di PIETRO MASSIMO BUSETTA – Vale 134 miliardi il capitale umano uscito con i giovani italiani emigrati: dalla Lombardia 23 miliardi, dalla Sicilia 15 e dal Veneto 12, e la quota dei laureati che vanno via diventa sempre più consistente. Così in una nota, firmata Lorenzo Di Lenna, ricercatore junior e Luca Paolazzi, direttore scientifico della Fondazione Nord Est, viene calcolato il costo del deflusso di giovani dal nostro Paese.
Nei tredici anni 2011-23 il valore del capitale umano che se ne è andato dall’Italia, e riguardante i giovani 18-34 emigrati, è pari a 133,9 miliardi, con la Lombardia a primeggiare per perdita (22,8 miliardi), seguita dalla Sicilia (14,5), dal Veneto (12,5) e dalla Campania (11,7).
In realtà il dato assoluto in questo caso non ha alcun senso. Se invece esso viene rapportato alla popolazione residente in ciascuna regione ci si accorge facilmente che la classifica è diversa e vede il valore dei giovani meridionali che abbandonano quello più elevato. E questo calcolo riguarda soltanto il movimento rispetto ai trasferimenti in altre nazioni d’Europa e del mondo. Non tiene conto invece dei trasferimenti all’interno del nostro stesso Paese. Possiamo aggiungere allora che ogni anno le regioni del Sud “regalano” a quelle del Nord una cifra vicina ai 20 miliardi di euro, considerato che ogni ragazzo che viene formato fino alla scuola media superiore ha un costo che viene calcolato in circa 200.000 € e che ogni anno si trasferiscono dal Mezzogiorno verso il Nord del Paese 100.000 giovani, la maggior parte dei quali sono laureati e che quindi hanno un costo maggiore dei 200.000 € che sono stati riportati prima.
Lanciare un grido d’allarme per evidenziare che il nostro non è un Paese attrattivo è corretto. Spesso le remunerazioni sono molto basse, vedasi cosa accade con i medici, che trovano convenienti le condizioni complessive offerte altrove. I diritti a cui si può accedere sono più ampi all’estero, si pensi al welfare di cui godono le giovani mamme o spesso ad una sanità che da noi non è all’altezza delle aspettative, soprattutto nel Mezzogiorno.
Insomma non solo un lavoro meglio retribuito, ma anche un welfare più consistente sono le motivazioni alla base della scelta di chi preferisce abbandonare l’Italia e trova conveniente spostarsi. Ma una distinzione tra coloro che abbandonano il Mezzogiorno e quelli che abbandonano il Centro Nord va fatta.
Infatti non si tratta dello stesso tipo di trasferimento. Nel Nord si assiste ad un processo, che peraltro può essere anche virtuoso, perché consente ai giovani italiani di acquisire skill che magari in Italia avrebbero più difficoltà a conseguire.
Si chiama mobilità ed è un processo in genere bidirezionale, da un paese all’altro, ed arricchisce entrambi i territori. Il giovane inglese viene a lavorare in Italia e il suo collega italiano va a Londra. Nel loro percorso di vita ci potrà essere un ritorno nelle loro aree di origine, perché non sarà difficile per l’ingegnere che si è specializzato in un’azienda londinese trovare la possibilità di essere accolto in una altrettanto bell’azienda brianzola, nella quale potrà continuare il lavoro che svolgeva nella prima.
Caratteristiche diverse ha l’abbandono dei territori meridionali: in tal caso si parla di emigrazione, che è quel fenomeno che riguarda i paesi poveri, che li depaupera delle migliori energie, che non hanno alcuna possibilità di trovare collocazione nel sistema imprenditoriale esistente.
In quel caso si tratta di una perdita netta perché senza ritorno: essendovi un sistema manifatturiero imprenditoriale molto carente, le professionalità che vanno via difficilmente potranno trovare collocazione in un eventuale loro, desiderato, ritorno, che avverrà probabilmente soltanto nella fase della pensione.
Per cui il danno sarà doppio: la prima volta lo si avrà quando si perde il costo della formazione sostenuto dalla Comunità di appartenenza, la seconda volta al loro ritorno nelle terre di origine, perché queste dovranno farsi carico di fornire le prestazioni sanitarie, che, come è noto, sono molto più frequenti quando si raggiunge una certa età.
Peraltro il Nord del Paese, in ogni caso si rifà di eventuali perdite di capitale umano formato attraendo i giovani meridionali, spesso con operazioni di comunicazione scientifiche e programmate. Il Sud invece ha performance simili a quelle dei Paesi in via di sviluppo, come Tunisia, Marocco, Libia.
La differenza è che dal Nord Africa o dall’Africa Centrale arrivano con i barconi, dal Sud basta un volo low cost, ma il depauperamento è uguale.
Certo consentire un tipo di abbandono come quello di cui si è parlato senza che lo Stato di appartenenza possa rifarsi perlomeno in parte dei costi sostenuti per “l’allevamento“ di tali giovani è un percorso che va rivisto. Anche se in una libera Europa, dove merci e persone possono muoversi liberamente, pensare a rimborsi dovuti allo Stato da chi lascia la propria nazione è assolutamente inimmaginabile, come lo è però la cannibalizzazione che viene fatta nei confronti di alcuni paesi, tipo per esempio la Croazia.
I meccanismi seri che possono alla base evitare tali processi che impoveriscono alcune aree riguardano soltanto lo sviluppo di esse, le eliminazioni dei divari, che poi è quello su cui l’Europa sta cercando di lavorare più alacremente. Ma è anche il percorso più difficile. (pmb)
[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’altravoce dell’Italia]