ZES UNICA, LA VIA MAESTRA PER UN VERO
RILANCIO INDUSTRIALE DEL MERIDIONE

di ERCOLE INCALZA – Riporto di seguito un comunicato stampa, apparso su vari giornali, relativo al successo che, proprio in questi giorni, sta avendo lo strumento della Zes Unica: «Sette miliardi quelli relativi al solo 2024, precisa la Presidenza del Consiglio; una concessione del Credito di imposta al 100 per 100 della quota disponibile. Il massimo del tiraggio possibile cioè chi ha ottenuto l’autorizzazione unica ad investire nel Mezzogiorno ha potuto contare fino al 60% di credito di imposta come era stato garantito dalla norma varata dal Governo e di cui l’ex Ministro Fitto era stato l’artefice principale».

Due anni fa in una delle mie note avevo denunciato apertamente il fallimento delle ZES e avevo anche motivato la assurdità dello strumento e la anomala articolazione dello stesso sul territorio. Le mie critiche erano legate essenzialmente anche alla assenza di risultati concreti; infatti nel 2021 precisavo: «Il provvedimento istitutivo delle Zes è del giugno 2017, cioè è stato concepito più di cinque anni fa e finora non ha prodotto nulla, anzi mi scuso, ha prodotto una serie di altri provvedimenti che riporto di seguito utili solo a qualche membro delle Istituzioni per annunciarne l’esistenza e per assicurare l’immediato avvio operativo. Riporto di seguito solo alcuni dei provvedimenti: Il Decreto legge 20 giugno 2017 n. 91, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2017 n. 123  e successive modificazioni, nell’ambito degli interventi urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno, ha previsto e disciplinato la possibilità di istituzione delle Zone Economiche Speciali (Zes) all’interno delle quali le imprese possono beneficiare di agevolazioni fiscali e di semplificazioni amministrative; Con il Dpcm 25 gennaio 2018 è stato adottato il Regolamento recante l’istituzione di Zone Economiche Speciali (Zes).

Ebbene, dopo la serie di assicurazioni e di impegni presi anche dai Presidenti della Regione Sicilia, della Regione Campania e della Regione Puglia, oggi apprendiamo che un apposito Decreto del Presidente del Consiglio (Dpcm), trasmesso dal Ministro del Sud alla Presidenza per ottenere il previsto parere, attua quanto già previsto dal Decreto sul Pnrr dello scorso mese di aprile e definisce i requisiti delle Zes regionali e prevede una procedura straordinaria di revisione del perimetro delle aree individuate. Sarebbe stato invece utile effettuare una attenta analisi dello strumento istituito cinque anni fa e cercare intanto di capirne, innanzitutto, il significato e quindi soffermarsi sulle motivazioni per cui sono state costituite e cioè: dovevano essere zone geograficamente delimitate e situate entro i confini dello Stato, costituite anche da aree non territorialmente adiacenti purché presentassero un nesso economico funzionale e comprendessero almeno un’area portuale con le caratteristiche stabilite dagli orientamenti dell’Ue per lo sviluppo delle Reti Ten-T; dovevano avere l’obiettivo di attrarre grandi investimenti; dovevano avere l’obiettivo di favorire la crescita delle imprese già operative o la nascita di nuove realtà industriali nelle aree portuali e retroportuali; dovevano avere l’obiettivo di implementare le piattaforme logistiche, collegate anche da intermodalità ferroviaria.

L’allora Commissario della Zes relativa alle realtà della Campania e della Basilicata Giosy Romano difese l’operato dei vari Commissari ricordando che nella ZES da lui diretta si era riusciti, a differenza delle altre Zes, a far partire iniziative del valore di 30 – 40 milioni di euro. Io precisai subito che nei miei vari interventi non avevo mai messo in dubbio il suo operato e quello dei suoi colleghi, un operato che definii encomiabile ma, sempre due anni fa, precisai che erano poco difendibili due caratteristiche dello strumento: La limitata disponibilità delle risorse (appena 600 milioni di euro); L’assenza di una organicità dell’intero processo, una organicità che sarebbe stato possibile raggiungere solo con una Zes unica.

Oggi l’avvocato Giosy Romano, coordinatore della Struttura di missione della Zes Unica, ha  dichiarato: «Sono convinto che la semplificazione burocratica prevista per la ZES Unica debba essere comunicata costantemente al sistema delle imprese. Abbiamo in programma un road show per i prossimi mesi in giro per l’Italia per raccontare questa opportunità che accresce in modo esponenziale la convenienza ad investire nel Mezzogiorno. Per la sola Campania uno studio condotto da Ambrosetti ha ipotizzato un rimbalzo pari a 2,5 punti percentuali del Pil e forse anche oltre e questo conferma che tipo di percorso si sta delineando nell’attuazione della Legge sulla Zes unica. Siamo ad una rivoluzione nella capacità di attrarre investimenti senza precedenti».

Quindi dal 2017 al 2023, cioè fino alla scelta dell’allora Ministro Fitto e del Parlamento di varare la Legge sulla ZES Unica, avevamo perso, come Paese, una grande occasione: avevamo praticamente speso praticamente nulla e, invece, in meno di un anno si è riusciti ad attivare un volano di risorse di 7 miliardi di euro e come precisava Giosy Romano si è dato vita ad una possibile crescita di 2,5 punti percentuali del Pil.

Forse quattro Governi, quelli di Gentiloni, Conte 1, Conte 2 e Draghi dovrebbero sentirsi responsabili di questa perdita grave per l’intero Mezzogiorno; una perdita causata da un misurabile fallimento di una norma concepita e portata avanti in sette anni senza produrre nulla. Eppure, indipendentemente dal fallimento delle 8 Zes nel Mezzogiorno non possiamo non ricordare le gratuite dichiarazioni ed impegni assunti, sempre dai Governi prima richiamati, per il Mezzogiorno; addirittura nel 2017 fu varata la Legge 18/2017 con cui si disponeva «che la quota delle risorse ordinarie delle spese in conto capitale a favore delle otto Regioni del Mezzogiorno non sia inferiore al 34% del totale nazionale». Dal 2018 al 2022 la spesa per il Sud non aveva superato il 6%.

Bisogna ammetterlo la Zes Unica è il primo segnale di cambiamento concreto del Governo nei confronti del Mezzogiorno. (ei)

IL SUD UN FUTURO CE L’HA, MA BISOGNA
CREARE E GARANTIRE I DIRITTI ESSENZIALI

di PIETRO MASSIMO BUSETTAEsistono dei diritti costituzionalmente garantiti che però hanno realizzazione diversa nelle varie parti del Paese. In particolare il diritto al lavoro, a una buona formazione, alla salute, alla mobilità.     

Le 100.000 persone che ogni anno si trasferiscono dal Sud al Nord, con un costo per le regioni di provenienza di oltre 20 miliardi, considerato che portare una persona a livello di scuola media superiore costa già 200.000 €, e che la maggior parte di coloro che si trasferiscono hanno invece una laurea, rappresentano una sconfitta per il Paese. 

Tale costo, cosiddetto di “allevamento”, viene utilizzato dalle regioni di destinazioni, alcune volte dal Paesi esteri, ogni qual volta tale capitale umano non viene valorizzato nelle stesse realtà nelle quali si è formato. 

Ed è inutile strombazzare successi ed aumenti di occupazione senza tener conto dei dati macroeconomici che riguardano tutto il Mezzogiorno. Una realtà che, se fosse una nazione dell’Unione Europea a se stante, avrebbe nella graduatoria dei Paesi  europei una dimensione demografica che la posizionerebbe tra i primi  dieci. Prima di tanti Paesi importanti, come per esempio l’Olanda. E che con i suoi poco meno di venti milioni di abitanti ha un numero di occupati, compresi i sommersi, che si avvicina ai sei milioni e quattrocentomila. Lontano dal rapporto uno a due delle realtà a sviluppo compiuto.

E poiché è noto che il sommerso nella realtà poco sviluppate ha una dimensione più ampia di quanto non l’abbia nella realtà a sviluppo compiuto, per un effetto di smarcamento dovuto alla mancanza di lavoro, se le possibilità alternative non sono numerose o addirittura inesistenti c’è più facilità che chi ha bisogno di lavorare e non vuole spostarsi, accetti un lavoro a qualunque condizione. 

Peraltro, tale evidenza emerge chiaramente dal costo del lavoro più basso, pur in presenza di contratti di lavoro collettivi simili e in assenza di gabbie salariali. 

Fin quando tale gap di mancanza di posti di lavoro non sarà colmato sarà impossibile frenare quel flusso dovuto ad un modello di sviluppo che continua a creare posti di lavoro nelle realtà nelle quali il mercato è saturo e si manifestano tutte le difficoltà a trovare capitale umano formato. 

Ma le persone non si spostano soltanto alla ricerca di un’occupazione che consenta di immaginare un progetto di vita. E spesso non sono solo i giovani che si trasferiscono perché dietro loro alcune volte, sempre più spesso, le famiglie di origine sono tentate di  seguirli per fornire un aiuto nella tenuta dei figli, considerato che in genere nella coppia si cerca di lavorare entrambi, anche perché è l’unico modo per avere un reddito minimo di sussistenza. 

Peraltro l’altro diritto negato o meglio non garantito adeguatamente è quello alla salute. Per cui i cosiddetti viaggi della speranza continuano ad aumentare alimentando il sistema del Nord che ormai si è organizzato per supportare e supplire alle carenze del sistema sanitario meridionale, che malgrado i tanti interventi effettuati anche a livello centrale, vedasi il commissariamento della sanità calabrese, non riesce a fornire un livello di servizi adeguati ad un paese civile e in ogni caso paragonabili a quelli che si possono avere disponibili nelle aree settentrionali. 

E anche se non mancano eccellenze sanitarie riconosciute universalmente, il sistema complessivo denuncia carenze non più tollerabili, dovute ad una carenza di risorse che riguarda tutto il Paese, ma che si manifesta maggiormente nelle aree meridionali.  

Un altro diritto fondamentale negato è quello alla formazione. Le carenze che si registrano nei sistemi formativi meridionali hanno portato a tassi di dispersione scolastica non degni di un paese civile, soprattutto in alcune aree periferiche delle grandi città meridionali, che arrivano ad avere percentuali vicine al 30%. 

Il danno della perdita di questi ragazzi, che spesso non completano nemmeno le scuole elementari è inestimabile. 

Infatti un primo elemento riguarda la perdita di un capitale umano che potrebbe, se ben formato, fornire anche eccellenze importanti che in questo modo vanno sprecate. Un secondo aspetto da non trascurare è l’incidenza che una base elettorale non adeguatamente acculturata può rappresentare nella scelta della classe dirigente che viene eletta. Tali gruppi non adeguatamente formati rappresentano un pericolo per la democrazia, perché facilmente possono essere manipolati ed indirizzati, vista la loro mancanza di consapevolezza civica. 

La mancanza di tempo pieno a scuola, poi diventa un ulteriore elemento che porta a livelli di istruzione non competitivi. 

Un ultimo diritto inalienabile e che è alla base di ogni sviluppo economico e quello alla mobilità. Diritto negato come si vede dai tentativi goffi di superarli con treni della speranza e delle feste, organizzati nei periodi natalizi o con sconti sulle tratte aeree per raggiungere le parti più isolate dello stivale e delle Isole. 

Purtroppo l’inesistenza della concorrenza tra aereo e ferrovia in alcune zone porta ad un incremento di costi delle tratte insopportabile, che diventa molto più evidente nei periodi in cui il ritorno a casa di molti emigranti porta le compagnie aeree a seguire la legge della domanda dell’offerta, che fa incrementare il costo del volo. 

L’insieme di questa mancanza di diritti porta la gente a pensare che le realtà meridionali siano senza futuro e che il detto per cui per poter avere successo nella vita bisogna andarsene trova una conferma nel diverso approccio e comportamento delle istituzioni nei confronti del Sud.

Tale convinzione diventa ulteriore elemento di impoverimento perché se ormai in tanti cominciano a non credere che esista un futuro nelle realtà di origine, la conseguenza non potrà che essere lo spopolamento e la desertificazione.

Cambiare tale convinzione e proporre un paradigma diverso necessita  di molte conferme che ancora la gente non vede. 

Ma tale cambiamento è indispensabile non soltanto per le aree meridionali ma per tutto il Paese, che ha bisogno di mettere a regime una realtà periferica, che necessita di una seconda locomotiva, che faccia aumentare i tassi di sviluppo insufficienti per assicurare quel welfare al  quale siamo abituati o in alcuni casi che si desidera, e infine anche che eviti l’affollamento di alcune aree che non può portare tanto danno come si vede. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

IL LAVORO IN CALABRIA E AL MEZZOGIORNO
COSTERÀ DI PIÙ PER I TAGLI A FINANZIARIA

di PABLO PETRASSO – Il lavoro in Calabria costerà di più: la manovra del governo stoppa – su input dell’Unione europea – la decontribuzione Sud. Un bel risparmio che il Mezzogiorno rischia di pagare in termini di occupazione.

Non si tratta solo di una revisione della spesa. Oltre ai tagli lineari ai ministeri e ai definanziamenti come quello che colpisce il fondo per l’automotive, il disegno di legge di Bilancio per il 2025 recupera risorse anche eliminando la decontribuzione Sud, l’esonero contributivo del 30% introdotto durante la pandemia per i datori di lavoro situati in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Questo aiuto era valido non solo per le nuove assunzioni ma anche per i lavoratori già in forza.

L’agevolazione, che Giorgia Meloni aveva dichiarato di voler rendere “strutturale”, sarà abolita dal 2025 perché Bruxelles non ha rinnovato l’autorizzazione al maxi aiuto di Stato. Il ministro Raffaele Fitto aveva promesso che Roma avrebbe introdotto “misure analoghe”, ma la nuova agevolazione prevista nella manovra ha un costo molto inferiore.

Indipendentemente dall’efficacia di quell’incentivo, discutibile dato che più della metà degli sgravi è stata utilizzata per incentivare assunzioni a termine e stagionali, spesso part-time, si tratta di un’operazione di taglio mascherato che – secondo le letture più critiche – il governo avrebbe fatto passare sotto silenzio. Anche perché la conferenza stampa di Giorgia Meloni per illustrare la finanziaria e rispondere alle domande dei giornalisti, annunciata da Giancarlo Giorgetti per il 21 ottobre, non si è mai tenuta, senza che Palazzo Chigi abbia fornito spiegazioni.

Il taglio emerge chiaramente dalla memoria depositata alla Camera dall’Ufficio parlamentare di bilancio durante l’audizione sul disegno di legge. «Le spese si riducono soprattutto per effetto del definanziamento della cosiddetta decontribuzione Sud, pur tenendo conto della contestuale istituzione di un fondo per interventi volti a mitigare il divario nell’occupazione e nello sviluppo dell’attività imprenditoriale nelle aree svantaggiate del Paese e della proroga per il 2025 del credito di imposta Zes», scrive l’organismo indipendente commentando le misure dedicate alle imprese.

All’agevolazione nata nel 2020 erano destinati, ricorda l’Upb, 5,9 miliardi nel 2025, 3 miliardi nel 2026 e 4,4 miliardi nel 2027, per un totale di 13,3 miliardi nel prossimo triennio. Il nuovo Fondo destinato a finanziare politiche per il Mezzogiorno, che potrà concedere agevolazioni per l’acquisizione di beni strumentali da parte delle aziende del Sud, avrà invece “solo” 2,45 miliardi per l’anno prossimo, 1 miliardo nel 2026 e 3,4 miliardi nel 2027: in totale 6,85 miliardi, poco più della metà. Sommando gli 1,6 miliardi del credito di imposta per la Zona economica speciale per il Mezzogiorno si arriva a 8,45 miliardi: quasi 5 miliardi in meno rispetto alla dotazione della Decontribuzione. Questi fondi vengono utilizzati per coprire altre spese previste nella manovra.

A bocciare questo approccio è il capogruppo del M5S in decima commissione Senato Orfeo Mazzella: «Questa decisione, che penalizza le regioni del Mezzogiorno, rappresenta un grave passo indietro per lo sviluppo economico delle aree già fragili. Pertanto, reputo fondamentale che il Governo ripristini misure adeguate di sostegno al Meridione: voltarsi dall’altra parte vuol dire continuare a incrementare il gap Nord-Sud». (pp)

[Courtesy LaCNews24]

ECONOMIA, POLITICA E CULTURA: DA QUI
PARTE LA RIVOLUZIONE DEL MEZZOGIORNO

di PINO APRILE – Alla fine, gira gira, sempre lì si torna: alla domanda che l’allora segretario di Stato degli Stati Uniti, Larry Summers, pose al neo nominato ministro all’Economia della Grecia, nel tritacarne dell’Unione europea, al servizio delle banche tedesche e francesi, tramite la Bce guidata da Mario Draghi: «Ci sono due specie di politici, quelli che “giocano dentro” e quelli che “giocano fuori”. Tu come giochi?». E l’esperienza ormai ci dice che da una costretta subalternità si esce solo giocando fuori; dentro si può soltanto quando si ha un potere paragonabile a quello degli altri al tavolo.

Il meridionalismo è coscienza di una condizione di minorità imposta (quindi coloniale), ricerca e divulgazione della rete di interessi e dei metodi che generano e incrementano le disuguaglianze, costruzione di una politica per contrastarle. Su questo ci si scontra e divide, con le migliori e peggiori intenzioni, anche perché appena un tema comincia a divenire popolare (e il neomeridionalismo lo è sempre più), accadono due cose: gli opportunisti se ne sporcano (e lo sporcano) per trarne il maggior possibile vantaggio personale e i poteri dominanti li usano, per riportare ogni novità da “fuori”, “dentro”, sotto il loro controllo, e usarla, per i loro fini, con le loro regole del gioco.

Sono convinto che non c’è più alta e produttiva politica dell’informare, che vuol dire porre altri nella condizione di elaborare liberamente opinioni e agire di conseguenza (sapere è necessario per fare; sapere e non fare è un peccato di omissione, pigrizia sociale, se non proprio vigliaccheria).

L’inattesa accoglienza di “Terroni” rivelò l’esistenza di un insospettato e insoddisfatto bisogno di conoscenza di storia non addomesticata e delle ragioni di quella Questione meridionale che invece di essere spiegata con dati di fatto (occupazione militare, stragi e, a unificazione compiuta, opere pubbliche, ferrovie, con i soldi di tutti, a Nord, e a Sud no; autostrade e strade, idem, Sanità pure, eccetera), è tuttora addossata, con uso di razzismo, a incapacità o insufficienza genetica dei terroni (si possono conquistare cattedre universitarie, ancora oggi, dalla storia all’economia, sostenendo, da meridionale, che il Sud “rimane” indietro per colpa sua e dei “briganti”).

Venne così scoperto un vero e proprio filone editoriale. Tant’è che su un tema che pareva sepolto da decenni di noia e insignificanza, il Sud, fiorirono in pochi anni centinaia di testi, pro e contro. Volendo sintetizzare in modo feroce, dal meridionalismo storico di giganti quali Nitti, Salvemini, Dorso, Gramsci, Ciccotti e tanti altri, si è ora a una fase più popolare, divulgativa, sia pur a distanza di un secolo e grazie ai social.

A tentare di arginare il fenomeno, per sostenere la versione dominante di stampo massonico della unificazione e della minorità meridionale, insorsero truppe cammellate intellettuali della colonia terrona, dalle cattedre (con qualche notevole sorpresa di segno contrario) ai giornali (specie del Sud, o di giornalisti meridionali “evoluti” in quelli del Nord).

Questo l’avevo messo in conto, ma l’aspettavo da pretoriani padani, quali Barbero e Cazzullo, tutto sommato più onesti. L’operazione era ed è condotta su diversi registri: dall’attacco diretto (sino a stalker di dichiarata obbedienza massonica, monotematici e ossessivi, che si ritrovano ad avere, da nulla, un ruolo) a quelli in apparenza “professionali” di chi, di fronte a un secolo e mezzo di bugie, mezze verità o verità distorte, cerca l’errore vero o presunto nei testi di chi le denuncia (e volete che in migliaia di pagine scritte non ce ne siano? «Quindi lei ha visto l’imputato sparare alla vittima, poi dargli il colpo di grazia e infine buttare la pistola nel fiume. Giusto?». «Sì». «E di che colore erano le sue scarpe?». «È l’ultima cosa a cui prestavo attenzione in quei momenti. Mi sembra nere». «Testa di moro, signor giudice, testa di moro! E vogliamo fidarci di questi testimoni oculari?». Un diverso modo di schierarsi e servire, più subdolo, fingendo di “giocare fuori”, ma “stando dentro” e giocando contro.

Io volevo continuare a cercare e divulgare, convinto che le ragioni del meridionalismo non possono essere di parte, e il treno per Matera che manca dovrebbe indurre tutti a volerlo, da destra o da sinistra, non importa, ognuno secondo il proprio sentire.

Dopo nove anni, in un momento che non sapevi se di farsa o dramma (Salvini zuppo di mojitos in Parlamento, che chiedeva pieni poteri) mi lasciai convincere a dare una traduzione partitica a un fenomeno editoriale, nella presunzione che i lettori potessero divenire elettori a sostegno di una politica di equità per il Sud.

La pandemia di covid mostrò che qualcosa non andava; forse solo accelerò quello che comunque sarebbe successo in tempi più lunghi: sfrenate ambizioni personali, ricadute nella solita trappola che divide il Sud fra destra e sinistra, a scapito degli interessi comuni, mentre sui suoi il Nord trova sempre modo di agire con unica voce. Pulsioni esasperate da una voglia troppo a lungo trattenuta di “tutto e subito”, che rendeva intolleranti e impazienti. Forse, per tener insieme tante e inconciliabili spinte (curiosamente, a blocchi regionali contrapposti), sarebbe servito qualcuno più accomodante, elastico, più “politico”. Ma io, e sarà un male?, non sono così, ho un carattere elementare: sì o no.

Il Movimento che comunque sorse ebbe una immediata crescita che impensierì partiti e poteri dominanti, più di quanto riuscissimo a percepire. E cominciò l’opera per captarlo (se avessimo accettato di giocare “dentro”) e/o demolirlo (se fossimo rimasti “fuori”). A favorire questo lavorio, le nostre convulsioni in cerca della migliore via per influire sulle scelte per il Mezzogiorno, da alleanze elettorali in sede locale con partiti esistenti o con una formazione nuova per le europee, a iniziative politiche da soli nei Comuni.

Ma la sensazione è che su questa via (che in alcuni casi potrebbe restare percorribile, saranno le maggioranze a deciderlo), si rischia di divenire sempre meno distinguibili, per la proliferazione, non si sa quanto spontanea, di soggetti in apparenza simili, ma nei fatti di senso diametralmente opposto (come le mozzarelle di bufala fatte in Germania). Un modo per confondere, disorientare, se pensate che persino i peggiori trombettieri di regime anti-meridionale compaiono in alcuni di questi gruppi, come “esperti” del contrario (di nuovo: fingere di “stare fuori”, “stando dentro”, per agire contro).

Così, è forse il caso di ricordar qual è la filiera: l’economia genera una politica al suo servizio, su cui fiorisce una cultura. Per dire: dal sistema produttivo della civiltà agricola hai organizzazioni umane che inducono a divenire stanziali; a sostegno di queste politiche sorge una cultura che ne giustifica i valori contro quelli del nomadismo, e dice moralmente giusto lo sterminio dei cacciatori-raccoglitori (Caino uccide Abele e Dio non interviene a fermare la sua mano, ma impedisce che l’assassino sia punito; oppure: gli agricoltori del Far West celebrati per l’eroico genocidio degli indiani).

Quindi? Quindi, bene insistere con una operazione culturale che denunci la condizione coloniale del Sud; bene cercare politiche per contrastare questa vergogna ultrasecolare; ma la prima azione dev’essere sull’economia. Lo stato coloniale del Sud non è imposto solo tramite i partiti “nazionali”, ma attraverso aggregazioni di enti (l’Associazione dei Comuni, la Conferenza Stato-Regioni) e per il controllo della filiera produttiva (Confindustria) e dei mezzi di comunicazione.

Ma come, se non abbiamo mezzi, risorse e siamo pochi? Obiezioni fondate ma inutili: si dovesse aspettare di avere quello che serve, non si farebbe mai nulla, perché si parte sempre da posizioni di svantaggio, proprio per correggerle o ribaltarle. Si fa come si può, con quello che si ha. Ma subito. È poco? Nulla è ancora meno e tutte le cose nascono piccole.

Così, dovremmo (e persino io dall’alto delle mie incapacità) dedicarci a iniziative per creare a Sud lavoro di tipo identitario, che generi reddito e legame con la propria terra, con la scoperta che la nostra storia è pane, la nostra civiltà contiene ricchezza. Una goccia nel deserto dei due milioni di meridionali costretti a emigrare in scarsi vent’anni e degli otto milioni in meno che si prevedono, nel futuro prossimo.

Ma riuscisse, ognuno, a impedire che lasci il suo paese uno solo dei giovani costretti ad andar via, non avremmo sprecato il nostro tempo. Solo chi sa che a casa trova il piatto a tavola può poi occuparsi di politica e magari leggere un libro, per nutrire anche la mente.

Per dire: qual è la quota di prodotti del Sud nei supermercati (avamposti della colonizzazione), nelle stazioni di servizio? Più riusciamo a farla crescere, meno giovani meridionali andranno via.

E quanti posti di lavoro danno (possono dare) i templi di Agrigento?

Economia-politica-cultura: questa la catena. E cominciamo dall’inizio, allora. (pa)

PANETTA, GOVERNATORE BANKITALIA: CON
INVESTIMENTI E RISORSE SI RIALZA IL SUD

di ERCOLE INCALZA – Tutti i Governatori della Banca d’Italia da Menichella a Baffi, da Baffi a Ciampi, da Ciampi a Fazio, fino a Visco hanno sempre denunciato le criticità presenti nel Mezzogiorno, hanno sempre elencato le motivazioni che rendeva inamovibile una serie di vincoli che non consentivano la crescita di territori ricchi di potenzialità produttive, ricchi di capacità imprenditoriali elevate. Il Governatore Ciampi, addirittura, istituì, all’interno della Banca d’Italia, un apposito osservatorio finalizzato non tanto alla identificazione delle cause di tale fenomeno quanto alla ricerca di azioni e di strumenti necessari per cercare di annullare la resistenza alla crescita presente, in modo particolare, in Regioni come la Calabria, la Sardegna ed il Molise.

Insomma dobbiamo riconoscere alla Banca d’Italia il merito di aver seguito sempre la emergenza Sud e devo anche dare atto che in questo ruolo la Banca d’Italia è stata sempre oggettiva ed ha sempre ricordato che “pur in presenza di azioni mirate dello Stato, pur in presenza di scelte mirate alla infrastrutturazione dell’intero Mezzogiorno, purtroppo gli indicatori dello stato scoio economico del Sud, come ad esempio il reddito pro capite, non sono cresciuti  per niente o gli indicatori legati alla crescita di iniziative industriali non avevano superato soglie accettabili. Tra l’altro in una delle relazioni annuali del Governatore del 2006 leggiamo: «Pur avendo realizzato dal dopo guerra ad oggi infrastrutture come i porti di Cagliari, di Augusta, di Pozzallo, di Gioia Tauro, pur avendo ristrutturato quelli di Taranto e di Salerno e pur avendo realizzato nuove reti autostradali e nuovi impianti aeroportuali, non si è riusciti a incrinare minimamente il gap esistente tra il Sud ed il resto del Paese».

Tutto questo, quindi, per confermare la serietà ed al tempo stesso la oggettività delle analisi della Banca d’Italia.

Ebbene, leggendo le dichiarazioni dell’attuale Governatore Fabio Panetta a Catania in occasione della tappa siciliana del ‘Viaggio con la Banca d’Italia – Il polso dell’economia’, ci rendiamo conto che, indipendentemente dalle gratuite dichiarazioni di alcuni schieramenti politici della opposizione, stiamo vivendo davvero un “cambio di paradigma”, stiamo cioè vivendo un fenomeno che forse non riusciamo ancora a comprendere, un fenomeno che cambia integralmente tutte le descrizioni, tutte le interpretazioni di ciò che, fino a ieri, definivamo la “economia del Sud” o meglio, la “economia retrograda del Sud”.

E devo dare atto a Panetta che, nel suo intervento a Catania, ci ha praticamente svegliato ed informato, in modo analitico, della nuova realtà meridionale.

«Il Sud Italia – ha ribadito Panetta – è cresciuto più del Paese dopo la pandemia e ha ora “occasioni di sviluppo” per la fine della fase globale di delocalizzazione, da un lato, e per la produzione di energia rinnovabile dall’altro. Uno dei motori dello sviluppo del Mezzogiorno è senza dubbio il Pnrr, ma un ruolo chiave va riconosciuto al nuovo ciclo di programmazione dei fondi strutturali e del Fondo di sviluppo e coesione, senza contare il Fondo perequativo infrastrutturale per il Mezzogiorno».

«Una iniezione di risorse che in questo decennio vale “il cinque per cento del Pil” dell’area per ogni anno. Per questo – ammonisce Panetta – è necessario assicurare un impiego efficiente delle risorse, anche preservando in futuro il metodo del Pnrr, che prevede obiettivi ben definiti, un costante vaglio delle modalità di utilizzo delle risorse e interventi a sostegno delle amministrazioni più deboli dal punto di vista gestionale. Più che l’elenco delle opere e delle scelte è vincente il modello delle procedure e della articolazione delle fasi e se serve un allungamento dei tempi per la realizzazione dei progetti previsti non dev’essere un tabù. Qualora a causa dell’ingente ammontare degli investimenti insorgesse un conflitto tra i due obiettivi, efficacia e rapidità, sarebbe preferibile salvaguardare il primo e valutare la possibilità di concordare, soprattutto per le Regioni del Sud, un allungamento dei tempi di realizzazione dei progetti».

Panetta ha poi ricordato come la crescita del Sud osservata negli anni più recenti «sia in parte dovuta a fattori temporanei, legati alla risposta fornita agli shock globali dalle autorità nazionali ed europee». Il Mezzogiorno ha beneficiato «dell’incremento degli investimenti pubblici e del sostegno ai redditi delle famiglie meno abbienti.  Adesso, però – ha ribadito Panetta – è il momento di lanciare il cuore oltre l’ostacolo e di guardare con fiducia al futuro nonostante la congiuntura internazionale. Per quanto possa sembrare paradossale, la fase di incertezza globale che stiamo attraversando può offrire occasioni di sviluppo alle regioni del Mezzogiorno».

«Gli shock geopolitici registrati negli anni scorsi, dalla pandemia alla crisi energetica, fino ai tragici conflitti in atto, hanno reso palesi i rischi connessi con le politiche di delocalizzazione produttiva. Attualmente le imprese dei principali Paesi – rimarca Panetta – pongono enfasi maggiore che in passato sul tema della sicurezza degli investimenti e delle forniture di input di importanza strategica, in particolare l’energia. Sta emergendo la tendenza a collocare le attività produttive entro i confini nazionali o presso Paesi ritenuti affidabili sul piano economico e politico. E in questo scenario «le regioni meridionali garantiscono condizioni di stabilità geopolitica ed economica, anche grazie all’appartenenza dell’Italia all’Unione europea e all’Unione monetaria, rispetto alle destinazioni tradizionali della delocalizzazione produttiva sono collocate in prossimità dei maggiori centri economici europei e al crocevia del Mediterraneo, attraverso cui transita un quinto del traffico marittimo internazionale». L’altro punto di forza è la presenza “di poli scientifici di qualità”, di una forza lavoro “sottoutilizzata” e di un potenziale “mercato di sbocco con 20 milioni di abitanti”.

Queste precisazioni e questa corretta analisi di ciò che, come detto prima, ancora non abbiamo capito penso portino anche alla ricerca dei motivi che, proprio in questo biennio, sì quello dell’attuale Governo, hanno modificato o stanno modificando, le condizioni di crescita dell’intero Sud. Penso che in questo biennio siano maturati almeno quattro elementi che hanno reso possibile questa evoluzione:

La stabilità del Governo, la possibilità del mondo della produzione ed anche delle forze sociali di interloquire con certezza per cinque anni con un Governo ed un Parlamento stabile

La presa d’atto di cosa siano i Fondi comunitari, non solo quelli del Pnrr ma soprattutto quelli legati al Fondo di Sviluppo e Coesione. In questo il confronto tra il Ministro Fitto ed alcune Regioni del Sud ha dimostrato che l’organo centrale non trasferisce all’organo locale delle risorse senza conoscere prima i programmi e le finalità delle singole assegnazioni finanziarie

Il ritorno alla aggregazione dei comportamenti dell’organo centrale nei confronti delle scelte di riassetto strategico della economia del Sud; un comportamento che è stato attuato attraverso la istituzione di una Zona Economica Speciale Unica con un adeguato supporto finanziario; una scelta dopo il fallimento delle otto Zes precedenti, ferme per sei anni con una disponibilità finanziaria ridicola

La coscienza che, come ribadito da Panetta, proprio la sommatoria di criticità, come quelle generate dalle varie guerre, identificano il Mezzogiorno come una delle aree strategiche dell’intera area Mediterranea; una realtà che se non adeguatamente sostenuta a scala nazionale mette in crisi le condizioni di crescita logistica dell’intero Paese

Ora dopo queste dichiarazioni di Panetta sarebbe bene che il Governo nella redigenda Legge di Stabilità proponesse la istituzione di una Conferenza permanente sul Mezzogiorno. Una Conferenza permanente della durata di un semestre da svolgersi a Napoli con la presenza di tutte le Regioni (le otto Regioni del Sud sono una tessera chiave del Paese e quindi è necessario il coinvolgimento di tutte le Regioni), dei Dicasteri interessati, delle Commissioni parlamentari competenti, delle forze sindacali e degli organismi rappresentanti dei grandi assetti produttivi, dell’articolato mondo della finanza.

Una Conferenza permanente, ripeto, della durata di un semestre in cui, riconoscendo questo nuovo processo di rilancio del Sud, si definiscano le condizioni per un riassetto strutturale ed infrastrutturale del Mezzogiorno; si definiscano le condizioni per una crescita stabile di questo processo positivo partito proprio in questo biennio e che non vorremmo terminasse, per colpa di una sottovalutazione delle positività riconosciute da tutti, proprio ultimamente. (ei)

QUEL PIANO DI BILANCIO INADEGUATO PER
LE REALI ESIGENZE DI CRESCITA DEL SUD

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – È cominciato il rito delle audizioni. Dinanzi alla Camera dei Deputati è stato sentito il 7 ottobre il capo del Dipartimento di Economia e Statistica di Banca d’Italia, Sergio Nicoletti Altimari, per esaminare il Piano Strutturale di Bilancio di Medio Termine 2025 2029, che con un acronimo difficilissimo viene chiamato (PSBMT).

L’8 ottobre, presso la Sala del Mappamondo di Montecitorio, le Commissioni Bilancio di Camera e Senato, nell’ambito dell’attività conoscitiva preliminare all’esame del Piano Strutturale di Bilancio di Medio Termine 2025-2029, si è svolta l’audizione del Ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti.    

Si è trattato di illustrare i dati fondamentali per un periodo estremamente lungo: cinque anni. La Commissione Europea vuole vederci chiaro sui progetti dei vari Paesi dell’Unione, dopo la parentesi del Covid, nella quale si è proclamato il “liberi tutti”. I temi fondamentali riguardano il debito pubblico accumulato negli anni e la sua sostenibilità, il deficit annuale, il saldo primario, le riforme necessarie che allineano i percorsi di tutti i Paesi dell’Unione, tipo la Bolkstein, l’incremento atteso del Pil e dell’occupazione. 

È un vero e proprio quadro di cosa sarà il Paese nel  periodo prossimo considerato e quindi alla fine dei cinque anni. Ma non può essere un libro dei sogni perché le poste che si presentano devono essere coerenti tra di loro ed effettivamente realizzabili. Il grande rischio che si corre è, però, che in tutte le audizioni previste ci si addentri  nelle singole poste con molta precisione e si perda di vista il quadro generale. In particolare questo problema esiste per il Mezzogiorno che di questo progetto o piano strutturale vorrebbe conoscere gli elementi fondamentali che riguardano il suo futuro. 

Tra questi quelli che interessano maggiormente sono il numero di posti di lavoro che saranno creati nel periodo considerato nell’area.  Anche in tutto il Paese, cosa altrettanto importante, ma maggiormente nelle realtà meridionali, nelle quali le esigenze sono più importanti.

Infatti la quantità di persone che dovranno andar via per cercare una ipotesi di futuro altrove, i figli e i nipoti che potranno rimanere accanto ai loro genitori e ai loro nonni, dipenderà da quel rapporto occupati popolazione che continua ad essere al Sud di una persona su quattro.

Il 36,2 per cento della domanda di lavoro sarà innescata nelle Regioni del Mezzogiorno, con la Campania (68.194 unita) e la Sicilia (56.031 unita), che coprono il 17,5 per cento della domanda di lavoro generata dal Pnrr. Cosi recita il Piano. 

Ma questa è una dichiarazione di sconfitta assoluta. Perché anche se il numero globale di saldo occupazionale fosse nei cinque anni prossimi vicino ai 500.000, e dalle previsioni del piano siamo assolutamente distanti da questi numeri, saremmo molto lontani dalle esigenze effettive che il Mezzogiorno ha per arrivare a un rapporto popolazione occupati simile a quelle delle aree sviluppo a compiuto. Quel benchmark di riferimento che è l’Emilia-Romagna, nella quale il rapporto é vicino all’uno a due. 

Altimari, per esempio nella sua audizione ha riconosciuto l’importanza del Piano strutturale di bilancio di medio termine 2025-2029, nel quadro della nuova governance economica europea, approvata nell’aprile 2024, che prevede l’impegno dei Paesi membri con un elevato debito pubblico, come l’Italia, a intraprendere un percorso di riduzione del rapporto debito/Pil. E nessuno può pensare di non concordare su tale importanza. 

Ma vogliamo anche dire che il Piano prevede che, anche in costanza in parte degli effetti del Pnrr, la situazione non muterà  rispetto alla domanda di posti di lavoro necessaria per il Mezzogiorno? 

Vogliamo dire che la Zes unica, succeduta alle otto Zes, nel piano è ritenuta un fallimento visto che l’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area, per la quale è stata concepita, alla fine non crea quei posti di lavoro che nessuno mai si è azzardato di quantificare adeguatamente? Oppure si ritiene che i vari temi  vadano ognuno per la propria strada e siano indipendenti? Certo il Vangelo dice che è bene che la destra non sappia quello che fa la sinistra, ma in quel caso si parlava di elemosina, di fare del bene. Qui invece si analizzano  tutti gli aggregati macroeconomici, cercando di farli rimanere all’interno del range che l’Unione ritiene opportuno, ma alla fine non vi è una parola chiara sul fatto che con questi dati del Piano si prevede che perduri quel percorso che si è avuto fino ad adesso e che vede piccole crescite sia del Pil che degli occupati, certamente inadeguate rispetto alle esigenze.

Nessun  salto di qualità, nessuna crescita particolare, nessun recupero di ritardo previsto. È tutta la saggistica sul Mezzogiorno batteria d’Europa, sul Mediterraneo centrale per il prossimo futuro, sul Sud nuova opportunità e locomotiva del Paese, rimangono per le prossime grida manzoniane. 

Grida che  serviranno  per le  future campagne elettorali, per illudere i meridionali che qualcosa cambierà finalmente, in termini occupazionali, in termini di diritti. 

Il Piano dice invece quello che effettivamente avverrà con tutti i vincoli dei quali non si può tener conto a cominciare dall’enorme debito pubblico che ci fa pagare interessi importanti che sottraggono risorse agli investimenti possibili. Debito pubblico che, visto lo stato della infrastrutturazione del Mezzogiorno, nasce anche dalle grandi opere che sono state fatte in una sola parte del Paese. O dagli aiuti che sono dati alla parte produttiva che certamente nella sua maggiore dimensione è localizzata al Nord. 

Nemmeno l’opposizione evidenzia in modo adeguato le carenze del Piano, perché segue le logiche delle audizioni, perdendosi spesso nei dettagli e perdendo di vista il quadro complessivo.  

Ma è evidente che il Piano previsto forse è l’unico possibile se si tiene  conto dei condizionamenti esistenti, di realtà consolidate che non possono essere ignorate, di un appesantimento di una struttura amministrativa burocratica centrale che certo non può essere sfoltita e alleggerita in modo rapido.  La cosa più facile è il percorso degli anni passati, andare piano. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

IL MERIDIONE BATTERIA DELL’EUROPA: UN
AFFARE PER IL PAESE MA DANNEGGIA IL SUD

di PIETRO MASSIMO BUSETTAIl Mezzogiorno batteria dell’Europa. Sembra una conquista: finalmente con la chiusura dei rifornimenti da parte della Federazione Russa il Mezzogiorno diventa centrale. E allora impianti eolici, solari, passaggio di reti elettriche di collegamento con il Nord Africa, attraversamento di reti di collegamento dalla Sicilia alle Alpi, arrivo di navi gasiere per trasformare l’energia  liquida con rigassificatori posizionati sulle coste.  

Qualcuno si è reso conto però per prima che l’affare non è per le realtà che sono interessate a diventare la cosiddetta Batteria e invece che  si tratta di un secondo sfruttamento, dopo quello avvenuto con il posizionamento delle tante raffinerie e delle fabbriche di industria pesante che hanno rovinato la costa di Gela, Milazzo, Augusta, Taranto, Bagnoli e la salute delle popolazioni residenti nelle aree. 

E infatti la Sardegna ha già sospeso le autorizzazioni per impianti solari e eolici che oltre a sottrarre suolo alle culture di eccellenza, che possono localizzarsi in Sardegna, modificano lo skyline dei territori, peggiorandolo notevolmente. 

Altre regioni come la Sicilia esultano per la mole di investimenti fatti dalle aziende che si occupano di tali impianti, dimenticando che è un’operazione da apporre nel conto economico tutta dalla parte del dare. 

Il rigassificatore che si vuole costruire a Porto Empedocle, a pochi chilometri dalla Valle del Templi e dalla casa di Pirandello in realtà porterebbe a regime un numero di posti di lavoro inferiore a quelli di un solo grande albergo, anche se lavoro di livello elevato, ma di contro costituirebbe una grossa servitù per il porto che invece potrebbe essere molto meglio utilizzato per accogliere le grandi navi crociere e costituire l’Hub per il collegamento lento e veloce con le isole Pelagie, Pantelleria, ma anche il Nord della Tunisia. 

 Tale premessa non ha il significato di affermare che il territorio meridionale non può essere utilizzato per produrre energia pulita per tutto il Paese, che ne potrebbe avere sempre più esigenza, in attesa probabilmente di ritornare all’energia nucleare, ribaltando una decisione autolesionista che ha portato il costo dell’energia per le nostre imprese tra quello più alto dei paesi occidentali, costituendo una penalizzazione notevole per le nostre esportazioni, che hanno molta più difficoltà a competere. 

Se tutto questo avviene in un’ottica programmata di attenzione al territorio, considerato che la vocazione turistica delle aree ha bisogno anche di preservare e proteggere un ambiente fragile, come peraltro stanno facendo in Toscana, dove le valli e le colline, caratterizzate dai cipressi che “a Bolgheri alti e stretti van da San Guido in duplice filar” di carducciana memoria, diventano elemento  costitutivo e protetto del paesaggio può essere un fatto positivo. 

Se oggi con l’handicap del caro energia abbiamo superato anche il Giappone nella dimensione economica delle esportazioni, pensate a cosa riusciremo a fare se avessimo anche una energia a basso costo. Infatti i brillanti risultati del farmaceutico a Napoli e dell’alimentare nel Meridione portano il Paese a 373 miliardi esportati nei primi sette mesi del 2024, quarti al mondo prima di Giappone (368), Corea del Nord (361), Francia (352), Canada (302) e Gran Bretagna (266).   

Ma se il futuro è quello di essere fornitori di energia per il Paese e per l’Europa e contemporaneamente salassati da una perdita di capitale umano, spesso giovane, che ci porta a un costo per le casse regionali di una perdita di 20 miliardi l’anno, allora il Mezzogiorno deve dire, come ha fatto la Presidente della regione Sardegna, Alessandra Todde, “noi non ci stiamo”.  

E non dovremmo gioire alla notizia che Il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica (Mase) ha autorizzato l’infrastruttura elettrica Bolano-Annunziata, un collegamento elettrico sottomarino in corrente alternata a 380 kV di Terna, che unirà la Sicilia e la Calabria. Perché la realizzazione dell’opera non diventa strategica per la rete siciliana ma  per l’intero sistema elettrico nazionale. E che la società, che ha come primo socio Cdp reti (29,851%), abbia previsto un investimento di 128 milioni di euro non ci deve fare esultare. L’infrastruttura – fa sapere la società – incrementerà fino a 2.000 MW la capacità di interconnessione tra la Sicilia e il Continente a beneficio dello sviluppo e dell’integrazione delle fonti rinnovabili previsto nel Sud Italia.  Bella notizia per il Paese solo costo per la Sicilia.

 O notizie come quella riportata “Prende sempre più corpo il ponte energetico che unirà Europa e Africa, passando per la Sicilia, attraverso l’elettrodotto «Elmed». E proprio ieri è stato compiuto un ulteriore passo in avanti, con il protocollo d’intesa siglato a Palermo tra il presidente della Regione, Renato Schifani, e Giuseppina Di Foggia, amministratore delegato e direttore generale di Terna, che realizzerà l’opera con Steg, gestore della rete elettrica tunisina”, non devono essere salutate con tanto entusiasmo.      

Mentre i ristori promessi sanno di mancette che serviranno per la successiva festa del paese che potrà servire al sindaco di turno per aumentare il suo consenso. 

«Inoltre la Regione siciliana e Terna hanno condiviso per la nuova infrastruttura, cofinanziata dalla Commissione Europea tramite il programma Connecting Europe Facility, un accordo per l’attuazione di opere di riqualificazione territoriale ambientale. Nello specifico, Terna erogherà un contributo di un milione di euro per opere di compensazione ambientale che la Regione integrerà con altri 4 milioni provenienti dal Fondo di sviluppo e coesione. In totale 5 milioni di euro che saranno utilizzati per l’anastilosi, ovvero la ricomposizione parziale mediante l’utilizzo dei pezzi originali, delle imponenti colonne Sud del tempio G nel Parco archeologico di Selinunte. In più saranno erogati ulteriori contributi ai due Comuni interessati: 600 mila euro a Castelvetrano, e 2 milioni a Partanna». 

Siamo a miserie contrabbandate come regali importanti, a specchietti che vengono venduti come brillanti, per i poveri meridionali ancora con l’anello al naso. 

Nulla di impianti di aziende manifatturiere importanti da  localizzare in territori dove lavora una persona su quattro invece che una su due, che si stanno spopolando perché i giovani vanno già a studiare nelle università settentrionali, sicuri che in questo modo troveranno un lavoro.

Niente di tutto questo. Soltanto specchietti contrabbandati per brillanti. E la politica locale, spinta dagli interessi nazionali, fa il controcanto, contrabbandando il prezzo che paga per un vantaggio che riceve. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

LA ZES, LO STRUMENTO PER RILANCIARE
IL SUD CHE STA DIVENTANDO INEFFICACE

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – «Tra il 2003 e il 2017 le Regioni meridionali, dove risiede il 4 per cento della popolazione europea, hanno attratto solo l’1 per cento dell’afflusso di investimenti diretti in Europa. In termini pro capite, gli investimenti diretti alle Regioni meridionali sono stati poco più di un terzo di quelli giunti alle aree arretrate della Spagna e un quarto di quelli affluiti alla Germania orientale». Così nella relazione di Panetta nell’incontro di Catania dell’altro ieri.

In Italia non si è mai posta troppa attenzione in realtà all’attrazione di investimenti all’esterno dell’area, che sono stati ritenuti, soprattutto dalla sinistra, forme di colonizzazione. E invece in tutta Europa si compete perché gli investimenti cosiddetti “greenfield”, cioè quelli che  portano a costruzioni di stabilimenti, con relativa assunzione di dipendenti, magari con la creazione di centri di ricerca, sono molto ambiti, come si è visto peraltro con la vicenda Intel e la localizzazione degli stabilimenti relativi di tale multinazionale a Dresda. 

Cosa diversa sono gli investimenti finanziari che portano al passaggio di proprietà da una realtà nazionale a una realtà multinazionale e certamente impoveriscono i paesi che ne sono vittima.  Come si è visto nella relazione di Panetta, che peraltro riporta dati risalenti a un lavoro del 2020 della Commissione Europea, ma la situazione non è molto cambiata da allora, di Comotti, R. Crescenzi e S. lammarino, intitolato Foreign direct investment, global value chains and regional economic development in Europe, il ruolo del Mezzogiorno nell’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area è assolutamente risibile. 

Le motivazioni sono piuttosto ampie ma certamente la presenza di criminalità organizzata in tutte le aree meridionali, dalla mafia alla camorra, dalla ‘ndrangheta alla sacra corona unita, spesso scoraggia gli investitori che hanno a disposizione aree più sicure in tutta Europa, a cominciare da quelle tedesche per finire a quelle spagnole. Risulta spesso più conveniente localizzarsi in Polonia o in Ungheria piuttosto che in Campania o in Sicilia. 

L’altro elemento che gioca a sfavore del Mezzogiorno è la sua dotazione infrastrutturale, assolutamente carente come é stato riconosciuto, peraltro, unanimemente da tutta la politica nazionale, tanto che il Ministro delle infrastrutture, Matteo Salvini, sta lavorando alacremente per superare un gap che risale all’Unità D’Italia. 

 Ma vi sono altri due elementi che incidono pesantemente nell’escludere il Mezzogiorno dalle aree prescelte dagli investitori internazionali: il costo del lavoro e la tassazione degli utili di impresa eventuali. Mentre la ciliegina sulla torta, che fa ritenere velleitari coloro che decidono di investire al Sud, è la mole di autorizzazioni, di permessi, di passaggi infiniti che fanno sì che alla fine in molti rinuncino. 

 Con le Zes si volevano risolvere tali problemi e poiché era impensabile farlo in tutto il territorio meridionale si era pensato di limitare i provvedimenti ad alcune aree che, per esempio, potevano diventare “criminal free”, con controlli anche elettronici, certamente costosi, e un utilizzo più rilevante delle forze dell’ordine. 

Anche per quanto atteneva al problema dell’infrastrutturazione, avere delle aree limitate vicino ai porti significava poterle collegare facilmente, magari costruendo quell’ultimo miglio che in genere manca sempre, limitando l’impegno e accelerando i tempi, per esempio lavorando notte e giorno, cosa impossibile da fare, per un’area che rappresenta il 40% del territorio nazionale. 

   Per completare anche il costo del lavoro poteva essere ridotto con l’annullamento del cuneo fiscale, cosa che si sta  portando avanti con costi incredibili, ma se tale provvedimento invece che riguardare una realtà ampia si poteva limitare ai nuovi insediamenti e alle zone prescelte. 

Infine la tassazione diminuirla per tutto il sistema imprenditoriale meridionale costituisce un costo che nel tempo è difficile da sopportare. Limitarla per i primi 10 anni di insediamento e per le aree prescelte poteva essere una soluzione auspicabile. 

Infine” last but not least”, immaginatevi una semplificazione amministrativa che riguardi tutte le pratiche che si presentano provenienti da tutto il territorio meridionale, magari accentrate in un unico ministero, come è previsto con la Zes unica. Per quanto Giosy Romano ha dimostrato di essere una eccellenza l’insuccesso non è prevedibile ma sicuro. 

In realtà purtroppo Raffaele Fitto non ha ben compreso il significato profondo delle Zes, che in ogni parte del mondo, vedi caso, riguardano aree limitate. Ha voluto rifare una nuova Cassa Del Mezzogiorno, senza peraltro averne le risorse, inventandosi una Zes unica, che ha tradito gli obiettivi veri dello strumento, perché in realtà invece che attrarre investimenti all’esterno dell’area ha permesso di scegliere centralmente, come forse è giusto, gli investimenti semi pubblici da incoraggiare. 

Ma  le risorse per quanto importanti a disposizione del Governo sono sempre estremamente limitate e le Zes volevano essere la soluzione per condurre lo sviluppo del Sud attraverso capitali privati internazionali. 

Quello che ha fatto in modo determinato la Germania occidentale nei confronti della ex Ddr. Tanto che, come afferma Panetta, sono un quarto  gli importi che riguardano il  Mezzogiorno, pur avendo la ex Ddr un territorio più limitato ed una popolazione che non arriva a 17 milioni contro i 20 del Meridione. 

E allora sarebbe opportuno che il nuovo ministro, se si eviterà lo spezzatino di cui si parla, distribuendo le deleghe del ministero del Mezzogiorno a tutti gli altri ministeri, faccia  un esercizio di umiltà, cercando di capire, magari visitando le Zes  europee o quelle cinesi, il significato profondo dello strumento, per poter poi fare un passo indietro rispetto ad una decisione assolutamente superficiale, demagogica e  populista, che ha fatto tutti Caballeros. Si è accontentata la struttura produttiva esistente, che vota, e che infatti è felice del cambiamento, alla quale si continuano a dare mancette senza, invece, perseguire il vero obiettivo che é  l’aumento della capacità produttiva complessiva e non l’assistenza di quella esistente, magari consentendo ad attività ormai decotte di continuare a rimanere sul mercato. 

E scaricando sul bilancio dello Stato costi impropri, come il cuneo fiscale generalizzato, inopinatamente introdotto dal Ministro Provenzano,  che serve solo ad aumentare il consenso. Come si vede quando si fanno interventi che tendono a far crescere il consenso a breve, senza puntare agli obiettivi veri, destra e sinistra si ritrovano. 

Che i passi indietro sono sempre complicati è risaputo ma  anche  una soluzione potrebbe essere quella che si individuino le aree come era stato stato fatto anche senza plateali ritorni al passato estremamente complicati politicamente. Ma ritorniamo a far funzionare lo strumento che oggi é diventato inefficace, al di là dei proclami. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

PER LA RIQUALIFICAZIONE DI AREE URBANE
NECESSARIO CONFRONTO STATO-REGIONI

di ERCOLE INCALZA – Recentemente ho indicato le aree al cui interno era presente una serie di interventi che, entro un arco temporale di medio e lungo periodo, sono in grado di far passare la partecipazione delle otto Regioni del Mezzogiorno, nella formazione del Prodotto Interno Lordo del Paese, da un valore pari a circa il 21% ad oltre il 32%.

A tale proposito mi ero soffermato su alcune opere che coinvolgevano tre Regioni come la Campania, la Puglia e la Basilicata ed avevo ribadito la opportunità che il confronto tra organo centrale ed organo locale non avvenisse più in modo disarticolato ma, vista la rilevanza e la dimensione strategica delle opere avvenisse attraverso un confronto tra Stato e le otto Regioni del Sud. Oggi continuo nella elencazione di altre opere che da sole testimoniano la dimensione completamente diversa da una logica “localistica”

Riporto, come la volta scorsa, il quadro delle aree: Riqualificazione funzionale della offerta dei trasporti nelle grandi aree metropolitane del Mezzogiorno (le esigenze finanziarie sono pari a circa 7.000 milioni di euro di cui disponibili 2.800 milioni di euro): Realizzazione organica del sistema ferroviario ad alta velocità/alta capacità nell’intero sistema Mezzogiorno attraverso l’adeguamento funzionale di alcuni assi come quello “adriatico” ed il completamento dell’asse Napoli – Bari e la realizzazione degli assi Salerno – Reggio Calabria, Palermo – Messina – Catania e Taranto – Battipaglia (le esigenze finanziarie sono pari a circa 29.650 milioni di euro di cui disponibili 12.260 milioni di euro); Realizzazione di assi viari essenziali e strategici come quello relativo al collegamento tra Taranto e Reggio Calabria lungo il tratto jonico o l’adeguamento funzionale del collegamento tra Cagliari e Nuoro (le esigenze finanziarie sono pari a circa 10.100 milioni di euro di cui disponibili 3.110 milioni di euro; Realizzazione di interventi mirati alla ottimizzazione della offerta logistica di alcuni HUB del Mezzogiorno attraverso sia la creazione di retroportualità funzionale del porto di Gioia Tauro, del porto di Napoli, sia la ristrutturazione dei porti transhipment di Cagliari; Augusta e Taranto (le esigenze finanziarie sono pari a circa 2.400 milioni di euro di cui disponibili 100 milioni di euro); Realizzazione del sistema integrato relativo al collegamento stabile sullo Stretto di Messina (le esigenze finanziarie sono pari a circa 14.000 milioni di euro di cui disponibili 12.800 milioni di euro).

Ebbene, questa volta prendo in esame due assi: uno ferroviario ed uno viario; in particolare: Asse ferroviario ad alta velocità Salerno – Reggio Calabria – attraversamento dello Stretto di Messina – Palermo e Catania; Asse viario Taranto – Sibari – Crotone – Catanzaro – Reggio Calabria (106 Jonica).

Sono due corridoi, uno ferroviario ed uno stradale, che danno continuità funzionale a cinque distinte Regioni (Campania, Calabria, Sicilia, Puglia e Basilicata) e che non solo annullano le attuali distanze tra realtà urbane e produttive dell’intero territorio meridionale ma consentono una reinvenzione funzionale di ambiti che, supportati da collegamenti stradali e ferroviari non adeguati, si sono sempre più allontanati dai mercati chiave della produzione e del mercato.

Il corridoio ferroviario ad alta velocità come si evince dalla Tavola di seguito riportata ha un costo (comprensivo anche del collegamento stabile sullo Stretto) di 37 miliardi di euro e di tale importo sono già garantite assegnazioni per 21 miliardi di euro; questi due dati, automaticamente, ci portano verso una considerazione che ritengo storica: mai nel Mezzogiorno si era identificata un’opera con un valore di investimento così elevata e con una disponibilità finanziaria superiore al 50%. A tale proposito, anche per motivare quella che definisco una rilevanza storica ricordo che in tutto il Mezzogiorno nell’ultimo decennio, sì dal 2014 al 2024, si sono impegnati interventi per opere strategiche pari ad un importo di 7,6 miliardi di euro e spesi appena 4,2 miliardi di euro.

Ma a questo dato, che da solo fa anche capire quanto sia rilevante il coinvolgimento delle attività imprenditoriali e occupazionali, ne aggiungo altri più importanti: questo cordone ombelicale oltre ad offrire due gradi di libertà ad un’isola come la Sicilia oggi priva di un collegamento fluido e sistematico con l’intero impianto comunitario attraverso un asse stradale e ferroviario, assicura anche un rinnovo inimmaginabile delle abitudini residenziali e dei rapporti commerciali tra Napoli, Salerno, il Sistema centrale della Calabria (attraverso due fermate della alta velocità simili a quella di Reggio Emilia in grado di aggregare una domanda di utenti di realtà urbane delle Province di Cosenza, Vibo e Catanzaro) ed il sistema delle tre aree metropolitane siciliane (Messina, Palermo, Catania). Un cordone ombelicale che finalmente incrementa le potenzialità di questo vasto territorio del Sud ed esalta i ruoli e le funzioni anche di cinque aeroporti come quelli di Lamezia, Reggio Calabria, Catania, Comiso e Palermo.

L’altro corridoio, come anticipato prima, è quello relativo all’asse viario Taranto – Sibari – Crotone –  Catanzaro – Reggio Calabria (106 Jonica); per questo asse il quadro delle esigenze e delle coperture è riportato di seguito e sulla base di sollecitazioni del Presidente della Regione Occhiuto si pensa che la quota delle disponibilità sarà implementata; questo asse in realtà persegue da anni (oltre quaranta) tre obiettivi: Ridimensionare la incidentalità che negli ultimi anni ha raggiunto una soglia drammatica (16 morti in un anno); Ridare ruolo e funzione alle realtà produttive del sistema Jonico lucano e calabrese, (un sistema con una forte presenza di attività legate al settore agro alimentare); Offrire finalmente un asse viario adeguato ad una delle realtà turistiche più attraenti del Paese.

Mi fermo qui perché penso sia chiara la dimensione e la ricaduta di una simile intuizione programmatica, però anche in questo caso, come detto all’inizio, mi chiedo se il Governo debba interloquire, nella attuazione concreta di un simile action plan, con i singoli Presidenti delle Regioni Campania, Calabria, Sicilia, Lucania e Puglia; penso invece che il Governo debba interloquire con le otto Regioni del Sud perché questo arricchimento di alcune tessere del Sud rappresenta il primo vero atto misurabile di rilancio dell’intero mosaico Mezzogiorno. (ei)

LA ZES UNICA E LA GRANDE BEFFA AL SUD
SÌ AL CREDITO D’IMPOSTA, MA SOLO AL 17%

di PIETRO MASSIMO BUSETTA  – Tutto come previsto. I vantaggi estesi a tutto il Mezzogiorno con la Zes Unica man mano devono essere limitati. Come era prevedibile  per due ordini di motivi: uno perché l’Europa tende ad evitare di concedere la possibilità di vantaggi estesi a territori troppo ampi di una singola Nazione e secondo perché lo stesso Stato nazionale, quando prevede dei vantaggi per territori troppo estesi, li limita per evitare che diventino insostenibili per il bilancio nazionale. 

Per la prima motivazione  la permanenza dei vantaggi ha un periodo sempre estremamente contenuto. La ragione  è evidente, e riguarda la volontà di eliminare gli aiuti di Stato, per cui  si vuole trovare il momento opportuno per contenere le condizioni favorevoli, la cui cancellazione trova ovviamente, nel territorio e nelle forze politiche che lo rappresentano, molte resistenze. 

 Nel caso per esempio del cuneo fiscale, introdotto dal Secondo Governo Conte, Ministro per il Sud Giuseppe Provenzano, provvedimento generalizzato per tutta l’area, la promessa di doverlo estendere indefinitamente nel tempo, fatta dal Governo di Giorgia Meloni, manifesterà presto la sua mancanza di concretezza, sia perché l’Europa non lo consentirà, ma anche perché si dimostrerà un vantaggio troppo oneroso. 

La motivazione sottostante al provvedimento era di rendere le aree del Mezzogiorno competitive nel costo del lavoro rispetto a quelle, per esempio,  polacche, rumene o ungheresi, che possono offrirne uno più basso. Cioè parliamo dei vantaggi che alcune altre Zes, esistenti in Europa, danno a coloro che vogliono investire nelle loro aree.

In realtà si tratta di condizioni aggiuntive rispetto a quelle indispensabili perché un qualunque investitore consideri possibile insediarsi in una zona. Ma dare la ciliegina quando non c’è la torta è velleitario. Infatti con la Zes Unica si vorrebbe attrarre investimenti dall’esterno, che non arriveranno mai, non offrendo le condizioni di base. 

Che sono prevalentemente due, la prima che le aree siano ben collegate, via mare, aria, terra. Inserire nella Zes unica, la Provincia di Agrigento, assolutamente irraggiungibile, è un modo per prenderci in giro, o forse per consentire dei vantaggi per la localizzazione del rigassificatore di Porto Empedocle, facendolo entrare tra gli investimenti attratti, per far dimenticare invece che si vuole  attingere ai fondi per il Mezzogiorno, senza lasciare sul territorio nulla, per un’interesse che riguarda il Paese, in particolare la cosiddetta locomotiva,  che ha bisogno di gas, dopo la chiusura dei rubinetti russi.   

Niente di nuovo rispetto a quello che  é avvenuto  con la prima industrializzazione, quella del petrolchimico, che ora sta lasciando territori inquinati, porti inagibili come quello  di Augusta. Industrializzazione promossa sempre con le risorse destinate al Mezzogiorno per il manifatturiero  pulito. 

E adesso, per bonificare le realtà di riferimento, come è accaduto a Bagnoli, con grande disappunto e tanta giusta contestazione del Governatore De Luca i fondi saranno sempre prelevati da quelli destinati al Mezzogiorno,

La seconda condizione è che vi sia un controllo adeguato della criminalità organizzata, che è probabilmente possibile se le aree considerate sono limitate come territorio, per cui si può pensare a forme di vigilanza  particolare, anche elettroniche, come l’utilizzo intensivo di telecamere, confini controllati che non permettano l’ingresso e la permeabilità alle organizzazioni criminali  e di poter pubblicizzare le aree come territorio criminal free.

Azione impraticabile se riguarda tutto il Mezzogiorno, dove l’azione delle Forze dell’Ordine è meritevole, ma ovviamente lascia spazi di agibilità a coloro che delinquono e che non possono essere controllati  in tutta l’area, considerato che parliamo del 40% del territorio del Paese. 

Dopo di che, senza aver offerto le condizioni di base, forniamo quelle di vantaggio che riguardano il costo del lavoro e la tassazione degli utili di impresa.  Distribuendo tali vantaggi su una platea di fruitori numerosa, avendo a disposizione risorse limitate, per cui alla fine si diminuisce il vantaggio per singola impresa.

Tutto come previsto,  adesso il Direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, con un provvedimento  dal titolo  “Determinazione della percentuale del credito d’imposta effettivamente fruibile per gli investimenti nella Zona economica speciale per il Mezzogiorno – Zes unica, di cui all’articolo 16 del decreto-legge 19 settembre 2023, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2023, n. 162 degli utili di impresa”, comunica che esso  sarà pari al 17,6668 %. 

Il ragionamento è semplice poiché l’ammontare complessivo dei crediti d’imposta richiesti, in base alle comunicazioni validamente presentate dal 12 giugno 2024 al 12 luglio 2024, è risultato pari a 9.452.741.120 euro, a fronte di 1.670 milioni di euro di risorse disponibili, che costituiscono il limite di spesa, si dà poco a tutti. 

E lo si dice chiaramente “Pertanto con il presente provvedimento si rende noto che la percentuale del credito d’imposta effettivamente fruibile da ciascun beneficiario è pari al 17,6668 per cento (1.670.000.000 / 9.452.741.120) dell’importo del credito richiesto”.

 Tale è l’importo riconosciuto come contributo sotto forma di credito d’imposta per le imprese che effettuano investimenti dal 1° gennaio 2024 al 15 novembre 2024, relativi all’acquisizione di beni strumentali, destinati a strutture produttive ubicate nella Zes unica. In realtà il Ministro Fitto aveva richiesto al Direttore dell’Agenzia delle Entrate, con nota del 17 luglio scorso, alcune informazioni indispensabili per l’implementazione della misura. Vedremo come andrà a finire 

Ma non ci dobbiamo stupire che poi i veri insediamenti industriali si vadano a localizzare a Novara o alle porte di Milano e provochino una guerra tra ricchi, nella quale Zaia si distingue, chiedendo al Governo e al Ministro Urso di avere tutti gli atti per cui un’azienda sceglie Novara invece che Vigasio in provincia di Verona. 

Ma tutto questo quando si decise di fare l’annuncio, urbi e torbi, della grande Zes unica di tutto il Sud  non era prevedibile? Ma i collaboratori del Ministro Fitto sono così poco avvertiti? O  visto che le otto Zes stavano cominciando a funzionare si è voluto castrare un strumento utile?  Diceva Giulio Andreotti che a pensar male si fa peccato, ma ci si azzecca. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]