IN CALABRIA L’ECONOMIA CRESCE, MA IL
RITMO È LENTO E PERMANE INCERTEZZA

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Cresce a ritmi lenti e discontinui l’economia in Calabria: nel primo semestre del 2024, infatti, si è registrato un aumento del +0,4% del Pil. È quanto emerso dal Report della Banca d’Italia sull’economia calabrese, in cui viene evidenziata una crescita moderata, nei primi nove mesi dell’anno, per il fatturato delle imprese calabresi, mentre la redditività e la liquidità aziendale sono rimaste sui livelli elevati dello scorso anno.

Il report, poi, ha rilevato come «l’industria in senso stretto ha mostrato segnali di ripresa, sospinta principalmente dal comparto alimentare, che ha tratto vantaggio anche dall’aumento della domanda estera. Nel settore delle costruzioni è proseguita la fase espansiva del segmento delle opere pubbliche, che ha beneficiato degli interventi legati al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr); l’edilizia privata ha invece risentito del ridimensionamento degli interventi di riqualificazione connessi al Superbonus. L’espansione del settore terziario è stata frenata dalle difficoltà nel commercio al dettaglio».

I livelli occupazionali in regione hanno continuato a crescere, «sebbene a un ritmo inferiore rispetto alla media nazionale – dice il report – alimentati dalla componente del lavoro alle dipendenze».

«Secondo i dati della Rilevazione sulle forze di lavoro dell’Istat – si legge – nella media dei primi sei mesi dell’anno in corso il numero degli occupati in Calabria è aumentato dell’1,2 per cento rispetto allo stesso periodo del 2023. L’incremento risulta tuttavia inferiore rispetto a quello osservato in Italia e soprattutto nel Mezzogiorno (rispettivamente 1,5 e 2,5 per cento)».

«Il tasso di occupazione – continua il report – ha raggiunto il 44,3 per cento (era il 43,5 nello stesso periodo del 2023, per effetto anche dalla riduzione della popolazione in età da lavoro (15-64 anni), diminuita dello 0,4 per cento rispetto al primo semestre del 2023; il divario del tasso di occupazione regionale dalla media nazionale è rimasto comunque ampio e costante (pari a 17 punti percentuali)».

«L’aumento del numero di occupati si è associato ad una riduzione delle persone in cerca di un impiego; il tasso di disoccupazione è, quindi, diminuito al 15,4 per cento – emerge dal report –pur confermandosi superiore alla media del Mezzogiorno e doppio rispetto a quello nazionale. La partecipazione al mercato del lavoro è invece rimasta stabile: il tasso di attività si è attestato al 52,6 per cento, un valore analogo a quello del primo semestre 2023».

Importante il dato che riguarda l’incremento dell’occupazione, che ha riguardato prevalentemente le donne, con una conseguente riduzione del differenziale fra il tasso di occupazione maschile e quello femminile a 23,6 punti percentuali (era 24,9 nello stesso periodo dell’anno precedente). È stato, inoltre, alimentato dalla componente del lavoro alle dipendenze mentre il numero dei lavoratori autonomi è tornato a contrarsi, seguendo la riduzione del numero di imprese individuali attive riscontrata nel corso del semestre.

L’incremento dell’occupazione ha contribuito a sostenere i redditi delle famiglie calabresi, aumentati anche in termini reali grazie alla crescita contenuta dei prezzi. Ciononostante i consumi delle famiglie si sono leggermente ridotti, risentendo ancora dell’ampia perdita del potere d’acquisto accumulatasi nel biennio 2022-23; è rimasto elevato il ricorso al credito al consumo».

La dinamica del credito bancario al settore privato non finanziario è divenuta lievemente negativa; la contrazione ha interessato i finanziamenti alle famiglie per l’acquisto dell’abitazione e soprattutto i prestiti alle imprese di piccola dimensione. La domanda è stata ancora frenata dall’elevato costo del credito, seppur in lieve calo; l’atteggiamento degli intermediari è stato improntato a una maggiore cautela.

Il tasso di deterioramento dei crediti alle imprese è aumentato di poco, mantenendosi su livelli storicamente contenuti. Dopo la riduzione dello scorso anno, i depositi bancari delle famiglie sono tornati a crescere; è risultato ancora alto l’interesse verso le forme di risparmio maggiormente remunerative, soprattutto titoli di Stato e obbligazioni bancarie.

Andando più nel dettaglio, per il settore dei trasporti, i passeggeri transitati per gli aeroporti regionali nei primi nove mesi dell’anno sono cresciuti del 2,3 per cento. Al calo della componente domestica si è contrapposto l’aumento dei flussi esteri, che è stato favorito dall’incremento dei voli internazionali (di circa un quinto), riferibile in gran parte alle nuove rotte introdotte nello scalo di Reggio Calabria. Per il Porto di Gioia Tauro, invece, continua il trend positivo di crescita iniziata nel 2019: la movimentazione di container nei primi nove mesi dell’anno è salita del 10,5 per cento rispetto al corrispondente periodo dell’anno scorso (era cresciuta del 5 per cento nel 2023).

Tasso negativo, invece, per il «tasso di natalità» delle imprese individuali e per le società di persone, che è negativo, mentre quello generale ha registrato un risultato pari allo 0,4%, in linea con la media italiana e con il dato del periodo corrispondente del 2023.

Per quanto riguarda la situazione reddituale delle imprese, queste hanno continuato a mantenere ampie disponibilità liquide, prevalentemente nella forma di depositi a vista. Nel primo semestre il grado di liquidità, misurato come il rapporto tra la somma di depositi e titoli quotati e l’indebitamento finanziario a breve, è rimasto sostanzialmente stabile su valori elevati.

La crescita delle esportazioni di merci, in atto dal 2021, è proseguita anche nel primo semestre dell’anno in corso. Le vendite a prezzi correnti sono aumentate del 18 per cento rispetto al corrispondente periodo del 2023.

L’incremento ha interessato i principali settori di specializzazione regionale, soprattutto i prodotti dell’industria alimentare e le sostanze e prodotti chimici, che insieme rappresentano oltre il 60 per cento delle esportazioni. Con riguardo ai mercati di sbocco, l’aumento ha riguardato gli scambi verso i paesi extra UE, in particolare quelli asiatici. (ams)

IL LAVORO IN CALABRIA E AL MEZZOGIORNO
COSTERÀ DI PIÙ PER I TAGLI A FINANZIARIA

di PABLO PETRASSO – Il lavoro in Calabria costerà di più: la manovra del governo stoppa – su input dell’Unione europea – la decontribuzione Sud. Un bel risparmio che il Mezzogiorno rischia di pagare in termini di occupazione.

Non si tratta solo di una revisione della spesa. Oltre ai tagli lineari ai ministeri e ai definanziamenti come quello che colpisce il fondo per l’automotive, il disegno di legge di Bilancio per il 2025 recupera risorse anche eliminando la decontribuzione Sud, l’esonero contributivo del 30% introdotto durante la pandemia per i datori di lavoro situati in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Questo aiuto era valido non solo per le nuove assunzioni ma anche per i lavoratori già in forza.

L’agevolazione, che Giorgia Meloni aveva dichiarato di voler rendere “strutturale”, sarà abolita dal 2025 perché Bruxelles non ha rinnovato l’autorizzazione al maxi aiuto di Stato. Il ministro Raffaele Fitto aveva promesso che Roma avrebbe introdotto “misure analoghe”, ma la nuova agevolazione prevista nella manovra ha un costo molto inferiore.

Indipendentemente dall’efficacia di quell’incentivo, discutibile dato che più della metà degli sgravi è stata utilizzata per incentivare assunzioni a termine e stagionali, spesso part-time, si tratta di un’operazione di taglio mascherato che – secondo le letture più critiche – il governo avrebbe fatto passare sotto silenzio. Anche perché la conferenza stampa di Giorgia Meloni per illustrare la finanziaria e rispondere alle domande dei giornalisti, annunciata da Giancarlo Giorgetti per il 21 ottobre, non si è mai tenuta, senza che Palazzo Chigi abbia fornito spiegazioni.

Il taglio emerge chiaramente dalla memoria depositata alla Camera dall’Ufficio parlamentare di bilancio durante l’audizione sul disegno di legge. «Le spese si riducono soprattutto per effetto del definanziamento della cosiddetta decontribuzione Sud, pur tenendo conto della contestuale istituzione di un fondo per interventi volti a mitigare il divario nell’occupazione e nello sviluppo dell’attività imprenditoriale nelle aree svantaggiate del Paese e della proroga per il 2025 del credito di imposta Zes», scrive l’organismo indipendente commentando le misure dedicate alle imprese.

All’agevolazione nata nel 2020 erano destinati, ricorda l’Upb, 5,9 miliardi nel 2025, 3 miliardi nel 2026 e 4,4 miliardi nel 2027, per un totale di 13,3 miliardi nel prossimo triennio. Il nuovo Fondo destinato a finanziare politiche per il Mezzogiorno, che potrà concedere agevolazioni per l’acquisizione di beni strumentali da parte delle aziende del Sud, avrà invece “solo” 2,45 miliardi per l’anno prossimo, 1 miliardo nel 2026 e 3,4 miliardi nel 2027: in totale 6,85 miliardi, poco più della metà. Sommando gli 1,6 miliardi del credito di imposta per la Zona economica speciale per il Mezzogiorno si arriva a 8,45 miliardi: quasi 5 miliardi in meno rispetto alla dotazione della Decontribuzione. Questi fondi vengono utilizzati per coprire altre spese previste nella manovra.

A bocciare questo approccio è il capogruppo del M5S in decima commissione Senato Orfeo Mazzella: «Questa decisione, che penalizza le regioni del Mezzogiorno, rappresenta un grave passo indietro per lo sviluppo economico delle aree già fragili. Pertanto, reputo fondamentale che il Governo ripristini misure adeguate di sostegno al Meridione: voltarsi dall’altra parte vuol dire continuare a incrementare il gap Nord-Sud». (pp)

[Courtesy LaCNews24]

L’UTOPIA DELL’OCCUPAZIONE FEMMINILE
AL SUD È ANCHE UNA QUESTIONE EUROPEA

di PABLO PETRASSO – «Con l’Autonomia differenziata la condizione delle donne siciliane peggiorerà». E sarà così per tutto il Sud, «uno degli effetti di una misura che indebolirà complessivamente il Mezzogiorno andando a incidere negativamente su servizi essenziali come sanità e scuola, sulle infrastrutture, sullo sviluppo e il lavoro. E a farne maggiormente le spese saranno i soggetti, come appunto le donne ma anche i giovani, che hanno già una posizione di debolezza nel mercato del lavoro».

A inaugurare il nuovo fronte è il manifesto che sarà presentato in Sicilia ed è intitolato “La controffensiva delle donne all’Autonomia differenziata”. Non a caso l’appuntamento è a Nicosia, in provincia di Enna, davanti al punto nascita dell’ospedale. La precarietà delle donne e le difficoltà che si vivono nelle aree interne: due vittime annunciate della riforma Calderoli.

Dati e prospettive fanno dire a Svimez che il tema del lavoro delle donne al Sud è una questione europea. Una di quelle materie in cui il divario Nord-Sud è netto e cristallizzato. «Il divario di genere nelle opportunità di accesso e carriera nel mercato del lavoro – argomenta l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno – rimane un tema fortemente attuale nel nostro Paese, e particolarmente allarmante nel Meridione. Le regioni del Sud occupano le ultime posizioni nella classifica europea per tasso di occupazione femminile: circa sette donne su dieci non lavorano; a livello nazionale, la percentuale si attestava al 57,3% a fronte di una media europea del 65%».

La mappa restituisce plasticamente le differenze regionali: il Sud mostra tassi di occupazione femminile tra il 31 e il 35%; al Centro-Nord si raggiungono punte del 62%. La Cgil si aspetta, per cancellare la legge, «un forte contributo» dalle donne «che invece di vedere diminuiti divari e migliorata la loro condizione la vedranno senza dubbio peggiorare».

Altri numeri che aiutano a inquadrare il caso: l’indagine straordinaria sulle famiglie italiane della Banca d’Italia mostra come, durante le sospensioni scolastiche connesse alla pandemia, il lavoro di cura sia ricaduto sul genitore che non lavorava (solitamente la madre) nel 61% dei casi nel Mezzogiorno (41,5% nel Centro-Nord). Allo stesso tempo, al Sud, i genitori hanno fatto meno ricorso allo smart working (4,1% contro il 17,6% nel Centro-Nord). La pandemia, peraltro, «ha fiaccato – riporta Svimez – maggiormente l’occupazione femminile, allargando la forbice con gli occupati maschi, compromettendo anche le opportunità di progressione delle madri. Più in generale, a livello nazionale, nel 77% dei casi, le convalide di dimissioni di genitori con figli tra 0 e 3 anni è ascrivibile alle donne, principalmente con profilo impiegatizio (53%) e operaio (39%)».

È un problema di sistema: al Sud ci sono meno possibilità per svolgere attività extra didattiche e sono le donne a mettere in secondo piano le proprie ambizioni lavorative per sopperire alle carenze dello Stato. Ovviamente si sconta la mancanza di un welfare e di politiche che incentivino la conciliazione famiglia-lavoro. In questo senso, l’Autonomia differenziata rischia di cristallizzare disagi e differenze, assieme al gap per la condizione femminile.

E la condizione attuale dice che «al Sud la condizione di genitorialità per le donne risulta ancora più penalizzante in ambito lavorativo, specialmente se con figli in età prescolare: solo il 37,8% delle madri meridionali con figli fino a 5 anni ha un lavoro (65,1% al Centro-Nord), la metà rispetto ai padri (82,1%). Dati allarmanti che ci restituiscono l’immagine di un Mezzogiorno ancora schiacciato sul male breadwinner model, un modello di sostentamento economico delle famiglie prevalentemente maschile». Lo Stato non aiuta le donne meridionali e questa versione della riforma rischia di lasciare tutto com’è.

Il problema è strutturale e non regge neppure la spiegazione del più basso grado di scolarizzazione delle donne tradizionalmente utilizzata per motivare la “segregazione” femminile sul mercato del lavoro. Per Svimez il dato è contraddetto dall’evidenza empirica: «I divari di genere nei tassi di occupazione e nelle retribuzioni persistono nonostante i percorsi formativi delle donne siano divenuti nel tempo più ambiziosi di quelli degli uomini».

Nel confronto europeo, invece, la quota di donne italiane laureate è sensibilmente più contenuta: nessuna regione italiana presenta un valore pari o superiore alla media. Valori particolarmente bassi si osservano in Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. Italia tra le ultime in Europa, il Sud staccato dal resto del Paese. Uno schema che si ripete, al quale l’Autonomia differenziata à la Calderoli offre risposte insufficienti, che rischiano di affossare il Sud e non tireranno il Nord fuori dalle secche della crisi. (pp)

[Courtesy LaCnews24]

fotografia: Karolina Grabowska da Pixabay

NIENTE CUNEO FISCALE, UNA VERA MAZZATA
PER IL MERIDIONE CHE VUOLE CRESCERE

di PIETRO MASSIMO BUSETTAPochi sono i dati necessari a descrivere il nostro Mezzogiorno, due in particolare: popolazione complessiva e occupati, compresi i sommersi. 

Bene la popolazione è 19.775.832, gli occupati secondo l’Istat 6.306 mila. Partendo da tali dati è necessario un piano di sviluppo sistemico che consenta di arrivare al rapporto funzionale delle realtà a sviluppo compiuto. Se come benchmark prendiamo la Emilia Romagna, che con 4.455.188 abitanti al 31.12.2023 ha 2.055.000 occupati, quindi con un rapporto tra popolazione ed occupati di circa il 45%, il Mezzogiorno, alla fine del suo processo di sviluppo, che in una previsione non particolarmente ottimistica potrebbe avere un percorso di non più di 10 anni, dovrebbe avere nove milioni di occupati, compresi i sommersi. 

Per cui una tabellina di marcia possibile dovrebbe prevedere un incremento medio di un saldo occupazionale, differenza tra assunti e licenziati, di 300.000 occupati ogni anno. Da dove dovrebbero arrivare tali incrementi è presto detto: le gambe sono prevalentemente tre, con il loro indotto: la logistica, il turismo e il manifatturiero. 

Dalla prima branca ci si può aspettare un contributo importante, la portualità del Sud è numericamente ricchissima e, se approfitta del potenziamento di Gioia Tauro e Augusta per le merci e della messa a regime delle decine di porti che sono posti sulle miglia di chilometri della costa meridionale, il risultato quantitativo potrebbe avvicinarsi anche al milione di occupati in più. 

Per avere un ordine di grandezza si pensi che la sola Rotterdam, tra occupati diretti del porto e quelli del retroporto, ha un numero di occupati vicino alle 700.000 unità. 

La seconda branca è quella del turismo. In una ipotesi impegnativa  di un incremento di presenze del 100%, cioè da 80 milioni a 160 milioni, fisiologico per il Sud, considerato che oggi il solo Veneto ne fa altrettanti, avremmo una occupazione nel settore che andrebbe dal 3 per mille al 6 per mille; cioè da 240.000 a 480.000 come massimo. 

Tale massimo si raggiunge quando le realtà sono piccole. Quindi nel caso di incrementi di tal tipo che dovrebbero coinvolgere grandi strutture saremmo più vicini al 3-4 per mille. Ma supponiamo un dato intermedio di 360.000. Considerato che l’agricoltura continuerà a perdere addetti, come è evidenziato da tutti gli studi del settore delle realtà a sviluppo compiuto, il manifatturiero dovrebbe essere, come in tutte le realtà evolute, quello che dovrebbe contribuire maggiormente all’incremento occupazionale. 

Per tale obiettivo non può essere sufficiente la base produttiva esistente,ormai ferma da oltre 10 anni, quindi è necessario che si attraggano investimenti dall’esterno dell’area. È quello che dovrebbe fare la Zona Economica Sud. 

Per attrarre investimenti dall’esterno dell’area, necessari per aumentare l’occupazione del  manifatturiero e del Pil prodotto dalle regioni meridionali, sono necessarie molte condizioni. Le due indispensabili riguardano l’infrastrutturazione, sulla quale c’è un impegno molto rilevante da parte del Governo, che con gli investimenti sulla Napoli-Bari, sull’alta velocità ferroviaria Salerno-Reggio Calabria  che si completerà con il ponte sullo stretto e con la Messina – Catania – Palermo e sulla ionica, renderà il Sud attraversabile cosa finora impossibile. 

E poi la lotta alla criminalità organizzata, perché l’imprenditore vuole rischiare il suo capitale, certamente non la vita. Ma poi vi sono anche le condizioni di vantaggio per fare scegliere le nostre aree invece che quelle della Polonia o dell’Ungheria. In tal senso bisogna competere con il costo del lavoro, particolarmente basso in altri Stati dell’Unione e con la tassazione degli utili d’impresa, altrove più contenuti. 

Bene il provvedimento per ridurre il cuneo fiscale tende a proprio a rendere il costo del lavoro più basso. Solo che un approccio populista del Governo Giuseppe Conte lo estese a tutto il sistema imprenditoriale del Sud, con un costo che avevamo previsto non sarebbe stato sopportabile.  

Infatti lo sgravio sul costo del lavoro che vale 3,3 miliardi all’anno e si applica dal 2021 a 3 milioni di lavoratori dipendenti, aiutando  così migliaia di imprese meridionali «termina a giugno». Il ministro per il Sud Raffaele Fitto lo ha detto chiaro ai sindacati che la misura termina. 

L’esecutivo di destra questa volta non ha intenzione di ottenere un’altra proroga dall’Unione europea che, sbagliando, forse l’avrebbe concessa. 

E si, perché tali vantaggi, se concessi a una platea così ampia, finiscono col perdere l’obiettivo per cui erano stati creati. Cioè di rendere le localizzazioni nuove più accattivanti, fungendo invece da intervento a pioggia per tutte le attività, lasciando peraltro sul mercato anche aziende che invece di creare ricchezza la distruggono e che sarebbe bene  siano chiuse. 

Una misura compensativa giustificata dal fatto che produrre al Sud costa di più perché mancano infrastrutture e servizi. La misura nasce nel 2021 e fu finanziata con i fondi europei del React-Eu e poi con i fondi nazionali di sviluppo e coesione. 

Il progetto era che finisse nel 2029 con una diminuzione della misura del 30% dello sgravio quest’anno e successivamente 2026 e 2027 del 20%, e infine del 10% nel 2028 e 2029. Anche questa logica era sbagliata ma ovvia perché rivolgendosi ad una platea così ampia doveva progressivamente ridursi. 

Si spera che adesso si ritorni al ruolo, fondamentale, che doveva avere, cioè di riduzione del costo del lavoro per alcuni anni per i nuovi insediamenti, per esempio per 10 anni, che creano nuova occupazione.

Purtroppo quando si gioca con mance e mancette, riducendo gli strumenti di politica economica, fondamentali per lo sviluppo, a occasioni  per alimentare il consenso, gli apprendisti stregoni ottengono l’effetto scontato, di far impazzire lo strumento non conseguendo gli effetti voluti  o renderlo talmente oneroso da non consentirne la permanenza. Adesso bisognerà rimetterlo con interventi selezionati perché in realtà é fondamentale. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

Occhiuto (FI): Serve grande piano per occupazione giovanile al Sud

Il senatore di Fi, Mario Occhiuto, ha evidenziato come «non ci saranno mai risorse sufficienti da destinare ad un territorio per promuoverne lo sviluppo se manca il capitale umano, le giovani menti, la capacità di innovare e la creatività».

«La nostra visione, allora – ha spiegato – deve essere rivolta al futuro proponendo di mettere in atto un grande piano per l’occupazione giovanile, non con gli strumenti dell’assistenzialismo ma piuttosto legandolo alla transizione ambientale e digitale e alle nuove professioni che nasceranno grazie anche all’IA, in modo da bloccare la migrazione intellettuale e valorizzare le enormi potenzialità dei territori».

«Forza Italia dà sostegno a questo provvedimento – ha concluso – che vuol dire anche un’apertura di credito nei confronti del Governo in questa direzione». (rp)

L’OPINIONE / Francesco Napoli: Come creare sviluppo se non si spendono fondi Pnrr?

di FRANCESCO NAPOLI –  Il Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede per l’Italia le risorse più ingenti, 191 miliardi di euro. Tantissimi soldi, gran parte a prestito, che però il nostro Paese fa fatica a spendere: appena il 14%.

Gli economisti milanesi Boeri e Perotti hanno osservato che «si è voluto portare a casa più soldi possibili per porsi il problema di come spenderli».

Al contrario si sarebbero dovute definire «le nostre esigenze e le nostre priorità, le nostre capacità di realizzare e decidere di conseguenza quanto prendere a prestito».

Entro quest’anno l’Italia avrebbe dovuto spendere 60 miliardi, siamo a meno della metà. Se si dovesse continuare su questa strada ovvero ad avanzare a ritmo di 500 milioni di spesa al mese non solo l’economia non ripartirà ma difficilmente si chiuderà il piano entro giugno 2026.

Il Pnrr è nato per rilanciare l’economia e avviare le transizioni verde digitale ed aumentare, come effetto a medio e lungo termine, la resilienza del tessuto economico rispetto alle sfide del mercato globale

È urgente, in un periodo di crescita zero per l’intero territorio nazionale con una situazione allarmante per il Sud, accelerare semplificazioni e snellimenti della macchina burocratica, azioni necessarie per mettere a terra subito le risorse, aprire i cantieri e, sul fronte privato, far decollare un grande piano di sviluppo economico. (fn)

[Francesco Napoli è presidente di Confapi Calabria]

L’OPINIONE / Giuseppe Neri: il Sud ha un ruolo strategico per l’Italia, per l’Europa e il governo Meloni,

di GIUSEPPE NERI – Il Sud ha un ruolo strategico per l’Italia, per l’Europa e il governo Meloni, in questi 10 mesi, ha dimostrato massima attenzione  al Meridione.

La Zes (zona economica speciale) è la dimostrazione di ciò e per la nostra Regione è sicuramente, una grande opportunità di crescita in quanto può attrarre nuovi investitori, anche esteri.

La Calabria, terra che vanta una storia millenaria, ricca di risorse naturali, un inestimabile patrimonio architettonico, talentuose professionalità da impegnare in questa difficile ma possibile crescita economica, culturale, sociale e tutto il Sud, possono avviare una nuova stagione di investimenti con ricadute rilevanti sull’occupazione. Tra le priorità della giunta Occhiuto in piena sinergia con il governo Meloni, rientrano i trasporti, le infrastrutture, un masterplan per la SS106 Jonica, la riprogettazione per la statale 18, occupazione, sanità, servizi, Pnrr.

E ancora, l’alta velocità fino a Reggio Calabria che, assieme al rilancio dell’aeroporto “Tito Minniti”, costituiscono le infrastrutture connesse alla realizzazione del ponte sullo Stretto. Peraltro, la completa valorizzazione delle enormi potenzialità dei porti di Gioia Tauro e il potenziamento di quello di Reggio e di Saline Joniche, possono costituire uno strumento di sviluppo e crescita. In tale contesto proseguiremo l’attività istituzionale nell’ambito dell’Area dello Stretto, che rappresenta la vera sfida per il futuro di Reggio. Sfide che dobbiamo portare a termine per dare finalmente, un futuro più stabile ai nostri cittadini. Non sono ammessi errori, andiamo avanti con impegno e idee progettuali da realizzare in tempi brevi.

Per Fratelli d’Italia e per tutto il centro destra regionale e nazionale, gli obiettivi da raggiungere sono tanti e volontà del partito è di organizzare su tutto il territorio calabrese, giornate di studio e confronto con la comunità, le istituzioni, il mondo associazionistico, i giovani, gli ordini professionali per avviare un dialogo costruttivo. Insieme possiamo creare sviluppo non solo per il Mezzogiorno, ma per l’intero Paese. (gn)

[Giuseppe Neri è consigliere regionale di Fdi]

Inclusione e occupazione, incontro tra assessore Calabrese e presidente Anpal Servizi

L’assessore regionale alle Politiche per il Lavoro, Giovanni Calabrese, ha incontrato il presidente nazionale Anpal servizi, Massimo Temussi in Cittadella regionale.

Al tavolo di lavoro hanno preso parte anche il direttore generale del Dipartimento regionale Lavoro e Welfare, Roberto Cosentino, i dirigenti Valeria Scopelliti, Cosimo Cuomo e Carmelo Pontorieri, il commissario di Azienda Calabria Lavoro, Elena Latella; per Anpal servizi anche il direttore generale Mauro Tringali, il responsabile Campania-Calabria Michele Raccuglia e il direttore dei territori Marco Antonelli.

«Si è trattato – ha dichiarato l’assessore Calabrese – di un incontro proficuo in cui si sono affrontate le problematiche e le opportunità del mercato del lavoro. Ringrazio per la sua presenza il presidente Temussi che ci permette di avviare un confronto e illustrare il lavoro che il Dipartimento sta attuando su tutte le misure di inserimento lavorativo, nonché le azioni volte a far fronte al precariato. Plaudo al lavoro di Anpal servizi che sta operando ad un cambiamento culturale e centrando la sua attenzione sulla creazione di reali profili occupazionali, sterzando sulla logica dell’assistenzialismo».

Nel suo intervento il presidente Temussi ha posto l’accento sulla reale trasformazione da attuare per giungere alle politiche attive che oggi, con gli strumenti nazionali e risorse finanziarie a disposizione, devono portare alla reale occupazione, soffermando la sua analisi sul bacino dei lavoratori da ricollocare con forme nuove ed innovative.

«La situazione in Calabria, come altre regioni del Centro Sud – ha specificato Temussi –, ha delle connotazioni su cui c’è una attenzione elevata. Ho trovato una Calabria strutturata e preparata, oltre che un passo avanti sulle dinamiche dei progetti nazionali. Questo ci permetterà insieme ad Anpal servizi e le sue figure professionali di avviare con la Regione un programma di lavoro con una metodologia operativa efficace sulle politiche attive facendo fronte alle tante misure di sostegno: Misura di Inclusione attiva, Garanzia giovani, Gol. In un momento in cui il tasso di occupazione cresce, dobbiamo però, paradossalmente, rispondere al grido d’allarme delle imprese che non trovano lavoratori, per cui è fondamentale catalizzare nuove opportunità di lavoro e dalle politiche passive passare a quelle attive». (rcz)

 

L’OPINIONE / Giacomo Saccomanno: Il disastro occupazionale in Calabria e la mancanza di politiche sul lavoro

di GIACOMO SACCOMANNOContinua il trend negativo. Per occupazione, secondo gli ultimi dati riferentesi al 2021, la nostra regione si trova collocata negli ultimi posti, con un divario rilevante nei confronti degli altri territori. In sostanza tra le persone aventi età tra i 15 e 64 anni l’occupazione complessiva è di poco superiore al 40% rispetto alla media europea del 68%! Un pesante divario esiste, poi, tra le regioni del Sud e quelle del Nord Italia che hanno e creano un distacco difficilmente recuperabile.

Poi, nel settore femminile tale distanza aumenta sensibilmente. Infatti, nel mentre al sud il tasso di occupazione è del 32% circa, la media italiana è del 49,4%. In sostanza una “Caporetto” che non si riesce a migliorare e che continua a mietere vittime, specialmente nel settore dei laureati che per poter trovare adeguata sistemazione lavorativa devono scappare dalla Calabria. Una mancanza di adeguata politica sul lavoro che penalizza i calabresi e che impoverisce sempre più la nostra terra, con l’allontanamento delle migliori risorse.

Non sembra che, allo stato, vi siano idee chiare su cosa si debba fare. Certamente, per come gridato da Luigi Sbarra nell’incontro di Roma, organizzato dalla Lega, è indispensabile formare adeguatamente i lavoratori ed investire sulla loro preparazione e sulla indispensabile sicurezza. Vi è una forte denuncia sulla mancanza di lavoratori stagionali (circa 350.000), così come mancano gli specializzati su diversi settori.

Ci chiediamo perché non si sostengono quelle scuole di alta specializzazione come le ITS che, essendo strutture di eccellenza e di alta valenza post diploma, potrebbero permettere di conseguire il titolo di tecnico superiore. Queste sono espressione, infatti, di una strategia fondata sulla connessione delle politiche d’istruzione, formazione e lavoro con le politiche industriali. La corretta formazione di tanti giovani potrebbe far diminuire il divario esistente e qualificare l’offerta creando una rete di efficienza e concretezza. (gs)

Ferrara (M5S): In Calabria appena il 30,5% delle donne risulta occupato

L’eurodeputata del Movimento 5 StelleLaura Ferrara, ha denunciato che, in Calabria, «appena il 30,5% delle donne risulta occupato, stiamo parlando di meno di una donna su tre» e che «Campania, Sicilia, Calabria e Puglia sono tra le regioni europee con l’occupazione più bassa nel 2021, così come riportato dalle ultime tabelle pubblicate da Eurostat. Un divario che diventa ancora più preoccupante se ci si sofferma sul dato dell’occupazione femminile».

Per l’eurodeputata, quella del 1° Maggio è stata «ancora una festa dei lavoratori senza lavoro per gran parte del Sud Italia che non riesce proprio a recuperare il divario con il resto del Paese e d’Europa. In Italia oltre alla grande emergenza occupazionale ci sono 4 milioni di lavoratori poveri, sottopagati, costretti a prendere un sussidio dello Stato».

«C’è una soluzione a questo assurdo paradosso – ha spiegato – oggi abbiamo un disegno di legge sul salario minimo fermo che con la volontà politica può concretizzarsi. Mi auguro, quindi, che questa sia l’ultima festa dei lavoratori senza una legge sul salario minimo in Italia, una misura che il Movimento 5 stelle chiede in maniera urgente anche a livello europeo perché il lavoro dignitoso non può essere sottopagato». (rrm)