di ERNESTO MANCINI – Il 18 e 19 novembre scorsi il Ministro Roberto Calderoli, regista dell’intero dossier sull’autonomia regionale differenziata, si è recato nei capoluoghi delle regioni Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria, per sottoscrivere, coi rispettivi Governatori, le cosiddette “preintese” su tale autonomia. A ciò è stato ufficialmente delegato dalla Presidente del Consiglio Meloni.
Si tratta di accordi che proseguono formalmente il percorso Governo/Regioni verso l’autonomia differenziata nonostante la sentenza della Corte Costituzionale n. 192/24 che ne aveva demolito la legge asseritamente regolatrice (legge n 86/2024).
La stampa e gli altri media hanno dato ampio risalto alle firme e agli incontri istituzionali senza tuttavia spiegare granché nel merito di questi accordi.
Le preintese sottoscritte, peraltro identiche nel contenuto per le quattro regioni, coinvolgono gran parte del Nord Italia, con l’eccezione del Friuli-Venezia Giulia e della Valle d’Aosta, estranee a questa procedura di autonomia differenziata perché in regime di autonomia speciale.
La Regione Emilia-Romagna, anche a seguito di pressione dei Comitati contro ogni autonomia differenziata, ha assunto, con la nuova amministrazione De Pascale, una posizione politica fortemente contraria al progetto governativo di Calderoli, revocando le pre-intese firmate durante l’amministrazione Bonaccini.
Dalle preintese ora sottoscritte risulta che il Governo e le regioni del nord mirano ad ampliare l’autonomia regionale rispetto allo Stato centrale in materia di protezione civile, ordinamento delle professioni, previdenza complementare e integrativa, nonché sanità. Per le funzioni degli altri 12 settori, possibile oggetto di autonomia differenziata, si dovrà attendere la definizione dei L.e.p (livelli essenziali delle prestazioni).
Il caso della sanità regionale differenziata
Per quanto riguarda il settore sanitario, le preintese stabiliscono testualmente quanto segue: a) autonomia differenziata nella “gestione del sistema tariffario di rimborso, remunerazione e compartecipazione degli assistiti” (art. 3 allegato 2 lettera “a”).
Al riguardo gli accordi prevedono che le Regioni con autonomia differenziata possano gestire in modo indipendente il sistema tariffario di rimborso, remunerazione e compartecipazione degli assistiti. Ciò significa che tali Regioni potranno fissare autonomamente i corrispettivi per tutte le prestazioni sanitarie, pubbliche e private accreditate, svincolandosi dalle indicazioni statali che oggi garantiscono uniformità e congruità dei tariffari sul territorio nazionale.
Questa pretesa autonomia, incidendo direttamente sui valori economici delle prestazioni – fondamentali per i bilanci regionali e – delle aziende sanitarie – può generare un vantaggio significativo per le Regioni dotate di maggiori poteri e risorse, a scapito di quelle che restano vincolate ai parametri nazionali.
D’altra parte, la leva tariffaria può diventare uno strumento competitivo per attrarre operatori e investimenti sanitari, con il rischio di accentuare le disuguaglianze territoriali e compromettendo ulteriormente l’uniformità dei livelli essenziali di assistenza e perciò, in definitiva, del Servizio Sanitario Nazionale.
Ovviamente non va negata la capacità di maggiore attrazione che una Regione riesce ad ottenere rispetto ad altre ma ciò va fatto in condizioni di parità di poteri e non certo di differenziazione e privilegio.
b) Autonomia differenziata nella “programmazione degli interventi sul patrimonio edilizio e tecnologico delle aziende del sistema sanitario regionale” (art. 3 allegato 2 lettera “b”).
La disposizione attribuisce alle Regioni del Nord una piena autonomia nella pianificazione delle strutture sanitarie consentendo di operare in deroga agli standard nazionali che continuerebbero invece a vincolare le Regioni del Centro-Sud.
In pratica, le Regioni differenziate possono superare i parametri nazionali relativi a rapporto posti letto/abitanti, classificazione degli ospedali, dotazione tecnologica, indici di congruità ed ogni altro parametro.
Ciò conferirebbe a queste Regioni una libertà quasi totale nella configurazione della rete ospedaliera regionale, con conseguenze negative sulla uniformità dei livelli essenziali di assistenza (Lea), sull’equità nell’accesso ai servizi e sulla coerenza complessiva della programmazione sanitaria nazionale che, a questo punto, rischierebbe di perdere ogni reale carattere “nazionale”.
c) Autonomia differenziata nella “individuazione di sistemi di governance delle aziende sanitarie e degli enti del servizio sanitario regionale” (art. 3 allegato 2 lettera “c”).
La completa autonomia sui sistemi di governance consentirebbe alle Regioni del Nord di definire regole proprie e differenziate rispetto alle altre Regioni per l’organizzazione dei vertici direzionali aziendali, delle strutture interne (dipartimenti, strutture ospedaliere, distretti, presìdi), nonché per la pianificazione, programmazione, definizione di obiettivi strategici e piani annuali o pluriennali.
In pratica, questa autonomia creerebbe una diversificazione profonda tra Nord e Centro-Sud nell’insieme di regole, strutture, processi e strumenti con cui le aziende sanitarie (ASL, ASST, AO, IRCCS, ecc.) vengono dirette, controllate e rese responsabili del loro operato. Il risultato sarebbe un sistema frammentato, dove la gestione e la responsabilità delle aziende sanitarie non sarebbero più uniformi a livello nazionale né tra di loro confrontabili, mettendo a rischio la coerenza complessiva del Servizio sanitario e l’equità nell’accesso ai servizi su tutto il territorio.
c1) Autonomia differenziata nella “istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi” (art. 3 allegato 2 lettera “c” seconda parte).
I fondi sanitari integrativi sono strumenti che si affiancano alle prestazioni garantite dal Servizio Sanitario Nazionale. Si tratta, in sostanza, di forme di assistenza sanitaria privata di tipo assicurativo, che copre prestazioni non erogate dal SSN ovvero erogate con tempi lunghi ed inaccettabili (visite specialistiche, diagnostica, odontoiatria, ricoveri, interventi chirurgici, ecc.). Ne beneficiano principalmente i cittadini che possono permettersi di sostenere i costi di adesione ed i premi assicurativi.
È vero che i fondi integrativi sono previsti dalla normativa nazionale (art. 9 del d.lgs. 502/1992), ma non certo per le Regioni. La legge infatti stabilisce che i fondi possono essere istituiti da enti, associazioni, società di mutuo soccorso, casse professionali o organismi di origine contrattuale o aziendale. L’istituzione diretta di tali fondi non rientra invece tra i compiti delle Regioni cui spetta garantire un servizio sanitario universale e pubblico, non certo un opposto sistema mutualistico-assicurativo.
d) Autonomia differenziata nella “allocazione delle risorse tra i diversi ambiti e finalità della spesa sanitaria, in deroga ai vincoli di spesa specifici per le politiche di gestione della spesa sanitaria”
art. 3 allegato 2 lettera “d”).
Le preintese attribuiscono alle Regioni con autonomia differenziata la possibilità di allocare liberamente le risorse sanitarie, derogando ai vincoli di spesa fissati dallo Stato.
Ciò aumenterebbe le disparità territoriali: le Regioni più ricche potrebbero investire in ospedali e tecnologie di eccellenza, mentre quelle più povere faticherebbero a garantire perfino i servizi essenziali.
Inoltre, la libertà di spesa potrebbe spingere alcune Regioni a privilegiare settori più redditizi, trascurando servizi fondamentali come prevenzione, assistenza territoriale e consultori.
Ne deriverebbe un rischio concreto di perdita dell’uniformità dei livelli essenziali di assistenza, con conseguente violazione del principio di uguaglianza garantito dalla Costituzione.
I profili di illegittimità
Tutte le funzioni sopra elencate sono particolarmente strategiche per la materia di rilievo costituzionale “sanità – tutela della salute ex art. 32 Cost.”. Per le scelte di autonomia differenziata ad esse relative entrano in gioco i seguenti profili di illegittimità delle preintese sottoscritte.
2.1 Violazione dei princìpi cardine della Riforma Sanitaria sui rapporti Stato/Regioni
Le intese presuppongono che lo Stato possa perdere, per ciascuna delle funzioni indicate, le proprie prerogative di coordinamento e di garanzia dell’uniformità del Servizio sanitario nazionale. Ciò contraddice l’impianto complessivo della legge di riforma sanitaria istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale (legge 833/78 e successivo riordino ex D.lgs. 502/92) che di nazionale non avrebbe più nulla. Il sistema risulterebbe infatti frammentato tra le Regioni del Nord e quelle del Centro-Sud, con una sostanziale estromissione dello Stato da ogni competenza relativa all’organizzazione sanitaria nel Nord.
Alla consueta obiezione secondo cui la sanità sarebbe già differenziata tra Nord e Sud, si può agevolmente rispondere che il modello proposto, lungi dal colmare tale divario, rischia di amplificarlo ulteriormente. Invece di promuovere politiche volte ad avvicinare le condizioni delle diverse aree del Paese, si adotta una logica che, di fatto, esaspera le disparità esistenti andando esattamente nella direzione opposta rispetto a quella che sarebbe dovuta.
Non va dimenticato, inoltre, che l’attuale maggiore efficienza complessiva delle regioni del nord-Italia rispetto alle altre è dovuta a maggiore capacità organizzative e di innovazione pur in un quadro di parità e non di disparità dei poteri con le regioni meno efficienti. Non è perciò con l’autonomia differenziata che si risolvono i problemi di diversa efficienza, che anzi li si aggrava.
2.2 Violazione dell’art. 32 Costituzione sui compiti della Repubblica per la tutela del diritto alla salute.
Ancora più grave è la contraddizione con l’art. 32 della Costituzione, che attribuisce alla Repubblica – e dunque a Stato, Regioni, Enti locali – oggi Asl del territorio locale) – la tutela del diritto fondamentale alla salute. Questo equilibrio istituzionale verrebbe seriamente compromesso se uno dei soggetti costituzionalmente titolari della materia, lo Stato, fosse escluso dall’esercizio del ruolo di sovraordinazione funzionale per una parte rilevante del Paese.
In altri termini, pur essendo contitolare insieme alle Regioni della materia “tutela della salute” ai sensi del nuovo Titolo V, lo Stato si troverebbe nell’impossibilità di esercitare poteri di indirizzo, coordinamento o pianificazione generale su una parte significativa del territorio nazionale. La sua contitolarità sarebbe solo formale, priva dei poteri necessari a garantire un indirizzo unitario sulle funzioni più rilevanti.
2.3 Violazione dell’art. 97 Costituzione sul buon andamento della Pubblica Amministrazione.
Il sistema differenziato nelle funzioni strategiche in sanità produce un’asimmetria istituzionale molto grave perché si avrebbe frammentazione normativa, caos amministrativo, ostacoli all’attività di cittadini, imprese e associazioni che si troverebbero diversi poteri sulla medesima funzione a seconda dei territori di riferimento.
Una simile disomogeneità contrasta con l’art. 97 Cost., che impone alla Pubblica Amministrazione di operare assicurando “buon andamento” mentre le soluzioni ora prospettate creano una situazione esattamente opposta di disordine e frammentazione.
2.4 Violazione del principio di unità ed indivisibilità della Repubblica, del regionalismo cooperativo e solidale a favore del regionalismo competitivo ed egoistico.
Le fratture sopra descritte causate dell’autonomia differenziata non verrebbero meno se anche fossero concesse a tutte le altre regioni del centro-sud i medesimi poteri ora riconosciuti alle regioni del nord; se, in altri termini, ci fosse un autonomismo spinto ma tuttavia paritario per ciascuna regione rispetto alle altre.
In primo luogo, infatti verrebbe comunque annullata la funzione statale di indirizzo, coordinamento e sovraordinazione (funzionale) rispetto al sistema sanitario complessivo. In secondo luogo, le regioni sarebbero l’una contro l’altra armata come piccole repubblichette del tutto svincolate da un sistema nazionale unico caratterizzato da cooperazione e solidarietà come vuole la Costituzione in ogni passo delle sue norme. Anche chi, come il sottoscritto, è per un’autonomia regionale ampia non può che contrastare qualsiasi autonomismo che pur non differenziato eliminerebbe comunque la funzione statale di indirizzo e coordinamento ai fini dell’uniformità, quanto meno tendenziale, del sistema.
2.5 Violazione del principio di non frammentarietà
Nella nota sentenza n.192/24 la Corte Costituzionale ha avuto modo di riaffermare il c.d. “principio di non frammentarietà” , secondo cui “quando la funzione attiene agli interessi dell’intera comunità nazionale, la sua cura non può essere frammentata territorialmente senza compromettere la stessa esistenza di tale comunità, o comunque l’efficienza della funzione” (Sentenza Corte Costituzionale 192/24 in più passaggi ed in particolare al punto 4.2.1.).
Ciò significa che la funzione di sovraordinazione, coordinamento ed indirizzo dello Stato nella sanità, come del resto in ogni altra materia di pubblica amministrazione, non può valere per una parte del Paese (regioni del centro-sud) e non per un’altra (regioni del nord). Una simile concezione crea inefficienza e, come si diceva, disordine e caos.
Conclusioni
L’analisi critica fin qui condotta si è concentrata esclusivamente sull’autonomia regionale differenziata in ambito sanitario, evidenziando, pur in maniera sintetica e tutt’altro che esaustiva, gli effetti fortemente negativi che tale impostazione produrrebbe in questo specifico settore. Tuttavia, occorre considerare che il progetto Calderoli/regioni del Nord investe ben altri 12 settori di primaria rilevanza costituzionale – tra cui, ad esempio, istruzione, ambiente, trasporti ed infrastrutture, – il che amplificherebbe a dismisura le ripercussioni negative, rischiando di compromettere in modo irreversibile l’unità e l’indivisibilità della Repubblica e dunque l’esistenza della stessa.
Di conseguenza, appaiono fondate le preoccupazioni di chi da tempo denuncia il carattere profondamente eversivo di tale progetto che va pertanto contrastato con fermezza e con tutti gli strumenti a disposizione. Oltre che eversivo il sistema Calderoli è stato giustamente definito nel dibattito di questi anni “predatorio”, “secessionista”, “incostituzionale nell’anima”.
Non si tratta di esagerazioni retoriche; queste valutazioni corrispondono pienamente alla realtà dei fatti.
Stante lo spazio editoriale limitato ho potuto trattare, peraltro in sintesi e solo parzialmente, le preintese in materia sanitaria escludendo perciò ogni analisi critica sulle altre funzioni oggetto dei recenti accordi (protezione civile, professioni, previdenza complementare integrativa). Lo farò in altro momento avvertendo fin da ora che anche nelle altre funzioni le criticità sono altrettanto gravi e non meno dannose di quelle qui esposte per la sanità.







