Festa Unità a Vibo, Elly Schlein: Non ci può essere riscatto dell’Italia senza il riscatto del Sud

«Crediamo che non ci può essere riscatto dell’Italia senza il riscatto del Sud». È quanto ha dichiarato la segretaria del Pd, Elly Schlein, nel corso della Festa dell’Unità di Vibo Valentia.

«Siamo qui per l’attenzione che dobbiamo dare a questa regione, a partire dalla battaglia che il Pd sta facendo in tutto il Paese sulla manovra per chiedere più finanziamenti per la sanità pubblica e universalistica, perché non è giusto che vediamo tagli ai servizi alle persone e liste di attesa infinite», ha detto Schlein, accompagnata dal senatore del Pd e segretario regionale Nicola Irto, sottolineando che «non è questa l’Italia che disegna la nostra Costituzione e noi ci batteremo quindi per chiedere maggiore finanziamenti per la sanità pubblica perché anche le calabresi e i calabresi hanno diritto a una sanità di qualità».

La segretaria, poi, ha parlato dell’autonomia differenziata, «un progetto che vuole dividere ulteriormente un paese che invece deve essere ricucito, perché abbiamo visto dai dati Invalsi  che non è la stessa cosa avere una istruzione di qualità in una terra come la Calabria e in altre regioni con altri servizi».

Da qui il bisogno del riscatto del Sud, che «passa dalla capacità di creare le condizioni ai ragazzi e alle ragazze che studiamo qui di restare qui, opportunità di lavoro di qualità, stiamo facendo una battaglia per il salario minimo».

La segretaria, poi, ha parlato dei tagli al Pnrr, una «scelta scellerata scelta di far passare 10 mesi di incertezza sugli investimenti del Pnrr. A esempio rischiano di saltare alcuni progetti di rigenerazione urbana, uno per 15 milioni a Catanzaro. Ecco, questa è l’attenzione che questo governo riserva al Sud. E’ un errore madornale. Il governo fa il gioco delle tre carte: sta cancellando da Pnrr dopo 10 mesi di attesa 16 miliardi di progetti soprattutto destinati ai Comuni, che stanno spendendo bene e in fretta le risorse, e questo è sbagliato».

«Noi non lo accettiamo – ha ribadito – e ci stupisce che i governatori di centrodestra facciano prevalere l’interesse di partito e di appartenenza politica all’interesse della comunità, in questo caso calabrese».

Per  la leader del Pd, poi, «Salvini  dovrebbe accorgersi, dopo i roghi di questi mesi che hanno segnalato la grave carenza infrastrutturale, che prima di investire in un progetto anacronistico e che ci metterà moltissimo tempo a essere realizzato, c’è bisogno subito di risposte infrastrutturali per migliorare la viabilità e la mobilità in regioni come la Sicilia e la Calabria».

«Ci aspettiamo questo e non certo i tagli che stanno facendo anche sulle infrastrutture in questa regione», ha detto, ribadendo che «la priorità è non indebolire i presidi di legalità, anzi alzandoli, è sbagliato il segnale della riforma del codice degli appalti o del contante».

«Dobbiamo alzare i presidi di legalità alle altre forze del centrosinistra dico che dobbiamo metterci insieme su alcuni temi interrogandosi anzitutto sul perché tanti cittadini, anche in Calabria, non votano».

«La sanità deve essere pubblica e per tutti», ha detto dal palco Irto, dicendo «basta con le diseguaglianze tra ricchi e poveri, tra Nord e Sud».

«C’è tanto ancora da fare – ha detto ancora il senatore – ma c’è un grande senso di appartenenza a una comunità politica che si riconosce nei valori della solidarietà, dell’impegno civile, della democrazia; che considera la diversità una ricchezza, il confronto un elemento irrinunciabile e il partito lo strumento per costruire una società migliore e la Calabria del futuro».
«Sono contento ed orgoglioso – ha concluso –. Dobbiamo proseguire con questa stessa energia, allargando il centrosinistra e lavorando sul terreno delle proposte e dell’esempio per essere alternativi al centrodestra, che vuole dividere l’Italia, distruggere il Servizio sanitario nazionale, deprimere il Sud e reprimere il dissenso, le differenze individuali e le libertà sancite dalla Costituzione».

«Serve una battaglia nazionale per avere maggiori risorse e arrivare alla ricontrattazione del debito». È l’appello lanciato dall’ex candidata a governatore della Calabria e responsabile per la sanità in Consiglio regionale, Amalia Bruni, nel corso della seconda giornata di dibattito e confronto alla Festa regionale dell’Unità del Pd a Vibo Valentia.

Tema dell’incontro, Sanità in Calabria. Proposte oltre la crisi, a cui hanno preso parte anche Franco Mammì, Antonio Billari, Francesca Dorato, Giovanni Oliverio, Giusy IemmaNico Stumpo.

«Noi siamo l’estrema punta della sofferenza della sanità italiana che  sta soffrendo nel suo complesso – ha detto Bruni –. La battaglia da fare è di natura nazionale ed è stato costituito per questo un tavolo nazionale che messo insieme tutti gli esponenti che si occupano della materia nei Consigli regionali per fronteggiare l’emergenza. Serve una scelta politica di allocazione delle risorse che questo governo non sta facendo, tanto che continuano a mancare i quattro miliardi che il ministro Schillaci chiede da tempo».

«Servono risorse per eliminare il tetto alle assunzioni – ha evidenziato – perché abbiamo bisogno di medici e di personale sanitario in generale, così come va fatta la ricontrattazione del debito della sanità calabrese. Invece la prima legge che ha approvato la maggioranza di centrodestra in Consiglio è quella che ha istituito Azienda zero, una legge pessima nella quale non c’è scritto nulla di come questa struttura debba funzionare e nonostante cinque modifiche legislative ancora non lo sappiamo».

Il deputato dem Nico Stumpo, nel corso del suo intervento, ha sottolineato la necessità per il partito di «impegnarsi a formulare una proposta che porti gli elettori a votarci alla prossima tornata sapendo come gestiremo la sanità negli anni futuri. Serve un progetto serio e articolato per potenziare la sanità territoriale in modo da avere tanti punti di assistenza in modo che diventi efficace in tutta la Regione. Un servizio fondamentale da affiancare agli hub nei centri più grandi e facilmente raggiungibili. Fondamentale è poi abbattere gli ingressi inutili in ospedale».

Altro tema toccato nel corso della manifestazione è la Legalità e libertà d’informazione. a Questo panel sono intervenuti Maria C. Chiodo, Maria Locanto, Lucio Musolino, Emiliano Morrone, Alberto Cisterna, Michele Albanese e Sandro Ruotolo.

Il giornalista Michele Albanese, nel corso del suo intervento, ha lanciato una sfida al Pd incrociando legalità e informazione.

«Molti temi di attualità – ha detto Albanese – come il traffico di droga e il business che rappresenta per la malavita sono argomenti che non interessano giornalisti e politica. Perché? Eppure muovono risorse maggiori a quelle di una manovra finanziaria. Lancio una sfida al Pd: serve un partito che si occupi di informazione nelle terre di confine con il coraggio di spostare il dibattito anche nelle sedi centrali. Si tratta di un elemento fondamentale per il futuro della Calabria».

Il magistrato Alberto Cisterna ha indicato come fondamentale anche un risveglio dei cittadini che troppo spesso decidono di non informarsi scegliendo una sorta di “cecità colpevole”. «Esiste un problema strutturale dell’antimafia che è quello di non riuscire ad agganciare il nemico. Pochi hanno la capacità di individuare i settori in cui svolgere davvero le indagini».

«E la stessa miopia – ha proseguito – riguarda anche il diritto all’informazione e il diritto ad essere informato e ad essere bene informato. Un diritto che il cittadino deve esercitare e pretendere, anche perché un cittadino che non si informa è un cittadino che non vuole partecipare e poi non va a votare. Temo che grandi fette della nostra popolazione vogliano abbracciare questa “cecità colpevole”, questa cultura del non volere vedere e sapere, ritagliandosi il proprio angolo di correlazioni e amicizie. Questo consente il consolidarsi di poteri opachi e delle infiltrazioni».

Legalità e informazione vanno di pari passo e il governo di centrodestra guidato da Giorgia Meloni sembra averlo completamente dimenticato. Nelle sue conclusioni il responsabile di Informazione e Cultura della segreteria nazionale dem Sandro Ruotolo ha rivendicato lo sforzo intrapreso dal partito e ha ringraziato il segretario regionale Nicola Irto per il lavoro fin qui svolto e per avere scelto di occuparsi di un tema così importante.

«Questo è l’unico partito che ha posto nel suo programma e nel suo agire quotidiano la lotta alle mafie. Avvertiamo, con preoccupazione, questo calo di tensione sul principio di legalità come si può vedere anche dalla recente riforma del codice degli appalti. Stesso ragionamento vale per l’informazione che deve servire ai governati e non ai governanti».

«A Ravenna alla festa dell’Unità nazionale e poi con i gruppi parlamentari presenteremo la nostra proposta di riforma della governance della Rai – ha annunciato – per invertire il trend. Gli assetti proprietari dell’informazione stanno in mano a proprietari che fanno tutt’altro nella vita e non possono rendere un servizio ottimale e, per questo motivo,  insieme alla riforma della governance occorre anche una legge che regoli il conflitto di interesse».

Il segretario regionale del Pd Nicola Irto ha espresso la propria solidarietà e vicinanza, insieme a quella di tutto il partito, al giornalista di Rtv Cesare Minniti dopo la vile aggressione subita. «Episodi come quello registrato nelle scorse ore che hanno visto l’aggressione al giornalista Cesare Minniti, colpevole solo di svolgere il proprio lavoro con attenzione e serietà, non sono degni di una città moderna e civile. Ferma la condanna del Pd e la solidarietà al cronista e a tutta la redazione, con la certezza che la magistratura farà piena luce sull’accaduto e che il giornalista proseguirà, insieme ai colleghi, la sua preziosa attività di informazione con la consueta professionalità».

Di Salari e occupazione. I benefici del salario minimo per i calabresi ne hanno discusso Marwa El Afia, Gino Murgi, Anna Pittelli, Raffaele Mammoliti, e Jasmine Cristallo, gli esponenti delle altre forze della coalizione di centrosinistra Antonio Lo Schiavo (Forza Civica di centrosinistra), Ferdinando Pignataro (Sinistra Italiana), oltre ai segretari regionali di Cgil e  Uil Angelo Sposato e Santo Biondo.

Assente per motivi di salute Riccardo Tucci, che avrebbe dovuto rappresentare i Cinque Stelle che, tuttavia, ha pienamente condiviso l’iniziativa voluta dal segretario regionale Nicola Irto.

Il consigliere regionale Raffale Mammoliti ha rivendicato il ruolo e il merito del Pd nell’avere riportato l’attenzione sui temi del lavoro. «Siamo davanti a un progressivo indebolimento delle tutele dei diritti dei lavoratori che va avanti da anni – ha detto Mammoliti – Ad oggi dobbiamo così confrontarci con un problema salariale, un problema relativo ai lavoratori poveri e con quello relativo all’occupazione, dati difficili in Italia, ma che in Calabria diventano disastrosi. Il merito del Pd è stato quello di rimettere al centro del dibattito la questione ricompattando l’opposizione. In Calabria dobbiamo proseguire sulla strada intrapresa arrivando ad avanzare una proposta concreta per chiedere al governo regionale un piano straordinario per il lavoro».

Antonio Lo Schiavo ha evidenziato la necessità per le forze politiche alternative alla destra di «unirsi su temi fondamentali per evitare di essere autoreferenziali, ma in grado di costruire un’alternativa di governo alle destre». 

E sulla stessa lunghezza d’onda si è espresso anche Pignataro di Sinistra Italiana: «guardiamo con attenzione al Conferenza programmatica annunciata dal segretario del Pd Nicola Irto per compiere ulteriori passi in questa direzione per evitare le divisioni che in passato ci hanno fatto perdere le elezioni. Serve rafforzare il percorso avviato sul salario minimo magari avviando una sorta di coordinamento delle forze che si ritrovano in un programma comune».

Le conclusioni affidate ai sindacalisti Sposato e Biondo. 

Per Sposato bisogna «mettere al centro la lotta alla povertà, introdurre un salario minimo, aumentare subito salari e pensioni, reintrodurre le conquiste sociali smantellate, abrogando le leggi che hanno prodotto la precarietà con l’alibi della flessibilità, può essere la via maestra per una nuova stagione dei diritti. La mobilitazione è necessaria per fare cambiare le politiche sbagliate di questo governo».

«Ed anche sulla legge Fornero – ha aggiunto – andrebbe fatta una riflessione per un referendum abrogativo. L’emergenza climatica, demografica, la pandemia salariale sono temi che vanno affrontati con il consenso delle parti sociali. Il 7 ottobre saremo a Roma per una nuova lotta sociale. Siamo pronti a portare la vertenza Calabria in piazza e ad aprire una nuova vertenza Mezzogiorno».

Santo Biondo si è detto sicuro: «questa serata rappresenta un momento fondamentale non solo per il Pd, ma per l’intero centrosinistra. Il tema del lavoro è centrale per costruire una vera alternativa al governo e oltre al salario minimo si dovrà eliminare la precarietà dal mondo del lavoro italiano e calabrese».

A chiudere la Festa dell’Unità, il dibattito dedicato al ruolo delle donne, dal titolo Il presente delle donne. Politica, libertà e welfare.

Hanno partecipato al confronto voluto dalla Conferenza delle donne democratiche: Vladimira Pugliese, Lidia Vescio, Barbara Panetta, Rosy Caligiuri, Annagiulia Caiazza, Teresa Esposito e Cecilia D’Elia

Barbara Panetta, nel ringraziare militanti e iscritti al partito che hanno organizzato la festa, ha sottolineato l’importanza della scelta del segretario Nicola Irto di inserire il dibattito sulla condizione e sul ruolo della donna per concludere la tre giorni di Vibo prima dell’intervento della segretaria nazionale. Panetta ha chiesto maggiore attenzione del partito sul tema delle violenze e in particolare delle violenze sulle donne con disabilità.

Teresa Esposito, coordinatrice regionale delle Donne Democratiche, ha riferito del lavoro svolto insieme ai referenti nazionali per fare in modo che la Calabria diventi una regione “a misura di donna”.

Le conclusioni sono state affidate alla senatrice dem Cecilia D’Elia che è anche portavoce della Conferenza nazionale delle donne democratiche: «Sappiamo che muore una donna ogni tre giorni, ma questa estate ci ha messo davanti ad una situazione ancora più drammatica, un estate della disumanità per i femminicidi, per le violenze e per il dramma dei migranti. La rivoluzione passa dal restituire dignità alla donna e metterla al riparo non solo dalla violenza fisica, ma anche da quella psicologica e in grado di essere autonoma, realizzando effettive opportunità di lavoro che la rendano libera e non sottomessa. Una rivolta culturale di questo tipo non si fa solo con le leggi, ma ha bisogno della politica, quella che evidentemente non è in grado di mettere in campo la destra attualmente al governo». 

A chiudere la tre giorni, la presentazione del libro di Pino Soriero Andata in porto. Gioia Tauro una sfida vincente, alla presenza del presidente dell’autorità portuale di Gioia Tauro, Andrea Agostinelli(rvv)

 

Il Pci, la Calabria e il Mezzogiorno a cura di Lorenzo Coscarella e Paolo Palma

di MIMMO NUNNARIUna questione rimasta nell’ombra nell’Italia repubblicana riguarda il rapporto tra Pci – a lungo maggior partito d’opposizione – e il Mezzogiorno. Questione non da poco, in considerazione che il movimento comunista ha storicamente rappresentato classe operaia e ceti deboli e il Meridione non c’è dubbio che, in quanto parte di territorio italiano penalizzato dalle disuguaglianze e dalle trascuratezze dei Governi di prima e di dopo la liberazione dal fascismo, sarebbe dovuto rientrare nel perimetro di lotta del Pci. Ma il meridionalismo, è stato un tema presente, in maniera costante e concreta nell’agenda comunista?

La storia di questo rapporto Pci Mezzogiorno –  è controversa. Più di cinquant’anni fa Sidney Tarrow, allora professore di Scienze Politiche alla Cornell University e noto studioso di fenomeni dei movimenti sociali, affrontò la questione nel libro: “Partito comunista e contadini nel Mezzogiorno (Einaudi, 1972) spiegando come, il partito divenuto dopo le elezioni del 1948 il maggiore partito di opposizione, avesse in pratica voltato le spalle al Mezzogiorno. 

«Il problema di fondo del Pci, nel Mezzogiorno – secondo Sidney Tarrow – non era solo l’estrema difficoltà delle condizioni oggettive, ma la mancanza di una convergenza tra i presupposti empirici della sua strategia generale e tali condizioni oggettive. Qualsiasi azione intraprendesse il Pci, si veniva a scontrare con un dilemma: se fossero state previste due strategie fondamentalmente diverse, per il Nord e per il Sud, il partito avrebbe messo a repentaglio la sua stessa integrità in quanto partito leninista; e d’altro canto, se la strategia prevista per la Valle Padana e per le città industriali del Nord, fosse stata applicata meccanicamente al Sud, ne sarebbero conseguite certe sconfitte politiche. I dirigenti del partito furono restii ad operare una scelta, anche se sembrarono essere stati continuamente consci del loro dilemma».

Nel cuore della via italiana al socialismo è insita, concludeva Tarrow,  “una contraddizione di fondo”.  L’aver in sostanza tenuto separate le aree del non sviluppo dalle aree dello sviluppo, ha finito, perciò, stando al ragionamento dello studioso americano, col coinvolgere anche il Pci. Mezzo secolo dopo, sul rapporto tra Pci e Mezzogiorno, arriva un’altra analisi, approfondita e ampia, meritevole di attenzione, considerato il periodo di osservazione, che parte dalla nascita dello stesso movimento comunista, negli anni Venti, per arrivare al dopoguerra. Lo studio riprende le relazioni del convegno nazionale dell’Icsaic (Istituto calabrese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea) Il Pci dalle origini al partito nuovo in Calabria e nel Mezzogiorno 1921 – 1953 svoltosi all’Università della Calabria nel novembre 2021.

Nel volume dal titolo Il Pci, la Calabria e il Mezzogiorno (1921 – 1953), a cura di Lorenzo Coscarella e Paolo Palma, edito da Pellegrini (pagine 519, euro 25) la traccia seguita riguarda il “partito meridionalista e le sue contraddizioni”, quasi a spiegare perché, il più forte partito europeo dei lavoratori, abbia avuto una posizione mai chiara e decisa, nei confronti del Meridione. L’ambiguità è già in origine. Come spiegano Coscarella e Palma, nella presentazione del volume, il Pci, nato a Livorno nel 1921, fu una forza spiccatamente meridionalista solo da quando Gramsci ebbe il sopravvento su Bordiga, il segretario generale, nel 1924. Nella concezione bordighiana, non c’era infatti posto per una “questione meridionale”, come questione avulsa dall’unica – da Nord a Sud – “questione capitalistica”.

Fu Gramsci, dunque, a dare importanza alla questione meridionale, prima mai citata, nei programmi del partito a guida bordighiana. Naturalmente il meridionalismo del Pci rimase, per ovvi motivi, stante il lungo periodo di dittatura fascista, soltanto una componente culturale e ideologica e poi quando dopo la caduta del regime e l’avvento della Repubblica, i partiti cominciarono  a disegnare le strategie per la rinascita del Paese, Togliatti, nuovo leader del Pci, prese le distanze dall’impostazione gramsciana. La sua idea di lotta è infatti ecumenica, nel senso che guarda alla “solidarietà nazionale” ante litteram, di tipo sociale, che però comporta l’indebolimento della lotta, teorizzata da Gramsci, del partito della classe operaia a favore dei braccianti e dei contadini poveri. Sono sedici i saggi scritti da intellettuali, studiosi e politici, raccolti nel volume, che analizzato aspetti dell’attività del Pci al Sud in un trentennio e in particolare in  Calabria. Alcuni contributi documentano in particolare le difficoltà e le contraddizioni del Pci negli anni del “ribellismo contadino, culminato nell’eccidio di Melissa, nel 1949.

In particolare è Franco Ambrogio a mettere in risalto quella che può essere considerata una “mentalità insurrezionalista” del movimento comunista calabrese,  aspramente criticata da Togliatti, soprattutto dopo i fatti di Roccaforte del Greco e Caulonia. Fu in quel periodo, che alcuni leader calabresi, come Gullo e Musolino, al contrario di Togliatti, avrebbero preferito una lotta più incisiva e determinata, del mondo rurale meridionale. La sintesi della vicenda calabrese e meridionale dell’occupazione delle terre potrebbe essere racchiusa nelle parole di Mario Alicata, “amendoliano”, che in quegli anni scrisse che si era sviluppato al Sud uno dei più vasti movimenti di contadini poveri nella vita del Paese, ma non si era riusciti a trarne una spinta e un respiro democratico per un’azione politica più vasta. Il libro, che approfondisce le relazioni presentate a quel convegno all’Unical, rappresenta, oltre a una esplorazione documentata della vita del Pci nell’area del Mezzogiorno, in particolare in Calabria, un contributo importante alla narrazione meridionalistica che nonostante le numerose qualificate e fondamentali cose già scritte ha sempre bisogno di nuovi contributi che diano conto di come le politiche dei partiti, dei Governi, delle istituzioni tutte, abbiano inciso nel bene e nel male sulla società meridionale. (mnu)

L’OPINIONE / Vincenzo Castellano: Il Sud paga più tasse ma riceve meno servizi

di VINCENZO CASTELLANO –  Il Sud ancora non è riuscito a recuperare il gap che lo separa dal Centro-Nord del Paese. Nonostante le numerose iniziative e riforme politiche adottate dagli anni Cinquanta fino allo straordinario Pnrr, il Mezzogiorno non ha mai registrato lo sviluppo che chi ha governato e governa ha promesso che avrebbe realizzato.

La sfida che ci attende, dopo la pandemia che ha messo in crisi l’intero sistema economico mondiale e una guerra russo-ucraina, ancora in corso, è la grande occasione da non perdere per intraprendere scelte coraggiose per rilanciare il Meridione rendendo sostenibile lo sviluppo futuro dell’intero Paese.

Oggi i cittadini residenti nel Mezzogiorno pagano più tasse rispetto ai loro connazionali che vivono nel Centro-Nord poiché lo Stato, investendovi meno soldi, costringe gli enti locali ad aumentare la pressione fiscale per garantire i servizi che, nonostante ciò, sono minori al sud rispetto che nel resto d’Italia.

La spesa pubblica che lo Stato concede al Meridione è inferiore rispetto a quella che elargisce al Nord. La regola adottata è sempre quella della cosiddetta “spesa storica” che negli anni è stata perpetrata in modo ininterrotto, sistematico e illegale costringendo gli Enti locali del Mezzogiorno ad adottare politiche che hanno visto aumentare progressivamente le imposte nei confronti dei propri cittadini, non riuscendo, tuttavia, a soddisfare tutti i bisogni di servizi necessari.

Questa circostanza provoca un effetto indesiderato che i meridionali, oltre ad usufruire di servizi e benefici di scarsa qualità, e pur avendo in media già redditi decisamente più bassi rispetto ai loro concittadini del Nord, sono costretti a subire un prelievo fiscale molto più oneroso rispetto a questi ultimi. Un esempio emblematico della inadeguatezza della “spesa storica” che ci permetterebbe di comprenderne rapidamente i negativi risvolti pratici è il confronto fra le due Reggio: Reggio Emilia e Reggio Calabria, dove la prima – che è risaputo ha già molti servizi – ha un fabbisogno standard di circa 140 milioni di euro, mentre a Reggio Calabria, con meno servizi, di circa 100 milioni di euro, circa 40 milioni in meno nonostante abbia più abitanti della città emiliana.

Ancora, se si analizza più nel dettaglio la spesa pubblica ci renderemmo conto come per l’istruzione a Reggio Emilia sono riconosciuti circa 30 milioni a Reggio Calabria 9. Per la cultura alla prima sono concessi oltre 20 milioni e alla seconda non si arriva a 5. Riguardo all’edilizia abitativa alla città emiliana sono destinati oltre 50 milioni e alla seconda si arriva a malapena a 10. E si potrebbe continuare ad oltranza. Anche la Corte dei Conti ha più volte rilevato che: «A fronte dei 116 euro medi pro capite di spesa sociale complessiva, si va dai 22 della Calabria ai 517 del Trentino (Bolzano) e a fronte dei 14 euro di spesa pro capite per i soli interventi contro povertà e disagio, si passa dai 3 euro nei Comuni della Calabria agli 83 nei Comuni del Friuli».

È evidente che di fronte a questa situazione che è il risultato di anni di politiche che hanno agevolato sempre di più le regioni del Nord è necessario intervenire con politiche di vantaggio per le regioni del Mezzogiorno. Le recenti iniziative del governo che hanno introdotto la decontribuzione per i lavoratori che vengono assunti al Sud, l’istituzione delle Zes (Zone Economiche Speciali) e delle ZLS (Zone Logistiche Semplificate, sono tutte misure che vanno accolte con favore ma invito il governo ad avere più coraggio. È necessario un intervento strutturale sul piano fiscale ad esclusivo vantaggio per le regioni del Sud e un piano di equità territoriale che preveda la ridistribuzione delle risorse pubbliche.

I cittadini meridionali pagano di più molti servizi rispetto a quanto gli stessi servizi costano al Nord. Le Rc auto, gli interessi bancari, la benzina, le utenze domestiche sono solo alcuni di questi. Ma anche il costo di un biglietto del treno, a parità o addirittura con maggiore distanza, costa di meno per i treni che vanno verso Nord rispetto a quelli che vanno verso Sud. È chiaro, quindi, che un cittadino che vive al Sud sostiene maggiori costi per i servizi e non è equo che paghi le tasse con le stesse modalità con cui le paga un cittadino che vive al Nord. (vc)

[Vincenzo Castellano è segretario Federale Italia del Meridione]

I CALABRESI NON SI “FIDANO” DI CALDEROLI
MILLE MOTIVI GIUSTIFICANO I SOSPETTI

di MIMMO NUNNARI – Non è più questione di Nord contro Sud e di secessionisti e statalisti, di (simpaticamente) polentoni e terroni, ma – fatti i necessari aggiornamenti – di non essere fessi o  “ammucca lapuni”, espressione in uso in alcune regioni meridionali, riferita a persone che credono a qualsiasi cosa gli viene detto: restando a bocca aperta e rischiando di ingoiare – metaforicamente –  una grossa ape o un calabrone, come vuole il proverbio. Il detto è usato per mettere in guardia i creduloni di fronte a notizie di cui non si riesce a distinguere il falso, la presa per i fondelli, dal vero.

Bisognerebbe tenere bene a mente un vecchio proverbio arabo: “La prima volta che minganni la colpa è tua, ma la seconda volta la colpa è mia”. Mettiamo, dunque, sull’avviso i nostri pochi o molti lettori, dal credere al  ministro Roberto Calderoli  il quale a Vibo, a proposito di Autonomia differenziata, ha detto che è “un’opportunità per il Mezzogiorno”. Nel Sud, storicamente, c’è gente paziente, che si fida, non si ribella, che aspetta da secoli il riconoscimento di diritti, della legittimazione di italiani uguali agli altri, e che spera nella riduzione delle distanze tra Settentrione e Meridione; questo sì, ingenui pure, ma “ammucca lapuni” no, signor ministro. Perché a lasciarsi incantare dalle storie ai limiti del surreale, che l’Autonomia conviene al Sud, si rischia di passare per fessi, per persone che si lasciano imbrogliare facilmente. 

Ora, pazienti si, pigri pure, non abituati a intraprendere iniziative autonome anche; qualche volta pure sudditi, per mentalità antica, ma stupidi no, per piacere. Che poi il ministro abbia scelto la Calabria per lo “spiegone” sulla bontà per il Sud dell’Autonomia differenziata, fa pensare più che a un gesto di cortesia, ad un ulteriore e ben celato discredito nei confronti di questa regione, che molti credono sia, oltre che mafiosa, abitata da tonti; che si può ingannare, tanto, come recita un detto latino: “fallacia alia aliam trudit, un inganno tira laltro”. Qui, oggi, non si tratta di rispiegare che cosa significhi l’Autonomia differenziata per il Mezzogiorno, poiché l’argomento è stato analizzato e dibattuto abbastanza, ne abbiamo fatto indigestione; semmai, si tratta di tenere alta la guardia e mettere in campo tutti gli strumenti possibili e leciti per cancellare questa ipotesi di riforma ingannatrice dall’agenda politica. Si tratta anche di ragionare sul potersi fidare, o meno, di Calderoli.

Francamente pensiamo di no, partendo non da pregiudizi, ma dal presupposto intanto che sono tanti i dubbi sulle competenze di costituzionalista o riformista del ministro e sulle sue reali buone intenzioni. Ricordiamo, per tutto il suo curriculum di parlamentare, che legge elettorale più contestata della storia della Repubblica è opera sua: un marchingegno, per riempire il Parlamento di deputati e senatori scelti dalle segreterie dei partiti. È lunica legge definita in modo spregiativo dal suo stesso autore: una “porcata”. Da qui, il passaggio alla storia col nome Porcellum. Calderoli, è noto pure per aver presentato – aiutato di un algoritmo – milioni di emendamenti a ddl governativi che non gli piacevano. Una tattica dilatoria, e niente di più, da catalogare nelle piccolezze e  nelle tattiche peggiori della politica italiana. Calderoli è un leghista della prima ora, come Salvini, entrambi protagonisti, già da giovani, di quella Lega del secessionismo poi passata, dopo un lungo percorso, alla furbata dell’autonomia differenziata, sempre con un unico, vero, sostanziale obiettivo: un Nord che possa correre da solo, senza la palla di ferro al piede, che, per molti, al Settentrione, è il Sud. Nella strategia leghista non c’è solo l’Autonomia di Calderoli, ma c’è – molto più raffinatala  svolta nazionalista e sovranista dell’attuale leader Matteo Salvini, il quale, accantonata la vocazione nordista” ha puntato a radicare il partito su tutto il territorio nazionale allinsegna dello slogan Prima gli italiani”.

Anche il ponte di Messina, probabilmente rientra in questa strategia (apparentemente compensativa) che dovrebbe far dimenticare il passato, con un “dono”, non si sa quanto utile al Sud, senza tutto il resto: infrastrutture, porti, aeroporti, strade. Abbiamo dei pregiudizi nei confronti di Salvini? Certo che sì, li abbiamo e sono fondati. Salvini era a fianco a Umberto Bossi, quando  sognavano la Padania libera e autonoma, ed è stato, insieme a Calderoli &co., un campione di insulti e offese, nei confronti dei meridionali. Basterebbe, per tutti  gli oltraggi ricevuti dai meridionali, ricordare quell’auspicio, lugubre, di “purificazione” dei napoletani, nella lava del Vesuvio. Di questo non certo edificante passato Salvini  ha fatto ammenda  tempo fa a Palermo, rispondendo ai giornalisti, in una conferenza stampa: “Se abbiamo avuto toni eccessivi in questi anni sul Sud e i meridionali, chiedo scusa e cercheremo di evitare di ricadere negli stessi errori”. Se avesse tolto il “se”sarebbe stato meglio.

Oggi, i due, Calderoli e Salvini, sono ministri di un legittimo governo della Repubblica e in quanto tali vanno rispettati. Ma per poter essere creduti debbono fare di più: prendere per esempio coscienza che bisogna pensare a colmare quel divario di sviluppo tra Nord e Sud che non è mai stato colmato, e  che addirittura si è ultimante aggravato,  e mettere in campo strategie di immediata applicazione per invertire la marcia, con priorità per l’occupazione, la sanità pubblica, le infrastrutture di cui si diceva prima e i trasporti. Solo dopo questo “risarcimento”, si potrà passare a riforme che teoricamente possono essere anche valide per l’Italia tutta di domani; che verrà dopo l’Italia di oggi: inquieta, divisa e malcerta. E invece sta accadendo che si profila l’ennesima beffa per il Sud, se sono veri i rumors parlamentari che parte dei fondi del Pnrr, previsti dal Governo Draghi per il Mezzogiorno, stanno per prendere altre direzioni. Anche sull’Alta  Velocità Salerno Reggio si stanno addensando dubbi stando ad un’interrogazione del Pd.

La comunità dei meridionali, lungi dall’ingoiare calabroni, dovrà trovare le giuste strategie per pretendere il rispetto degli impegni e ricordare – a tutto il Governo Meloni – che le regioni del Sud appaiono sempre più determinanti per l’esito delle consultazioni politiche nazionali. Un particolare pensiero, se ci è consentito, lo rivolgiamo ai tanti che accolgono a braccia aperte Calderoli, Salvini & co., magari in buona fede, sperando in vantaggi per il Sud. Ricordatevi di Luigi Pirandello: “Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”. (mnu)

FAR RESTARE QUEI CERVELLI IN FUGA: AL
SUD SI PUÒ ESSERE CITTADINI DI SERIE A

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – «Trattenere i 40.000 laureati che ogni anno se ne vanno dal Sud dovrebbe essere l’obiettivo centrale delle politiche di sviluppo perché ognuno di quelli è un pezzo di Pil che se ne va». Cosi Luca Bianchi, direttore della Svimez commentava,  nei giorni scorsi, il tema  al centro di un incontro di studio organizzato da Banca d’Italia e Istat. 

Il messaggio univoco che proviene dall’indagine che il calo della popolazione in età lavorativa richiede un aumento del tasso di occupazione in particolare di donne e giovani ed anche un’attenta politica migratoria é di quelli scontati. Il merito sta nel fatto che il tema della emigrazione dei cervelli ritorna centrale.

Chiedersi perché in tanti scelgono fin dalla frequenza della università di puntare al Nord è un esercizio quasi scolastico. Da una realtà dove lavora una persona su quattro come il Mezzogiorno, nel quale rispetto ai 20 milioni di abitanti vi sono solo poco più di 6 milioni che lavorano, compresi i sommersi, non si può che fuggire. Per una serie di motivazioni: alcune delle quali riguardano le ragioni della mancanza assoluta di opportunità. Ed in ogni caso quando queste dovessero presentarsi, considerato che i livelli superiori sono concentrati nelle realtà nelle quali le direzioni generali sono localizzate, nel momento in cui bisogna crescere nelle responsabilità, l’esigenza di lasciare il Mezzogiorno diventa sempre più cogente. Ma vi sono anche altre motivazioni che riguardano il fatto che l’emigrazione a cui assistiamo é alla ricerca dei diritti. 

Proprio così si tratta di una generazione di meridionali, che hanno deciso che non vogliono accontentarsi di essere cittadini di serie B e poiché hanno già cessato di sperare in una possibilità di cambiamento, poiché ritengono che non sia possibile avere gli stessi diritti di cittadinanza che si hanno al Nord, hanno deciso di spostarsi. I diritti fondamentali che cercano  sono quelli alla mobilità, alla salute, agli asili nido per i loro bambini, a una buona scuola. Se a questo aggiungi quello che afferma sempre Luca Bianchi e cioè che “in realtà se continuano ad emigrare è perché la qualità del lavoro e le retribuzioni sono troppo basse, circa il 20% inferiori al resto d’Italia” il quadro si completa. 

Ciò vuol dire che le gabbie salariali tanto invocate e richieste da una parte del Nord  sono già una realtà. 

Ovviamente il Centro Nord gode di tutto questo come evidenziato dall’ultimo Rapporto Istat sulle migrazioni nel Paese: «Il Centro-Nord “recupera” le perdite accumulate nel decennio 2012-2021 con gli studenti in arrivo dal Mezzogiorno. Negli ultimi 10 anni, il Nord guadagna oltre 116mila giovani risorse provenienti dal Sud e dalle Isole, il Centro quasi 13mila. Nel complesso, le uscite dal Mezzogiorno verso l’estero e le altre regioni d’Italia determinano una perdita di circa 150mila giovani laureati». 

Non per fare il conto della serva ma dire che tutto questo costa al Sud 45 miliardi, considerato che per formare un laureato  servono 300 milioni,  non è sufficiente ad individuare il vero costo per la realtà meridionale, perché i 45 miliardi riguardano solo il danno emergente, la valutazione del lucro cessante è più difficile da calcolare. 

Ma certamente il processo emigratorio è quell’elemento che non consente più alla foresta dello sviluppo di crescere e che avvia ed alimenta un processo di desertificazione.

Per questo l’autonomia differenziata voluta in primis da Calderoli/Zaia, ma anche da Fontana e Bonaccini, sodali in quel mai costituito ufficialmente, ma sempre in azione,  Partito Unico del Nord, che prevede la istituzionalizzazione dei diversi diritti di cittadinanza è una deriva pericolosissima. 

Bisogna puntualizzare peraltro che sbaglia chi confronta l’emigrazione dal Sud con la mobilità che vi é al Nord. Perché se è vero che gli arrivi da Sud compensano numericamente la fuga e che resta il fatto che anche tutte le Regioni del Nord hanno un saldo dei giovani laureati verso l’estero negativo non si può non precisare che quella dal Sud è emigrazione e l’altra invece è mobilità. 

L’Istat ricorda che sempre nel decennio 2012-2021 è espatriato dall’Italia oltre un milione di residenti di cui circa un quarto in possesso della laurea, in buona parte settentrionali. Tra rimpatri ed espatriati il saldo insomma è chiaramente negativo, al punto che la perdita complessiva dell’Italia per l’intero periodo è di oltre 79mila giovani laureati. 

Tutto vero ma bisogna calcolare però che vi sono una serie di stranieri che vengono a lavorare in Italia e che compensano, anche se solo in parte,  il drenaggio che avviene,  in un processo di scambio di esperienze che non può che essere positivo. 

L’emigrazione di cui soffre il Sud è invece un fenomeno tipico dei paesi poveri, che perdono i loro migliori residenti spesso senza guadagnare giovani stranieri che decidono di trasferirsi nelle aree meridionali. Lamentarsi di un processo che ha le sue origini in politiche che prevedono che alcune parti del Paese siano considerate come colonia, nelle quali anche con il Pnrr si pensa di dotare i comuni interessati degli asili nido con bandi competitivi è un esercizio non solo inutile ma anche vigliacco. 

Deve essere chiaro a tutti che il Mezzogiorno è funzionale, in tutte le sue componenti di territorio e capitale umano, alla crescita sempre più contenuta di un Nord che pensa di poter sostenere la propria competitività rispetto alle aree ricche della MittelEuropa sfruttando  a suo vantaggio, in una cannibalizzazione degli altri territori,  un Mezzogiorno debole.  Anche se é evidente che fin quando il rapporto nei confronti delle  parti forti del Paese sarà in una forma di ascarismo perdente, sia in termini elettorali che conseguentemente in termini economici,  i risultati non potranno che essere quelli registrati ormai da oltre cinquant’anni. 

Se come nelle tragedie greche il Sud aspetterà che un deus ex machina, che sia lo Stato centrale o un partito nazionale,  si occupi di impegnarsi seriamente per politiche di sviluppo adeguate allora non potrà che rimanere deluso. Anche se è difficile con la mancanza di formazione e di consapevolezza,  dovuta anche ad una diffusa dispersione scolastica oltre che alla mancanza di tempo pieno nelle scuole e alla poco occupazione che non consente di avere in casa delle donne occupate quindi più inserite nelle problematiche del Paese, è necessario che vi sia un colpo di reni che preveda non questue rispetto ad un Paese che può essere più o meno generoso, ma pretese legittime da far rispettare con la forza delle urne. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

Il presidente Occhiuto: Il Sud è luogo di opportunità

Il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, ha evidenziato di come il Sud è luogo di opportunità, e di come può «essere hub dell’Europa sul Mediterraneo».

«Devo esprimere la mia riconoscenza a The European House Ambrosetti per aver contribuito a modificare il paradigma della discussione sul Mezzogiorno, che spesso è stato rappresentato nella comunità nazionale soltanto come un luogo di problemi. Oggi invece cominciamo a parlarne anche come luogo di opportunità e di investimenti nazionali e internazionali. Un luogo di opportunità non solo per le regioni del Sud ma per il Paese e per l’Europa», ha detto il Governatore nel corso del suo intervento al Forum Verso Sud: La strategia europea per una nuova stagione geopolitica, economica e socioculturale del Mediterraneo.

«Questo perché – ha detto ancora – il Sud Italia può davvero candidarsi ad essere l’hub dell’Europa sul Mediterraneo, in grado anche di interloquire con i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo. Quindi non solo un hub energetico, ma anche un luogo cruciale per il commercio internazionale».

«Io lo sto vivendo sotto i miei occhi – ha proseguito – perché la mia Regione ospita il primo porto d’Italia, quello di Gioia Tauro, che fa 3,5 milioni all’anno di movimentazione di container. Oggi ancora non produce ricchezza in Calabria perché è un porto di transhipment ma è un asset logistico straordinario in questo nuovo scenario internazionale. Credo che le Regioni del Sud se sanno interpretare l’attività di governo in chiave moderna, e non meramente rivendicativa, possono vivere le stesse condizioni di crescita che hanno avuto le Regioni del Nord nei decenni passati».

«La coesione si realizza non solo attraverso la spesa produttiva del governo nazionale e dell’efficacia delle risorse dell’Unione europea, ma anche con una visione in grado di creare sviluppo. Noi lo stiamo facendo», ha sottolineato ancora Occhiuto.

Il Governatore, poi, ha parlato dei fondi Ue, dicendo come «non credo che il presidente Emiliano abbia ragione quando dice che ci sia l’intenzione da parte del governo di dirottare verso altri lidi le risorse dell’Fsc».

«Le risorse destinate alle Regioni devono essere spese in quelle Regioni. Dobbiamo però dimostrare di essere una classe dirigente che abbia onestà intellettuale», ha detto ancora, ricordando come «sulla spesa ci sono dei problemi strutturali da affrontare, ma le risorse ci sono. Inoltre giudico come un fatto positivo che ci sia un unico ministro, Fitto, che si occupi di tutti gli strumenti di finanziamento e programmazione».

«Certo, anche io vorrei che questo lavoro di ricognizione dei programmi di spesa che sta facendo il ministro fosse rapportato ai dati attuali – ha concluso – e vorrei anche si passasse presto alla fase operativa dell’accordo con le singole Regioni.
Ma confido che a questa fase ci si arrivi da qui a qualche giorno». (rrm)

Biondo (Uil): Il Governo frena su attuazione del Pnrr

Il segretario generale di Uil Calabria, Santo Biondo, ha denunciato come il Governo, mentre accelera sul progetto Calderoli, «che autonomia differenziata non è, frena su attuazione del Pnrr e la politica locale e gli amministratori locali, il Mezzogiorno e la Calabria stanno a guardare».

«In questi giorni il governo, nel silenzio da parte della Calabria – ha spiegato – ha provveduto a rivedere la governance del Pnrr e delle politiche di coesione 14/20 e 21/27, questo è un fatto che non aiuta la velocizzazione sull’attuazione delle risorse e degli investimenti per l’apertura dei cantieri proprio nel 2023 anno in cui bisogna avviare gli investimenti, promuovere l’occupazione e migliorare i servizi così come prevede il Pnrr».

«Piuttosto – ha sottolineato – sarebbe più utile e opportuno avviare un confronto sul territorio, avviare la cabina regia, avviare il monitoraggio su piano attuazione per evitare che il Pnrr non diventi un nuovo miraggio come quello del ponte sullo Stretto che ci accompagna dagli anni Settanta».

«La macchina in questa direzione – ha spiegato ancora – è completamente ferma, il rischio di perdere le risorse è pesante, la politica è disattenta. È necessario, invece, che vengano applicate queste risorse e anche trovi applicazione la clausola della destinazione del 40% dei delle risorse del Pnrr allocabili territorialmente, indipendentemente dalla fonte finanziaria di provenienza, sia destinato  alle  regioni  del  Mezzogiorno».

«Purtroppo – ha detto ancora – si perseguono metodi da vecchia politica, non ci si concentra sull’attuazione progetti e non si risolve il problema che impedisce la giusta applicazione dei fondi che, nei fatti, è il ritardo della pubblica amministrazione locale, la sua incapacità a poter assolvere ai compiti che gli sono stati assegnati».

«In primo luogo – ha suggerito – occorre affrontare, sul livello nazionale e regionale, il tema dell’incapacità amministrativa della pubblica amministrazione, soprattutto dei Comuni. Occorre un piano straordinario di assunzioni a tempo indeterminato di personale specializzato, che riveda anche i parametri per le assunzioni di quegli enti locali che si trovano in situazioni di dissesto e predissesto, e in Calabria sono più del 50% i comuni che si trovano in questa condizione, e non possono di fatto procedere alle assunzioni di personale. Vanno stabilizzati, così come fatto per i loro colleghi nei ministeri, i tecnici assunti nei mesi scorsi nei comuni calabresi con contratti tempo determinato per attuare il Pnrr».

1Nel frattempo – ha continuato – che si dia l’avvio alle assunzioni, la Regione promuova l’aggregazione dei comuni per ambito territoriale per l’attuazione del Pnrr. Questa è un’operazione funzionale a mettere in campo tra gli enti territoriali una “solidarietà amministrativa” che abbia come centralità la messa a disposizione di competenze da alcuni comuni in favore di altri che ne sono carenti».

«Si convochi subito – ha rilanciato – la cabina di regia per il Pnrr in Regione e nei comuni per facilitare l’azione di sorveglianza sociale sulla spesa di questi importanti finanziamenti europei. Allo stesso tempo vanno attenzionati i cronoprogrammi sulle opere e gli impatti occupazionali delle stesse in Calabria e gli investimenti previsti dal Piano. Vanno applicati i protocolli di legalità e sicurezza sui luoghi di lavoro tra istituzioni, procure e prefetture».

«Solo la corretta applicazione di questi percorsi virtuosi – ha concluso – può evitare alla Calabria di vedere sprecata questa importante occasione di ripartenza e di cadere nella trappola del sottosviluppo». (rcz)

L’OPINIONE / Luigi Sbarra: La necessità di una strategia di crescita che rilanci Mezzogiorno e Calabria

di LUIGI SBARRA – Il Paese non si rimetterà in piedi senza una strategia di crescita, sviluppo, lavoro e formazione che rilanci il Mezzogiorno e la Calabria. Investimenti pubblici e privati che faticano ad arrivare anche e proprio per le infrastrutture che ancora mancano nel territorio.

Va realizzata la più grande mobilitazione meridionalista di sempre, utilizzando bene e fino all’ultimo centesimo le risorse del Pnrr e le altre dotazioni nazionali ed europee: oltre 200 miliardi in 5 anni destinati al Mezzogiorno che vanno trasformati in investimenti attraverso la qualità della spesa e la partecipazione attiva delle parti sociali nella governance dei progetti. Pensare di escludere il sindacato, gli enti locali e gli altri soggetti, dai processi di decisione sarebbe un grave errore e porterebbe nel verso del fallimento.

In Calabria va completata e ammodernata tutta la Statale e la ferrovia Ionica e portata fino a Reggio l’alta velocità e capacità ferroviaria, vanno riallineati agli standard europei i livelli di autostrade, i collegamenti e le connessioni alle aree interne, come pure la banda larga, gli acquedotti, il risanamento idrogeologico. Va colta appieno la grande opportunità del Porto di Gioia Tauro e il potenziale produttivo che offre l’area industriale retrostante, il progetto della Zes, la prospettiva di realizzazione del rigassificatore.

Occorre assumere personale negli enti locali, stabilizzare il precariato storico nella pubblica amministrazione, nelle scuole, negli ospedali, garantire un potenziamento delle politiche socio-sanitarie di prossimità per sostenere il pieno diritto alla salute, la terza età e la non autosufficienza. La sanità in Calabria serve curarla veramente per poter curare le persone. In un contesto integrato di politica di sviluppo e in modo coerente con una strategia di rilancio di reti fisiche e servizi sociali, noi sosteniamo anche la realizzazione del Ponte sullo Stretto. Una grande opera che può dare un impulso forte e positivo allo sviluppo occupazionale ed economico non solo calabrese e siciliano, ma nazionale ed europeo. (lb)

Sangalli (Confcommercio): La ripresa del Paese passa dal rilancio del Sud

«Se non riparte il Mezzogiorno non riparte il Paese». È quanto ha dichiarato Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio nel corso dell’Assemblea pubblica di Confcommercio Cosenza, dal titolo Il ruolo dei corpi intermedi per il rilancio del Mezzogiorno.

«Penso agli imprenditori, a partire da quelli del Sud presenti in questa Sala. Donne e uomini che hanno dimostrato nelle difficoltà e dimostrano oggi nel lavoro quotidiano, tanta responsabilità e determinazione, prima di tutto nei confronti dei loro collaboratori, per le comunità, per il Paese. È difficile non arrendersi in un tempo in cui la parola più ricorrente è stata “crisi”. Crisi pandemica, crisi economica, crisi diplomatica, crisi energetica. E se non c’è stata anche una crisi sociale lo dobbiamo proprio ai corpi intermedi, quelli vivi e che hanno funzionato, come la Confcommercio» ha detto Sangalli.

E, proprio sui corpi intermedi, il presidente di Confcommercio ha evidenziato come quest’ultimi sono «determinanti per gli equilibri sociali ed economici del territorio. Dialogare infatti significa far vedere che innanzitutto i corpi intermedi, le parti sociali e quindi anche il mondo associativo, sono una realtà importantissima in grado di offrire alla politica le richieste del mondo delle imprese».

«Coraggio nelle scelte, trasparenza, responsabilità, ascolto e buoni esempi. Sono queste le parole che devono comparire in primo piano nel vocabolario economico e sociale della Calabria.  Lo chiediamo alla politica ma anche ai corpi intermedi. È tempo che istituzioni, enti e corpi intermedi assumano comportamenti di responsabilità negli interessi di tutti», ha dichiarato Klaus Algieti, presidente di Confcommercio Cosenza.

Tanti complimenti per il Presidente della Regione sul lavoro svolto ma anche tanti spunti su temi che andrebbero affrontati: «Ci sono tanti temi sanità, porto di Gioia Tauro, lavoro, politiche energetiche e del mare, testo unico sul commercio e turismo, rigenerazione urbana – ha proseguito Algieri – per ognuna di esse Confcommercio è al fianco della politica e delle istituzioni per portarle a compimento. Questo è il ruolo dei corpi intermedi, fornire spunti, opinioni, collaborare e non dare giudizi. Essere di supporto e non di peso. Prima di giudicare bisognerebbe trovarsi nelle condizioni in cui si è agito per capire come si è arrivati a quell’azione».

Un bel confronto con il Presidente Occhiuto che nell’apprezzare le proposte di Confcommercio ha dichiarato: «Concordo con quanto detto dal presidente Algieri nel suo intervento – ha sostenuto Roberto Occhiuto, Presidente della Regione Calabria – coinvolgere i corpi intermedi nelle scelte strategiche che riguardano la nostra Regione, è per me un percorso ineludibile. Voglio cambiare la Regione che ho l’onore di governare, ma per farlo ho bisogno della partecipazione attiva di tutte le energie positive del territorio e Confcommercio è una di queste».

«Vorrei che le associazioni di categoria – ha concluso il Governatore – diventassero sportelli della Regione e front office del mondo delle imprese. Soprattutto di quelle micro che non hanno accesso ai bandi o perché i bandi non esistono o perché non hanno personale capace di intercettare questi finanziamenti».

L’incontro ha visto l’alternarsi di tre momenti distinti. Il primo la proclamazione dei risultati dell’Assemblea Elettiva di Confcommercio Cosenza, che ha visto riconfermato alla carica di Presidente l’uscente Klaus Algieri. Successivamente sono state premiate cinque soci del sistema Confcommercio: Enzo Barbieri, Franco Totera, Mario Tarsitano e Renata Tropea per la storicità delle proprie imprese, Ester Chimento per essere stata la prima a creare in Italia Confcerimonie.

Momento culmine è stato il dibattito pubblico aperto dai saluti dell’assessore del Comune di Cosenza, Pina Incarnato e della presidente della Provincia di Cosenza, Rosaria Succurro.  Tutto l’evento è stato moderato dalla direttrice di Confcommercio Cosenza, Maria Santagada(rcs)

“FARE” E NON “DEFINIRE” I LEP: SOLO COSÌ
SI PUÒ INIZIARE A PARLARE DI PARI DIRITTI

di PINO APRILE – Prima si fanno i Lep, i livelli essenziali (e uniformi) delle prestazioni (sanità, istruzione, trasporti…), e dopo l’Autonomia regionale (non differenziata). Ripeto: si fanno, non “si definiscono” i Lep o “si finanziano”.

Si fanno; ovvero: prima si mettono tutti gli italiani nella stessa condizione (stessi treni, stesse autostrade, stessi diritti all’istruzione, alla salute, al lavoro…) e poi si può pensare di porli in concorrenza nella gestione dei servizi da garantire ai cittadini “e vediamo chi è più bravo”. Chiaro, no? E semplice. Il contrario è barare, rubare, voler vincere facile: la sapete quella del campionato di pallanuoto nel lager nazista, “prigionieri contro alligatori”? È questo che hanno in mente i secessionisti arricchiti a spese di tutt’Italia e i razzisti.

E fingono di non capire: come grande concessione, il ministro leghista all’Apartheid (“alle Autonomie e alle Regioni”. Del Nord) offre alle tribù terroniche, che i Lep siano definiti in sei mesi (non ci sono riusciti il 22 anni, ora vogliono farci credere di sbrigarsela in 180 giorni), da una commissione furbescamente a maggioranza leghista (ovvero del partito retto da un condannato per razzismo); e, ove non ci si riuscisse (pare che si corra tale rischio!), si gira tutto a un commissario unico con il compito di far da solo quello di cui non è stata capace la “qualificata” commissione.
Tempo? Sei mesi, ferie e feste comprese; poi un decreto preparato da Calderoli e firmato da Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, trattata («Firma qua!») qual prestanome da falso condominiale, visto che il capo del governo può emettere decreti amministrativi, non leggi di rilievo costituzionale (non lo dico io, ma giuristi); quindi, un passaggio pro-forma in parlamento: zero diritto e possibilità di intervenire, solo votare sì o no a scatola chiusa, per approvare come gregge o cade il governo e si va tutti a casa! Fine della favoletta dell’estrema destra che raggiunge il potere e tenta di camuffarsi da partito conservatore, mostrandosi obbediente ai veri padroni del vapore, nazionali e no (tassare gli extra-profitti delle grandi compagnie dell’energia, come gridato da Giorgia Meloni pre-governo? No: bollette mostruose a famiglie e aziende, come prima; taglio di accise sui carburanti, come da Meloni e Salvini pre-governo? No: prezzi da strozzini alla pompa, come prima; eccetera).
E con questo, “definire i Lep”, il furbetto del Giambellino, Calderoli Roberto, pensa di liquidare la faccenda. Ma posto che davvero li definiscano (ripeto: in sei mesi, dopo 22 inutili anni), poi bisogna finanziarli: i servizi, dalla salute alla scuola eccetera, hanno un costo, vanno pagati. Con quali soldi? E qui Calderoli svicola, di fatto, nella sua bozza per l’Autonomia differenziata: in pratica, andrebbero finanziati, senza toccare il dippiù che da sempre le Regioni arricchite del Nord si prendono a spese del resto del Paese. Una presa in giro, perché soldi non ce ne sono: siamo in deficit.
E poni si riuscisse a ricavarne fra le pieghe di bilancio, si tratterebbe di qualche miliardo? Addirittura qualche decina? Sono tanti? Pochi? Sono nulla, visto che solo per i tre-quattro servizi essenziali più importanti (e in elenco ce ne sono 23, pur se non tutti con uso di Lep), di miliardi ne servono da 80 a 100, calcolò l’allora ministro incaricato Francesco Boccia. Quindi, ci vogliono fottere, ancora una volta, con il giochino delle tre carte padane.
Ma facciamo un salto nel mondo della fantasia e immaginiamo che davvero si disponga che i Lep vengano finanziati per come è necessario (dai cento miliardi in avanti, tutti insieme, al Sud, per i diritti sempre negati. Pozz’essere cecato chi nun ce crede). Potremmo sentirci finalmente garantiti e sarebbe soddisfatta la condizione “Prima il Lep”, poi l’Autonomia (non differenziata)?
I finanziamenti sono una certezza a Nord e volatili a Sud. Devo ricordare qualche esempio? Un governo Berlusconi stanziò 3,5 miliardi di euro per la realizzazione delle prime opere del Ponte sullo Stretto di Messina (ma a me piace chiamarlo, come suggerisce il professor Pasquale Amato: Stretto di Scilla e Cariddi); il governo cade, arriva Prodi, leva i 3,5 miliardi dal Ponte (lui è contrario) e li destina sempre a quell’area geografica, ma per strade dissestate e porti; il governo cade e torna Berlusconi: il ministro Tremonti toglie quei 3,5 miliardi da strade e porti di Sicilia e Calabria e li usa per abbuonare l’ici sulle case di lusso (una delle poche tasse sui ricchi).
E il miliardo per i ricercatori del Sud e le start-up (nuove aziende) da far sorgere sulle loro idee, stanziato dal governo Prodi? Con il governo Berlusconi lo stanziamento viene girato alle società di navigazione sul lago di Garda, per l’illuminazione del Veneto, l’industria delle armi bresciana, e altre urgenze nordiche. E i soldi per il Sud spesi per aiutare le aziende casearie emiliane, con l’acquisto di stato e di favore di centomila forme di parmigiano? E i 3,5 miliardi bloccati per il Sud, con legge, nel Fondo di Coesione? Il governo Renzi, per mano del ministro Graziano Delrio li sblocca cambiando la legge e li usa per incrementare l’occupazione al Nord, dove c’è il più basso tasso di disoccupazione, a danno del Sud, che ha il maggior indice europeo di senza lavoro. Devo continuare?
Quindi, “definire” i Lep non garantisce niente; “finanziarli” nemmeno; fare i Lep può garantire qualcosa, verificando cosa e quanto e come. Solo allora, a parità di diritti riconosciuti e ugualmente resi a tutti gli italiani e ai territori, di Autonomia (non differenziata) si potrebbe, forse, parlare. Questa è una cosa chiarissima, ma intorbidiscono le acque, per celare l’ovvio.
La determinazione e la spudoratezza con cui un partitino dell’8 per cento (in calo) lo fa, sono accentuate dall’imminenza delle elezioni regionali in Lombardia, dove il candidato della Lega è un ronzino zoppo: Attilio Fontana, il presidente della Regione che gestì peggio di tutti (non in Italia, al mondo, secondo il Los Angeles Time) la pandemia di covid-19, facendo riaprire gli ospedali infetti e liberamente andar via nel resto del Paese, dalle zone dei focolai, centinaia di migliaia di persone senza alcun controllo. In più, fallita la strategia della “Lega nazionale”, e mentre rischia la scissione guidata da Umberto Bossi, Salvini punta sull’Autonomia differenziata per rinverdire gli egoismi animali della Lega-Nord. Se perde le elezioni pure in Lombardia, non gli resta che cercare qualcosa che (come Bossi e altri) non ha mai conosciuto in vita sua: un lavoro.
Giorgia Meloni è ostaggio della disperazione leghista, del confuso attivismo del suo ministro all’Apartheid e delle balle senza ritegno dei sostenitori della Secessione dei ricchi, da Stefano Bonaccini, Pd, presidente dell’Emilia Romagna, a Luca Zaia, Lega, presidente del Veneto. Il primo continua a dire di non volere un euro in più di quanto già riceva la sua Regione e a sperare che la furbata passi non capita.
Il fatto è che proprio il criterio di suddivisione delle risorse nazionali seguito finora, la “spesa storica” (troppo, quasi tutto a poche regioni del Nord, e il nulla o poco più al Sud) è la causa dello squilibrio economico e geografico; ed è la “spesa storica” che i marpioni pigliatutto vogliono garantirsi con legge costituzionale: «Non chiediamo un euro in più», dice, senza vergogna, Bonaccini (Ma va’!); nella più recente delle interviste in ginocchio del Corriere della sera a Zaia, il presidente veneto, senza obiezioni da parte dell’intervistator cortese, spara castronerie galattiche, tipo: «Non ci sono regioni più ricche, perché hanno avuto di più» (no: quelle del Nord emersero dalle acque primordiali già con tutte le autostrade, le ferrovie, l’alta velocità, i Centri di ricerca, le pedemontane a costi da record mondiale a chilometro e non percorse da nessuno, le Olimpiadi invernali a costo zero e le Expo strafinanziate che chiudono in deficit…: mica roba pagata da tutti gli italiani; mentre le Ferrovie dello stato non sanno che esiste Matera, nei paesi del Sud non si arriva perché le strade sono franate, il Ponte sullo Stretto non si fa, perché c’è la mafia, che va bene, “imprenditoriale” solo al Nord…); oppure che l’Autonomia ci può «rendere un Paese bellissimo e con infinite risorse» (al Nord, ovvio, sottraendole agli altri), «moderno come il mondo ormai richiede».
Sì, Zaia, e sarà ogni giorno Natale, festa tutto l’anno, il leone e l’agnello giaceranno insieme (ma l’agnello non chiuderà occhio, se ricordate la battuta). L’altra carognata con cui vogliono rendere “logica” la pretesa dell’Autonomia differenziata è: noi (faccio un esempio semplificato) abbiamo scolari che finite le elementari, devono proseguire gli studi e serve costruire le scuole medie, perché non dovremmo avere (da tutti gli altri) i soldi per farle, solo perché al Sud sono analfabeti?
Il fatto è che le elementari, con i soldi di tutti, le hanno fatte solo al Nord e al Sud sono rimasti analfabeti; ora, quel vantaggio acquisito a danno dell’equità territoriale e della parità dei diritti, diviene un merito del ladro e una colpa del derubato, perché il primo continuerà a pretendere (vuoi fermare la locomotiva?) le scuole superiori, le università e il secondo sarà insultato per la sua ignoranza, mentre resta senza le elementari, perché non ci sono soldi per tutti e per tutto (ma quelli di tutti sempre agli stessi, sì). È così che al Nord progettano di farsi finanziare l’hyperloop (il treno monorotaia da 1.200 km all’ora), mentre al Sud son stati tagliati più di mille chilometri di ferrovia e città capoluogo di Provincia (non solo Matera) sono senza treni e per curarsi, studiare, lavorare, bisogna emigrare inseguendo i soldi rubati al Mezzogiorno.
Ma così quanto tempo ci vuole per metter tutti gli italiani a parità di diritti e condizioni? E che ne so: anni? Decenni? E a quando slitterebbe, così, l’Autonomia (non differenziata)? Non ne ho idea e me ne occupo: il mio problema è riuscire a diventare, dopo più di 160 anni, un cittadino italiano vero, non di serie inferiore.
Giorgia Meloni è finalmente (sogno della vita sua e dell’estrema destra) al governo del Paese, anzi, “della Nazione”; ma può restarci solo se non rompe con la Lega-Nord che la ricatta; e quindi deve assecondarla sull’Autonomia differenziata. Ma se passa quella porcheria, si rompe il Paese, anzi “la Nazione”, per eccesso di disuguaglianze (l’Italia è già il Paese più ingiusto del mondo) e perché il Sud, sempre più convinto che meglio soli che mal accompagnati, se non c’è parità di diritti e possibilità, comincia seriamente a considerare la secessione come l’unica via di uscita da uno stato coloniale. (pa)