L’OPINIONE / Mario Occhiuto: Referendum non semplice voto, ma scelta per il futuro del territorio

di MARIO OCCHIUTO – Il risultato del referendum per la istituzione della Città Unica di Cosenza, Rende e Castrolibero ha sancito la vittoria del NO, e con essa la chiusura di una porta verso un’opportunità che forse non si ripresenterà mai più. Non si è trattato di un semplice voto amministrativo, ma di una scelta che avrebbe potuto cambiare il futuro del nostro territorio, garantendo più risorse, servizi migliori e maggiore attrattività per i giovani e per chi vive qui.

Chi oggi festeggia la vittoria del No deve assumersi la responsabilità di aver bloccato un progetto che puntava a superare il campanilismo e a costruire un’area urbana forte, unita e competitiva. Le divisioni non hanno mai portato sviluppo, e questo territorio continuerà a pagare il prezzo di confini amministrativi che non rispecchiano più la realtà di una comunità che vive già come un’unica città.
Non voglio negare la legittimità della scelta democratica, ma dobbiamo riflettere sul fatto che a prevalere non sono state idee per il futuro, bensì paure, disinformazione e interessi particolari.
Il No non ha proposto una visione alternativa: si è limitato a dire ‘no’ al cambiamento, lasciando il territorio in una condizione di stallo che non fa bene a nessuno.
A chi oggi si sente soddisfatto, chiedo: quali sono i vostri progetti per migliorare la qualità della vita di tutti? Quali proposte avete per garantire ai giovani un futuro qui, senza dover partire? È facile fermare un cambiamento, ma molto più difficile è costruire qualcosa di nuovo.
Per quanto mi riguarda io continuerò a credere che unire le forze sia l’unico modo per garantire un futuro migliore al nostro territorio. La visione di una città unica non muore con questo referendum, perché il bisogno di unità, sviluppo e progresso resta più vivo che mai. Il tempo dirà chi ha davvero lavorato per il bene comune. (mo)
[Mario Occhiuto è senatore di FI ed ex sindaco di Cosenza]

CITTÀ UNICA, SÌ O NO: OGGI IL REFERENDUM
PER DECIDERE SULLA “GRANDE COSENZA”

di SANTO STRATI – Oggi i cittadini di Cosenza, Rende e Castrolibero sono chiamati ad esprimere con un voto il loro parere sulla fusione dei tre comuni. È un referendum consultivo, quindi non impone vincoli per chi governa, ma risulterà sicuramente utile per mettere a confronto favorevoli e contrari.

E soprattutto aiuterà, forse, a capire perché si è arrivati a un quasi scontro tra chi pensa alla “Grande” Cosenza con la modifica dei confini territoriali e chi invece vuol mantenere lo status quo, con la continuità dell’autonomia (non differenziata…) dei tre comuni. Questa della fusione – su cui abbiamo dedicato ampio spazio accogliendo le varie opinioni e mettendo a confronto le tesi a favore e contro – è una battaglia persa in partenza per tutt’e tre i comuni, qualunque sia l’esito referendario, perché sono state prese decisioni dall’alto senza sondare e ascoltare il territorio.

È tornato in auge il vecchio (formidabile) progetto della Grande Cosenza, che piaceva molto a Beniamino Andreatta, primo Rettore dell’Università della Calabria, ma non si è ritenuto di tenere nella dovuta considerazione le ragioni del No, dei sindaci di Rende e Castrolibero. Si è deciso quindi di chiedere ai cittadini un parere consultivo da esprimere attraverso un voto in piena regola. Un voto che non potrà essere un eventuale veto, ma di cui non si potrà ignorare il risultato.

Tra l’altro, nella scheda, i votanti posso anche esprimere un parere su tre proposte per la nuova denominazione del Comune se dovesse passare la fusione (al di là delle indicazioni referendarie che non hanno, appunto, efficacia di legge). Le proposte sono: a) Cosenza, b) Cosenza-Rende-Castrolibero, c) Nuova Cosenza (ma quest’ultima – permetteteci – sembra più una testata giornalistica che il nome di una Città…). Manca invece, a nostro avviso, la denominazione più consona e indicata, se avverrà – come si pensa – la fusione dei tre comuni: ovvero Grande Cosenza. Senza presunzione per l’utilizzo dell’aggettivo “Grande”, ma con la precisa convinzione che prenderebbe piede davvero una “grande” città, secondo un vecchio futuribile progetto poi naufragato.

Oppure – permettete un ulteriore suggerimento – ancora meglio Cosenza Unica, che rende appunto l’idea una “grande” città che ha allargato il territorio con ambiziosi obiettivi di unicità rispetto alle realtà metropolitane del Sud, guardando alla crescita e al futuro delle nuove generazioni. Quest’ultimo, finalmente, sembra sempre più dipingersi di rosa, visti i continui e brillanti successi di Arcavacata. Certo oltre a sfornare fior di laureati e a formare super specialisti, l’Università dovrebbe diventare anche un centro di “reclutamento” per i propri studenti, individuando, nell’intera regione, opportunità di impiego e di utilizzo delle competenze, con una generosa ricaduta su tutto il territorio. Ma questo è un altro discorso.

Torniamo alla “città unica”: Cosenza – è una facile profezia – è predestinata a diventare la Milano del Mezzogiorno, grazie anche a un’Università di eccellenza a cui guarda tutto il mondo. Andate a contare gli studenti stranieri e chiedete quante sono le domande di ammissione – da tutto il mondo – che purtroppo ogni anno devono venire respinte. E la crescita di Cosenza sarà il volano di sviluppo per l’intera Calabria, se finiscono le rivalità di campanile e si pensa, finalmente, a fare rete tra le province calabresi.

Peccato che i politici locali non abbiano voluto sentire ragione dell’opportunità di includere anche Montalto Uffugo nella “città unica”, visto che mezza Università poggia su quel territorio. Ma a tutto c’è rimedio, se prevale il buon senso e non viene a mancare la volontà politica.

Inutile dire che  bisogna osservare che – evidentemente – ci sarebbero due municipalità che vedranno apparentemente “cancellata” la loro storia, ma in realtà la “Grande Cosenza” – a nostro avviso – costituisce una apprezzabile visione di futuro, soprattutto per le nuove generazioni, nel rispetto delle storie e dei traguardi raggiunti dai rispettivi comuni. (s)

Chi vota

Al referendum consultivo (non è richiesto il raggiungimento di alcun quorum dei votanti) sono chiamati gli elettori dei Comuni di Cosenza, Rende e Castrolibero. Le operazioni di voto inizieranno alle ore 8,00 e termineranno alle 21,00. Le operazioni di scrutinio inizieranno immediatamente dopo la conclusione delle operazioni di voto.

Gli aventi diritto al voto sono 55.717, di cui 25.963 uomini e 29.754 donne. I cittadini dell’Aire (Anagrafe Italiani residenti all’estero) che potrebbero tornare in città per esercitare il diritto di voto, sono 4347. 260 sono, invece, i maggiorenni del secondo semestre 2024.

Saranno 82 le sezioni elettorali sparse sul territorio cittadino. Si ricorda che, in occasione delle ultime consultazioni elettorali europee del giugno 2024, l’ufficio elettorale del Comune comunicò lo spostamento di alcuni seggi elettorali approvato dalla Commissione elettorale Circondariale. In particolare i seggi elettorali n.7, 8 e 9 sono stati trasferiti dall’edificio dell’ex scuola elementare di Donnici Inferiore, “Suor Elena Aiello” (strada Provinciale n. 84) all’edificio di località Bivio Donnici, Strada provinciale 241 (ex SS19) che fa parte dell’Istituto Comprensivo Cosenza 1 Zumbini, attualmente adibito a scuola elementare e media.

Un altro spostamento ha riguardato i seggi elettorali n. 29, 30 e 45 dalla sede della ex scuola di via Francesco Principe, già via Asmara, alla sede della scuola dell’infanzia di Via L. Picciotto, già via Somalia, che fa parte sempre dell’Istituto Comprensivo Cosenza 1 Zumbini. Oltre al seggio ordinario istituito presso l’Ospedale civile dell’Annunziata, saranno in funzione altri 5 seggi speciali (dove saranno raccolti i voti dell’Ospedale, espressi dai pazienti non deambulanti, e nelle case di cura e riposo con più di 100 posti letto). Altri 9 seggi volanti saranno allestiti nelle case di cura e riposo con meno di 100 posti letto. (rcs)

 

 

AUTONOMIA, DOPO SENTENZA CONSULTA
IL REFERENDUM NON È PIÙ ATTUABILE

di ERNESTO MANCINIDopo la sentenza della Corte Costituzionale del 14 novembre scorso che, pur non avendo dichiarato illegittima l’intera legge sull’autonomia differenziata ne ha censurato tutti gli elementi più significativi, c’è da chiedersi se il referendum abrogativo dell’intera legge sia ancora ammissibile e se, pertanto, si debba svolgere o meno.

Si ricorda che la legge n. 86 del 26 giugno 2024, detta anche legge Calderoli, stabilisce la possibilità di trasferimento alla competenza esclusiva delle Regioni di intere materie legislative ed amministrative previste invece come competenza in concorso tra Stato e Regione. Addirittura, la legge consente il trasferimento di tutte le ventitré materie come richiesto dalla Regione Veneto ovvero una gran parte di esse – quindici – come richiesto dalla Regione Lombardia.  Tra le materie trasferibili spiccano, per importanza strategica, istruzione, sanità, ambiente, trasporti, le quali sono già state oggetto delle preintese 2018 ed ora sono confermate dalla legge Calderoli all’art.11.

Si ricorda pure che la legge è stata impugnata per incostituzionalità ai sensi dell’art. 127 Cost. dai ricorsi di alcune regioni (Toscana, Puglia, Campania e Sardegna) ora decisi dalla Corte Costituzionale con la già menzionata sentenza del giorno 14. La legge è tuttora avversata dalla proposta di referendum abrogativo avanzata dal Comitato Promotore formato da partiti, sindacati, associazioni e comitati NO AD (no a qualunque autonomia differenziata) che ha raccolto oltre 1.300.000 forme durante la scorsa estate. La procedura per l’ammissibilità di tale referendum è in corso e dovrà definirsi entro il mese di dicembre a cura della Corte di Cassazione ed eventualmente della Corte Costituzionale.

I precetti della Corte Costituzionale

Per capire se il referendum sia ancora attuale dopo la sentenza della Corte va chiarito che tale organo (detto anche Giudice delle Leggi perché non giudica uomini ma, appunto, leggi) ha colpito e si può dire “affondato”, i punti principali della legge dettando anche princìpi vincolanti per qualsiasi attuale o futuro progetto di autonomia. 

La Corte ha sentenziato che in ogni caso si devono osservare i princìpi dell’unità della Repubblica, della solidarietà e non della competitività tra Regioni, dell’eguaglianza, della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio. Tutti princìpi esattamente opposti a quelli che caratterizzano la legge Calderoli.

Ma, a parte l’affermazione dei princìpi ora ricordati, il Giudice delle Leggi ha colpito al cuore la legge Calderoli stabilendo testualmente che una normativa sull’autonomia non può trasferire intere materie legislative ed amministrative (sanità, istruzione, ecc.) alla competenza esclusiva di singole Regioni ma solo particolari funzioni relative a tali materie. 

Peraltro, tale trasferimento di particolari funzioni non è libero ma, continua il Giudice Costituzionale, deve essere “giustificato” dalla necessità rispetto alle esigenze dello Stato e del bene comune. Deve inoltre osservarsi il principio di sussidiarietà e cioè si deve dimostrare che la singola funzione sia meglio attuata esclusivamente a livello territoriale rispetto al concorso Stato/Regione.

L’esempio su quanto stabilito dalla Corte è agevole: non può trasferirsi la “materia sanità” che, in quanto materia di rilevanza costituzionale (art.32) è affidata all’intera Repubblica (Stato-Regioni-Comuni-Città Metropolitane). Né possono trasferirsi singole funzioni in cui si articola la sanità come l’assistenza ospedaliera, l’igiene pubblica, l’assistenza farmaceutica, l’assistenza medica di base, quella specialistica, la funzione veterinaria, e molte altre, in quanto si tratta di funzioni non specifiche alla singola regione ma comuni a tutte. 

Peraltro, il principio di sussidiarietà che valorizza le autonomie territoriali non può spingersi fino al punto da escludere lo Stato abolendo di fatto il Servizio Sanitario Nazionale ex art. 32 Costituzione e leggi di riforma sanitaria 833/78 e 502/92. Tutto ciò vale anche per l’istruzione, “spina dorsale del Paese” (Asor Rosa, intervista al Corriere del 2.11.2018) ed anche per l’ambiente, oggi da proteggere efficacemente soprattutto con politiche comuni sovrastatali. Così, insomma, vale la giusta applicazione del principio di sussidiarietà per ogni altra materia di rilevanza costituzionale.

Ma il Giudice delle Leggi, nonostante questi parametri siano di per sé già sufficienti per bloccare la legge Calderoli, non si è fermato qui.

Egli ha infatti stabilito che per i Lep (livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali) spetta al Parlamento e non al Governo fissare i princìpi ed i criteri direttivi per la loro determinazione. Ha precisato che l’aggiornamento dei Lep non può farsi con atto governativo (DPCM) bensì con atto del Parlamento e ciò vale anche per le aliquote di compartecipazione al gettito tributario. I finanziamenti non vanno peraltro determinati in base alla spesa storica ma sulla base di costi e fabbisogni standard, il che rende peraltro giustizia alle regioni del sud che, sulla base della spesa storica, possono solo perpetuare la loro insufficienza nei servizi pubblici (es: servizi sociali) senza alcuna implementazione che soddisfi il vero fabbisogno come certificato dai Lep.

Inoltre, le Regioni non hanno la facoltà (come vuole Calderoli nella sua legge) bensì l’obbligo di concorrere agli obbiettivi di finanza pubblica, né il Governo è esclusivo titolare del potere di iniziativa per le intese sulle autonomie particolari.

C’è dell’altro nella massima della Corte Costituzionale ma qui non mette conto di parlarne perché quanto evidenziato basta e avanza per dire che la legge Calderoli non esiste più dovendosi, affinché sia immune da vizi di illegittimità costituzionale, apportare tutte le modifiche e le integrazioni sostanziali volute dalla Corte medesima. Cha la legge sia stata demolita dai dicta della Corte Costituzionale è peraltro opinione comune della stragrande maggioranza dei costituzionalisti che in questi giorni hanno fatto sentire la loro voce.

Dunque, il referendum?

Ed allora possiamo tirare le somme per rispondere alla domanda iniziale che ci siamo posti.

A nostro avviso il referendum non è più attuale perché interverrebbe su una legge che, seppure formalmente ancora in piedi, non è più applicabile nelle sue parti fondamentali. Sono stati introdotti dal Giudice Costituzionale tali e tante modifiche ed integrazioni sostanziali e non certo marginali che fanno venire meno proprio l’oggetto del referendum.  

In altri termini si voterebbe su una legge che in gran parte non esiste più anche perché alcuni princìpi introdotti dalla Corte devono già considerarsi del tutto simili al c.d. ius superveniens: il noto  articolo 116, terzo comma  del titolo quinto della Costituzione che prevede la possibilità di autonomie particolari (e non differenziate), dovrà interpretarsi per il futuro come se ci fosse un ulteriore comma il quale stabilisce  che le “materie” di cui all’art. 117 non sono trasferibili alla esclusiva competenza delle regioni, che le “funzioni”  devono essere specifiche e non comuni (es.: minoranze linguistiche, luoghi di confine o con esigenze particolarissime, ecc. ) ed in ogni caso anche le funzioni devo essere giustificate dalla perfetta applicazione del principio di sussidiarietà.

 

La giusta autonomia regionale

Molti firmatari della richiesta di referendum, tra cui il sottoscritto, sono favorevoli allo sviluppo dell’autonomia regionale ma non certo nella forma voluta da Calderoli giustamente definita secessionista o frantumatrice dell’unità della Repubblica.  Essi sono contrari allo statalismo di massima centralizzazione ma pure al secessionismo ed alla competitività tra Regioni. 

Essi vogliono l’autonomismo regionale come disegnato dai Padri Costituenti nel 1948 eventualmente aggiornato dal legislatore del 2001(nuovo titolo V) ma a condizione che tale aggiornamento sia interpretato ed applicato secondo le odierne ed inderogabili direttive del Giudice delle Leggi.

Ben vengano perciò i Lep (livelli essenziali delle prestazioni e relativi fabbisogni e costi standard); così si “certificherà” una volta per tutte quale sia il bisogno effettivo di ciascuna regione rispetto agli standard, quale e quanta differenza via sia tra regioni ricche e regioni povere, come debba assolutamente abbandonarsi il criterio assurdo della spesa storica che nulla aggiunge alle regioni povere ed anzi le costringe ad un permanente distacco dalle regioni ricche.  Ben venga tutto ciò, così sarà meglio misurabile anche la performance della classe dirigente territoriale politica e tecnico-burocratica.

I Lep, insomma, non servono per favorire autonomie differenziate ma sono necessari per avere chiaro quanta esigenza vi sia di riequilibrio tra i diversi territori in cui si articola la Repubblica. 

Cosa succederà ora? 

Se i supremi giudici dichiareranno inammissibile il referendum resta comunque al Parlamento l’onere di introdurre tutte le direttive costituzionali imposte dalla sentenza sapendo che ogni deroga sarà illegittima stante questo precedente tassativo; se il Parlamento non correggerà la legge nel senso indicato, la stessa resterà lettera morta (come già è successo per altre leggi) in quanto non applicabile essendo stati già espunti tutti i punti essenziali che la caratterizzavano.

Se invece i supremi giudici dichiareranno ammissibile il referendum su quel nulla che resta della legge sarà ancora più difficile raggiungere il già difficilissimo quorum (circa 25 milioni di cittadini) stante la scarsa partecipazione alle urne registratasi negli ultimi anni ora vieppiù sostenuta dal fatto che la legge Calderoli è stata già cassata dall’organo di verifica della illegittimità costituzionale e di essa non resta più nulla. Ma si può fare.

Intanto qualcuno dica a Calderoli & Co (Salvini, Zaia, Fontana e maggioranza governativa) che la partita in ogni caso l’hanno già persa e che finalmente l’autonomia regionale non sarà mai differenziata come loro avrebbero voluto con uno spirito anticostituzionale e spezzaitalia mai visto dal 1948 ad oggi. (em)

 

Città unica di Occhiuto o Grande Cosenza di Andreatta?

di FRANCO BARTUCCIVisto così potrebbe essere un quesito che i cittadini di Rende, Cosenza e Castrolibero, saranno chiamati a scegliere partecipando al referendum indetto per il prossimo 1° dicembre dal Presidente della Giunta Regionale della Calabria, Roberto Occhiuto. Per dire la verità costoro saranno chiamati ad esprimersi per il “Sì”, che prevede la fusione in “città unica” dei tre comuni sopra citati, oppure per il “No”, preferendone la indipendenza e autonomia come tuttora vigente.

Per la “città unica” si intende questa scelta netta e nelle condizioni e descrizione che abbiamo ampiamente trattato nei nostri servizi precedenti e cioè riconoscere e legalizzare l’insieme di tre aree urbane ormai già esistenti nelle parti basse dei centri storici di Rende e Castrolibero con annessione ed integrazione all’area urbana di Cosenza con in cima il suo centro storico. Il termine “Città unica” è stato lanciato nel 2019 dalla consigliera regionale Simona Loizzo, oggi parlamentare.

Mentre della “Grande Cosenza” il termine nasce negli anni Sessanta nei vari circoli culturali e politici della città bruzia a seguito dell’impegno per far nascere in Calabria la prima università calabrese, che si concretizza con l’approvazione della legge istitutiva 12 marzo 1968, n° 442, che porta il nome di Aldo Moro (presidente del Consiglio) e dei ministri: Gui, Pieraccini, Colombo, Mancini, Pastore.

Nel mese di febbraio 1971 il Presidente del Consiglio Emilio Colombo, avendo come sottosegretario alla presidenza del Consiglio Dario Antoniozzi, nonché come Ministro della Pubblica Istruzione l’on. Riccardo Misasi, fa approvare dal consiglio dei Ministri, il cosiddetto “Pacchetto Colombo”, che prevede per il cosentino l’insediamento della prima università statale calabrese, ratificata successivamente nel mese di aprile da un Decreto del Presidente della Repubblica.

Il Comitato Tecnico Amministrativo, presieduto dal Rettore Beniamino Andreatta, riunitosi nel salone di rappresentanza di Palazzo dei Bruzi, delibera, dopo un periodo di studio del territorio, di insediare la nuova università, la prima istituita dalla Repubblica italiana, a Nord di Cosenza, sui territori di Rende e Montalto Uffugo, legando a Sud il complesso universitario alla superstrada 107 Crotone/Cosenza/Paola, mentre a Nord all’asse ferroviario Cosenza/Paola in località Settimo di Montalto Uffugo, costeggiata a valle dall’autostrada Salerno Reggio Calabria. Da questa scelta prende corpo, quindi, l’idea progettuale della “Grande Cosenza”, avendo come cuore palpitante e propulsivo la nascente Università della Calabria, sull’asse portante principale Montalo Uffugo/Rende e legato alla città capoluogo di Cosenza per ragioni soprattutto istituzionali e governative.

Che cos’è quindi la Grande Cosenza scaturita dalla nascita dell’Università della Calabria ed impostata nel territorio appena descritto? In parole semplici non è altro che una nuova città pensata nella media Valle del Crati, che per il Comitato Tecnico Amministrativo ed il suo presidente, prof. Beniamino Andreatta, doveva essere punto di riferimento al centro del Mediterraneo, ma soprattutto una città europea con la sua università aperta ed al servizio del territorio per un suo sviluppo economico, sociale e culturale.

Una nuova città che con l’Università si estendeva nella vasta area della media Valle del Crati, coinvolgendo attraverso un sistema viario, autostradale, ferroviario e metropolitano i vari centri urbani dislocati sulle fasce montane circostanti e lungo l’autostrada tanto da paragonare la nuova Grande Cosenza alla città metropolitana di Londra, fatta da un insieme di comuni. La Grande Cosenza legata a Castrovillari e Sibari attraverso un sistema di metropolitana veloce guardando alle due sponde dello Jonio e del Tirreno, come anche alla fascia interna della Sila per esserne laboratorio sperimentale di studio e valorizzazione in termini di investimenti turistici ed imprenditoriali.

Per fare tutto ciò si raccomandavano interventi importanti da realizzare: il completamento della galleria ferroviaria di base Paola/Cosenza; la costruzione della strada dell’Esaro; la costruzione dei raccordi stradali dall’autostrada del Sile ai nuovi insediamenti presso gli abitati a sinistra del Crati; il riammodernamento dell’itinerario stradale da Catanzaro Lido a Sant Eufemia; la costruzione della sede, con tracciato poi utilizzabile per la metropolitana veloce su rotaia, sull’itinerario della pedemontana della Serra inserito tra gli abitati storici a sinistra del Crati e la fascia boschiva a monte.

Insomma dichiarava il Rettore Beniamino Andreatta al quotidiano “La Stampa” di Torino in un servizio giornalistico pubblicato il 30 giugno 1971 con il titolo “La sfida dell’Università in Calabria” : «Pensiamo all’Ateneo calabrese come ad un quartiere specializzato di un’area metropolitana». Ed ancora: «dobbiamo fare scelte rapide per rompere la delusione del Mezzogiorno, e scelte precise per non annegare nel perfettismo dei meridionali, che alimenta discussioni interminabili. Una città come Cosenza con l’Università avrà influenza su tutta la Calabria, sarà una città di giovani in una regione che da decenni perde i suoi giovani. Naturalmente vogliamo che l’Università sia come la concepiamo, che funzioni come se ci fossimo noi stessi che l’organizziamo».

Ci sono i disegni, le planimetrie, le relazioni descrittive che mostrano il tipo di Università che la Calabria avrebbe dovuto avere sviluppata su un asse di 3 km e 400 metri tra la superstrada 107 e i binari del tracciato ferroviario Cosenza/Paola in località Settimo di Montalto Uffugo sui territori dei comuni di Rende e Montalto. Sono state appena realizzate opere strutturali lungo un asse di un chilometro e 420 metri lineari ed un complesso residenziale pari a 2.300 posti letto; mentre in base alla legge istitutiva ne avrebbe dovuto accogliere il 70% degli studenti iscritti, tradotti in termini numerici almeno 8000 posti.

L’incuria politica ed il disinteresse scaturito negli anni anche per una scarsa attenzione sia da parte della stessa comunità universitaria come della società calabrese, ne ha bloccato il progetto da ben 15 anni; mentre adesso con il disegno di legge regionale della “Città unica” ne cancellano la memoria decurtando l’area  di 310 ettari assegnatele nel 1971, con delibere dei Comuni di Rende e Montalto Uffugo, spazzando via circa 50 ettari che si trovano sul territorio di contrada Settimo, attigui al torrente che costituisce la linea di confine tra i due comuni, dove si trova la confluenza dei tratti ferroviari Cosenza/Paola e Sibari/Paola, utilizzati dal treno alta velocità Sibari/Bolzano, per non ricordare che proprio su Settimo sono in cantiere la stazione ferroviaria incrocio dell’asse portante dell’UniCal e lo svincolo autostradale Montalto sud/Rende.

C’è da chiedersi cosa ha spinto questa classe politica regionale ad insistere nel predisporre un disegno di legge che prevede la fusione solo dei tre comuni Rende/Cosenza e Castrolibero escludendo Montalto Uffugo? Sebbene informati fin dal 2019 della debolezza del progetto rispetto al disegno della Grande Cosenza, con costanti servizi giornalistici pubblicati da Calabria.Live e da contatti e colloqui frontali, come telefonici, perché questa perseveranza verso un referendum consultivo che anziché unire una comunità nell’impostare la nascita di una nuova città, posta su una unica area urbana, finisce per spaccarla?

Attraverso i vari servizi giornalistici abbiamo sempre chiarito che la nuova grande città andava realizzata in funzione del rispetto del progetto dell’Università della Calabria ed è un punto doloroso che questo non sia avvenuto, sia nella fase preparatoria del testo di disegno di legge, come nella fase di dibattimento in corso per la campagna referendaria. L’UniCal è un oggetto calato dal cielo non avendo diritto di rendersi visibile. Eppure i padri fondatori ebbero a fare raccomandazioni particolari riportati in precedenza in questo servizio per garantire crescita e sviluppo a se stessa, ma principalmente alla società calabrese.

Come altrettanto triste è il fatto che la stessa comunità universitaria e chi la dirige oggi nella sua governabilità non abbia alzato voce per tutelare e difendere l’integrità territoriale della nascente Università della Calabria da collocare in un’area urbana unica, per come chiesto dai padri fondatori, e non su due per come emerge dal disegno di legge regionale oggetto di discussione.

Se la dirigenza dell’UniCal tace con il referendum è bene che i cittadini esprimano il loro pensiero se le cose vanno bene così come sono, oppure credere che c’è ancora una speranza per cambiare pagina ed essere parte attiva nella costruzione di una nuova Grande Cosenza apponendo un “no” sulla scheda referendaria, aprendo, così, la strada nel dare inizio a quel percorso mirato a creare la città metropolitana sull’asse portante Università della Calabria esteso sul territorio Rende/Montalto Uffugo. Ci sono in questo servizio quattro immagini di Settimo e che mostrano la vacuità del disegno della città unica che ne esclude l’annessione, che ne giustifica la bocciatura. (fb)

L’OPINIONE / Franz Caruso: Referendum non sia usato a fini di parte

di FRANZ CARUSO – Immagino che l’invito del  presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, a non usare l’esito del referendum per la città unica Cosenza, Rende, Castrolibero  “come una clava per perseguire ragioni politiche”, sia indirizzato a chi ci sta deliziando con le sue uscite social dal chiaro sapore oscurantistico e antistorico, sfiorando il bizzarro o addirittura il grottescO.

Bene il Presidente Roberto Occhiuto, e non è un eufemismo, che riprendendo in mano una situazione tragicomica, riporta con i piedi per terra quanti, sostenendo la propria  proposta, mirano a sminuire  il ruolo prestigioso che Cosenza ha avuto nella storia e che nessuno mai potrà toglierle. Oltretutto, un modo maldestro per sollecitare  contrapposizioni campanilistiche con la città di Corigliano-Rossano che è uno dei punti di forza nel sistema territoriale regionale.Chi può disconoscere a Cosenza “Cosentia” di essere stata capitale dei Bruzi, capoluogo della Calabria Citeriore, identificata come Atene della Calabria, in riferimento alla sua tradizione culturale oltre che al ruolo svolto nella storia contemporanea?

Solo qualche sconsiderato… Certo, negli ultimi dieci anni, l’immagine di Cosenza è stata appannata, ha perso residenti, visto chiudere attività commerciali ed ha subito l’onta del dissesto. Situazioni che noi stiamo risanando, dando vita ad un vero e proprio rilancio della città che sta sfociando in un brillante dinamismo sociale, economico e culturale, anche grazie ad una straordinaria capacità realizzatrice volta a concretizzare con i fatti la città unica che è nel mio programma elettorale e per la quale sto lavorando portando avanti progetti e programmi chiari e definiti. Con il presidente Occhiuto, peraltro, condivido l’assunto secondo cui “non si possono assicurare servizi di qualità con risorse scarse”.

Per questo motivo il governatore della Calabria potrebbe e, io ritengo, dovrebbe corrispondere a Cosenza l’equivalente delle risorse che le sono state sottratte con il definanziamento della Metropolitana Leggera Cosenza-Rende-Unical così da consentirci di  dar vita ad un sistema di BRT ( Bus Rapid Transit), indispensabile per migliorare la qualità della mobilità nell’area urbana e rendere sempre più concreta la realizzazione della Città Unica. (fc)

[Franz Caruso è sindaco di Cosenza]

Dalla città unica parte la demolizione della Grande Cosenza città metropolitana di Beniamino Andreatta

di FRANCO BARTUCCIUna classe politica debole e senza memoria sta scippando all’Università della Calabria il diritto di crescere e diventare adulta come pensata e programmata dai padri fondatori, collocandola a Nord di Cosenza, tra la Statale 107 Crotone/Cosenza/Paola in territorio di Rende ed il tracciato ferroviario Cosenza/Paola- Paola/Sibari con incrocio a Settimo di Montalo Uffugo, lì dove l’asse strutturale della cittadella universitaria avrebbe dovuto avere la sua stazione ferroviaria di servizio per collegamenti viari in direzione dei quattro punti cardinali della Calabria in collegamento ed in rapporto con il resto del paese.

Tutto questo succede per effetto del disegno di legge di città unica, approvato dalla maggioranza di centro destra del consiglio regionale, che prevede la fusione dei Comuni di Rende, Cosenza e Castrolibero, con esclusione di Montalto Uffugo, dove l’Università della Calabria in località Settimo ha a sua disposizione, in quanto vincolati nel 1971, circa 50 ettari di terreno per realizzarvi importanti opere del progetto Gregotti, tra le quali la stazione ferroviaria in attesa di realizzazione.

Un disegno di legge che ha trovato dall’esterno l’appoggio dei consiglieri di minoranza del Partito Democratico, per effetto di aver proposto un emendamento, ottenendone l’approvazione, che prevede lo scioglimento dei consigli comunali dei tre comuni, a partire dal mese di febbraio 2027 per costituirli in città unica.

Un sostegno che tradisce il lavoro ed il sogno del Rettore Beniamino Andreatta (considerato uno dei padri fondatori del Partito Democratico) di porre le basi, con la nascita dell’Università della Calabria, della creazione di una “Grande Cosenza”, su un asse portante costituito tra i comuni di Montalto Uffugo, Rende, Cosenza per dare visibilità all’Europa e all’area del Mediterraneo la presenza di una nuova grande città metropolitana collocata nella media Valle del Crati. Una città metropolitana paragonabile alla città di Londra per effetto dell’aver messo insieme vari centri urbani collegati tra loro di un sistema viario misto stradale e metropolitano.

Con la città unica questo sogno di Andreatta scaturito dalle analisi e lavoro del Comitato Tecnico Amministrativo, che guarda caso nasce da una seduta tenutasi nel salone di rappresentanza del comune di città dei Bruzi il 31 luglio 1971, esattamente il 19 novembre 2024, a distanza di 53 anni nello stesso salone viene infranto dalla dichiarazione del sindaco, Franz Caruso, che a proposito del Referendum indetto per il 1° dicembre prossimo, dice e si dichiara  per il sì in modo di pensieri poco chiari e confusi con riferimenti alle cose fatte nell’arco dei suoi tre anni di gestione del comune ( vedi unificazione dei servizi primari avviati già con i comuni di Rende e Castrolibero, come l’unificazione del trasporto locale, ecc.).

«Se vince il sì, già dal giorno seguente – dichiara il sindaco Caruso in conferenza stampa – deve iniziare un lavoro comune tra Regione, Comuni e UniCal ed associazioni competenti in materia di fusioni, debbono lavorare insieme per avviare un percorso virtuoso di creazione della città unica».

Già di per sé il termine “unica” richiama il valore pregnante dell’unità che in questa circostanza non esiste (vedi riflessi referendum); mentre una nuova città per essere nel pieno della maturità e convivenza civile, sociale ed umana alta e qualificante richiede un dovere primario costituito dal “saper stare insieme” nel rispetto dei valori pregnanti della democrazia e della libertà, ma soprattutto nell’essere una “comunità umana” che vive sapendo rispettare gli altri prima che sé stessi in perfetta concordia, socializzazione e spirito di pace. Tutto questo non lo vediamo in questa fase dai vari comportamenti tra i fautori del “sì” e quelli del “no”.

Nel suo dire il sindaco Caruso credo che faccia confusione tra la città unica di Occhiuto e la città metropolitana pensata ed auspicata da Andreatta con il lancio della “Grande Cosenza” che prevedeva come punto di appoggio forte e primario l’inserimento di Montalto Uffugo avendo sul territorio di Settimo l’incrocio delle tratte ferroviarie Cosenza/Paola e Sibari/Paola e non è un caso che alla fine della conclusione della conferenza stampa gli ho posto una richiesta attraverso una domanda specifica e cioè di convocare in quella sala storica per la nascita dell’Università della Calabria, prima del referendum, la cittadinanza per riflettere insieme sul tema “La città unica di Occhiuto o la Grande Cosenza di Andreatta?”. Non dico la risposta.

Nella conferenza del primo cittadino ci sono dei passaggi su cui vale la pena riflettere a dimostrazione del pessimo lavoro ch’è stato fatto per arrivare a proporre un disegno di legge di città unica che fa acqua da tutte le parti e che le cittadinanze interessate ne debbono prendere coscienza se è loro intenzione recarsi alle urne per esprimere in modo responsabile un voto per il referendum consultivo indetto per il 1° dicembre prossimo.

 «Arrivare al 2027 – è stata la dichiarazione del sindaco – con uno studio di fattibilità serio che partendo dal presente ci proietti nel futuro, la stesura di una bozza di statuto del nuovo ente comunale, l’armonizzazione delle finanze e, soprattutto, un chiaro progetto di unificazione dei servizi primari. Un punto, quest’ultimo, su cui noi siamo già partiti avviando, primi in Calabria, insieme ai comuni di Rende e Castrolibero, con la costituzione dell’ambito territoriale per l’unificazione del servizio di trasporto pubblico locale».

Strano prendersi tutto questo tempo per fare le cose appena dette, riconoscendo la debolezza del piano di fattibilità fatto predisporre dalla commissione del consiglio regionale (due anni e mezzo), avendo la spada di Damocle, se qualora nel referendum dovesse vincere il “sì” e mi auguro che invece prevalga il “no”, della decisione ormai presa di accettazione di una “città unica” definita nei confini, a Nord con il torrente Settimo, e nella estensione territoriale dei comuni di Rende/Cosenza/Castrolibero.

Non sarebbe stato più utile e giusto ritirare il disegno di legge invitando il consiglio regionale a riscriverne uno nuovo in concordia tra tutte le parti con il coinvolgimento della stessa Università della Calabria, esclusa (pur essendone una vittima primaria) da ogni trattativa consultiva, come espressamente abbiamo chiesto al presidente Occhiuto nel mese di agosto scorso attraverso una lettera aperta pubblicata soltanto da Calabria live?

Pensiamo che nell’arco di sei mesi si sarebbe potuto sviluppare una nuova legge per dare il via da subito alla creazione della grande Cosenza come punto centrale di riferimento quell’incrocio ferroviario sorto in contrada Settimo di Montalto Uffugo (vedi immagine fotografiche).

«Lo slittamento al 2027 – ha detto Franz Caruso – mi interessa solo se è finalizzato alla definizione delle modalità organizzative ed amministrative da attivare con rigore e responsabilità, senza alcuna improvvisazione, per l’istituzione del nuovo Comune e non certo per altre ragioni, per come ho già avuto modo di dire due anni fa ai consiglieri Caputo e De Francesco quando mi proposero la data del 2027». 

Poi nel testo del comunicato stampa diffuso, e ritengo approvato dal sindaco, c’è un passaggio che dice molto sulla scarsa conoscenza e distinzione chiara esistente tra città unica e la grande Cosenza, che abbiamo già chiarito in precedenza in questo servizio.

«Rispetto alla sua posizione a favore della Città Unica, cristallizzata, peraltro, dal Consiglio Comunale di Cosenza – è riportato nel comunicato – già lo scorso anno, Franz Caruso ricorda anche la battaglia elettorale del 2016, al fianco di Carlo Guccione e nella coalizione che si chiamava proprio Grande Cosenza, che della città unica aveva fatto una bandiera, per arrivare al programma elettorale del 2021 in cui è tracciata chiaramente l’idea visionaria di Città Unica allargata, addirittura, ad un’area vasta metropolitana».

Ecco qui, pur non citandolo il pensiero visionario del grande Beniamino Andreatta.

Il comunicato riporta poi delle frecciate che il Sindaco in conferenza stampa ha rivolto ai due fratelli Occhiuto (sindaco e presidente della regione): «Al contrario di quanto ha fatto il mio predecessore, che oggi di Città Unica si riempie la bocca – incalza Franz Caruso – ma che per dieci anni sul tema ha prodotto solo un’anonima delibera di Giunta in cui è stata espressa solo la volontà di chiamarla, eventualmente, Cosenza».

«Da quando mi sono insediato – ha sostenuto Franz Caruso – ed in soli tre anni, il progetto di realizzare la città unica l’ho riempito, invece, di contenuti, portando avanti un processo serio e deciso bloccato solo dalla Regione Calabria. Io ho detto si alla metropolitana leggera, che l’ex sindaco ha di fatto bloccato, fino al definanziamento operato dall’ attuale presidente della Calabria. Io ho detto si al nuovo ospedale Hub di Cosenza a Vagliolise, sito baricentrico nell’area urbana e che collega la sibaritide, lo ionio ed il tirreno in maniera agevola (vedi funzionalità hub ferroviario di Settimo!), a cui prima l’ex sindaco Mario Occhiuto ha detto no perché lo voleva vicino al centro storico di Cosenza, mentre ora il fratello governatore vorrebbe realizzare ad Arcavacata a servizio dell’Unical. Non più un Hub, quindi, ma un policlinico che non è la stessa cosa. Per questo motivo si stanno allungando i tempi di realizzazione della nuova struttura ospedaliera, di cui abbiamo un bisogno impellente, e temo che anche in questo caso perderemo i finanziamenti destinati da Inail all’ospedale HUB di Cosenza».

«Per cui – ha detto ancora Franz Caruso – io sono per la Città Unica, il cui primo ispiratore è stato il compianto Pino Iacino che in una visione di sviluppo del territorio vedeva il centro storico di Cosenza e l’Unical come dei grimaldelli capaci di aprirne la cassaforte. Questa idea ci accompagna, dunque, da sempre e non la cedo a nessuno, men che meno a chi, invece, non l’ha mai neanche lontanamente contemplata, operando addirittura nel senso opposto».

«Sono ricorso al Tar contro il Referendum – ha concluso – perché non ho potuto intervenire sulla legge omnibus, che consideravo e considero una vera e propria azione di barbarie amministrativa che mina, di fatto, l’autorevolezza e l’autonomia dei Comuni per come sancita, peraltro, nella Costituzione Italiana. Per cui la battaglia legale, che non abbiamo perso, checché ne dica qualcuno perché il merito è altro, è una battaglia in difesa della democrazia e della libertà, oltreché dell’autonomia dei consigli comunali».

In questa parte finale di chiusura del comunicato che riporta fedelmente il pensiero espresso dal Sindaco Caruso in conferenza stampa è bene puntualizzare alcune cose e cioè: 1) nel suo dire non vedo una figura di sindaco teso a pensare e lavorare già nell’ottica della città unica, bensì nei limiti dell’attuale Cosenza; 2) in merito alla commemorazione del sindaco Iacino, subentrato al sindaco Fausto Lio, componente del Comitato Tecnico Amministrativo e successivamente del Consiglio di amministrazione dell’Università, si è impegnato a continuare l’opera che il suo predecessore aveva creato all’interno dei due organismi circa la valorizzazione del centro storico di Cosenza.

Riuscì, infatti, a far approvare una delibera nel 1974, con Andreatta favorevole, che prevedeva la costituzione di una commissione di studio per come meglio progettare e programmare l’insediamento di mille posti letto soprattutto per gli studenti nel centro storico di Cosenza, come anche un insediamento universitario in territorio di San Lucido. Il non avere creato un sistema di metropolitana veloce di collegamento con l’area universitaria di Arcavacata ne ha reso invano gli sforzi e la buona volontà realizzativa. 3) il fatto che il presidente della Giunta Regionale Roberto Occhiuto abbia chiuso con una transazione il rapporto con l’impresa vincitrice dell’appalto di  realizzazione della metropolitana di collegamento Università/Centro storico di Cosenza e dirottato 68 milioni di euro, sapientemente cercati dal governatore Mario Oliverio, a favore del completamento della metropolitana di collegamento tra l’Università di Germaneto e l’antico borgo della città di Catanzaro, non è altro che il segno visibile di un fine non certamente teso a fare di Cosenza quella grande città metropolitana lasciataci in eredità dal Rettore Beniamino Andreatta.

Mi addolora che il Partito Democratico cosentino, al quale ho dato la mia fiducia di adesione e continuerò a battermi per la sua esistenza e successo nel tempo, sia caduto nella trappola creata da soggetti di un’area politica che purtroppo si è collocata in una posizione non certamente apprezzata e stimata a suo tempo da uno dei padri fondatori di questo partito.

Non rimane a questo punto rivolgere un appello al Rettore dell’UniCal per presentare un immediato ricorso al Tar Calabria di sospensione del referendum e del disegno di legge a tutela della integrazione territoriale sul quale ha diritto di crescere e svilupparsi per i fini che la legge istitutiva le ha assegnato. Poi rimane il successo del “No” che ognuno può esprimere in liberta e responsabilità informata. (fb)

Orrico (M5S): Referendum Città Unica consultazione strumentale

La deputata del M5S, Anna Laura Orrico, ha evidenziato come «il Movimento 5 stelle, coerentemente con le criticità che ha evidenziato fino ad oggi relative alla legge sulla città unica Cosenza-Rende-Castrolibero, ritenendolo un percorso carente di trasparenza e informazioni che possano consentire ai cittadini di scegliere in maniera consapevole cosa votare, non darà un indirizzo di voto per l’imminente referendum».

«Crediamo che –  ha detto Orrico – questa area urbana è, nei fatti, destinata ad unire le proprie forze in vista delle future sfide convergendo verso una unificazione dei servizi ed un miglioramento della qualità della vita dei cittadini tramite anche l’efficientamento della macchina amministrativa, tuttavia, non possiamo essere favorevoli alla strada intrapresa poiché non supportata da alcuna visione politica e costruita attraverso un metodo dettato dalla frettolosità, dalla nebulosità e dalla scarsa partecipazione».

«Non sono state, infatti, coinvolte le parti sociali e le istituzioni preposte – ha spiegato – ovvero le amministrazioni interessate, con una addirittura sciolta per mafia quindi in presenza di una grave mancanza di rappresentatività. Anche il referendum, inoltre, importante termometro democratico, è utilizzato in maniera strumentale visto che i quesiti stessi orientano la scelta dei cittadini».

«D’altronde – ha proseguito l’esponente pentastellata – lo stesso studio di fattibilità non fornisce nessuna certezza rispetto all’efficientamento della macchina amministrativa, alle economie di scala, e vende, in maniera fumosa, il possibile finanziamento di 10 milioni di euro all’anno, per 15 anni, condito dai ‘potrebbe’ a fronte di sempre maggiori tagli del governo centrale come ad esempio avviene nella nuova legge di Bilancio. Contiene, fra l’altro, alcune affermazioni che consideriamo gravi ossia che la fusione agevolerebbe quel dimensionamento scolastico contro il quale ci siamo battuti con forza». (rp)

REFERENDUM, SUPERATE LE 500MILA FIRME
PUR CON ALCUNE CRITICITÀ AI BANCHETTI

di ERNESTO MANCINI – Si sta svolgendo in tutta Italia la raccolta delle firme per chiedere il referendum totalmente abrogativo della legge Calderoli, detta anche legge “sull’autonomia differenziata” oppure, in modo più significativo, legge “spacca Italia”. La raccolta è cominciata il 20 luglio scorso e terminerà con la consegna delle firme il 30 settembre prossimo.

I Comitati No AD (No a qualsiasi autonomia differenziata), i partiti promotori, i sindacati rappresentativi (Cgil, Uil) ed altre formazioni sociali (tra cui Anpi, Arci, Wwf, Libertà e Giustizia, Actionaid, Democrazia Costituzionale, ecc.) stanno facendo un ottimo lavoro sulle piazze. Peraltro, alla raccolta cartacea si è affiancata la raccolta elettronica da remoto attraverso lo strumento informatico dello “spid” che consente la firma on line con grande effetto sul risultato complessivo della richiesta referendaria.

Nonostante sia lontana la scadenza, proprio oggi si è raggiunto, con le sole richieste spid, l’obbiettivo delle 500mila firme come certifica il sito informatico realizzato ad hoc. A queste vanno aggiunte alcune centinaia di migliaia (dato ancora non conosciuto nel dettaglio) delle firme già acquisite ai “banchetti” sui moduli cartacei. È già certo, perciò, che il quorum verrà ampiamente superato ma i promotori ritengono politicamente importante che venga superato doppiando il quorum (un milione di firme).

Accade tuttavia che al momento della certificazione della raccolta dei moduli cartacei, gli ufficiali elettorali di molti comuni si limitano a certificare solo i moduli delle firme dei residenti accedendo alle liste elettorali della propria anagrafe comunale. Per i non residenti, anziché accertare direttamente ed in tempo reale il requisito attraverso l’Anpr (sistema web anagrafe nazionale popolazione residente), gli ufficiali elettorali ritengono di poter certificare solo le firme presentate insieme al certificato cartaceo di iscrizione alle liste elettorali di ciascun cittadino. Pertanto, ai comitati referendari viene richiesto di procurarsi via pec dai singoli comuni di provenienza dei non residenti, il certificato elettorale del cittadino interessato per poi presentarlo, attraverso ulteriore autenticazione, al Comune nel quale il cittadino non residente ha firmato.

Va detto che la situazione è molto variegata in tutta Italia perché alcuni comuni pretendono tale certificazione cartacea (per esempio: Roma), altri (per esempio: Genova, Voghera) non la richiedono e certificano i moduli ottenendo lo stesso dato in tempo reale accedendo all’Anpr ed avendo così la certezza giuridica che il firmatario è in possesso del diritto elettorale e quindi del diritto di firmare la richiesta di referendum.

La prassi dei comuni renitenti ad utilizzare essi stessi l’Anpr per certificare i non residenti è illegittima oltre che vessatoria per i comitati e dannosa per il risultato della campagna referendaria. Essa va respinta per i seguenti motivi.

1) Violazione di legge per mancato utilizzo dell’Anpr (anagrafe nazionale della popolazione residente)

L’Anpr è stata istituita con l’art. 2 del decreto-legge 179/2012 attraverso la rete digitale delle anagrafi comunali di tutta Italia. Tra le diverse funzioni l’Anpr consente agli Ufficiali Elettorali di ottenere in tempo reale dati rilevanti per i cittadini “non residenti”. Ciò ai fini dell’esercizio dei loro diritti politici, come quello in questione, di richiedere un referendum pur trovandosi per lavoro, per studio, per turismo o per altra causa in città diversa da quella di residenza. Trattasi di mobilità diffusissima in Italia, ancor di più in questo periodo di ferie estive.

Il mancato utilizzo di tale anagrafe per i non residenti da parte dei funzionari impedisce la validazione della richiesta e, di conseguenza, la certificazione dell’avvenuta volontà referendaria. Con l’ulteriore illegittima conseguenza dell’esclusione di tali cittadini dal conteggio dei richiedenti il referendum, la violazione del loro diritto politico di cittadino-elettore e la non meno grave conseguenza, politicamente significativa, di un numero complessivo minore, anche per centinaia di migliaia, di cittadini non residenti che hanno sottoscritto il modulo per il referendum abrogativo.

2) Violazione dell’art. 1 comma 2 e 2 bis della legge 241/90 che pone il divieto alla Pubblica Amministrazione di aggravare il procedimento amministrativo a carico dei cittadini

La violazione di questa norma consiste nel richiedere ai gruppi referendari ulteriori adempimenti rispetto a quelli effettivamente previsti a loro carico nei moduli di raccolta firme (numero documento di identificazione, generalità e residenza). Inoltre, pretendere che questi gruppi spediscano migliaia e migliaia di pec e ne attendano le risposte (che potrebbero non arrivare od arrivare tardivamente) è una palese violazione del principio per cui le amministrazioni non possono aggravare gli adempimenti del cittadino per questioni cui esse stesse possono agevolmente farvi fronte. Violato, per lo stesso motivo, è anche l’art. 2-bis della legge 241/90 secondo cui l’Amministrazione deve improntare i rapporti col cittadino a princìpi di collaborazione e buona fede.

3) Violazione della normativa sulla documentazione amministrativa (art. 43 Dpr 445/2000)

L’art. 43 del Dpr.28/12/2000, n. 445 (Disposizioni legislative in materia di documentazione amministrativa), stabilisce che la Pubblica amministrazione non può richiedere atti o certificati riguardanti stati, qualità personali e fatti i cui contenuti siano già in suo possesso, ma deve acquisirli d’ufficio.

L’acquisizione ed il possesso, in questo caso, derivano dall’accesso al sistema anagrafico digitale che, come si è detto, è stato realizzato proprio per avere in qualsiasi momento e da qualsiasi comune la disponibilità dei dati.

Tutto ciò, a tacer d’altro, comporta la violazione del principio di derivazione europea del c.d. “once only” perché ogni Amministrazione, una volta per tutte, mette a disposizione delle altre attraverso il sistema digitale i dati costantemente aggiornati di propria competenza. Ed è proprio la disponibilità dei dati che consente di utilizzarli ai fini del controllo dello status di elettore del cittadino firmatario. Il non utilizzarli comporta la violazione dell’art. 43 d.p.r. 445/2000 qui evidenziato.

4) Eccesso di potere per irrazionalità ed illogicità manifesta, violazione dell’art. 97 della Costituzione per contrasto col principio di buon andamento degli uffici della Pubblica Amministrazione

Ma, a guardar bene, le Amministrazioni, appesantendo le incombenze dei promotori referendari per i non residenti, appesantiscono anche se stesse perché ogni Comune, a seconda delle dimensioni, dovrà rispondere a centinaia o migliaia di pec impegnando così non poco i propri uffici ed i relativi protocolli con maggiore spendita di tempo per la redazione e l’inutile scambio di corrispondenza visto che lo status di elettore è già acquisibile on line con assoluta certezza.

Insomma, un meccanismo perverso che rende più gravoso il compito sia per i comitati referendari che per la pubblica amministrazione. Siamo pertanto nel pieno della fattispecie di irrazionalità ed illogicità manifesta espressione dell’eccesso di potere quale vizio di illegittimità dell’agire amministrativo pubblico (art. 21 octies legge 241/90).

5) Violazione dell’art. 97 della Costituzione suol buon andamento della pubblica amministrazione

Non meno evidente, per i motivi anzidetti, è la violazione dell’art. 97 della Costituzione che impone il “buon andamento” della Pubblica Amministrazione inteso come canone di rapidità, efficacia, semplificazione dell’attività amministrativa. Tale attività è invece gravata da adempimenti inutili a carico dei gruppi referendari costituitisi dappertutto nel territorio nazionale.

6) Raccolta Cartacea e Spid (Sistema pubblico di identità digitale)

Ma all’ affermazione di illegittimità per irrazionalità ed illogicità manifeste si giunge anche per altra via. Se, infatti, si può firmare la richiesta di referendum attraverso lo Spid senza l’onere di dimostrare il proprio elettorato attivo perché è già insito nel sistema di controllo informatico, non si vede perché analoga modalità non possa attuarsi col sistema della certificazione utilizzando la medesima base-dati dell’ANPR a cura dei funzionari comunali delegati a controllare e certificare i moduli.

7) Violazione per errata interpretazione ed applicazione della normativa sui certificati elettorali

Se è pur vero che la normativa prevede il sistema delle pec con allegata certificazione, è anche vero che il progressivo subentro dei Comuni nell’ANPR consente di applicare tale sistema solo per quei comuni (invero ormai minoritari) che ancora non hanno l’accesso all’Anagrafe digitale mentre per tutti gli altri l’obbligo è implicito proprio grazie a tale accesso. Ne è ulteriore riprova il fatto che nel corso del 2022 è stato emanato il Decreto Ministeriale 17.10.22 che stabilisce le modalità di integrazione proprio delle liste elettorali dell’Anpr e che all’allegato 2 punto 4 stabilisce che il comune può rilasciare i certificati ai cittadini a prescindere dal comune di residenza dell’elettore, “ai fini di garantire e agevolare l’esercizio dell’elettorato attivo e dell’elettorato passivo costituzionalmente tutelati”.

Insomma, si tratta di una risorsa, quella dell’Anpr, creata per le finalità anzidette e che invece rimane inutilizzata nonostante gli sforzi notevoli dello Stato e dei Comuni per costruirla nel duplice interesse dell’Amministrazione (il cui lavoro viene semplificato e velocizzato) e degli stessi comitati dei cittadini referendari chiamati invece ad adempimenti inutili e, per come si è detto, vessatori.

8) Violazione dei princìpi del Codice di Amministrazione digitale

Vengono anche violati i princìpi del codice dell’Amministrazione digitale di cui al decreto legislativo 07/03/2005 n.82 e successive modificazioni e integrazioni. Tra questi basta citare l’art. 2 secondo cui la Pubblica Amministrazione “si organizza ed agisce per garantire agli utenti (ma anche a se stessa – ndr) la fruibilità delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione”, oppure l’art.3 sul diritto all’uso delle tecnologie nei rapporti con la Pubblica Amministrazione cui corrisponde il dovere di questa di agire in modo da garantire tale diritto.

9) Maggiori carichi di lavoro e minore efficienza

Nessun pregio hanno le tesi di alcuni Comuni secondo cui aumenta il carico di lavoro dei propri uffici elettorali; intanto perché altri Comuni dovranno certificare dati che il Comune richiedente ha già in rete e, reciprocamente, questo dovrà verificare i dati di quelli (!!!) . Inoltre, perché sarebbe espressione di buona organizzazione rafforzare, se proprio ce n’è bisogno, attraverso comandi interni del tutto provvisori (due mesi) il personale da dedicare a questa importante funzione di democrazia senza sacrificarla in nome di non più ammissibili prassi.

10) Omissione dei doveri d’Ufficio da parte del Ministro dell’Interno

È molto grave che il Ministero dell’Interno, in una situazione nella quale si riscontra diversità di comportamento tra i comuni sulla medesima fattispecie, non sia intervenuto con apposita circolare esplicativa ai fini di un indirizzo uniforme e legittimo. Il risultato è la violazione diffusa di tutti princìpi di diritto sopra richiamati e la lesione del diritto al referendum con conseguenze sulla quota complessiva da raggiungere per il prosieguo del procedimento; quota che nel minimo (500 mila firme) non sarà compromessa, ma nel massimo certamente sì.

Conclusioni

Violare i princìpi di diritto pubblico come quelli sopra esposti in materia di referendum è un grave vulnus per la democrazia. Scaricare sui comitati promotori da parte di molti Comuni oneri che sono propri è illegittimo ed influisce assai negativamente sul risultato complessivo. Non consola il fatto che il quorum è stato già raggiunto e sarà comunque superato ampiamente: uno Stato di diritto non può permettersi questi assurdi comportamenti da parte degli organi pubblici che ad esso fanno capo. (em)

Scalese (Cgil Area Vasta): Raggiunte le 500mila firme, ma continueremo con i banchetti

Il segretario generale della Cgil Area Vasta Catanzaro-Crotone-Vibo, Enzo Scalese, a nome anche del Coordinamento referendario, ha evidenziato come «sono bastati solo undici giorni per centrare l’obiettivo formale delle 500 mila firme in calce al quesito che chiede l’abrogazione netta e totale della Legge Calderoli che istituisce l’Autonomia differenzia, la “Spacca Italia”».

«Questo risultato dimostra l’attenzione e la preoccupazione delle cittadine e dei cittadini rispetto a quella che è una battaglia chiaramente condivisa – ha aggiunto –. E noi, comunque, non ci fermeremo: continueremo ad allestire banchetti e raccogliere firme in tutto il territorio».

«Continueremo a raccogliere sottoscrizioni fino all’ultimo giorno utile, non solo sulla piattaforma digitale, ma soprattutto ai banchetti, organizzati da Cgil, Uil e altre 32 organizzazioni che compongono il Comitato promotore, tra questi Arci, Anpi, Legambiente, Wwf, Acli, Libera – ha detto ancora Scalese –. Per noi la priorità è parlare con le persone: informare, coinvolgere, spiegare».

Il Coordinamento referendario ha comunicato, inoltre, che le firme possono essere apposte anche al Comune di Vibo Valentia, in aggiunta alle altre sedi di Enti locali dove è disponibile il modulo per firmare.

Martedì 6 agosto

  • Lungomare di Soverato Europa (prolungamento via Zumpano): dalle 19.00 alle 23.00.

Mercoledì 7 agosto

  • Corso Umberto I, adiacente mercato – Mileto, dalle 9 alle 12

Sabato 10 agosto

  • Mercato Comunale di Chiaravalle Centrale: dalle ore 9.00.

Martedì 13 agosto 2024

  • Lungomare di Soverato Europa (prolungamento via Zumpano): dalle 19.00 alle 23.00. (rcz)

 

 

AMICI DEL NORD, LA BATTAGLIA CONTRO
L’AUTONOMIA È DA COMBATTERE INSIEME

di MIMMO NUNNARICarissime amiche e carissimi amici del Nord dobbiamo fermarci prima del precipizio che abbiamo davanti, non solo chi vive al Sud ed è “meridionale con difficoltà”, come diceva Sciascia con riferimento alla Sicilia, perché il Sud è notoriamente terra di contrasti e contraddizioni e il popolo è un popolo che soffre, perché dominato da secoli, lasciato ai margini della comunità nazionale per colpe che non conosce, e patisce insieme all’assedio mafioso soffocante di un deficit civile di proporzioni altissime, conseguenza principalmente del vivere senza gli stessi diritti e opportunità dei connazionali dei territori del Nord.

Il precipizio nel quale rischiamo di cadere tutti, per una serie di ragioni interne: scarsa competitività, corruzione, invecchiamento della popolazione, inefficace politica di rilancio economico, ma anche esterne – declino globale, allontanamento dall’etica e dalla morale che da anni permea la società occidentale – riguarda anche voi, che che state al Nord, e in teoria avreste meno problemi dei meridionali, almeno materiali.

La vostra situazione è la situazione non buona dell’Italia degli ultimi decenni nascosta come la polvere sotto il tappeto, che nel 1992, in un saggio che ho avuto l’onore di scrivere insieme al cardinale Carlo Maria Martini e all’arcivescovo Giuseppe Agostino [“Nord Sud l’Italia da riconciliare” edizioni Paoline], l’allora arcivescovo di Milano impietosamente così: «Siamo di fronte ad una società percorsa da forze dissolutrici, gravemente intaccata da corruzione e illegalità, sovente incapace di trovare le vie di una vera convivenza civile; e il pericolo è di credere che tutto sia così, che tutto sia marciume, che non ci sia più alcuna forza positiva, che manchino le persone oneste e capaci». 

È un ritratto, quello fatto da Martini trent’anni fa, purtroppo ancora attuale. Abbiamo tutti perciò un problema, al Nord e al Sud, ma voi al Nord ne avete uno in particolare, che vi deve far riflettere, e riguarda la qualità della classe politica settentrionale ormai da molti anni pessima.  Spesso il Sud vi serve come alibi per non parlare della vostra classe politica impresentabile, specchio della vostra indifferenza, non certo della vostra cultura e intelligenza. Di quella del Sud sappiamo: è suddita, nel senso che pensa che i diritti debbano arrivare per elemosina, è portatrice insana di consensi elettorali, per convenienza personale, un incarico, una prebenda. 

Ma che sia scarsa la classe politica del Nord è qualcosa davvero difficile da spiegare non solo all’Italia ma anche all’Europa. Perché se il Nord che ha le migliori Università, una ricerca eccellente, una buona sanità, un’impresa che vola in alto,  un diffuso benessere, esprime una classe dirigente mediocre, scarsa, qualche problema c’è. E quando parliamo di mediocrità non parliamo dell’aurea mediocritas, che per i latini aveva una connotazione positiva, significava stare in una posizione intermedia tra l’ottimo e il pessimo, tra il massimo e il minimo, ed esaltava il rifiuto di ogni eccesso, ma parliamo di quella poco lucente mediocritas simbolo di ignoranza, di vuoto a perdere, che invade ogni sfera della vita sociale.

Prendo in prestito la battuta di un caro e illuminato amico del Nord (ne ho tantissimi) che a proposito di cultura costituzionale mi dice sconsolato: «Siamo passati da Calamandrei a Calderoli». Calamandrei, giurista, scrittore e uomo politico ha lasciato pensieri profondi: «La libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare». Frase che pronunciò nel suo celebre discorso sulla Costituzione agli studenti di Milano del 26 gennaio 1955. Di Calderoli, chirurgo maxillofacciale, triumviro della prima Lega e più volte ministro, la frase che probabilmente sarà tramandata ai posteri sarà: «La legge elettorale? L’ho scritta io, ma è una porcata». Outing, fatto da Enrico Mentana durante la trasmissione Matrix, che poi Calderoli spiegò meglio: «…Una porcata, fatta volutamente per mettere in difficoltà destra e sinistra, che devono fare i conti col popolo che vota».

Qualche domanda lassù al Nord dovreste farvela, per capire in che mani siete finiti. Potreste rileggere per fare un esame di coscienza un testo teatrale di Marco Giacosa, dedicato ai fratelli Terroni che votano: «Vent’anni fa ci furono i gazebo per l’indipendenza della macro-regione del Nord, si dibatteva se un marchigiano era un terrone e andava fatto affondare nei debiti della sanità, o salvato nella gloriosa Padania…. Secondo me, terroni, dovreste vergognarvi a votare Salvini. Almeno quanto noi del Nord, certo… Ma voi, terroni, Salvini proprio no. Comunque, contenti voi». Si parlava in quel testo breve di teatro a nuora (Sud) perché suocera (Nord) intendesse.

Ecco, siamo ancora fermi lì, ad arrovellarsi su quanto bisogna vergognarsi al Sud a votare Salvini, ma anche a ragionare su come abbia fatto il Nord a sperperare il patrimonio di cultura, competenza e dignità, ereditato dai giganti della politica che hanno operato nel dopoguerra. Pensiamo, per fare un solo esempio, non alle prime file, ai grandi leader, ma al lavoro intelligente di quanti hanno pensato, scritto e attuato programmi sociali ed economici per la nuova Italia nata dalla Resistenza, come gli economisti valtellinesi Ezio Vanoni, Pasquale Saraceno, Sergio  Paronetto, Tulio Bagiotti, Bruzio Manzocchi;  alcuni dei quali – come Saraceno – concepivano il problema dell’unificazione economica dell’Italia anzitutto come una questione etico-politica. Saraceno, pensava che l’obiettivo del superamento del divario tra il Nord e il Mezzogiorno chiamava in causa responsabilità dello Stato, e che il permanere del divario poteva alla lunga riflettersi negativamente sulla stessa unità nazionale, con conseguenze che potevano risultare esiziali anche dal punto di vista politico e degli equilibri sociali.

Il suo era un pensiero profetico. Come il Nord abbia potuto dimenticare quelle pagine gloriose per arrivare alle rappresentazioni di oggi bisognerebbe studiarlo, interrogarsi su come sia potuto accadere. Cari amici del Nord la battaglia contro l’Autonomia differenziata bisogna dunque combatterla assieme. La sfasatura del dualismo Settentrione Meridione, pesa, in maniera preoccupante, e dietro l’angolo c’è il caos, cioè il disordine, il disorientamento. L’Autonomia è una via di fuga dalle responsabilità, irresponsabile e pericolosa. Le guerre civili sono nate a volte per cause imponderabili. La soluzione è la riconciliazione del Paese, non una spaccatura ulteriore.

È l’unica strada percorribile la riconciliazione in questa fase di fragilità della storia italiana. E Il primo banco di prova per quest’Italia debole e smarrita è il “No” all’Autonomia voluta dal Governo Meloni che definire antipatriottico e antiunitario è il minimo. (mnu)