Partire, restare, tornare: il futuro della Calabria dipende dalle scelte che fanno i suoi giovani

di ORLANDINO GRECO – La Calabria è una terra che, più di altre, restituisce la complessità dell’Italia di oggi: una regione che certamente perde popolazione, ma non nei numeri amplificati che qualcuno vorrebbe far circolare per convenienza o interesse.

È vero: molti giovani calabresi scelgono di partire verso altri territori. Eppure, la Calabria continua a esprimere un elettorato vivo, numeroso e molto più determinante di quanto spesso si voglia far credere.

Quando si parla di partecipazione elettorale, infatti, si dimentica un dato cruciale: quasi un calabrese su cinque vive all’estero. Su una popolazione di circa 1.800.000 abitanti, gli iscritti all’AIRE sono quasi 394.000, pari al 21–22%. Una delle percentuali più alte d’Italia. Questo non significa che il voto calabrese “svanisca”: semplicemente si sposta, prosegue altrove il proprio cammino.

La diaspora calabrese si inserisce in un fenomeno nazionale più ampio, ben fotografato dalla Fondazione Migrantes: oggi oltre 6,4 milioni di italiani vivono nel mondo. I protagonisti di questa mobilità sono in prevalenza giovani — il 37% degli espatriati ha tra i 25 e i 34 anni – ma anche donne (circa il 46%) e persone di età diverse. E non si tratta solo di emigrazione internazionale: dal 2014 al 2024 oltre un milione di italiani si sono spostati dal Sud al Centro-Nord, alla ricerca di occasioni di lavoro, studio e stabilità.

A questi numeri si aggiunge una platea ancora più ampia di meridionali – stagionali, precari, lavoratori a tempo – che vivono lontano dalla Calabria senza cambiare residenza, perché il legame con la propria terra resta forte. È un elettorato “invisibile”, difficile da stimare ma reale, che continua a partecipare, a modo suo, alla vita civile e politica della regione.

Questa realtà si intreccia con la grande questione demografica. La Calabria non è la regione italiana che emigra di più: nelle classifiche complessive si colloca attorno al sesto-settimo posto. E se guardiamo all’emigrazione verso l’estero, dopo la Sicilia, le regioni che registrano il maggior numero di partenze sono Lombardia e Veneto: territori economicamente forti ma che oggi vedono una crescente mobilità verso altri Paesi, alla ricerca di realizzazione professionale. Il saldo demografico nazionale è negativo da anni e la fascia più colpita rimane quella giovanile.

I dati nazionali lo confermano: quasi metà dei nuovi iscritti all’Aire ha tra i 18 e i 34 anni; un altro 30% si colloca fra i 35 e i 49. I giovani e i giovani-adulti sono la spina dorsale della nuova diaspora italiana.

Eppure, sul fronte della natalità, la Calabria mostra un quadro meno drammatico rispetto ad alcune regioni del Centro-Nord che, negli ultimi anni, hanno registrato crolli molto più severi. Il problema esiste – riguarda tutto il Paese – ma in Calabria il calo è meno brusco, segno che un certo equilibrio resiste, nonostante le difficoltà.

Come ha ricordato il Presidente Sergio Mattarella, la natalità è «un tema vitale per il futuro del Paese». Non riguarda solo le cifre: riguarda la speranza, la progettualità, la fiducia collettiva. Papa Francesco lo ha detto con una frase che vale più di mille grafici: “La generazione dei figli è l’indicatore principale della speranza di un popolo”.

L’Italia ha oggi bisogno di un impegno comune: politiche familiari più solide, servizi accessibili, sostegni concreti che rendano possibile ciò che non può essere scaricato solo sulle famiglie. Avere figli non può essere una sfida individuale, ma una responsabilità condivisa.

Ed è proprio qui che la Calabria può ritrovare una nuova direzione. La situazione è seria, nessuno lo nega, ma i numeri mostrano chiaramente che il declino riguarda gran parte del Paese e che una certa narrazione, spesso interessata, tende a descrivere la Calabria come un caso disperato – quando invece non lo è affatto.

Si pensi a certe affermazioni superficiali o strumentali di alcuni esponenti politici, pronti a definire la Calabria “la peggiore d’Italia”. La realtà è ben diversa: la Calabria non vota meno, non parte più degli altri, e anzi possiede una delle più ampie comunità di cittadini votanti residenti all’estero.

E chi parte, chi torna, chi resta, continua a scrivere ogni giorno il destino di una regione che – nonostante tutto – ha ancora molto da dare.

(Consigliere regionale)

Un nuovo protagonismo giovanile per la rinascita della Calabria

di GIULIA MELISSARI E MARIO NASONE – Incontro con gli studenti di un liceo reggino. Rivolgiamo loro una domanda: “chi di voi dopo il diploma ha già deciso di andare via dalla Calabria per motivi di studio o di lavoro?” Otto su dieci rispondono che si sposteranno in regioni del Nord, due che resteranno. Domanda riproposta: “chi di voi resterebbe se ci fossero delle opportunità nel nostro territorio?” La risposta si capovolge, otto su dieci resterebbero, due andrebbero via in ogni caso. Un piccolo test che conferma quanto è emerso da molte ricerche: i nostri giovani o almeno la gran parte di essi vanno via a malincuore perché non trovano sul nostro territorio risposte al loro bisogno di inserimento nel mondo del lavoro ed in generale non vedono un contesto in grado di potere offrire loro prospettive di crescita e di   realizzazione. Questa tendenza è drammaticamente registrata dai dati che attestano uno scenario sempre più critico per il futuro della Calabria. Secondo le proiezioni dell’Istat, elaborate e analizzate nel Rapporto Svimez, la Calabria è destinata a perdere circa 368.000 abitanti entro il 2050, scendendo a una popolazione totale di poco meno di 1,5 milioni. Questo fenomeno, definito “deserto 2050”, vedrebbe la scomparsa di un numero di cittadini pari alla somma degli attuali abitanti di Reggio, Catanzaro e della nuova Cosenza. Un dato che si collega al crollo delle nascite (dalle 137.000 del 2023 a 101.000 nel 2050 nel Mezzogiorno) dovuto alla riduzione delle donne in età fertile. Entro il 2050, il rapporto tra popolazione non attiva (0-14 anni e over 64) e popolazione attiva (15-64 anni) in Calabria diventerà il più alto d’Italia, creando uno squilibrio potenzialmente insostenibile per il sistema di welfare e pensionistico. Le speranze di una inversione di tendenza non sono molte, si scontano squilibri e disuguaglianza accumulate per decenni che governi nazionali e regionali non hanno mai voluto seriamente contrastare. Resta centrale a livello culturale il tema della rassegnazione, della rinuncia all’idea che la Calabria possa rinascere, pessimismo che inesorabilmente porta i giovani in particolare a non credere più a quella che Vito Teti chiama la “restanza”, la scelta di rimanere nonostante tutto in Calabria o di ritornarci se ci fossero le condizioni. Per usare un termine sportivo è suonata la campana dell’ultimo giro. Se nei prossimi anni non ci sarà una inversione di tendenza dovremo rassegnarci a quella che l’Istat definisce “desertificazione definitiva della Calabria”.  La nuova Giunta Regionale, assieme al Governo nazionale, hanno le grandi responsabilità di riscrivere una agenda politica in grado di fornire delle risposte che diano una speranza di futuro alla nostra regione mettendo al centro nuove politiche sulla sanità, Scuola e Welfare, e in particolare investimenti sulla popolazione giovanile. Per questo va iniziata una vera fase di ascolto dei giovani, che non possono essere citati nelle campagne elettorali per poi essere completamente dimenticati nelle scelte politiche. Da parte loro, i giovani si devono scrollare il senso di apatia e pessimismo che li paralizza, né tantomeno possono sperare di risolvere i loro problemi agganciandosi al politico di turno per risolvere in modo privato problemi e bisogni che sono collettivi. Per questo servono forme e luoghi di aggregazione giovanili in grado di dare voce alle loro istanze di cambiamento. In Sicilia lo hanno fatto mettendo insieme 45 associazioni e diverse fasce di popolazione giovanile. Anche in Calabria, in occasione delle ultime elezioni regionale era nata una rete di associazioni importanti, M’Impegno in Calabria, che aveva avviato un percorso virtuoso con l’elaborazione di un manifesto programmatico e la presentazione di un pacchetto di proposte ai candidati a Governatore della Calabria. Nell’incontro svoltosi nel Consiglio Regionale lo avevano tutti apprezzato e avevano sottoscritto l’impegno a realizzarlo, compreso il presidente che sarebbe poi stato eletto Roberto Occhiuto. Il dialogo fu avviato con la vicepresidente della Giunta regionale Giusi Princi, ma non ha avuto purtroppo seguito. Si è scontato, sia il mancato interesse della Giunta regionale a proseguire il confronto e recepire le proposte, sia la mancanza di determinazione e costanza della rete delle associazioni che al venire meno della sponda istituzionale si è scoraggiata e bloccata. Oggi serve invece riprendere questo percorso virtuoso con determinazione e costanza, coinvolgendo associazioni, scuole, università in tutta la Calabria, con una chiara autonomia dai partiti, ripartendo dalle proposte già elaborate, elaborandone di nuove. Facendo memoria di quanto negli anni del ’68 affermava don Italo Calabrò, quando incitava i giovani alla lotta, ad occupare, se necessario, scuole, Enti pubblici con azioni nonviolente per costringere la politica a mettere al centro i problemi della disoccupazione, del diritto allo studio, dei diritti dei più fragili. Fu lui ad ispirare il manifesto Lottare per restare, restare per costruire che tanti movimenti cattolici adottarono e che li spinse a creare imprese sociali, cooperative di lavoro, associazioni di volontariato e consorzi che ancora oggi danno lavoro e servizi in tutta la regione, e che hanno permesso a tantissimi di continuare a stare in Calabria. Al nuovo Governo regionale, che mantenendo le promesse fatte in campagna elettorale di favorire questo protagonismo, offrendo una sponda istituzionale senza condizionarlo e nel rispetto della loro autonomia.   (gm e mn)

INVECCHIAMENTO E LONGEVITÀ: WELFARE
E OPPORTUNITÀ COME LEVA DI SVILUPPO

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Come aiutiamo i giovani a fare famiglia” e “come trasformare l’invecchiamento della popolazione da un onere percepito a una leva positiva per il Paese, stimolando la ‘silver economy’ e creando nuove opportunità economiche e sociali a beneficio di tutte le generazioni? L’Italia, d’altronde, è un laboratorio globale per l’invecchiamento, con sfide uniche legate allo spopolamento dei territori e alla necessità di ripensare il welfare. Nel nostro Paese si fanno sempre meno figli, per una serie di fattori interconnessi tra loro; e il Mezzogiorno, da questo punto di vista, vive la più grande fragilità. È fondamentale, quindi, capire come gestire un fenomeno ormai in divenire e cambiare la narrativa ponendosi domande diverse. Le “risposte”, se così le vogliamo chiamare, le hanno suggerite gli esperti, gli economisti, gli specialisti del terzo settore, mondo sanitario, ma anche esponenti del mondo culturale e digitale che si sono confrontati al secondo Focus Sud e Futuri, organizzato dalla Fondazione Magna Grecia a Scilla. Una due giorni iniziata col dibattito “Generazioni in mutamento”, in cui si è cercato di capire come l’innovazione, in particolare la salute digitale e l’intelligenza artificiale, possano garantire una “longevità in salute”.

«La sfida della denatalità e quindi le politiche per la longevità chiedono grande innovazione e creatività, ma si fondano anche sul rinnovamento di un patto di solidarietà intergenerazionale. In questo, i territori sono ovviamente al centro, e quelli del nostro Mezzogiorno, che si contraddistinguono per una particolare forza e solidità delle reti informali, lo sono ancora di più», ha commentato, aprendo i lavori, Fiammetta Pilozzi, responsabile del Centro di Ricerca di Fondazione Magna Grecia. Come “sfruttare questa positività?” Lo spunto viene da Fabio Miraglia, imprenditore e presidente Giomi Rsa: «possiamo usare un milione di metri quadri di borghi che le persone stanno abbandonando per creare veri e propri villaggi, sul modello anglosassone».

Luoghi che possono essere incubatori di modelli di silver economy unici in grado di attrarre anziani di tutto il Paese. «Un sistema – ha aggiunto – che non sia basato solo sul volontariato e che sia in grado di creare anche occupazione, grazie anche alla rivoluzione del digitale». Il risultato sarebbe ‘esplosivo’ con conseguenze a cascata: porterebbe una riqualificazione dei territori e soprattutto il consolidarsi della domiciliazione dei servizi, in spazi abitativi personalizzati, monitorati dal digitale e sostenibili economicamente. L’idea è configurare nuovi modelli dell’abitare in cui unire le dimensioni della condivisione a quello della preservazione della privacy e della personalizzazione degli spazi, il tutto in luoghi densi di storia e di bellezza. Guardando così ai bisogni della persona che, spesso, nelle strutture RSA si perde. «“La tecnologia, inoltre, aiuterebbe ad avvicinare figli e nipoti: nuovi care giver nati con la tecnologia, e in grado di assumere il ruolo di veri e propri alfabetizzatori», ha concluso Miraglia.

Un approccio condiviso da Rocco Mammoliti, responsabile Sicurezza informatica di Poste italiane che ha raccontato come le Poste non abbiano abbandonato nessun borgo «perché crediamo sia nel mondo fisico che nel mondo digitale, che però vanno connessi». Tanto che Poste italiane ha avviato un progetto – Police – che porta dentro l’ufficio postale la garanzia di avere, oltre a quelli già inclusi, l’erogazione di tutti i servizi della Pubblica amministrazione compresi quelli legati al sistema sanitario, «creando, così, un unico punto di accentramento di prenotazione e consegna dei referti, per esempio. L’ufficio postale resta quindi vivo e integrato, sede di una rete di relazioni di cui gli anziani hanno bisogno».

In Italia, 14 milioni di persone oggi sono over 65, il 24% della popolazione totale. E il trend è in crescita. Con esso aumenteranno anche i problemi di salute correlati all’invecchiamento. Non solo, dobbiamo considerare che oggi di questi over 65, il 42% vive in coppia senza figli, il 31% è solo e un esiguo 13% vive con i figli. Più del 70% del totale quindi è rappresentato da anziani soli. Come aiutarli allora nella loro reale esigenze di salute? Una delle  soluzioni viene proposta da Pietro Rossi, cardiologo, co-founder di Policardio una startup che produce il primo device patch in grado di fare ECG e holter a casa con la qualità ospedaliera: «abbiamo pensato ad una piattaforma che monitora, analizza dati e mette in comunicazione in modo automatico l’anziano e il medico. E, nel caso di necessità, contatti il figlio o chi per lui». Un sistema totalmente automatizzato, interconnesso e attento alla parte sanitaria ma anche a quella psicologica. «Abbiamo previsto infatti la possibilità di avere consulti veloci e sempre disponibili, superando il problema che il medico non risponda al telefono con il conseguente senso di abbandono nell’anziano».

Ma la digitalizzazione può cambiare l’assistenza sanitaria e andare verso la silver economy anche nel sistema assicurativo e finanziario, «che sta ripensando prodotti e servizi centrati sempre più sulla prevenzione, con app per i vari monitoraggi, e incentivi economici per chi aderisce a stili di vita sani. Va promossa una trasformazione assicurativa che finanzi, per esempio, l’assistenza domiciliare continuativa e la gestione dei farmaci. Insieme ad una educazione finanziaria per una longevità consapevole tramite l’erogazione di corsi per over 60 su come gestire patrimoni, pensioni e tecnologie per una connessione diretta con i servizi sociali», ha detto Alberto Polverino, Direttivo cluster C.H.I.C.O.

«Non va dimenticato che qualsiasi processo di sviluppo sostenibile deve essere equo, in particolare in un’ottica di genere, e ancor di più se si parla di silver economy». Le donne sono più longeve degli uomini, ma sono anche quelle che soffrono maggiormente il rischio di trovarsi in condizione di fragilità, soprattutto sotto il profilo economico. Il monito, che arriva dalla voce autorevole e appassionata di Rossana Oliva De Conciliis, Presidente onoraria della Rete per la Parità, ha l’obiettivo di sensibilizzare politica, mondo economico e società a puntare su misure che pongano al centro il principio di garantire parità di diritti e opportunità, anche in età anziana, e anche nei processi di progettazione di politiche di sviluppo di prodotti e servizi che guardino a un pubblico “silver”.

L’intera due giorni ha preso spunto da una ricerca promossa da Fondazione Magna Grecia e curata dai sociologi Emiliana Mangone e Giuseppe Masullo, che ha mostrato come, fra le varie preoccupazioni che “bloccano” i giovani nello sviluppare la propensione alla genitorialità, vi sia il timore «di perdere occasioni, non solo professionali, ma di vita e culturali».

Il patrimonio culturale, del resto, è uno strumento potentissimo attraverso cui generare identità, ma anche apprendimento, sviluppare categorie di interpretazione della realtà, e quindi imparare anche la cittadinanza. Da qui la necessità che il nostro patrimonio culturale sia “family friendly”, fruibile da genitori e figli.

«Pensiamo ai bambini – ha detto Francesco Pisani, professore di Neuropsichiatria infantile, Dipartimento di Neuroscienze umane della Sapienza di Roma – a quanto in loro la cultura, come la visita in un museo o di un sito archeologico, stimoli la meraviglia che a sua volta spinge alla voglia di conoscere. Le neuroscienze ci dicono che in un museo il bimbo impara a guardare, a interpretare, anche a stare fermo. E la stessa cosa vale per i genitori. Dobbiamo tenere presente che anche solo una singola esperienza culturale è fondamentale per essere educati al bello».

Daniele Carnovale è Ceo e fondatore di Guides4You, stratup che nasce sul territorio calabrese: un esempio di come i temi dell’accessibilità, del “design for all”, della necessità di rendere i beni del nostro patrimonio “per tutti”, a volte sia una necessità che nasce dal mercato in modo potente.

«Avevamo pensato ad un dispositivo che servisse per ‘leggere’ le opere e le strutture museali. Spinti dalla richiesta di mercato, ad oggi abbiamo funzioni per non vedenti e ipovedenti, per bambini ancora piccoli».

Non da meno l’esperienza della “Fondazione Medicina a misura di donna” che ha creato forse lo strumento più simbolico che sia stato ideato in Italia per costruire un patto inscindibile fra i nuovi nati, le famiglie, e il patrimonio culturale: un passaporto della cultura. «L’idea ci è venuta partendo dalla consapevolezza che la cultura aiuta a vivere di più e soprattutto meglio, come dimostrano anche numerosi studi», ha detto Chiara Benedetto, presidentessa della Fondazione.

«Il passaporto è stato tradotto in diverse lingue, viene dato alle mamme che hanno appena partorito ed e dedicato al nuovo nato e alle mamme al terzo mese di gravidanza. Offre la possibilità a tutto il nucleo famigliare di vistare gratuitamente i 48 musei della rete piemontese ed è diffuso in tutti i presidi ospedalieri dell’area metropolitana di Torino». Nel 2024 sono stati scaricati dal sito 15mila passaporti e la best practice oggi è stata adottata anche a Brescia, Pavia e Val Canonica

«Affrontare oggi la denatalità – ha concluso Nino Foti, presidente della Fondazione Magna Grecia – significa ripensare l’intero sistema Paese alla luce dell’invecchiamento, delle nuove insicurezze sociali e del bisogno di dare ai giovani un futuro desiderabile. Con questa iniziativa, pertanto, vogliamo rimettere al centro le persone, i territori e le connessioni tra le generazioni. La genitorialità si sostiene con politiche abilitanti, e il calo demografico si affronta anche guardando al nostro Mezzogiorno come a una piattaforma di sperimentazione per uno sviluppo inclusivo».

«Parlare di cultura inclusiva, significa anche capire che il nostro patrimonio – ha sottolineato – è il più potente strumento di legame intergenerazionale. Ogni museo o sito storico va reso davvero fruibile per famiglie, anziani e bambini, è così che si diventa realmente attrattivi e si costruiscono fiducia nel futuro e coesione tra generazioni. La Fondazione Magna Grecia lavora perché Sud e futuro non siano più due parole in contrasto, ma una sola visione condivisa». (ams)

IL “RITORNO DEI “CERVELLI” È CRUCIALE
PER FUTURO E RINASCITA DELLA CALABRIA

di MARIAELENA SENESELa Calabria, da decenni, è teatro di un preoccupante esodo giovanile: negli ultimi vent’anni, circa 162.000 giovani hanno abbandonato la regione, alla ricerca di opportunità lavorative e formative assenti sul territorio. Questo fenomeno, spesso definito “fuga dei cervelli”, rappresenta non solo una perdita demografica, ma soprattutto un impoverimento in termini di capitale umano, ricchezza economica, dinamismo sociale e vitalità culturale.

Eppure, la Calabria dispone di risorse ambientali, culturali, imprenditoriali e umane che, se opportunamente valorizzate, possono diventare leve potenti di sviluppo sostenibile e inclusivo. La sfida oggi non è soltanto fermare l’emorragia giovanile, ma piuttosto creare le condizioni per attrarre e trattenere talenti, offrendo concrete possibilità di crescita professionale e personale. 

 Il Fondo proposto dalla Uil  prevede un pacchetto integrato di misure economiche, fiscali e sociali che mirano a creare le condizioni affinché i giovani calabresi possano progettare e costruire un futuro nella loro terra.

Sebbene il Programma Regionale Calabria Fesr-Fse 2021-2027 non preveda esplicitamente il finanziamento diretto per l’acquisto della prima casa, è strategicamente possibile inserire tale misura all’interno dell’Obiettivo di Policy OP4 – “Una Calabria più sociale e inclusiva”, in particolare nell’Obiettivo Specifico OS 3 Azione 4.3.1, che dispone di oltre 56 milioni di euro per infrastrutture abitative e interventi di housing sociale.

Perché il “ritorno” diventi permanente e produttivo, è indispensabile creare un contesto favorevole all’imprenditorialità giovanile, con particolare attenzione a settori strategici come: Energia rinnovabile/Turismo sostenibile/Blue economy/Digitalizzazione e industria 4.0.

A tal fine, il progetto si inserisce in piena coerenza con l’Obiettivo di Policy OP1 – “Una Calabria più competitiva e intelligente”, e in particolare con l’Azione 1.1.2 dell’OS1.1, che sostiene: La creazione e il consolidamento di start-up innovative, spin-off universitari e PMI ad alto contenuto tecnologico; Programmi integrati di formazione, orientamento, tutoraggio e incentivazione; Investimenti iniziali e di espansione, nonché la realizzazione di hub e acceleratori d’impresa.

A queste misure si aggiungono le opportunità offerte dall’Obiettivo di Policy OP4, tramite: L’Azione 4.aa.1 (oltre 31 milioni di euro), dedicata a migliorare l’accesso al lavoro e promuovere l’occupazione giovanile; L’Azione 4.a.2 (quasi 11 milioni di euro), rivolta alla promozione del lavoro autonomo e dell’economia sociale.

Il rilancio del territorio passa anche da un deciso investimento sul capitale umano. Il progetto prevede, infatti, lo sviluppo di percorsi formativi avanzati, costruiti in stretta collaborazione tra università, centri di ricerca e imprese locali, per generare figure professionali altamente qualificate, in grado di guidare la transizione ecologica e digitale della regione nonché capace di attrarre ulteriori investimenti pubblici e privati. L’obiettivo è trasformare la Calabria da terra di emigrazione a laboratorio di innovazione e crescita sostenibile.

“Il progetto “Ritorno dei Cervelli” non è soltanto un insieme di misure tecniche, ma un vero e proprio investimento strategico sul futuro della Calabria. È molto più di un piano di rientro: è un atto d’amore verso una terra che ha bisogno dei suoi figli migliori per rinascere. È un impegno concreto per dare voce e spazio ai sogni di migliaia di giovani che, pur lontani, non hanno mai smesso di portare la Calabria nel cuore.

I giovani non sono solo il futuro: sono il presente che dobbiamo sostenere, l’energia viva che può trasformare questa regione in un luogo dove valga la pena restare, tornare, costruire. Offrire loro le condizioni per farlo significa scegliere di credere nella Calabria e nella sua capacità di cambiare. (ms)

[Mariaelena Senese, segretaria generale Uil Calabria]

L’OPINIONE / Davide Tavernise: Altro che boom occupazionale: i giovani fuggono, il lavoro è nero e precario

di DAVIDE TAVERNISE – Nei giorni scorsi, il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, ha celebrato sui suoi canali social un presunto “sprint” dell’occupazione: 45.930 assunzioni previste tra maggio e luglio 2025 secondo il Bollettino Excelsior. Insieme a lui anche l’assessore regionale al Lavoro, Calabrese, prendeva parte ai festeggiamenti. Peccato che dietro questi numeri si nasconda una realtà ben diversa, fatta di precarietà, sfruttamento e desertificazione imprenditoriale giovanile.

I dati reali – quelli che emergono da Confesercenti e dalle camere di commercio – raccontano un’altra storia: in Calabria, negli ultimi cinque anni, le imprese giovanili “under 35” sono crollate del 38%. Non solo: dal 2019 al 2024 sono scomparse oltre 35.600 attività guidate da giovani nei settori del commercio, della ristorazione e dell’accoglienza. Una flessione del -22,9%, quattro volte superiore a quella delle imprese over 35. Un dato devastante che smentisce ogni trionfalismo.

L’Italia non è più un Paese per giovani imprenditori? In Calabria la risposta è chiara: solo 1 impresa su 10 è oggi guidata da giovani, contro il 12% di appena cinque anni fa. L’età media di chi ancora resiste alla guida di un’attività supera ormai i 51 anni. Un quadro che conferma il fallimento delle politiche regionali per l’autoimpiego e l’imprenditoria giovanile.

Ma non basta. Lo stesso Bollettino Excelsior citato da Occhiuto certifica che il 40% del lavoro nel turismo in Calabria è sommerso. Lo denuncia il segretario regionale della Filcams Cgil, Giuseppe Valentino: mancano i camerieri, ma non per carenza di domanda, bensì per salari da fame, contratti truccati e precarietà cronica.

A fronte di questa emergenza sociale, i bandi regionali Dunamis e Kaire sono poco più che operazioni di facciata. Kaire stanzia appena 7 milioni di euro per il turismo, mentre Dunamis interviene solo per contratti a tempo indeterminato, quindi non interessa il lavoro stagionale da giugno a settembre che continua a manifestarsi in un contesto di assoluta sofferenza economica.

Il Movimento 5 Stelle propone una misura strutturale e di civiltà: il salario minimo legale a 9 euro l’ora. Una riforma necessaria per restituire dignità al lavoro e frenare l’emorragia di giovani e competenze che sta svuotando il Sud.

Occhiuto porti avanti questa battaglia, invece di continuare a snocciolare numeri propagandistici sui social. Il lavoro non si misura con le assunzioni stagionali, ma con la qualità della vita delle persone. I calabresi hanno bisogno di contratti veri, stipendi giusti e una prospettiva. Non di like su Facebook. (dt)

[Davide Tavernise è consigliere regionale del M5S]

CHI PERDE IL LAVORO E CHI NON LO TROVA
L’AMAREZZA DI GIOVANI ED EX DIPENDENTI

di ALESSIA TRUZZOLINO – Per una vita ha lavorato come operaio specializzato per una grossa azienda di Lamezia Terme. A 56 anni, però, da un giorno all’altro si è trovato senza un impiego, senza uno stipendio ma anche senza uno scopo da dare alle proprie giornate. Nonostante vivesse da solo, ad un certo punto non è più riuscito a mantenere neanche se stesso. Perché, per quanto specializzato, non c’è posto per un artigiano di più di 50 anni.
Le difficoltà economiche lo hanno costretto a chiedere aiuto ai servizi sociali. «Mi sono accorto che non aveva denaro nemmeno per un biglietto d’autobus. Si vergognava a chiede un passaggio», racconta Antonio Mangiafave, presidente della comunità di volontariato SS Pietro e Paolo – Progetto Gedeone.
Ma, soprattutto, Mangiafave si è accorto che l’uomo versava in uno stato di profonda depressione. «La mancanza di lavoro e di potersi autostenere come aveva fatto per una vita lo tormentava».

A risollevarlo, per un certo periodo di tempo, è stata l’attività di volontariato con il Progetto Gedeone. Oggi l’uomo lavora in nero, sbarca il lunario ma è tutt’altra cosa rispetto alla stabilità e serenità che aveva un tempo.

«Si sopravvive», spiega Antonio Mangiafave che di casi di depressione legata alla mancanza di uno scopo nella vita, di un lavoro che dia un senso alle giornate e porti la tranquillità di uno stipendio, ne ha incontrati diversi negli anni spesi nel Terzo settore.
La depressione si manifesta anche nei giovani laureati. Molti, dopo aver raggiunto il traguardo, si accorgono che la loro laurea non è spendibile nel mondo del lavoro. Sono spesso vittime di lauree senza sbocchi, corsi che nascono e muoiono alla fine del primo quinquennio.
Il caso incontrato da Mangiafave è quello di una giovane di 28 anni, in tasca un pezzo di carta che la rendeva esperta in restauri. All’orizzonte concorsi che dovevano partire e che non sono mai partiti.
Oggi anche lei, dopo aver affrontato una brutta depressione, «sopravvive» con lavori part time che non hanno alcun collegamento con i propri studi.

Sono l’esempio di due generazioni, vittime di un sistema economico fragile, in Calabria più che altrove, e di un disallineamento allarmante tra la formazione scolastica e quello che chiede il mondo del lavoro.
«Oggi – dice Mangiafave – c’è molta formazione e poco lavoro». L’operatore è scettico anche sui risultati del programma Gol (Garanzia di occupabilità dei lavoratori), un’iniziativa finanziata con il Pnrr per rilanciare l’occupazione in Italia e combattere la disoccupazione.
«Dal nostro punto di vista Gol non funziona: ci sono troppi corsi di formazione che non terminano col lavoro».
Un esempio è quello sui servizi socio sanitari. «La richiesta nella formazione è 100, la domanda nel mondo del lavoro è 10», dice Mangiafave.
Cadere nella depressione o in altre forme di disagio psico-sociale è fenomeno ormai molto comune e diffuso a tutte le età. La cura tarda ad arrivare: «Il lavoro rappresenta un pezzo importante in qualsiasi terapia». (at)

[Courtesy LaCNews24]

Ecco cosa manca oggi: punti di riferimento al di là della famiglia

di GIULIA MELLISSARI – Uno dei discorsi più incisivi di don Italo Calabrò è stato l’incontro con gli allora studenti del Liceo Scientifico Vinci, incentrato sull’importanza di non delegare la propria vita agli altri. Di essere, in qualche modo, protagonisti delle scelte all’interno di una comunità

Nei vari tavoli tematici e convegni, si sente spesso parlare dei giovani senza i giovani. Già da qui si percepisce una distanza netta — e proprio qui si innesta il cuore di questo articolo. Don Italo parlava ai giovani, con i giovani. Dava loro fiducia anche attraverso parole “dure”, che scuotevano le coscienze, o che oggi definiremmo capaci di stimolare il pensiero critico.

Ecco cosa manca oggi: punti di riferimento al di là della famiglia.

La famiglia è al centro di ogni discorso sul supporto alla genitorialità, sul cambiamento che sta attraversando, su cosa intendiamo oggi per “famiglia”. Ma cresciamo convinti che basti la famiglia a tenerci al sicuro. E per un po’, è vero. Poi arriva un momento, spesso precoce, in cui i giovani iniziano a cercare altrove: non solo conforto, ma direzione. Cercano sguardi che li vedano, orecchie che li ascoltino, voci che dicano “ci sei”, prima ancora di “ce la farai”. Cercano adulti che non siano solo “grandi”, ma presenti.

Bisogna prendersi le proprie responsabilità: gli adulti hanno smesso, in molti casi, di essere punti di riferimento. Preferiscono restare nel proprio salotto o dietro uno schermo — proprio quello smartphone di cui spesso si critica l’uso improprio da parte dei giovani. Ma forse dovremmo domandarci perché lo usano così. Forse perché anche gli adulti sono, in fondo, altrettanto impreparati. Intanto si pontifica su cosa sia giusto o sbagliato, si parla di “comunità educante” senza capire davvero da dove bisogna partire.

Ecco, don Italo lo sapeva bene. E lo trasmetteva con tutto sé stesso. Lui era un pezzetto di quella comunità educante che oggi, faticosamente e in modo ancora troppo sporadico, stiamo cercando di costruire.

Proprio l’altro giorno riflettevo sulla parola “talento”. Avendo fatto sport, l’ho sentita spesso. Ultimamente, la sento sempre meno. Mancano figure ponte, adulti guida, presenze che sappiano riconoscere il talento e accompagnarlo. Così i giovani crescono nel rumore del mondo, ma con una grande assenza: quella di qualcuno che dica loro che valgono, che hanno un dono, che possono provarci, anche sbagliando.

La mancanza di figure di riferimento non è solo un vuoto emotivo: è un rischio educativo, sociale, persino politico. E lo stiamo vedendo chiaramente: questo vuoto alimenta rabbia sociale, estremismi, senso di disorientamento. È lì che si insinuano modelli distorti — influencer che esibiscono successo senza sforzo, narrazioni tossiche di potere, mascolinità deviate, femminilità stereotipate. Oppure, peggio ancora, realtà devianti che promettono appartenenza in cambio di obbedienza. Il bisogno di essere visti è universale: e se non trova spazi buoni, si adatta anche a quelli pericolosi.

Non servono supereroi. Servono adulti che ci siano. Chi ha un ruolo, occupi le piazze. Presìdi presenti non nei luoghi, ma nelle persone. Bisogna fare spazio. Creare spazio. Coltivare presenze.

Perché educare è un atto di comunità.

E forse è giunto il momento di non dire solo ai giovani di non delegare. È il momento di estendere quel messaggio di don Italo anche — e soprattutto — agli adulti.

Adulti che, troppo a lungo, hanno delegato. (gm)

[Giulia Melissari è del Centro Comunitario Agape]

LA PRECARIETÀ È UN PROBLEMA DIFFUSO IN
CALABRIA: BASTA LAVORATORI “INVISIBILI”

di ANTONIETTA MARIA STRATI – «Chiedete ai vostri figli, ai vostri nipoti, quanti hanno una stabilità lavorativa. C’è una situazione di precariato diffuso. Non è solo la quantità, ma la qualità dell’occupazione». Sono dure le parole di Pierpaolo Bombardieri, segretario nazionale di Uil Calabria, nel corso della Carovana Uil, l’iniziativa del sindacato che ha gremito piazza dei Bruzi a Cosenza.

Una vera e propria ondata azzurra che ha colorato la piazza cosentina per sensibilizzare sul tema dei lavoratori fantasma: «Con questa nostra iniziativa in giro per l’Italia, vogliamo richiamare la politica, l’opinione pubblica e gli imprenditori sulla necessità di affrontare il tema della precarietà, perché occorrono decisioni e scelte che facciano diventare queste ragazze e questi ragazzi delle persone in grado di rivendicare ed esercitare diritti e tutele come chiunque altro», ha spiegato Bombardieri nel corso della manifestazione di Pescara dello scorso 3 aprile, sottolineando come «nonostante  record sbandierati dal governo sull’occupazione, la vita quotidiana ci dimostra tutt’altro: ancora troppi sono i precari e i lavoratori in nero, persone ridotte a fantasmi per la società, perché chi non ha un contratto a tempo indeterminato non può rivolgersi a una banca per un mutuo, non può comprare una macchina, non può acquistare un cellulare, ma soprattutto non può programmare la propria vita».

«Chi ha un lavoro precario è un fantasma – ha tuonato il sindacalista a Cosenza – non lo vede nessuno, soprattutto le banche e chi deve vendergli le case. Allora è necessario fare degli interventi per dare a questi ragazzi e a queste ragazze la possibilità di diventare persone».

«Per l’Istat – ha proseguito – 6 milioni di persone sono povere e 7 si avvicinano alla povertà assoluta. Ed è ovvio che chi guadagna 20-24 mila euro lordi l’anno, anche se ha un lavoro, non è in grado di vivere dignitosamente».

«Il Senato stima una perdita di 50.000 posti di lavoro. Ci dicono “niente panico”, ma provate a dirlo a chi rischia di non pagare il mutuo o la rata dell’auto. Per loro è una catastrofe reale, non una crisi astratta», ha proseguito Bombardieri, per poi parlare del tema dei dazi: «il governo parla solo con le imprese. Ma se le aziende chiudono, chi perde il lavoro sono i lavoratori. Chiediamo che al tavolo siedano anche i sindacati, non solo una parte del Paese».

«Ci sono 400.000 lavoratori e lavoratrici in aziende che producono servizi e beni esportati soprattutto negli Stati Uniti d’America, per quasi 70 miliardi: in particolare il settore meccanico, con 11 miliardi e mezzo, quello della moda, con 5 miliardi e quello agroalimentare, con 7,8 miliardi», aveva spiegato Bombardieri a Napoli, nel corso del convegno organizzato dalla Uil Polizia sul tema della sicurezza.

«Se i dazi – ha precisato il leader della Uil – producono un ridimensionamento delle attività almeno del 10%, rischiamo decine di migliaia di posti di lavoro. È necessario intervenire subito differenziando i mercati: dobbiamo trovare altre zone dove poter esportare. E, poi, bisogna favorire i consumi nel nostro Paese: ecco perché rilanciamo l’idea di detassare gli aumenti contrattuali e di rinnovare i contratti. Serve, infine, che l’Europa dia una risposta chiara e non che a trattare sia ogni singolo Stato, perché questo ci renderebbe più deboli.

«In tale quadro – ha detto Bombardieri – ribadiamo anche che il Patto di stabilità è un errore dal punto di vista economico: finalmente anche la Presidente del consiglio ha assunto questa posizione».

Le soluzioni ci sono, secondo Bombardieri, e ne suggerisce alcune: diversificare i mercati, affidare all’Europa le trattative, aumentare i salati per rilanciare i consumi e sbloccare i contratti scaduti dei metalmeccanici e del pubblico impiego.

«Serve una svolta sul precariato: la Spagna ha limitato i contratti a termine e l’occupazione è cresciuta», ha detto ancora Bombardieri, passando poi sul tema della Questione Meridionale, «scomparsa dai radar».

«Ma senza il Sud, l’Italia non riparte – ha ribadito –. Il Mezzogiorno ha bisogno di infrastrutture, investimenti e attenzione reale. Chi vive lì ha la stessa dignità di chi vive altrove».

«Basta lavoratori invisibili. È il momento di scelte coraggiose per un’Italia più giusta, più inclusiva, più vera», ha concluso Bombardieri.

Mariaelena Senese, segretaria generale Uil Calabria, sa bene qual è la situazione regionale, a livello occupazionale: «il 61% dei giovani calabresi è assunto con contratti atipici o a tempo determinato».

«Noi oggi vogliamo parlare di lavoro stabile», ha detto Senese, sottolineando «la lungimiranza di questa iniziativa dedicata al precariato, che è una piaga che affligge in modo particolare questa regione. C’è un effetto di scoraggiamento evidente».

«Il Governo continua a mentire sull’occupazione, dicendo che la percentuale degli occupati è aumentata e siamo a livelli record. La maggior parte di questi occupati, però, sono precari o a tempo determinato. Di questi, tanti sono giovani: come si può pensare a un futuro se non si ha la certezza del lavoro?», ha chiesto la sindacalista.

Tanti, sul palco della Uil, a riflettere sul tema del lavoro: Emanuele Ronzoni, segretario organizzativo della Uil, la vicesindaca di Cosenza, Maria Locanto, che ha parlato dell’importanza di «parlare di lavoro oggi» e di come «il precariato è la vera piaga del lavoro di oggi. La parola sfruttato e la parola lavoro non possono stare insieme».

«Ogni testimonianza è importante e insieme abbiamo messo in luce le problematiche reali che meritano di essere ascoltate e affrontate. Come sempre porteremo ai tavoli del governo proposte concrete per costruire un futuro più giusto e equo per tutti», dice il sindacato in una nota.

La due giorni della carovana della Uil è stata, dunque, un’occasione di confronto e crescita «in una piazza, quella di Cosenza, piena di giovani che rappresentano il nostro futuro». (ams)

Giovedì in Cittadella si presenta il progetto “Mirai – Insieme creiamo il futuro”

Si chiama “Mirai – Insieme creiamo il futuro” il progetto che vede come protagonisti principali gli studenti delle ultime due classi degli istituti superiori del territorio calabrese e che sarà presentato giovedì in Cittadella regionale alle 11.

Pensato dal Dipartimento Lavoro della Regione Calabria, si tratta di un progetto ambizioso in termini di sinergie messe in campo, e lungimirante negli obiettivi.

I dettagli dell’iniziativa, che ha già mobilitato una complessa task force per l’orientamento e l’accompagnamento al mondo del lavoro degli studenti, saranno presentati dall’assessore al Lavoro e alla Formazione professionale della Regione Calabria, Giovanni Calabrese, e da Fortunato Varone, direttore generale del Dipartimento Lavoro.

All’incontro saranno presenti i principali partner dell’iniziativa: i responsabili e i referenti dei Centri per l’Impiego dell’intero territorio calabrese, e i dirigenti scolastici che hanno aderito con grande interesse al progetto, aprendo le porte dei loro istituti al progetto. (rcz)

LA CALABRIA ADOTTI IL PORTO DI GIOIA: È
UN’ESSENZIALE OPPORTUNITÀ PER FUTURO

di SANTO STRATI – La Calabria adotti il Porto di Gioia Tauro: non è una preghiera o un’invocazione, quella lanciata da Pino Soriero a San Ferdinando di Rosarno nel bel convegno promosso dal PD e dal sindaco Luca Gaetano.

È un auspicio e, insieme, la constatazione di come ancora oggi manchi la giusta sensibilità nei confronti di un “gioiello” in grado di trasformare radicalmente, anche in termini occupazionali, l’economia e lo sviluppo non solo del territorio della Piana o dell’intera Calabria, ma anche del Paese.

Il Porto di Gioia Tauro è diventato il numero uno nel transhipment, che sarebbe la movimentazione dei container che arrivano da tutto il mondo e la loro veicolazione con consegna tramite gomma o ferrovia. E Gioia Tauro ambisce a fare molto di più, punta a “lavorare” i contenuti dei container attraverso processi di lavorazione e trasformazione industriale che possono trovare ampio spazio nell’immensa area del retroporto, pressoché inutilizzata. Perché ciò si realizzi occorre una visione industriale di tutta l’area portuale con lo sviluppo delle relative competenze di lavoro.

A cominciare  da quella che si chiama “piastra del freddo”. L’esempio più concreto lo porta il “re del tonno” Pippo Callipo che ha superato i 100 milioni di fatturato annuo, il quale, a San Ferdinando di Rosarno ha spiegato come lo stoccaggio della materia prima proveniente da tutto il mondo nel Porto, negli appositi capannoni industriali che l’azienda ha realizzato, ha permesso di incrementare la produzione e ottimizzare i tempi di lavorazione, con il conseguente incremento della manodopera e dell’occupazione.

Il Porto va considerato, dunque, come un’essenziale opportunità per la sua centralità nel Mediterraneo che andrebbe ulteriormente valorizzata mediante interventi strutturali che, ad oggi, sono stati realizzati solo con investimenti dell’Autorità di Sistema Portuale. Il suo presidente, ammiraglio Andrea Agostinelli, ha raccontato con sanguigna e autentica passione cosa ha trovato quando arrivò da Commissario a Gioia Tauro e cosa lascia, al termine del suo mandato (che sarebbe auspicabile venisse rinnovato senza alcuna perplessità, visto l’ottimo lavoro e i risultati ottenuti).

Da una situazione fallimentare con centinaia di operai mandati a casa dalla sera alla mattina e prospettive più che cupe, a uno straordinario rilancio di tutta l’attività portuale, con investimenti milionari da parte dei concessionari subentrati (MSC e Automar-Grimaldi) e una rivitalizzazione straordinaria di tutte le potenzialità Porto. I numeri parlano da soli. siamo arrivati a quasi 4 milioni di teus nel 2024 (l’unità di misura dei container) e nuovi record di preannunciano anche per quest’anno. Consideriamo che il Porto, nato sulle ceneri di quello che avrebbe dovuto servire il mancato V Centro Siderurgico (del famigerato pacchetto Colombo che avrebbe dovuto pacificare i rivoltosi reggini del 1970) ha un pescaggio così ampio da avere superato come operatività persino Genova: possono attraccare le gigantesche supernavi portacontainer la cui altezza richiede grandi profondità che solo Gioia, nel versante italiano del Mediterraneo, è in grado di offrire. Solo che, mentre per Genova vengono stanziati e messi a disposizione centinaia di milioni, al Porto di Gioia, fino a oggi sono state destinate soltanto briciole.

Per questa ragione, Soriero, che è stato sottosegretario nel Governo Prodi proprio ai trasporti e che conosce perfettamente le problematiche del Porto di Gioia ha lanciato l’appello perché la Regione si faccia portavoce delle esigenze di sviluppo del suo Porto, il più grande del Mediterraneo. Un Porto che potrebbe attivare migliaia di nuovi posti di lavoro, al pari di quello che è successo a Tangeri, a Port Said (sulle coste dell’Africa) o addirittura nella spagnola Algesiras. Soriero, che alla realtà di Gioia ha dedicato un corposo e documentato libro (Andata in Porto, Rubbettino), ha vissuto da esponente del Governo tutte le problematiche del Porto di Gioia, attivandosi, in maniera intelligente e con larga visione, affinché le soluzioni arrivassero nei tempi giusti (per esempio l’istituzione della Capitaneria) e tante altre soluzioni ottimali per rendere lo scalo attrattivo e funzionale.

Adesso è una realtà che identifica un’idea di sviluppo che ancora non ha raggiunto il suo traguardo immaginato, ma esistono tutte le condizioni perché questo “gioiello” possa costituire il volano di rilancio del Mezzogiorno, sfruttando la sua posizione nel Mediterraneo. Sono, in realtà, poche ma impegnative le cose da realizzare: ci scapperebbe da ridere se non fosse una vicenda grottesca, la mancanza della necessaria illuminazione per ampliare le movimentazioni anche di notte. Sono lavori di poco conto, ma il Governo centrale (quello che destina grandi risorse a Genova) fa orecchie da mercante.

E poi c’è la ferrovia: un tratto di pochi chilometri che ha dovuto aspettare vent’anni per vedere realizzato il collegamento diretto con il Porto. Il Presidente Agostinelli è uno che non le manda a dire: «I maggiori porti italiani – ha evidenziato – hanno un grave problema per mancanza di aree di stoccaggio, mentre Gioia Tauro ha dietro di sé ben 477 ettari: a fronte delle opportunità di sviluppo del Porto per il quale basterebbero forse solo 150 milioni, lo Stato destina appena 50 milioni riservando un miliardo e mezzo a Genova».

Non servono commenti, è necessaria la non più rinviabile e netta presa di posizione della Regione sul Porto di Gioia. Un investimento sul futuro dei giovani, sul futuro dell’area ma anche di tutta la Calabria.

Il Mediterraneo è il nuovo protagonista dell’economia e il Porto di Gioia, come la Calabria, ne sono al centro. Occhiuto non se lo dimentichi. (s)