con decisione del Consiglio Eco Fin dell’8 dicembre 2023, e del Piano nazionale per gli investimenti complementari al Pnrr (Pnc) di cui all’articolo 1 del decreto-legge 6 maggio 2021, n. 59, converti to, con modificazioni, dalla legge 1° luglio 2021, n. 101, ovvero di progetti necessari per il conseguimento degli obiettivi del Pnrr”.

Quindi, se in un primo momento il decreto legge in questione vietava in maniera assoluta l’installazione di impianti fotovoltaici su terreni agricoli, in sede di conversione si è deciso di essere meno severi concedendo la possibilità di superare il citato divieto in limitate ipotesi.

Non è questa la sede per dar conto dell’ampio dibattito scaturito, soprattutto in seno alle associazioni ambientaliste nazionali, sul senso da dare a quest’ultima soluzione, anche perché, per quel che ci riguarda, dal 14 luglio 2024 in molti casi è impedito l’utilizzo del terreno agricolo per realizzare impianti fotovoltaici. E’ questo rimane un grande successo. Sta di fatto, però, che se da una parte il legislatore è intervenuto in qualche modo su tale tipo di impianto, dall’altra parte, invece, è impressionante la mappa delle concessioni di impianti industriali per la produzione di energia mediante lo sfruttamento del vento (centrali eoliche) rilasciate sul nostro territorio.

Lo abbiamo già visto sopra. Da moltissimi anni sono stati attuati in Calabria (in particolare nelle province di Crotone e Catanzaro) progetti di invasione di pale eoliche, a terra e tra qualche tempo anche in mare. 

Nessuno ne parla. Al contrario, c’è un assordante silenzio su quanto sta accadendo da noi. Ampie zone stanno ormai perdendo le loro caratteristiche naturalistiche, agricole, storico-culturali, la stessa identità, ad opera dell’accaparramento dei terreni per l’installazione di centrali eoliche da parte di società energetiche.

Sappiamo tutti che da diverso tempo vengono stipulati atti aventi ad oggetto locazioni ultra novennali di terreni agricoli e diritti di superficie su parti di terreni anch’essi agricoli allo scopo di avere la disponibilità dei terreni sui quali realizzare impianti eolici. E sappiamo pure che la costruzione di un parco eolico può avvenire non solo su un terreno detenuto a titolo di proprietà ma anche su un terreno detenuto per effetto di un contratto di locazione, oppure su un terreno sul quale sia stato costituito un diritto reale di godimento (come il diritto di superficie). 

Per quanto di interesse in questa sede risulta, però, che l’installazione di un impianto eolico costituisce a tutti gli effetti un buon investimento per tutti coloro che possiedono un terreno ma non desiderano o non vogliono coltivarlo; i rendimenti per ettaro ottenibili, infatti, sono molto elevati.

Siffatta ragione sta spingendo i possessori (a qualsiasi titolo) di terreni soprattutto agricoli ad investire nell’eolico, o meglio a cedere i propri terreni in cambio di un guadagno facile, dimenticando tuttavia che il paesaggio, i beni ambientali e culturali e la biodiversità non hanno prezzo e rappresentano un patrimonio inestimabile la cui preservazione deve essere una priorità imprescindibile.

Ricordiamo a tutte queste persone che i parchi eolici presentano problemi enormi in vari ambiti. In particolare, i parchi in questione richiedono l’installazione di infrastrutture su ampie aree di terreno sottratto all’agricoltura, agli allevamenti di bestiame e a praterie a pascolo. Decine e decine di migliaia di ettari di terreni agricoli, pascoli, boschi spazzati via, paesaggi storici degradati, aziende agricole sfrattate, questo sta diventando il panorama in larghe parti del territorio calabrese (così come nei territori della Puglia, della Tuscia, della Sicilia e della Sardegna)

Si ricordi a tal proposito che, oltre al posizionamento degli aerogeneratori, la realizzazione di parchi eolici può comportare anche opere civili quali strade d’accesso, fondazioni, piazzole per il montaggio, scavo e ricopertura linee, opere accessorie sottostazione elettrica, regimentazione idraulica, sistemazione morfologica, opere queste che potrebbero risultare incompatibili, o quanto meno gravare sulla destinazione d’uso del territorio circostante.

Non c’è dubbio, tra l’altro, che spesso i progetti per la realizzazione di questi impianti possono richiedere l’abbattimento di alberi e la raschiatura di erbe e, in molti casi, le turbine di tali impianti (alti come un palazzo di 18 piani) possono uccidere uccelli e pipistrelli (come è stato bene evidenziato “l’impatto con gli uccelli può avvenire o direttamente, per scontro con le turbine e o indirettamente per perdita dell’habitat in conseguenza della fase di cantiere, con disturbi della nidificazione e cambi di rotte migratorie”).

Altrettanto importante è l’aspetto legato all’inquinamento acustico (riferito ovviamente al rumore generato dalle pale eoliche). A questo proposito giova ricordare che il d.lgs. 42/2017, colmando quella che con tutta evidenza appariva ormai come una vera e propria lacuna, ha inserito (art.18) gli impianti eolici tra le «sorgenti sonore fisse» di cui all’art.2, comma 1, lett.c, della legge 447/1995, affidando a successivi decreti ministeriali – peraltro ad oggi non ancora emanati, malgrado il termine per l’adozione scadesse il 16 ottobre 2017 – la disciplina dell’inquinamento acustico (art.14) come pure la fissazione di criteri per la misurazione del rumore emesso dagli impianti e per il contenimento del relativo inquinamento (art.19).

È innegabile, quindi, che il rumore generato dalle pale che girano sia di forte impatto sulle popolazioni locali ed è per questo che viene esclusa la possibilità di collocare un aerogeneratore a una distanza inferiore a 400 m da ogni abitazione (qualcuno dice che anche l’effetto Flickering, ovvero l’ombra intermittente generata dalla rotazione della pala sul suolo considerando la variazione della posizione e angolazione del sole, può dare fastidio ai residenti).

Ma anche a prescindere da quanto finora detto, quello che comunque si dovrebbe tenere presente è che gli impianti per la produzione di energia mediante lo sfruttamento del vento sono pur sempre “impianti industriali”. Pertanto, le turbine eoliche, specialmente quelle di grandi dimensioni, possono avere un impatto visivo notevole sul paesaggio. Torri alte fino a 180 metri e pale lunghe fino a 100 metri possono essere visibili a grande distanza, alterando la percezione visiva di aree naturali o rurali, in particolare in zone considerate incontaminate o di particolare valore naturalistico e paesaggistico.

Insomma, siamo messi proprio bene: tra consumo di suolo, rumore, impatto paesaggistico e sulla biodiversità il nostro territorio è ridotto proprio male.

Eppure le grandi associazioni ambientaliste nazionali parlano dell’eolico come passaggio cruciale per il futuro del nostro territorio e anche per le politiche energetiche nazionali (in tal senso anche Tar Calabria n. 32/2011).

Anch’io dico sì alle fonti rinnovabili ma allo stesso tempo dico no alla speculazione energetica. Va bene la riduzione dei consumi, il fotovoltaico sui tetti degli edifici pubblici e delle zone industriali e la costituzione di comunità energetiche, ma detto questo non possiamo proprio accettare che detti impianti possano essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici, In merito, corre l’obbligo di tenere conto delle norme in tema di sostegno nel settore agricolo (valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, tutela della biodiversità, del patrimonio culturale e del paesaggio rurale).

È vero, dal punto di vista economico, che gli impianti eolici rendono di più della produzione agricola. Lo sappiamo benissimo. Ma in nome di quanto detto sopra non affittate il vostro terreno, con rendimenti che in un dato momento superano sicuramente quelli dell’attività agricola, dato che successivamente il terreno verrà restituito in condizioni non sane e con gli effetti devastanti che abbiamo descritto e a cui ciascun proprietario avrà purtroppo e suo malgrado sicuramente contribuito.

Tra l’altro bisogna ricordare che è possibile produrre energia elettrica senza dover necessariamente deturpare l’ambiente e il paesaggio. Si pensi all’energia elettrica prodotta dalle centrali idroelettriche. In Calabria ne abbiamo tante: la più famosa è quella di Timpagrande (situata nel comune di Cotronei) realizzata nel 1927 dalla S.M.E. (Società Meridionale di Elettricità), ma esistono anche quelle di Albi (CZ), Magisano (CZ), Orichella (San Giovanni in Fiore – CS), Calusia Nuova (Caccuri – KR). Si pensi anche all‘energia che sfrutta il calore naturale proveniente dall’interno della Terra (energia geotermica) e all’energia prodotto attraverso la decomposizione di materia organica, come rifiuti alimentari o letame animale, che rilasciano metano (Gas Naturale Rinnovabile – GNR)

Insomma, per la produzione di energia elettrica dobbiamo necessariamente pensare a queste ulteriori fonti rinnovabili e, soprattutto, alle potenzialità dei nostri territori rispetto ad alcune di esse. Così facendo si eviterà certamente di ricoprire il nostro territorio di mega costruzioni installate per lo più su terreni agricoli. 

Si noti, poi, che, paradossalmente, la Calabria non necessita in alcun modo di tutto questo fabbisogno energetico neppure adeguatamente verificato. Da noi, a bene vedere, la popolazione è poco più di 1.834.518 abitanti. Pertanto, se davvero si dovesse continuare a realizzare tutto quel quantitativo di installazioni indicato all’inizio, l’eventuale energia prodotta da queste mega costruzioni verrà utilizzata solo in pochissima parte del territorio calabrese. L’energia verrà portata in Italia, per soddisfare i bisogni del resto d’Italia, mentre la Calabria sarà una delle regioni che pagherà il prezzo sull’impatto ambientale e paesaggistico.

La Calabria è una terra meravigliosa, unica in Italia, ma di recente è risultata la seconda regione dell’Unione Europea (dopo la Guyana francese) per quote di persone a rischio povertà o esclusione sociale (dati Eurostat). Anche per questo è stata invasa e violentata da sempre. In futuro, quindi, evitiamo, che la Calabria possa essere assaltata da impianti eolici on-shore (sulla terraferma) e off-shore (a mare) per la produzione di energia elettrica. 

Difendiamo la bellezza della nostra terra, proteggiamo il nostro territorio, così come sta facendo da diverso tempo il popolo sardo.

Speriamo bene. (gm)

PARCHI EOLICI, IN CALABRIA È PROTESTA
SENZA POLITICHE SERIE È UN SACCHEGGIO

Di VINCENZO IMPERITURA – Se non è (ancora) muro contro muro, poco ci manca. Da una parte, la possibile trasformazione della Calabria in uno degli hub energetici dell’intero Paese – in compagnia di Sardegna, Sicilia e Puglia – inizia  a diventare concreta, con alcuni dei progetti di parchi eolici avanzati dai colossi delle rinnovabili in rampa di lancio per conquistare le caselle rimaste libere sul territorio regionale. Dall’altra, sempre più comitati spontanei a difesa dei boschi e dei mari calabresi si stanno rimboccando le maniche con ferme e pacifiche iniziative di protesta per bloccare i temuti cantieri.

Una presa di posizione netta che ha preso piede in tutte le aree dove sono previsti i nuovi, giganteschi, parchi e che, forse come mai prima in passato, ha visto anche sindaci e amministratori schierarsi decisamente a difesa del territorio. Una protesta compatta che viaggia veloce dal Pollino allo Stretto e che, alle temute speculazioni delle multinazionali americane e nord europee innescate dal decreto energia del ministro Pichetto Fratin e facilitate dal “piano integrato energia e clima” approvato dalla Regione nel luglio dello scorso anno, dice si all’energia pulita e rilancia con la richiesta per le istituzioni delle “comunità energetiche” che, seppur contemplate nel documento rilasciato dalla Giunta regionale, non hanno trovato finora la sponda giusta.

A rinverdire le polemiche legate ai nuovi parchi eolici in attesa di realizzazione è arrivata, storia di una manciata di giorni fa, il primo Sì ministeriale – ma i tempi del progetto sono ancora lunghi – per l’allestimento del gigantesco parco eolico galleggiante che “Acciona” vorrebbe costruire al largo della costa: l’ipotesi presentata dalla multinazionale spagnola prevede un parco galleggiante di 37 turbine per 555 MW di potenza stimata da collegare a terra con un cavidotto sottomarino fino a Scandale. Il nuovo parco dovrebbe sorgere proprio accanto ad un altro parco dalle medesime dimensioni, che la stessa Acciona vorrebbe realizzare poco più sud.
Anche in questo caso le turbine sarebbero 37 per una potenza di 555 MW e sarebbero collegate attraverso un cavidotto sottomarino di 51 km fino a Roccelletta, per poi collegarsi alla rete nazionale a Maida attraverso un nuovo cavidotto di 17 chilometri. Secondo il progetto, la costruzione delle gigantesche turbine è prevista nel porto di Augusta, in provincia di Siracusa. E ancora, i due progetti “Fortevento” che la “Ocean Winds” vorrebbe allestire sempre nel golfo di Squillace per un totale di 78 torri e più di 1000 MW di energia da collegare direttamente all’interno del porto di Crotone, il “Krimisa Floating Wind” (62 torri alte 286 metri da allestire al largo di Isola Capo Rizzuto) a cui si aggiunge un altro parco galleggiante (28 turbine alte più di 300 metri) da realizzare al largo di Corigliano-Rossano.

«L’ipotesi di fare della nostra regione un hub energetico – scrive in una nota Gianmichele Bosco, presidente di quel consiglio comunale di Catanzaro che nei mesi scorsi aveva manifestato il suo convinto No all’opera  –  si è trasformata, in assenza di politiche serie a difesa degli interessi collettivi, in un saccheggio indiscriminato del territorio nell’interesse privato di pochi, che ora guardano anche allo sfruttamento della risorsa mare. Come al solito, chi sa fiutare il business è venuto qui, sapendo anche di poter trovare terreno favorevole per fare e disfare a suo piacimento, come è sempre accaduto in passato. Ma questo non è più accettabile ed è opportuno che si sappia».

Finora, i No di sindaci e amministratori hanno potuto ben poco (in sede di conferenza dei servizi il parere delle amministrazioni comunale non è comunque vincolante a causa delle semplificazioni amministrative dettate dal decreto che regola la transizione energetica) contro l’assalto dei colossi delle rinnovabili al territorio e al mare calabrese, ma la “grana” eolico è già esplosa e i comitati contrari alla costruzione delle gigantesche pale che già soffocano l’intero territorio regionale, promettono un autunno caldo. (vi)

[Courtesy LaCNews24]

LA RIFLESSIONE / Francesco Bevilacqua: La Calabria e l’eolico

di FRANCESCO BEVILACQUA – Per avere un’idea di cosa resterà del paesaggio calabro dopo la “cura”, bisogna andare in visita sulle colline fra i comuni di Maida, S. Pietro a Maida, Girifalco e Cortale. Qui, diversi anni fa, con la complicità delle amministrazioni locali e l’assordante silenzio dei cittadini (salvo poche eccezioni), paesaggi di pregio si sono trasformati in un Golgota costellato di immense, funeree croci ruotanti. Lo osservo, questo scempio, ogni giorno, scendendo verso Lamezia Terme dalla mia casa, sul versante opposto della Piana di Sant’Eufemia.

A sera, l’intera linea di colline a sud della Piana è un camposanto, con decine e decine di lumini rossi che tremolano nel buio. Se ci vai dentro di giorno, invece, resti sopraffatto dalla sproporzione di quei mostri d’acciaio e dal loro rumore sinistro: un impatto terribile sulle delicate, silenziose distese di ulivi secolari. I bei paesi, gli antichi casali, le piccole fattorie, i resti del patrimonio storico e artistico sparsi sul territorio se ne stanno, silenziosi e depressi sotto l’incombere di questi monumenti della fantomatica energia green. Quale beneficio i parchi eolici del Maidese abbiano portato alle popolazioni dei paesi nessuno lo sa. Anche perché le casse dei comuni piangono il mancato pagamento delle royalties che le società dell’eolico avevano fatto brillare come specchietti per le allodole.

In questi giorni fra l’Aspromonte e la Sila, ad Agnana, Antonimina, Acri, le comunità locali insorgono contro nuovi parchi eolici che andranno a devastare altri paesaggi, altri pezzi di territorio calabro, in una corsa sfrenata verso il completo disfacimento. Diciamocelo con franchezza: a scendere in piazza non sono folle oceaniche. Si tratta di piccole avanguardie pensanti e critiche che provano a scalfire il coma topografico delle popolazioni, abituate a veder passare di tutto sulla pelle dei territori.
Ma le avanguardie possono rifarsi ad esperienze di un passato più o meno prossimo: la battaglia della gente e delle amministrazioni di Capistrano, Monterosso Calabro e Polia contro le pale sul M. Coppari, ad esempio; oppure quella dell’area del Reventino-Mancuso contro gli svariati progetti di parchi eolici che ancora incombono sui monti a nord della Piana di Sant’Eufemia. In entrambi i casi la marea montante dell’eolico è, per ora, arginata. E ciò è stato possibile proprio perché le popolazioni – e talvolta le amministrazioni locali – hanno preteso di dire la loro. Esattamente come recita l’art. 5 della Convenzione Europea del Paesaggio. Solo che bisogna vigilare ed essere tempestivi. La Calabria sarà investita, nei prossimi mesi, da una valanga di progetti eolici, che verranno comunicati ai comuni e che i comuni dovranno rendere pubblici. Da quel momento scatterà un termine brevissimo perché le amministrazioni, le associazioni, i cittadini esprimano la loro opposizione. Scaduto il termine sarà molto difficile contrastare i progetti.
E che nessuno venga a farci la predica sul contributo che anche la Calabria deve dare al deficit energetico del Paese: la regione produce (in parte proprio da fonti rinnovabili) il triplo dell’energia che consuma. E nemmeno ci si dica che le società dell’Eolico sono delle benefattrici: i loro proventi vengono soprattutto dagli incentivi che lo Stato e l’Europa (con i nostri soldi) elargiscono loro per la semplice costruzione dei parchi eolici.
Resta il nodo del paesaggio che, se in Calabria, come è ormai riconosciuto, conserva un alto gradiente estetico ed etico (nonostante le rovine disseminate ovunque dal secondo dopoguerra in avanti), deve essere tutelato. Il risveglio dei calabresi in difesa dei loro paesaggi è un labile, prezioso segnale di speranza in una terra dove la speranza sembra morta da tempo. (fb)

Ad Antonimina i “custodi” del territorio contro l’eolico

Si è svolta, ad Antonimina, una manifestazione dei cittadini della zona che si battono contro lo scempio dell’installazione di un impianto eolico, nella frazione Martilla, di fronte al monte Tre Pizzi, una delle tante bellezze ambientali della vallata e dei suoi crinali.

All’iniziativa hanno partecipato rappresentanti della società civile, cittadini resistenti, associazioni culturali, sociali o per la tutela della bio diversità (Terra e Libertà, CSOA Angelina Cartella di Reggio, Equo Sud, Proteggiamo il Territorio di Acri, Osservatorio Ambientale della Locride, Siderno ha già dato, Terre di Vasia, Casa delle Erbe della Locride, Casa delle Erbe Terre di Lucagnana di Gallina, Let Us a Dream e Fondaco del Fico di Roccella, Chamaropa e Santa Pulinara di Platì, Gruppo Territorio e Ambiente di Mongrassano, Gruppo dei Pacciamanti, Archeoclub Toco Caria di Girifalco, Lineaverde di Cinquefrondi, Italia Nostra di Catanzaro No ponte, USB Calabria, PAP, RBD e altri soggetti politici e sindacali).

Una camminata lungo il percorso che porta alla piazzola della torre, in fase di costruzione, durante la quale si è potuto constatare lo sfregio dello sbancamento di terreno effettuato dalla società per trasportare la pala e il rotore fino al sito.

Ampi spazi sono stati aperti lungo le curve strette, modificando la consolidata regimentazione delle acque senza riguardo alle eventuali conseguenze di forti piogge che si scaricheranno sulle case e sui terreni della zona.

Dopo aver raggiunto la quota di impalcato della pala, sul crinale della Martilla, posizione straordinariamente panoramica affacciata sul paese di Antonimina e opposta in asse al monte Tre Pizzi, i partecipanti si sono trovati a discutere le problematiche comuni a tanti paesi collinari e montani della Calabria prese di mira dall’ingordigia delle società, autodefinitisi “green”, il cui scopo è il profitto a scapito delle esigenze del territorio, in sfregio alle bellezze naturali, archeologiche e storiche, che sono il vanto e la ricchezza della nostra regione, insieme al benessere e alla salute che l’energia verde naturale della macchia mediterranea e dei boschi donano agli abitanti molto più del sistema sanitario.

A conclusione della lunga giornata di manifestazione, una parte del corteo si è spostata nel centro del paese, nei pressi dell’edificio municipale; qui ha avuto un confronto con il sindaco Giuseppe Murdaca, eletto nell’ultima tornata elettorale amministrativa, che non ha preso alcuna posizione.

L’esigenza di uno sviluppo armonico del territorio si scontra con le scelte regionali, che stanno privilegiando operatori economici del nord Italia, e in certi casi europei, per un utile economico, che nasce dal depauperamento di queste bellezze e che toglie senza dare.

«In virtù delle importanti valutazioni condivise – si legge in una nota del Comitato No Eolico Locride – si auspica un allargamento a tutte le realtà del territorio che si oppongono alle servitù energetiche, per attuare insieme iniziative che finalmente blocchino queste scellerate predazioni, appellandoci ai Comuni e alla Regione affinché non accettino le proposte di arricchimento di multinazionali con il falso mito del green». (rrc)

LE POLEMICHE SULLE FONTI ALTERNATIVE
DI ENERGIA: SERVE LA REGOLAMENTAZIONE

di PIETRO MASSIMO BUSETTAE se fossero, invece che specchietti per indigeni con l’anello al naso, veri brillanti di molti carati? Il dubbio nasce  e in molti si pongono tante domande. Parlo della polemica sollevata da Renato Schifani ma anche da Roberto Occhiuto sugli impianti eolici, solari, ma anche sui rigassificatori e su tutte le fonti di energia alternativa.

«Ho deciso di sospendere a breve il rilascio delle autorizzazioni per il fotovoltaico. ..questa attività porta lavoro? L’energia rimane in Sicilia? No. La Sicilia paga un prezzo non dovuto per una risorsa sua. Il danno e la beffa. E allora intendo discutere col Governo».           

Le parole del Presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani, sono molto decise e possono creare molti problemi al Paese. E continua «dobbiamo trovare una soluzione che consenta alla Sicilia di chiedere a chi insedia impianti fotovoltaici non soldi ma energia, per avere una bolletta meno pesante grazie a ciò che si produce sul nostro territorio».  

Il tema è di quelli che divide. Da una parte il Paese con il suo sistema industriale che ha bisogno di energia, molte grandi multinazionali estremamente potenti specializzate in tali impianti. Si pensi che l’impianto al largo delle Egadi prevede un investimento miliardario. Ed è Bernardo Tortorici di Raffadali, presidente e fondatore dell’Associazione Amici dei Musei Siciliani, che evidenzia i propri dubbi sul parco eolico offshore parlando di una “preoccupante campagna mediatica”, che viene in questi giorni sostenuta a favore del mega impianto. “I punti di forza che ci vengono sbattuti in faccia sono gli 8 miliardi d’investimento e la creazione di centinaia di posti di lavoro”.  

Ricordo a me stesso che solo un albergo di 400 posti letto ne crea di più. Mentre Svimez stima che la Sicilia potrebbe essere destinataria di ulteriori 8,8 miliardi di investimenti green. 

Dall’altro lato ci sono due presidenti di Regione, ma il contenzioso rischia di allargarsi a macchia d’olio alle altre Regioni, che vorrebbero che la messa a disposizione del proprio territorio non si risolvesse in una prestazione simile a quella fatta per gli impianti di raffineria, che stanno lasciando il deserto di cattedrali dismesse e abbandonate, inquinamento, tante malattie tumorali e pochissima occupazione, tale anche nei momenti d’oro. 

Gela, Milazzo, Pozzallo, Taranto, Bagnoli sono a testimoniare il fallimento di una sedicente politica industriale, che in realtà si è rivelata uno sfruttamento coloniale di un territorio. I due Presidenti vorrebbero che non si ripetesse la storia della batteria energetica del Paese che in loco lascia solo inquinamento. Non bisogna dimenticare che dopo  il loro ciclo di vita gli impianti solari e anche quelli eolici lasciano scorie che devono essere smaltiti. 

Prima di decidere nuove installazione sarebbe opportuno definire la regolamentazione per lo smantellamento, chi ne pagherà i costi, dove saranno i siti per sistemarli. 

Ma se tutto questo portasse una occupazione di migliaia di posti di lavoro potrebbe pagarsi il prezzo, ma in realtà l’occupazione di questi impianti, anche se c’è, è estremamente contenuta.  

Ed allora visto che le Regioni del Sud mettono a disposizione i loro territori, ospitando impianti che certo non migliorano la bellezza del paesaggio, o nel caso dei rigassificatori, cambiano l’equilibrio dei propri mari bisogna avere dei ristori

Niente di particolare: lo Stato lo sta facendo a Piombino. Ed in ogni caso i due Presidenti parlano solo della energia che si esporta, certamente non chiedono nulla per quella che serve alla Regione di appartenenza.  

In realtà molte delle regioni meridionali producono più energia di quella che consumano: la Calabria il triplo di quella che consuma, la Puglia, calcolando anche le produzioni fossili (prevalenti), produce il 70% in più del suo fabbisogno, la Basilicata possiede una miniera tra i giacimenti di petrolio, gas e impianti rinnovabili: assicura il 13% di produzione di eolico nazionale, la Campania é la prima regione per produzione di energia eolica pari a 3.557 gigawattora anno, garantita da 625 impianti (quarta in Italia).

Come si vede sono numeri importanti che aggiunti a quelli che soprattutto dal fotovoltaico provengono dalla Sicilia (seconda per numero di impianti alle spalle della Lombardia) o dalla Puglia (quinta) spiegano perché al Sud il tema delle rinnovabili e delle loro ricadute economiche e sociali era e rimane a dir poco sensibile. 

In un momento peraltro in cui le Regioni più ricche, destinatarie dell’energia che viene prodotta al Sud, parlano del loro residuo fiscale. Che con l’autonomia differenziata vogliono trattenere nei loro territori. E quindi è legittimo che le Regioni del Sud non vogliano fare gli utili idioti, le riserve coloniali di energia, oltre che di ragazzi formati pronti ad essere utilizzati alla bisogna,  in una ripetizione di approccio già visto che ha lasciato macerie come l’ilva di Bagnoli rovinando un territorio baciato da Dio.  

Ma ormai è certo che la vicenda non potrà concludersi come avvenne negli anni ’60 con alcune raffinerie ed altri impianti industriali che sul territorio ormai si è visto hanno lasciato molto poco, non incidendo in alcun modo sulla soluzione della questione meridionale. 

Il risultato è stato che alcuni territori sono stati massacrati, vedasi Gela con la raffineria costruita a fianco delle  mura greche o Bagnoli con una vocazione turistica incredibile tradita, che poi sopravvive con il reddito di cittadinanza. E se è vero che l’Unione Europea ha bocciato una tassa sul tubo del gas proposta dalla Sicilia non vi è dubbio che il tema non potrà essere archiviato senza uno scambio tra disponibilità all’investimento nelle energie rinnovabili e industrializzazione vera, quella alla Intel, che porta posti di lavoro veri e di livello. 

È chiaro che sarà difficile per i Presidenti delle Regioni  contrapporsi agli interessi enormi del sistema imprenditoriale del Nord oltre che delle aziende multinazionali interessati al loro business, probabilmente lo stesso Governo avrà pressioni indicibili,  ma non vi è dubbio che non si potrà non tener conto della complessità dei temi che inciderà ovviamente anche sul percorso dell’autonomia differenziata di Calderoli. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’altravoce dell’Italia]

NEL SUD C’È L’ENERGIA CHE SERVE AL PAESE
DAL SOLE DAL VENTO, DAI RIGASSIFICATORI

di PIETRO MASSIMO BUSETTA –  Il Mezzogiorno batteria dell’Italia. Che poi si può tradurre: il Paese ha  deciso di far diventare il Sud la batteria del Nord. Enrico Giovannini lo ha dichiarato in modo esplicito, ma il presidente di Confindustria Bonomi ha fatto il suo viaggio nel Sud per sostenere questa tesi. 

Sarebbe  stupido da parte dei meridionali dire di  no, in una sindrome da Nimby sempre in agguato. Perché non approfittare della nostra insolazione e del nostro vento per fare impianti  solari ed eolici e diventare la batteria dell’energia del Paese?

É giusto che in una collaborazione virtuosa tra le varie parti ognuno contribuisca alla sviluppo del Paese. Ma attenti perché anche in questo ci può essere quel trucco che viene utilizzato quando si tratta con le parti colonizzate. Sappiamo tutti che il Mezzogiorno ha fame di posti di lavoro, che ha un desiderio di una industrializzazione che lo pervade, perché vede in tale processo la possibilità della creazione di quell’occupazione  che consenta ai propri figli di non emigrare, né di ricorrere a quello strumento mortificante che é la richiesta del reddito cittadinanza.

Negli anni ’60 questo desiderio, sempre presente, è stato soddisfatto localizzando l’industria pesante, parlo dell’Ilva di Taranto, della acciaieria  di Bagnoli o degli impianti di raffinazione di Gela, di Pozzallo, di Milazzo che sono stati costruiti illudendo la popolazione che in tal modo sarebbe stato dato un lavoro ai propri residenti.

In realtà i posti di lavoro creati sono stati molto pochi, perché quelle localizzate erano attività ad alta intensità di capitale e a bassa intensità di manodopera. Di contro hanno lasciato una percentuale di tumori nelle realtà coinvolte, particolarmente elevati oltre che una devastazione del territorio, alcune volte come a Gela a ridosso delle mura puniche.

In realtà un Paese con un manifatturiero come quello del Nord, oltre che con una diffusione dell’auto di massa, aveva bisogno di energia e quindi di raffinare il petrolio che arrivava sui nostri territori e   la cosa più semplice fu quella di localizzare tali impianti in una parte del Paese che aveva poca capacità di distinguere gli specchietti per le allodole dai brillanti, e che peraltro avendo una costa così lunga frontaliera dell’Africa era in grado di procedere a tale compito con facilità. 

Quello che accade quando scoperta l’America i colonizzatori spagnoli e portoghesi portavano agli indigeni specchietti che loro non conoscevano ed in cambio si facevano dare brillanti dei quali erano ricchi. 

Adesso il rischio che si ripeta quel rito che ci riguardò negli anni ’60 è molto alto. Cioè che si dica che localizzare gli impianti eolici, solari o i rigassificatori nel Sud sia un modo per costruire un sistema industriale opportuno. Bene vogliamo mettere in chiaro che il Sud può contribuire insieme a tutto il Paese alle energie rinnovabili o anche ad ospitare i rigassificatori, ma non si vede il motivo per cui le pale eoliche, o i campi di impianti solari, che certo non migliorano il paesaggio, possano essere messe sulle colline siciliane o sul tavoliere delle Puglie o sugli Appennini e non possano essere piazzate invece anche sulle Alpi, o i rigassificatori non siano distribuiti per tutto il Paese.

Bene bisogna che ogni realtà regionale possa essere autonoma rispetto all’energia che consuma e nel caso invece si debba ricorrere a quella di regioni diverse, che queste siano indennizzate per il servizio che compiono nei confronti del Paese. Perché deve essere chiaro a tutti che gli impianti che creano energia sono un peso per le realtà che le accolgono che devono essere compensate in qualche modo.

In particolare in un periodo come quello che viviamo in cui la richiesta di autonomia differenziata da parte di alcune regioni del Nord ci fa capire come ognuno porta avanti i propri interessi, dimenticando in modo assoluto quel senso di unità nazionale che invece viene richiamato, da Bonomi in primis, quando al Paese forte serve imporre alla parte più debole l’accondiscendenza alle proprie esigenze. Contemporaneamente non bisogna farsi prendere la mano dall’urgenza di fare presto, legittima ma pericolosa, per consentire alcune loro localizzazioni che non hanno alcun senso. 

Parlo di quel rigassificatore che si vorrebbe costruire in una zona ex industriale di Porto Empedocle, a pochi chilometri dalla Valle Dei Templi, in un porto profondamente vocato ad ospitare le navi crociere oltre che ad essere il terminale per quel distretto turistico che dovrebbe comprendere, insieme ad Agrigento, la scala dei turchi e le isole Pelagie.   

E non bisogna dimenticare mai che un rigassificatore a regime impiega poco meno di 100 unità quando un albergo di 400 posti letto ne impiega 200. 

Ciò non vuol dire che i rigassificatori non vanno costruiti perché in futuro, ma anche già adesso, ne avremo estremo bisogno. Ma non dire che la loro localizzazione non va fatta in base ad una individuazione dell’azienda che lo vuole costruire che é  più attenta al risparmio di costi che  può avere, quanto a localizzarli laddove i territori sono già compromessi e quindi un ulteriore impianto non costituisce grave danno alle altre economie esistenti nelle aree.  

Ne è necessario che profeti improvvisati e mai visti si presentino al Sud per venderci come opportunità quelle che invece sono solo esigenze legittime, ma da considerare più prezzi da pagare che incassi da ricevere. Il  Sud non chiede soltanto di essere interlocutore adulto del sistema Paese, ma pretende di non essere considerato area coloniale nella quale catapultare, oltre che  i paracadutati della politica,  profeti per convincere i più riottosi della bontà di progetti della cui esigenza sono portatori le aree più industrializzate. 

Sarebbe il caso che fosse chiaro a tutti che il Sud si è tolto l’anello dal naso e che non è più disponibile a contemporaneamente essere considerato un tumore da tagliare e da fare affondare da solo,  ma contemporaneamente anche un’area in cui localizzare tutto quello che serve, certo non la Intel che si tengono stretta in Veneto.  O da cui estrarre giovani formati a cui non dare opportunità in loco e invece far trasferire nelle realtà sviluppate, in un gioco al massacro che vede una desertificazione demografica, processo che precede l’impossibilità di un cambiamento necessario. (pmb)

Energia, D’Ettore (CI): Dopo ok di Cingolani per eolico al Sud, ora sveltire iter

Il deputato di Coraggio ItaliaFelice Maurizio D’Ettore, ha espresso soddisfazione per l’ok, da parte del ministro alla Transizione Ecologica, Cingolani, sull’eolico al Sud, e ha chiesto di sveltire l’iter.

«La sua risposta – ha spiegato – conferma il grande impegno del governo e del suo ministero per quel che riguarda l’eolico offshore, mentre la grande manifestazione di interesse delle imprese dimostra che è possibile operare investimenti strategici in questo settore per il Paese e per il Sud».

«Come del resto da lei detto nelle sue conclusioni – ha aggiunto D’Ettore – questa tecnologia per la produzione di energia pulita può essere quella che meglio può rispondere a una transizione ecologica. Mi permetto di dirle che è il caso di interloquire sempre di più con le Regioni del Sud ed istituire immediatamente un tavolo sul tema perché come lei ben sa vista la sua risposta, questi investimenti sono importantissimi».

Per D’Ettore «parliamo di progetti sui parchi eolici galleggianti che possono creare fino a 100 mila nuovi posti di lavoro in pochi anni e investimenti per miliardi di euro nella linea della direttiva del Pnrr. Questo porta alla necessità da parte dei privati di avere risposte immediate e del pubblico di poter intervenire tempestivamente in una valutazione strategica complessiva della transizione ecologica».

«Ringrazio il ministro – ha concluso – e mi auguro possa rafforzare questa interlocuzione immediatamente con le regioni del Sud. La Calabria, la Puglia, la Sicilia e la Sardegna possono avere un’occasione non più prorogabile, ma dobbiamo riuscire  a metterla in atto in tempi brevi». (rp)

L’OPINIONE / Pietro Molinaro: Sull’invasione eolica le Regioni possono tutelare il paesaggio e i beni culturali

di PIETRO MOLINARO – La sentenza del 04 aprile u.s. del Consiglio di Stato relativa alla  Sardegna è uno schiaffo alle multinazionali/palazzinari dell’energia del vento che volevano conficcare una selva di pale eoliche alte 180 metri; un grattacielo di sessanta piani, su paesaggi mozzafiato, esclusivi e monumentali dell’isola. Una sentenza che non solo riafferma il primato del Paesaggio e dell’Identità del patrimonio storico e archeologico ma ribadisce la competenza primaria della Regione che, con un proprio atto legislativo e di indirizzo individua dove si può e dove non si può fare un parco eolico.

Ci deve preoccupare il tentativo del ministro Cingolani che con un decreto di qualche settimana fa aveva approvato il Parco eolico oggetto della sentenza, contro i pareri della Regione, Soprintendenza e Ministero dei Beni Culturali. In Calabria da anni si assiste ad una valanga miliardaria di interessi eolici, troppi gli incentivi dello Stato ai Parchi Eolici di “grossa taglia” che distruggono i tanti musei a cielo aperto con queste invasioni d’acciaio che generano milioni di euro alle multinazionali e qualche elemosina ai Comuni e/o proprietari dei terreni ferendo per sempre il “Paesaggio e la Bellezza”.

La Calabria difenda i suoi interessi e non continui ad essere terra di conquista in materia energetica. Emblematica la frase dell’agricoltore nel libro “la Collina del Vento” dello scrittore di origini calabresi, Carmine Abate, quando, rifiutandosi di installare le pale eoliche nel suo terreno risponde all’emissario della multinazionale “Noi non siamo coltivatori di vento”. (pm)

[Pietro Molinaro è stato consigliere regionale nella passata legislatura, Presidente della Commissione Agricoltura]

EOLICO, IL POTENZIALE DELLA CALABRIA
28MILA GLI IMPIANTI, MA SERVE FARE DI PIÙ

La Calabria è green, ma potrebbe fare di più. Sono circa 28 mila gli impianti da fonti rinnovabili nella nostra regione fino al 2020, come rileva il Dossier Comunità Rinnovabili Calabresi presentato nei giorni scorsi da Legambiente, ma non è abbastanza per una terra che «nell’eolico ha un potenziale di 4.586 posti di lavoro al 2030».

I numeri rilevano un aumento del parco impiantistico, ma a ritmi decisamente troppo lenti, con annualità segnate anche da una crescita inferiore all’1%.  Tra i comparti, il solare fotovoltaico è la tecnologia prevalente, rispetto al numero d’impianti, con il 98,1% del totale FER.

Al convegno Per una Calabria proiettata nel futuro, sono intervenuti il presidente di Legambiente Calabria, Anna Parretta, la moderatrice, Katiuscia Eroe, responsabile energia di Legambiente nazionale, ha interloquito con i diversi ospiti: Francesco Esposito, di Legambiente Campania, che ha curato il Report; Francesco Ferrante, Vicepresidente Kyoto Club; Emilio Sani, esperto di diritto dell’Energia, Servizi Pubblici, Appalti; Simone Togni, presidente ANEV (Associazione nazionale energia del vento e di protezione ambientale).  A raccontare le esperienze calabresi di Comunità Energetiche presenti e future: il prof. Daniele Menniti dell’Università della Calabria, Dipartimento di Ingegneria Meccanica, Energetica e Gestionale;  Domenico Stefano Greco, sindaco di Tiriolo; Illuminato Bonsignore, amministratore 3E Environment Energy Economy s.r.l. e Consigliere nazionale Associazione Italia Solare; Antonio Lancellotta de Le Greenhouse; Antonino Labate  del Nuovo Cep, Quartiere Archi, di Reggio Calabria. Le conclusioni sono state affidate al vicepresidente nazionale di Legambiente, Edoardo Zanchini. 

Grande assente, purtroppo, l’Amministrazione regionale «che ha perso questa occasione di dialogo sul tema, con il mondo accademico, associativo ed imprenditoriale che nel convegno – si legge in una nota – hanno raccontato quanto di positivo sta accadendo sul territorio ed avanzato proposte sul miglioramento e sugli sviluppi che questo importante tema dovrebbe avere per il futuro della regione stessa».

«L’auspicio – continua la nota – è che i rappresentanti della Regione prendano consapevolezza dell’importanza dei temi energetici favorendo, a breve, un confronto che coinvolga  le tante realtà calabresi presenti sul territorio e collaborando a realizzare un diverso  futuro  per la Calabria».

«Chiediamo al Governo regionale – ha dichiarato il vicepresidente nazionale di Legambiente, Zanchini – di accompagnare questo processo con risorse per l’accesso al credito da parte delle famiglie per gli interventi e semplificazioni per le fonti rinnovabili in modo da dare certezze ai progetti eolici e solari di qualità e che prevedono la partecipazione dei territori alle decisioni».

Secondo quanto illustrato da Esposito, «in termini di potenza installata in Calabria, alla fine del 2020, si registrano a 2.729,10 MW di potenza da fonti rinnovabili. L’eolico con 1.187,2 MW, pari al 43,5% del totale delle installazioni FER del territorio, è sicuramente la tecnologia prevalente. Interessante il dato di crescita del totale della potenza installata, rispetto al 2019, che si attesta ad un +3,48%. Nel dettaglio delle tecnologie da fonti rinnovabili, quella che ha mostrato l’incremento più elevato è il solare che registra un +2,89% rispetto al precedente anno, seguito dal comparto eolico con un +2,05%».

«Se analizziamo la potenza installata sempre nel periodo 2010-2020 – ha spiegato – osserviamo complessivamente una crescita impiantistica con un +72,65%. I numeri ci suggeriscono sicuramente un aumento del parco impiantistico nel territorio, ma a ritmi decisamente troppo lenti, con annualità segnate anche da una crescita inferiore al 1%.  Tra i comparti quello che ha mostrato la crescita più importante è sicuramente quello del fotovoltaico. Se guardiamo il dato della produzione di energia proveniente dalle rinnovabili, in Calabria, nel 2020, è stata pari a 5.002,10 GWh. Sul totale della produzione elettrica del 2020 della Calabria solo il 30% è direttamente proveniente dal rinnovabile. Il comparto che incide maggiormente in termini di produzione di energia da FER è sicuramente quello dell’eolico, che con i suoi 2.132,4 GWh è responsabile del 42,63% del totale dell’energia rinnovabile prodotta».

«È arrivato il momento che tutti gli attori istituzionali, le imprese e le comunità, – ha affermato la presidente di Legambiente Calabria, Parretta – assumano impegni concreti per realizzare nuovi modelli energetici che rispondano alla sfida. In Italia ci sono ancora troppi ostacoli alla diffusione delle fonti pulite a causa di burocrazia, normative e procedure farraginose, amministrazioni locali e regionali e resistenze sui territori spesso non giustificate dalla realtà. Tutti ostacoli che stanno mettendo a rischio il raggiungimento degli obiettivi climatici europei».

«È innanzitutto necessario – ha evidenziato – un quadro normativo chiaro e tempi certi nelle procedure, piani di coordinamento a livello regionale per realizzare una strategia coerente e complessiva, in materia di energie rinnovabili, con una precisa ed indispensabile visione sul futuro. Si tratta di un argomento di estrema attualità ed importanza sotto il profilo ambientale, ma anche sociale ed economico se si considera che la crisi energetica in atto, con il conseguente rincaro delle bollette, sta avendo ripercussioni gravi sia sui bilanci familiari che sul sistema produttivo calabrese».

Sulla stessa linea anche Togni (Anev): «È necessario che ogni Regione superi le contraddizioni e i conflitti per evitare ad esempio che l’iter autorizzativo di un impianto eolico, che di norma non dovrebbe superare i diciotto mesi, giunga a oltre cinque anni. Inoltre ritardi di questo tipo comportano anche la perdita dei benefici connessi con lo sviluppo della fonte eolica. Ricordo che da sola la Calabria nell’eolico ha un potenziale di 4.586 posti di lavoro al 2030».

«Non c’è più tempo» ha esordito Ferrante (Kyoto Club): «La crisi climatica da una parte e la dipendenza dall’estero e dal gas che sta determinando gravi difficoltà economiche a famiglie e imprese – ha detto – ci impone di accelerare finalmente su rinnovabili ed efficienza energetica. Non sono più tollerabili lentezze e veti incomprensibili sul territorio. Le rinnovabili vanno fatte bene e nel rispetto del paesaggio, ma vanno fatte urgentemente e le comunità energetiche sono una buona opportunità per sostenere questa accelerazione indispensabile».

L’esperto Emilio Sani ha ricordato che «La comunità di energia rinnovabile può consentire a cittadini e PMI il rimborso in parte dell’energia che è consumata nello stesso momento in cui producono gli impianti della comunità. Con le comunità si può quindi dare un contributo importante per la sostenibilità dei costi energetici. La Regione può aiutare dando  garanzie per il finanziamento delle comunità e favorendo la localizzazione e autorizzazione degli impianti».

Nel corso del convegno, poi, sono stati fatti esempi di Comunità rinnovabili calabresi, a partire dalla neonata Comunità Energetica Rinnovabile e Solidale Critaro, promossa dal Comune di San Nicola da Crissa (prosumer) e, per ora, da 15 famiglie (consumer).

«Questa è la seconda Comunità Energetica e Solidale sviluppata in Italia, con il mio staff della 3E, – ha detto – dopo quella di Napoli Est, ormai famosa in Italia e all’estero. Stiamo dimostrando che una Comunità Energetica – più ancora che un’iniziativa di privati che investono per trarre benefici economici, contribuendo alla transizione ecologica – può essere una straordinaria occasione per contrastare la povertà energetica venendo incontro alle famiglie meno abbienti, stimolare la consapevolezza e la cultura energetica dei cittadini, favorire la partecipazione e la coesione della collettività, contribuire ad arginare lo spopolamento delle aree interne e contrastare il cambiamento climatico».

Anche l’esperienza di Tiriolo, guidata dal sindaco Greco, che sta sperimentando l’esperienza di comunità energetica attraverso la stipula di un protocollo d’intesa con l’Università della Calabria, è stata al centro del dibattito. Ad occuparsi del progetto, il prof. Menniti: «Il sistema incentivante recentemente introdotto – ha evidenziato nel corso del convegno – tende a far utilizzare ‘istante per istante’ l’energia generata da fonti rinnovabili con un minimo ricorso all’acquisizione di energia elettrica ‘fuori dal perimetro della CER’ (secondo il paradigma del nonsumer) e, quindi, a stimolare gli utenti ad usare l’energia in modo tale che la potenza generata dalle rinnovabili tenda ad equilibrare quella dei loro carichi. Ciò può essere ottenuto attraverso l’utilizzo di opportune tecnologie abilitanti, quali smart metering evoluti e l’utilizzo di DC nanoGrid (il tutto da produrre in Italia ed in particolare in Calabria) coordinate tra loro da una apposita piattaforma Cloud. Inoltre, per migliorare il matching tra la potenza generata e quella utilizzata dai carichi, il progetto prevede il pieno coinvolgimento dell’utente in una logica di demand response».

Labate, di Nuovo Cep, ha illustrato i dettagli del programma Periferie di Reggio Calabria: Comunità Energetiche in embrione: «Il progetto – ha detto – vuole coinvolgere il quartiere di edilizia popolare Archi CEP, nella periferia nord di Reggio Calabria. Si propone di installare sui tetti degli edifici, impianti fotovoltaici e mini-eolici per la produzione di energia elettrica. Considerando le superfici occupate si avrebbe una produzione che soddisferebbe il fabbisogno energetico di un migliaio di utenze, che potrebbero riunirsi in comunità energetica, l’energia per illuminazione e sicurezza pubblica e per eventi o tecnologie per rivitalizzare il quartiere anche dal lato sociale e culturale».

Le Greenhouse. L’agrofotovolaico proposto dal gruppo Le Greenhouse – ha spiegato Lancellotta – persegue il duplice scopo della sostenibilità ambientale e della transizione ecologica in un rapporto simbiotico tra produzione di energia elettrica da fonte fotovoltaica e pratica di agricoltura 4.0. L’attività consolidata e svolta da oltre dieci anni ha evidenziato che il connubio tra i due settori costituisce una innovativa formula di successo”.

«L’evento ha dimostrato che la Calabria è una delle regioni con grandi risorse e competenze, – ha concluso poi Zanchini al termine del convegno – dove si stanno già sviluppando interessanti progetti di comunità energetiche e di agrivoltaico. Legambiente sarà a fianco di questi progetti perché rappresentano una opportunità di transizione sostenibile e giusta». (rrm)